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POCHE OSSERVAZIONI SULLA MINERVA NAPOLITANA

Posted by on Dic 11, 2021

POCHE OSSERVAZIONI SULLA MINERVA NAPOLITANA

Abbiamo letto ne’ quaderni X.° e XV.° della Minerva Napolitana una Diatriba sulla indipendenza Siciliana: noi invochiamo il giudizio de Saggi sulla querela che ci divide.

Il Redattore della Minerva Napolitana comincia risolutamente affermando nell’artic. 1.° che coloro i quali sono stati Signori dell’isola nostra han finito coll’insignorirsi d’Italia, e quindi esclama nell’ebrezza della boria di cui viene agitato = «ecco la nostra frontiera del mezzogiorno. Se fosse men bella per tutti, se fosse più lontana da noi, se potesse difendersi da se stessa, noi non chiederemmo, che la sua federazione. Ma legge suprema di conservazione impone ai due popoli il conservarsi uniti.»

Quando si fosse detto soltanto, che l’isola nostra, e le provincie di Napoli essendo vicine, e finitime possono molestarsi a vicenda dove non fossero unite in amicizia, si sarebbe tenuto buon linguaggio, e conforme alla storia. Sappiamo in fatti, che i Saraceni Padroni dell’isola furono molestissimi alle provincie Napolitane, ed all’Italia meridionale, che i nostri primi Re Aragonesi, non pur molestarono, ma conquistarono eziandio varie piazze di Puglia, Capri, e Procida, che sono le vere frontiere Napolitane dalla parte di mezzogiorno, e gran parte altresì della Calabria, e che la parte della Calabria restò lungamente in potere del nostro Federico II.° a fronte degli sforzi di Roberto, perdutala alla fine per la dislealtà di Giovanni XXII° Così è avvenuto sotto gli Angioini, così ne tempi posteriori, e sino a noi.

Il dir poi che la Sicilia è la frontiera del mezzogiorno del Regno di Napoli, e che non potendo difendersi da se stessa, ha bisogno d’esser difesa da Napolitani, è una enorme jattanza.

Faremo noi vedere, che questa isola tenuta in pregio da ogn’altra Nazione è stata la terra Sovrana di Napoli.

Il Napolitano Giannone (senza ricorrere agli altri storici) narrando che Rugiero II. figlio del conquistatore, avendo ereditate per la morte, di Guglielmo suo Cugino senza figli le provincie di Napoli, volle cogli Offici del Pontefice Onorio prendere il titolo di Re, si spiega così = «ed avendo costituita Palermo Capo del Regno, Re di Sicilia del Ducato di Puglia, e di Calabria, e del Principato di Capua volle chiamarsi, ed in cotal guisa da suoi sudditi per Re salutato, nei diplomi, e nelle pubbliche scritture, questi sono i titoli che assunse Rex Siciliae Ducatus Apuliae, Principatus Capuae».

Proseguirono i Re Normanni successori di Rugiero la loro residenza in Palermo Capitale del Regno: li due Guglielmi furono coronati, e chiusero gli occhi in questa capitale: così anche Tancredi.

Guglielmo III. ebbe la sua coronazione in Palermo, e morto esso in Germania mancò la stirpe de Normanni.

Arrigo VI. Suevo fu in Palermo come marito di Costanza Normanna coronato Re de domini Normanni di quà, e di là del Faro.

Federico ereditò come figlio di Costanza il Reame de’ Normanni, fu coronato in Palermo I.° Re di Sicilia di tal nome, e fu poi II. Imperadore de Romani.

La Città di Palermo capo del Regno ebbe la cura della minore età di questo Federico con gli offici di Papa Innocenzo III. che appostatamente venne in questa Città.

Nonostante che dopo la morte di Corrado, e Corradino, occupate da Carlo d’Angiò le provincie di Napoli, avesse costui in questa Città fissato la sua residenza, perchè non ben accolto da Siciliani, pure il titolo che assunse fu quello = Rex Siciliae, Ducatus Apuliae, Principatus Capuae.

Nel 1282 questa isola riacquistò la sua indipendenza, il Celebre Vespro Siciliano cacciò via i Francesi tutti, e fu chiamato Pietro d’Aragona come Marito di Costanza, coronato in Palermo a 3o agosto 1282. Così la Sicilia ebbe dappoi la residenza dei propri Sovrani menocchè sotto Martino il Vecchio.

Indi, sotto Ferdinando il Cattolico nel 15o3 cacciati i Francesi da Napoli per opera del Generale Gonsalvo di Cordova, toccò tanto alla e Sicilia, che alle provincie Napolitane essere governate da Vicerè, uno residente in Palermo, ed altro in Napoli: locchè seguì sino a Carlo III. Borbone, il quale in Palermo venne a prendere la Corona delle due Sicilie.

Quando le provincie Napolitane furono riunite sotto la Sovranità di questa Isola, non aveano quelli paesi né anche nome proprio comune: Il mondo non sapeva come appellarle: e siccome erano dipendenze della Sicilia, cominciò quindi a chiamarli Seconda Sicilia.

