Pillole di Memorie per “La storia de’ nostri tempi” di Don Giacomo Margotti (V)
Consigliamo agli amici e ai naviganti di prestare la dovuta attenzione al testo di Giacomo Margotti, di cui andiamo pubblicando alcune parti e che meriterebbe di esssere conosciuto nella sua interezza, in quanto – secondo il nostro modesto parere – esso costituisce, insieme al De Sivo, un vero e proprio pilastro per una rilettura del Risorgimento.
Tra le pagine del Margotti si riconosce, a volte in maniera impressionante, l’Italia dei nostri giorni: arruffonna, dominata dalle finanziarie e dai furbi di turno. Vi si ritrovano tutti i mali di cui si sparla da tempo vanamente, mali che vengono ipocritamente messi in relazione con una presunta borbonizzazione dell’Italia:
- proliferazione degli incarichi
- malversazioni
- ruberie
- arricchimenti facili
- uso e abuso del pubblico denaro
LA PAPPA AL NEONATO REGNO D’ITALIA
II Regno d’Italia, figliato da Luigi Bonaparte e dal conte di Cavour coll’assistenza di Garibaldi, Nunziante e Liborio Romano, appena venne alla luce pronunziò questa prima parola: Fame. E la fame dei regni, e massime, dei regni come il nuovo Regno, non si sazia che col danaro. Il regno neonato divorava quando era ancora nascituro, e prima di esistere aveva già ingoiato un millecinquecento milioni. Pensate che cosa doveva mangiare questo pappacchione dopo di essere nato!
Il signor Bastogi incaricato, nella sua qualità di ministro delle finanze, di dare la pappa al nuovo Regno d’Italia, chiese per primo boccone cinquecento milioni effettivi. «Non si crede, dice il Journal des Economistes di Parigi, che il signor Bastogi possa ottenere un imprestito al disopra del 70 per una rendita del 5 per cento. Ed affine di ottenere una somma effettiva di 500 milioni occorrerà di scrivere nel Gran Libro circa 750 milioni di lire». Sicchè, per dare al neonato Regno d’Italia un primo boccone di 500 milioni, noi c’indebiteremo di 750 milioni, perdendone subito 250!
Tuttavia è presto detto colla parola, e presto scritto colla penna 750 milioni! Ma nelle nostre casse non c’erano fondi, il bambino Regno d’Italia gridava; Fame, Fame, e il povero Bastogi corse l’Europa per trovar danari. Andò in Francia, piccino alle porte di tutti i banchieri, e disse : — C’è un bimbo nato or ora con una fame da gigante. Imprestatemi 750 milioni per dargli la pappa.
E i banchieri risposero: — Come si chiama questo bimbo? — E me lo domandate? Soggiunse scandolezzato il sig. Bastogi: Si chiama il Regno d’Italia.
Il Regno d’Italia! conchiusero i banchieri; Non conosciamo questo Regno,e non vogliamo avere da fare né col bimbo, né colla balia. Andate in pace. —
E il povero Bastogi col bimbo in braccio che strillava per la fame, andò in Inghilterra, e disse ai banchieri di Londra: «Muovetevi a pietà di questo povero bimbo che, nato or ora, già sta per morire, imprestatemi 750 milioni da mettergli in bocca per primo boccone. Pensate che gli Inglesi ebbero parte alla nascita del bambino Regno d’Italia!» I banchieri Inglesi al sentirsi parlare di pietà, trasognarono, e dissero che se il neonato poteva vivere con parole, n’avrebbe avuto a fusone dall’Inghilterra, ma danari no. Gli Inglesi ne pigliano, e non ne danno.
E Bastogi andò nel Belgio, andò in Olanda, andò dappertutto, e fe’ vedere il bambino battezzato col nome del Regno d’Italia, e fe’ sentire i suoi lai, ed imitando ira verso di Francesco Petrarca, gli scrisse sulla fascia: I’ vo gridando: Fame, fante, fame. E i banchieri dell’universo volsero le spalle a Bastogi ed al suo bimbo, dichiarando di non conoscere né l’uno, né l’altro.
I nostri ministri, vista la mal riuscita dell’infelice Bastogi, furono a consiglio, ed assordati sempre più di giorno in giorno dalle strida del bimbo che gridava fame, deliberarono di mandarlo a vedere a Napoleone III, Imperatore dei Francesi affinché egli lo riconoscesse per legittimo, e cosi potesse venir conosciuto dal banchieri che prima non né volevano sapere. E venne incaricato di tale missione il conte Vimercati. Il quale, ricevuto il bimbo dalle mani del ministro Bastogi, lo reco prima a Parigi, e poi a Fontainebleau.