Perchè dire la Minerva, che non potendo stare sola la Sicilia, né difendersi da se stessa bisogna stare sotto il giogo di Napoli? Credono forse i Napolitani formare un vasto Impero? Si lusingano aver animo tanto possente da rinnovare i prodigi di Maratona, e delle Termopili? Sperano tornare ad esser Marsi, Sanniti Volsci ec. solo con aver latinizzato i nomi delle loro provincie, citando ad ogni parola un gran nome Greco, o Romano?

Ma difficilmente potrà Napoli elevarsi a tanta possanza da far questo Protettorato: in questi ultimi tempi la Sicilia diede le risorse al suo Re, cui rimase fedele, per riacquistare due volte le provincie Napolitane.

Piccoli noi, e piccoli i Napolitani; comunque questi meno piccoli di noi, saremo sempre piccoli ambidue, comecchè riuniti, ed anche amalgamati.

Ma d’onde mai, dice la Minerva, tanta paura di pochi contro questa unione, che dovrebbe essere sì cara?Rispondiamo per funesta esperienza dell’ultimo quinquennio, e degli ultimi mesi. Ma basterebbe solo il pensare essere un gran bene l’indipendenza, ed il godere un Governo proprio, ed una propria rappresentanza Nazionale.

Sia intanto certo il Redattore della Minerva non già pochi, ma tutti i Siciliani essere concordi in detestare l’attuale sinistra unione. Da Pachino a Lilibeo, e da Lilibeo a Peloro non vi ha Siciliano, che con sincerità di cuore approvi l’attuale dipendenza. Le stesse Città, che per ossequio, o timore hanno per mezzo de’ loro Rappresentanti detto in voce, o in iscritto il contrario, non contengono se non virtuose popolazioni, che conoscono il bene dell’indipendenza: la voce delli stessi Deputati di tali Città, quando promover vorrebbero il bene della Patria, viene soffocata nel Parlamento di Napoli.

Per queste considerazioni forse si sono astenuti i Deputati di Palermo di accedere al Parlamento aperto in Napoli, apparte, che non hanno voluto apportare una renuncia di dritto alla convenzione del 5 ottobre 182o, ed un’adesione di fatto alla rappresentanza colà riunita.

Convenzione questa la più legittima, basata sul dritto delle Genti, firmata da un Cenerale d’arme in esatta conformità alle istruzioni date dal Re il 31 agosto 182o, intesa più volte la Giunta Provvisoria di Governo, ed ascoltato il parere de’ suoi Ministri.

Si volle non di meno annullare questa convenzione fatta dal Generale Florestano Pepe con la Città di Palermo: Convenzione, e Capitolazione per altro nulla differente da quella di Casalanza fatta nel 1815 per Napoli: ma non era stata promessa, e giurata alla Sicilia l’Indipendenza nella costituzione del 1812? non le appartenea forse sin dalla fondazione della Monarchia Siciliana? La cessione diplomatica fatta dal Re Catolico Filippo V.° a Carlo III.° non procedette forse per avere le due Sicilie tali quali furono tenute dal primo Re Rugiero, e suoi successori, e così se ne investì?

Era lecito armarsi i Napolitani per ottenere nel 182o la Costituzione di Spagna, non fu le cito armarsi i Palermitani per conservare la loro indipendenza in un nuovo ordine di cose, che andava a stabilirsi?

Diciamo inoltre al Redattore della Minerva che non è poi da far meraviglia se durante il dominio degli Svevi non furono tra le due Nazioni odj né gare: qual gara, qual odio nudrir potevano tanti piccoli distretti, avvezzi sotto i Bizantini, e poi sotto i Goti, e finalmente sotto i Longobardi a mutar tante volte nome, e confini? Conveniva per certo ai Napolitani tenersi tranquilli e contenti de legami, che li univano ad una terra Illustre, dalla quale riconoscevano la comune qualità Nazionale, e financo il nome di seconda Sicilia. Pure in quel tempo ancora diedero i Napolitani argomenti di legge rezza: ingrati al Gran Federico di Svevia intanto già a farli bene, ed ingrandirli, presero le parti del Papa InnocenzoIV. Contro Corrado, e tradirono in Benevento Manfredi.

Nella fantasia del contrario Redattore è surta una larva, un fantasma che nomina Oligarchia Siciliana,cui riferisce il pretesto di chiedere l’Indipendenza da Napoli. Resti pure egli convinto, che gl’idoli antichi son da per tutto rovesciati, e che la marcia imperiosa del secolo sul sistema liberale ha posto tutto nello stesso livello.

Non è l’Oligarchia, non è il nostro puntiglio che ci divide, ma sono i nostri evidenti Nazionali bisogni, i nostri importantissimi interessi, e se bramiamo una Monarchia Costituzionale vogliamo che le sue leggi corrispondano al suo fondamentale principio, cioè che ne risulti un’autorità sufficiente da reprimere facilmente li disordini dell’Anarchia, incapace ad opprimere la legittimalibertà del Cittadini. Senza di questa tutelare autorità, noi temeremo di non precipitare nelle ruinose agitazioni di una repubblica senza sicurezza, e di una Monarchiasenza forza. Quindi è che quanto più si declama ne fogli di Napoli, tanto la Sicilia resta più ferma nel suo proponimento.

Tremenda, si chiama nella Minerva, e tal fula vendetta, che i Siciliani tolsero nel 1282 Ma fu certamentemeno atroce, ed ingiusta di altre simili straggi conosciute, come di quella degl’Inglesi contra i Danesi il dì di San Brizio, e di quella dei Francesi contra Francesi la notte di San Bartolomeo. E’ falso però del tutto, che noi in quel rincontro ci disunimmo da Napoli, come dice la Minerva; i Napolitani anzi si disunirono da noi: in quel tempo la Sicilia Metropoli marcò loro la via del dovere, e gl’indicò il Sovrano legittimoPietro d’Aragona marito di Costanza ultimo resto degli Svevi: glie lo avea già indicato ben anche l’infelice Corradino, del quale i Napolitani soffrirono l’assassinio in mezzo al loro mercato. Perchè non riunirsi dessi a noi, rischiando tutto allorchél’Aragonese Rogiero di Loria colle galee Siciliane faceva prigioniero nel 1284 il loro Principe di Salerno, riscuoteva dopo lunga prigionia la Beatrice altra figliuola di Manfredi, insultava la vacillante Città di Napoli? perchè non farlo nel 1286 allorchéil Siciliano Bernardo da Sarriano espugnava Procida, e Capri, e vi lasciava guernigione? I Napolitani dunque, i quali come dice un Illustre Scrittore, son per natura tendenti a sperar troppo, o a temer troppo, furono allora e mancatori, e timidi. Noi non già che ci demmo al legittimoPrincipe, ed a fronte di lunghi pericoli sostenemmo lunga guerra contro Napoli, contro Roma, contro Francia e poi sinanco contra Aragona, molestati sempre ma non mai soggiogati.

Quanto è poi inesatto, anzi puerile il chiamarsi dal Redattore della Minerva, Principessa Napolitana Costanza!Manfredi suo Padre pria di esser Re fu Principe di Taranto: figliuolo di una signora certamente Siciliana: venne assai volte, e forse nacque, e passò la giovinezza in Sicilia: vi venne altresì per coronarsi. La famiglia Regale dimorava nella Regia di Palermo, in fatti le galee Aragonesi da Palermo le varono la Costanza, quando ne andò a marito. Manfredi prima Bajulo del Regno, e poi Re vagò per tutta la Puglia, dove spesso richiamavalo, e lungamente ritenevalo la necessitàdi far fronte alle sempre rinascenti intraprese Papali, e di far che stesse in dovere la mobilità della Puglia. Non è si facile dove la Costanza nacque: ma è certo, che non nacquero in Napoli Principi, e Principesse pria del 1754

Ma ritorniamo all’assunto intrapreso della indipendenza Siciliana: un uomo è assolutamente indipendente quando ha in sua proprietà tutti i mezzi a mantenersi tale senza gli ajuti d’altro uomo: un altro però sprovveduto in parte di tali mezzi è costretto a far uso degli ajuti altrui: costui non è certamente indipendente ne suoi esteriori rapporti, ma può esso tenersi in tal decorosa attitudine, che ne suoi rapporti interni, e nella sua economia sia altrettanto indipendente, quanto quell’altro. Un uomo finalmente sprovveduto di mezzi ad essere indipendente, e che per un orgoglio inconsiderato von voglia misurare ciò, che può, e ciò che gli manca per poter oltre, e che sdegni far uso de mezzi, che gli offre un altro uomo costui è pazzo, e finisce con farsi schiavo cercando l’indipendenza: Quanto si è detto degli uomini deve applicarsi alle Nazioni.

Posto ciò non si potrà negare, che la Sicilia unita a tutte le sue provincie non sia stata assolutamente indipendente, ed anche temuta dal 1150. epoca del cominciamento della Monarchia sino 1194. Epoca del Regno degli Svevi.

Dal 1194 al 1266 epoca della morte di Manfredi la Sicilia fu parimenti sempre indipendente, ancorché sempre minacciata da una serie di Papi nemici atrocissimi della casa di Svevia; e può affermarsi, che il prode Manfredi restò vittima della Indipendenza nella quale mantener volea la nostra Monarchia: avendolo finalmente oppresso l’odio Papale cogli ajuti di Provenza, e d’Angiò, con tradimenti orditigli in alcune provincie Napolitane, con un gran numero di avventurieri Francesi, e con tutti i Guelfi di Italia.

Surse allora il novello trono Regio in Napoli, perciocchè non conveniva a Carlo d’Angiò molto dilungarsi da suoi stati di Francia, né dalla Corte Papale, suo vero presidio. In questo brieve periodo di 16 anni che noi Siciliani stimiamo interregno, la Monarchia, non pure fu in istato di dipendenza, ma eziandio, e più veracemente in quello di assoluta Servitù. Carlo tiranno del sudditi, e schiavo del Papa, trovava nel servire a questo i mezzi ad esser tiranno impunemente.

Dall’epoca poi del 1282, nella quale Napoli rimase sotto Carlo d’Angiò e noi ci demmo a Pietro d’Aragona unico erede degli Svevi, si pretende, non essere stata giammai la Sicilia indipendente. All’incontro noi crediamo, che sotto i primi nostri quattro Re Aragonesi, ed a tutto il Baiulato del Duca Giovanni figliuolo, ed erede della virtù del Padre suo Federico II.° di Aragona, val quanto dire sino al 1548 fummo in effetto noi in istato di assoluta, e decorosa indipendenza.