E tenerissimo fu il discorso che il conte Vimercati tenne alla Maestà di Napoleone III: «Sire, gli disse, voi conoscete questo bimbo, voi ben sapete che fu concepito a Plombieres. E se non né siete il padre, certo né foste il padrino. Or vedetelo, Sire, come e mingherlino, dilaniato dai vermini, divorato dalla fame. Uditelo come piange, e chiama merce. Ha fame, povero bimbo, e noi non ci troviamo un centesimo da mettergli in corpo. Sire, non disprezzate l’opera delle vostre mani: aiutateci a dar la pappa al nuovo Regno d’Italia, non permettete ai nostri e vostri nemici di dire che appena nato mori d’inedia». E il bimbo piangeva, e Vimercati piangeva, e Napoleone III pensava.
In fine dopo di aver ben pensato conchiuse, ch’egli riconoscerebbe il nuovo Regno d’Italia; cercherebbe qualche gherminella per ischermirsi dall’Austria, interpreterebbe lato sensu il trattato di Zurigo, e quanto a Roma ed al Papa, la provincia di Nizza abbonda d’olio, e il mondo e popolato di gonzi. Due proteste, quattro riserve, dieci genuflessioni, ed e fatto il becco all’oca. Napoleone III fe’ una carezza al bimbo che continuava a gridar fame, e il conte Vimercati lo ricondusse a Torino.
Intanto si aspettava questo riconoscimento, e non compariva. Il bimbo avea viaggiato di qua, di la; di su, di giù; e se avea udito di buone parole, nessuno pero gli avea dato un soldo. Si che continuava a gridar fame; e Bastogi a dichiarare che non sapea come dargli la pappa. Cominciò la Patrie di Parigi a dire che la Francia riconoscerebbe il neonato Regno d’Italia, e il bimbo gridava fame. Il Moniteur ripetè l’articolo della Patrie, ed il bimbo: fame. E i giorni passavano, e l’appetito cresceva. Laonde il barone Bettino Ricasoli chiamò a se il conte Vimercati, e gli disse: — Tornate a Parigi, e pregate l’Imperatore di riconoscere presto questo bimbo, se no possiamo seppellirlo. Avvertitelo che e questione di fame, e che periculum est in mora. —
E Vimercati galoppò di nuovo a Parigi, e da Parigi a Fontaineblau, e gettatosi in ginocchio davanti a Napoleone III, gli baciò il piede, l’assicuro che il nuovo Regno d’Italia pericolava, gli domando in nome della battaglia di Solferino di riconoscerlo il più presto possibile, e gli fe’ promessa che il Regno d’Italia riconosciuto dal Bonaparte, sarebbe stato cosa tutta sua, pronto a tagliarsi anche una mano ed un braccio per darglielo in segno di riconoscenza. E l’Imperatore confermò le fatte promesse, pigliò nota delle cortesi esibizioni, e non andò guari che il riconoscimento del Regno d’Italia apparve sul Moniteur del 25 di giugno.
Ma gli articoli del Moniteur sono belli e buoni, pero empiono il venire di vento e non di pane; e il bimbo non puo campar d’aria. Sicché il ministro Bastogi si accinse a tentare una seconda volta la prova, e vedere se i banchieri vogliono dar danaro al neonato Regno d’Italia, riconosciuto dalla Francia come figlio legittimo. Per la qual cosa presentassi alla Camera dei Deputati, chiedendo la facoltà di contrarre un prestito di 750 milioni, e il 26 di giugno, cioè un giorno dopo il riconoscimento, ebbe principio la discussione.
Di questa noi parleremo pili diffusamente secondo la relazione ufficiale, e divisammo di mandare innanzi a’ nostri articoli la detta storiella che serva loro come di proemio. e uno scherzo, mai nostri Ministri scherzano sempre quando Bi tratta di finanza. Il liberalissimo deputato Saracco diceva il 14 di maggio del 1858: • Noi scherziamo allegramente sopra un vulcano». E soggiungeva: « La pubblica coscienza si rivolta contro questo sistema altrettanto facile che rovinoso di colmare nuovi disavanzi che non hanno mai termine con nuove gravezze che non hanno confine».
fonte
https://www.eleaml.org/sud/stampa/margotti_primi_vagiti_del_regno_d_italia.html#Ricciardi