In quell’epoca infatti la Sicilia non solo non usò sovvenzione, e presidio d’estera potenza; ma tutte all’incontro trovolle inimiche, ed avverse, e tutte riguardavan con orrore una nazione scopo in quel tempo de fulmini Papali, e sempre implicata in lungo, e severo interdetto. Datasi non già alla nazione Aragonese, come erroneamente si asserisce ma al Re di Aragona, fornì ella sola a questo i mezzi necessari a sostener la guerra, e difenderla. Chi conosce per poco le restrizioni, anzi le servitù, che imponeva a quei Re la bizzarra, e strana, Costituzione politica dell’Aragona, non potrà pur sospettare che danari dell’Aragona si fossero in quel rincontro impiegati in ajuto della Sicilia. Perchè Pietro fosse in punto di passare con forze convenienti nell’isola, fu d’uopo che lo sovvenissero l’Imperadore Greco, e Papa Niccola III., e costa dalle memorie del tempo che quando le galee Aragonesi portavansi in Palermo a levar la Costanza già sposa di Pietro, i poverissimi arnesi degli Aragonesi Signori recaron meraviglia estrema nella ricca, e lussoreggiante Corte, che risedeva nella nostra Capitale. Molti Aragonesi vennero con Pietro, e molti ne concorsero in seguito via via a far fortuna e stabilirsi in Sicilia, assumendone gli usi, e le leggi, e rendendosi Siciliani: i quali la Sicilia volentieri accoglieva, e faceva lor parte delle sue ricchezze, contenta di moltiplicar così i suoi difensori, ed aumentar la massa della sua popolazione. Tutto ciò non indica affatto la menoma dipendenza in quel tempo della Sicilia; vi costringe all’incontro a conchiudere, che fu la Sicilia allora assolutamente indipendente.

Si oppongono contra questa conclusione, e non sò con qual Dialettica, i trattati di Roma nel 1295 quello di Castronovo, che l’autore della Minerva dice di Sciacca nel 15o2, quello finalmente del 1572 co’ quali Re Giacomo nel primo cesse la Sicilia agli Angioini di Napoli: Federico II.° nell’altro fu contento esser chiamato Re di Trinacria, cedendo agli Angioini il titolo di Re di Sicilia; promise di pagar un censo annuale a Roma, e restituire agli Angioini la Sicilia alla sua morte, ottenendone pe’ suoi figliuoli in iscambio Cipro o Sardegna: col terzo finalmente Federico III.° appellato dalla storia il semplice, oltre gl’indicati patti, consentì a riconoscer se stesso, e i suoi discendenti vassalli degli Angioini di Napoli; e di tener da loro, come alti Sovrani, la Sicilia.

Fa meraviglia, come dal Redattore della Minerva si chiami con dileggio, Carlo d’Angiò Maestro eccelso d’arti feudali, e sacerdotesche industrie; e si dia poi tanto peso a cotali trattati, che furono tutti unicamente insidie e soprusi Sacerdoteschi, violatori dei diritti di una Nazione indipendente, violentatori finanche della Geografia Antica, e Moderna.

Egli fa un delitto a un povero Re del XIII. secolo, di avere avute le idee, che unicamente valevano nel suo secolo; e poteano concepirsi in quel tempo altre idee eccetto quelle di feudalismo e di Monarchia Papale?

Noi però venuti a tempi migliori siamo in stato, e in dovere di giudicare rettamente degli strani avvenimenti d’allora; ed abbiamo il diritto quindi di rimproverargli che si renda l’autore della Minerva Napolitana in questo rincontro spreggevole ammiratore di quelle Sacerdotesche stranezze. Si domanda in grazia, su qual ragione si fonda, che la Sicilia perdeva nel 1295 la sua indipendenza allorché Giacomo divenuto Re di Aragona, cedevala agli Angioini, col pregiudizio dei dritti di sua famiglia, e de Siciliani? Intervenne in quel trattato la Costanza unica Erede degli Svevi? v’intervennero i Siciliani, della cui sorte trattavasi? Sembra anzi che quel fatto fornisca argomento a far creder la Sicilia allora indipendente più che mai; perciocchè in tale occasione ebbe luogo il massimo atto della sua indipendenza politica, per cui abbandonata dal suo Re, n’elesse un altro eleggendo Federico II. e dettero i Siciliani cominciamento al felicissimo Regno di Federico durante il quale ricoprironsi di gloria.

Gli altri due trattati, si dice non furono mai legalmente rotti, comunque l’uno fosse stato rotto d’indi a poco; e l’altro non mai osserva- to. In tal modo egli ci fornisce l’agio a conchiudere, che in onta di quei due trattati la Sicilia restò di fatto indipendente, e che sol- tanto di diritto potea considerarsi dipendente 5 e noi diciamo, che la Sicilia in onta di quei due pretesi trattati restò indipendente di diritto, e di fatto: e mentre si suppone che que’ due trattati non furon mai legalmente rotti, con miglior fondamento affermiamo, ch’essi non furon mai legalmente stipolati.

Il diritto pubblico, raccomanda, onde siano legali, e durevoli i trattati, che vengano essi fondati sulla convenienza, e la giustizia, non già sull’ingiustizia, e la soverchieria. Or qual convenienza, e qual giustizia vi ebbe in quel di Castronuovo, nel quale Federico fu obbligato a ceder tutto, e non ottenne altro, che una moglie Angioina? Vi ebbe giustizia rispetto ai Siciliani nel riconsegnarli ai signori irritati, e a ricongiungerli ad una Nazione in mille guise, quantunque giustamente, offesa da loro? e non fu ingiusta, ed atroce soverchieria di Bonifazio VIII.° il cassar tutto ciò ch’erasi primitivamente stipolato in Castronuovo, ed aggiungere colla sua incompetente autorità tutti gli articoli ignominiosi per Federico? Essendosi dunque per quel trattato enormemente lesi i dritti del Re di Sicilia, tradita la convenienza e la giustizia dovuta a Siciliani, violata la buona fede delle stipolazioni, e sostituito a queste l’arbitrio di Papa Bonifazio; Chi non vede, che quel trattato non fu mai legalmente conchiuso? E Federico, e Siciliani, e il Re d’Aragona furono persuasi tanto d’esser quel trattato casso, e nullo, che contemporaneamente ne stipolavano tra loro un’ altro, per cui il Re di Sicilia, e quel di Aragona assicuravansi a vicenda la mutua sostituzione delle loro discendenze alla successione dei Regni loro, qualora mancasse una delle due discendenze.

Basta riandare l’altro del 1372 a persuadersi chicchesia, che maggior lesione vi si fece a Federico III.° più nera ingiustizia a Siciliani, soverchiati, e l’uno, e gli altri dall’abuso di autorità fatto da Gregorio XI.° D’onde che questo ultimo trattato ebbesi sempre come un fatto assolutamente staccato dal sistema del nostro diritto pubblico, e che indicando solo la debbolezza del Re, non potè mai contaminare l’assoluta Indipendenza della nostra Monarchia. Dimenticaronlo in fatti gli stessi Angioini, dai quali non fu mai reclamato: Dimenticaronlo gli stessi Romani Pontefici, assorti nelle aggitazioni del gran Scisma, lo disdisse apertamente Martino alla sua venuta in Sicilia verso 1392. Il censo non fu mai pagato: l’omaggio non fu mai prestato, e i nostri Re chiamaronsi sempre Re di Sicilia.

Il contrario scrittore della Minerva Napolitana dice essergli lecito scegliere a suo piacere un’epoca storica per principio del di lui lavoro, e non volendo risalire a tempi anteriori nella storia antica osa dire non potersi rimproverare il suo silenzio riguardo agli affari della Sicilia prima del 1282.

Non si può perdonare tale falso principio ad uno scrittore: la materia si dee riguardare in tutti i rapporti delle diverse epoche.

A tutto il Regno dei due Martini, Principi Secondogeniti dei non opulenti Re di Aragona, noi fummo sempre assolutamente indipendenti, Niuna straniera Nazione, niuno estero Principe ci apprestò sovvenimento o difesa; e noi sussistemmo sempre coi nostri propri, e naturali mezzi. Anzi le nostre Città, stanche ora mai di tanta lunga guerra civile, furono larghe a Martino delle loro sovvenzioni a domare i faziosi Baroni. Indotto finalmente l’ordine pubblico, e la tranquillità, noi come nazione indipendente fummo sovente chiamati dal Re a deliberare con lui sulla riordinazione delle nostre pubbliche cose; e i nostri atti Parlamentari del tempo attestano, come il nostro concorso ne pubblici affari, così la nostra indipendenza. Intanto succeduto il Duca di Monblanco nel Regno di Aragona, staccossi egli da noi: e riordinate le nostre cose, Martino il giovine accompagnato da Milizie, e Baroni Siciliani, portossi all’impresa di Sardegna dove nel 14o9 morì.

Fu dunque la Sicilia assolutamente indipendente sotto i suoi primi quattro Re Arogonesi, e sino al Bajulato del Duca Giovanni, morto nel 1348. Da quel tempo in poi, sotto la signoria de due buoni, ma imbecilli Ludovico, e Federico III.° in sino alla venuta dei Martini, verso 1592 restò ella indipendente altresì. Venuti i Martini, domati i faziosi, e pacate le civili discordie rilevossi altra volta la dignità della Sicilia: e colla morte di Martino il giovine perdette ella nel 14og, la presenza de’ suoi Re, e cominciò ad esser governata da lontani signori.

D’indi in avanti la Sicilia (dice la Minerva) fu provincia or di Aragona sotto Martino il Vecchio, e Ferdinando il Giusto, ora di Napoli sotto Alfonso, poi nuovamente di Aragona sotto Giovanni, e finalmente delle Spagne riunite sotto Ferdinando il Cattolico.

Ma si conosca il vero in mezzo alla confusione delle idee. Si distingua tra l’aver lontano il proprio Re, e l’esser provincia. L’ordinaria residenza dell’Imperador d’Austria è in Vienna, quivi risiede il corpo Diplomatico estero, e tutta l’appariscenza della Corte Imperiale. Ma non per questo l’Ungheria è provincia dell’Austria: anzi conservando l’Ungheria illustri memorie, e gli usi suoi particolari, e le leggi, forma un regno che sussiste da se, e ch’è unito e compagno, non provincia del l’Austria, Così parimente negli anni che Re Alfonso stette, come a diporto in Napoli non si oserà affermare, che Valenza, Catalogna, Aragona fossero state in quegli anni provincie di Napoli.

Non si oserà dire, che l’Ungheria è provincia dell’Austria, perciocch’essa è soggetta all’Imperador d’Austria, che ordinariamente risiede in Vienna. Non si oserà dire, che Valenza, Catalogna, Aragona furono provincie di Napoli, perciocché negli ultimi suoi anni Alfonso dilettossi di starvi: come dunque si osa dire che la Sicilia fu in quegli anni provincia di Napoli?

Ma non solamente il Redattore della Minerva e inesatto nel ragionare, è ancora poco istruito nella storia.

Il Re Alfonso in quegli anni che villeggiò in Napoli, visitò sovente la Sicilia, lasciò a lei monumenti della sua scienza legislatrice; gradì sempre nelle occasioni di straniere imprese li Donativi offertigli dalla Sicilia, raccolta in Parlamento, le chiese tal volta egli stesso, e precisamente in ristoro del dispendio sofferto nella conquista di Napoli. Ciò si ravvisa leggendo ordinatamente, e con assiduità la storia, e gli atti nostri Parlamentari del tempo. In veduta dunque de fatti innegabili che attestano, non essere stata la Sicilia in quel periodo di tempo privata giammai del suo particolar diritto politico, e civile, essere stata anzi sempre, c senza interruzione in possesso degli usi suoi, della sua particolar finanza, ed amministrazione di essa, del concorso nella propria legislazione mercé le suppliche che porgeva al Re ne suoi parlamenti; è mestieri inferirne, che il Redattore della Minerva sia inesatto raggionatore, e scrittore nella storia poco istruito, scrivendo senza fondamente, ch’ella fu provincia or di Aragona, or di Napoli: compagna sì bene e di Aragona, e di Napoli perciocché soggetta con Napoli, e con Aragona agli stessi Sovrani: e nella sua economia, amministrazione, e legislazione, stato del tutto indipendente d’ogni altro stato: non si potrà oggi dire essere la Polonia provincia dell’Impero Russo: non si potrà oggi asserire la Norvegia essere provincia della Svezia.

Circa il congresso di Caspe, al quale non intervennero i Deputati della Sicilia, quarto regno della Monarchia Aragonese, è falso del tutto ciò che si dice, ch’ella ne sia stata proibita, come priva di diritto ad inviarli: ella in quel tempo assorta in un vortice di guerre civili, e parteggiando tra il Grande Ammiraglio Liori, il Gran Giustiziere Caprera, non vide in mezzo ai furori delle fazioni quel momento tanto importante per lei: forse ancora a questo oggetto la profonda, e coperta gelosia Spagnuola nudrì a bella posta quelle gare, e discordie civili. Pure riscossasi, e riavutasi da quel traviamento, ella cominciò a chieder con istanza a Re suo particolare il Conte di Luna Federico, bastardo di Re Martino, legittimato a bella posta col consenso dell’Avo, dall’Antipapa Benedetto XIII. sotto la cui ubbidienza erano in quel tempo i Re Aragonesi. Ma buon per lei, che presto riconoscendo l’alto merito di Ferdinando il Giusto, e recandosi a gran ventura sottomettersi a un tanto Re, ristettesi la Sicilia da quella pretenzione. Imperocchè con quel nostro Federico bastardo di Martino, avremmo noi sofferti i mali stessi, che sofferì Napoli per avere in suo Re particolare Ferdinando bastardo di Alfonso: cioè i mali, che accompagnano la guerra, ed una violenta conquista.

Formatisi in fatti in quel tempo i grandi Imperi: o a dir meglio, per le circostanze morali, e politiche sviluppatosi nel medesimi con tutta espansione quel germe di forza, che in addietro per vari motivi era rimaso infecondo, ed inoperoso, cominciò l’ambizione dei Principi a potere, e sapere facilmente impegnarsi in lontane spedizioni, e con mezzi a datti, e propria felicemente compirle. E peròcome non mancarono mezzi, e pretesti a Ferdinando il Cattolico ad occupare il Regno di Napoli cacciandone quel Federico figliuolo del bastardo di Alfonso; così non sarebbero mancati a lui pretesti, e mezzi, ad occupare il nostro, e cacciarne questo altro Federico.

Da quel punto in poi le piccole Nazioni dovettero rassegnarsi al tempo, e rinunziare da sagge a quella prima indipendenza assoluta, e contentarsi di quello stato per cui fornite del sicuro appoggio d’una grande al di fuori, potessero tranquillamente vivere nel loro interno colle proprie leggi, e di quel grado d’indipendenza relativa, che fosse libero da ogni coazione di forza esterna.

In questo stato conservossi la Sicilia sino al 1734; compagna di Napoli nella soggezione ai comuni Re delle Spagne, i quali erano ad amendue di sicura guarentigia contra ogni estero insulto. Tale conservossi dopo l’epoca felice del 1734 sino all’Anno 1816. Allora amendue colla protezione di Francia, e Spagna sotto il prudente dominio di Carlo III.°e noi uniti con più intimi legami a Napoli;eda compagni, ch’eravamo divenuti quasi fratelli, fummo sempre possessori del nostro particolar diritto pubblico, e privato, possessori della nostra finanza, e dei nostri usi, e diritti politici.

Anzi in quella epoca felice la Sicilia vide un tratto balenare nel suo orizzonte della sua gloria antica di terra Sovrana di Napoli, mercéla Corona che l’augustissimo Carlo venne a prender da noi. Ed ella altresì conseguì da quell’ottimo Principe una maggior guarentigia della sua relativa indipendenza, e libertà in quella saggia istituzione d’un Collegio di Regj Consiglieri, che col nome di Giunta di Sicilia, era di norma a Ministri di Stato nel riferire al Re gli affari Siciliani, e di freno, e utile impedimento all’arbitrio de Vicerè.

Saggia la Sicilia e conoscendo quel che conviene a lei, ed apprezzando avvedutamente la certezza del presente suo bene, e misurando co’ certissimi, ed evidenti pericoli l’incertezza anzi l’impossibilità di possederne un maggiore, è stata sempre contenta di quel grado di libertà, e indipendenza che le conviene; e soltanto la somma sua costernazione pei tanti mali accumulatisi sopra lei, ed una spezie di disperazione ha potuto sommoverla in Luglio 182o mentre nel 1816, soffrendo in pace le disposizioni dei Ministri del Re si contentarono i Siciliani di un semplice appello alla Nazione Inglese ga1ante della loro Costituzione proclamata nel 1812 e giurata dal Re (*))

Noi per natura siamo tendenti a non isperare, o temere, che quello che ci conviene; e quanto ci conviene. Si potrebbe all’incontro dire de Napolitani avere in poco più d’un secolo rappresentato due volte all’Europa la ridicola farsa di levarsi a repubblica: la prima volta sotto il Ducato d’uno spregevole avventuriere, qual fu Errico Duca di Guise, e la seconda calcando sulla Democrazia Francese la loro: si potrebbe aggiungere che i Napolitani come si resero facile preda nel 1266 a Carlod’Angiò; e poi a Luigi d’Ungheria, e poi nel suo ritorno a Giovanna, e poi a Carlo della Pace, e poi a Luigi e Renato d’Angiò; e ad Alfonso, e poi a Carlo VIII. di Francia, e poi a Ferdinando II. e poi a Ferdinando il Cattolico, e Luigi XII. di Francia, e finalmente a Ferdinando il Cattolico solo; così parimente nel 18o6. si diedero facile preda a due ultimi usurpatori, che fecero divenire quel bel Regno, Feudo, e Vassallaggio della Francia, permettendo, che il caduto tiranno possedesse in Napoli quasi un forte, e ricco demanio; e che non per patto di mutua alleanza, ma per diritto d’Impero dissipasse in terre lontane il sangue de Cittadini.

Or la Sicilia null’altro desidera nel nuovo ordine di cose, che va a stabilirsi, che la sua indipendenza sotto unica Monarchia cioè dar tutto, che dar si possa, al Re pel mantenimento della sua Corte: concorrere alla quota per il corpo diplomatico, per il mantenimento di unica armata, restando il contingente della truppa nelle piazze dell’Isola: nulla dalla Sicilia estrarsi per utile di Napoli, ma tutto rimanersi in Sicilia per l’utile suo: essere la sua finanza separata, e l’Amministrazione della medesima lasciarsi a lei sola: avere nel suo seno l’Amministrazione della giustizia, con la Suprema Corte di Cassazione: avere una particolare rappresentanza Nazionale, divisa da quella di Napoli, da congregarsi in Sicilia, ed essa in tal modo provvedere ai propri bisogni.

Desidera la Sicilia nella sua indipendenza, che non Ministri, e Consiglieri di Stato Napolitani trattino presso il Re gli affari suoi, ed al Re gli riferissero, ma che fussero trattati esclusivamente da Ministri, e Consiglieri di Stato unicamente Siciliani, e gli ordini firmati da un Segretario di Stato responsabile alla sola Sicilia.

In tal modo la nostra unione sarebbe tranquilla, ed utile ad ambedue le Nazioni: la Santità del sistema basato sulla giustizia sarebbe garante dell’unione.

Il Congresso di Vienna nel 1815 non volle definire che l’integrità della Monarchia Siciliana: Il Decreto Reale del 1816 sotto il Ministero del Cavaliere Medici, e Marchese Tommasi fece più cose: pensarono quei Ministriamalgamare, elementi eterogenei, cioè due differenti Nazioni; cassare i nostri dritti, e le nostre più antiche prerogative nel momento che ci lusingavano volerle conservare, giurate per altro da una serie di Re, e formanti parte del dritto pubblico di Europa, annullare la Costituzione, che nel 1812 il Re, e la Nazione Siciliana aveano proclamato.

Oggi il Parlamento di Napoli è andato più avanti; si ha creduto che un fiume divida la Sicilia da Napoli, che tutto sia continente, ed unico dominio, che ripartita in provincie, e ripartimenti militari intieramente dipenda da Napoli senza un Governo proprio residente nell’isola, che tutte le Direzioni Amministrative fussero trasferite in Napoli, ed ivi la Suprema Corte di Giustizia. Il dono di un nuovo Governo Costituzionale poteva produrre il frutto della nostra disorganizzazione, e del nostro maggiore avvilimento?

Anche col Decreto de’ 11 dicembre 1816 nel proclamarsi la unione de due Regni avea S. M. «sanzionato non potersi accrescere in Siciliale pubbliche imposte stabilite nel Parlamento del 1815 se non col consenso di un nuovo Parlamento.»

Il Re non potea consentire che uno dei suoi popoli opprimesse l’altro: Una Costituzione spontaneamente data dal proprio Sovrano non potea partorire simile ingiustizia, e tante sciagure, e calamità.

Rimembrando la Minerva la Costituzione del 1812 quasi per dilegiarla la chiama celebre: Noi non vogliamo difenderla nelle sue minute parti: Diciamo, che le sue basi sono regolari, che quella Costituzione è per altro molto antica, e sostenuta dall’esperienza de secoli, che molta utilità ha recato ad una grande, dotta, e potente Nazione, e molti, e gravissimi uomini l’hanno avuto, e l’hanno in pregio, ed ammirato: Non possiamo negare essere la Costituzione di Spagna più liberale: ma la Sicilia sotto questa Costituzione dovendo divenire Provincia di Napoli, anzi schiava della stessa, non può ammirarla.

Il Proconsolo che (come dice la Minerva) rimescolò nel 1812 le nostre cose non fece se non riunire la Nazione in Parlamento secondo l’antica rappresentanza, e restò garentita l’Indipendenza della Sicilia, il Re la sanzionò: eccone l’articolo = «Se il Re di Sicilia riacquisterà il Regno di Napoli, o acquisterà qualunque altro Regno, dovrà mandarvi a regnare il suo figlio Primogenito, o lasciare detto suo figlio in Sicilia con cedergli il Regno di Sicilia indipendente da quello di Na » poli, e da qualunque altro Regno.»

«Placet per l’indipendenza: tutto il di più resta a stabilirsi dal Re, e dal suo Primogenito alla pace generale chi della loro famiglia debba regnarvi.»

Rispondiamo all’Autore della Minerva, che le bajonette del 1812 (come egli si esprime) furono di tempra più pura di quelle che ragunaronsi altrove: Transazioni politiche passarono fra il Nostro Re, e la Gran Brettagna.

Rispondiamo, che l’essere stato in Sicilia il Quartier Generale contro Napoli, recò onore a noi, che ci prestammo fedeli alla legittimità: Napoli riconobbe tale onore in Casalanza.

Il contrario Scrittore ci accorda, che in Palermo stabilì Ruggiero la Sede della Monarchia, e che qui regnarono molti Sovrani, ma parlando di quei bassi tempi, dice, che ciò appartenea al sistema militare di quella stagione, ed un isola offriva o sicurezza di dimora, o speranza di scampo, e di gagliarda difesa.

Ma simili cause, ed avvenimenti hanno avuto luogo in questi recenti tempi, e potranno darsi in progresso: per simili considerazioni non dovrebbe mai essere spregiata, ed avvilita la Sicilia: Ella formando un Regno separatamente governato, e non già l’ultima provincia di quello di Napoli, ha sostenuto per due volte il Regnante Ferdinando.

Ma pure pria dell’epoca del 1799 in cui la Sicilia ebbe la fortuna di accogliere la sua Real Corte, fuggita da Napoli, prima del 18o6 in cui ebbe l’eguale sorte, e pria ancora del 1812 in cui fu data la nuova forma di Costituzione, e sin’anche dai tempi di Rugieri godeva la Sicilia la sua indipendenza politica.

Mentre Napoli, nell’epoche in cui venne, e stiede unita sotto la stessa Monarchia di Sicilia stava soggetta ad un governo assoluto, ed arbitrario, intanto la Sicilia da remoti tempi avea il suo Parlamento, godeva il privilegio di non imporsi dazi, e contribuzioni se non per via della Nazione riunita nel Comizi generali, la quale li votava sotto il termine di Donativi: avea la deputazione nominata del regno composta di dodici membri scelti dallo stesso Parlamento fra li tre Bracci, e non già fra i soli Baroni, come si suppone in contrario; la quale aveva nelle sue attribuzioni 1.° di curare la conservazione dei dritti, e privilegi del regno, 2.° di ripartire, e riscuotere privativamente li donativi, e contribuzioni imposte, 3.° di rappresentare nell’intervallo lo stesso Parlamento dalla chiusura del precedente sino all’apertura del nuovo (*))

Mentre Napoli, comunque unita alla Sicilia sotto lo stesso Sovrano, dipendea intieramente dal Papa nelle materie chiesiastiche, ritrovava la Sicilia per se stessa nel proprio Sovrano l’Apostolica Legazia, per la Bolla di Urbano II. e posteriori concordati.

Spregia il Redattore della Minerva il nostro Parlamento secondo la vecchia Costituzione, che precedette quella del 1812, lo chiama Senato di Oligarchi, composto di tre Bracci, Ecclesiastico, Militare, e Demaniale, soggiunge, che le voci dell’uno ascendevano a 63; quelle dell’altro a 229; e del terzo a 45; e che in tal guisa i due primi formavano la maggioranza di 292 voti contro soli 45.

Noi spregiamo pure quell’antica forma di Parlamento, e per molte, e diverse altre cause, non però per quella che move il contrariobraccio, non già quella di due che formava l’atto parlamentario, ed in fine sono ben note le opposizioni che insorsero nel 1811. contro un dazio imposto fuori parlamento dell’un per 1oo., su tutti i pagamenti del denaro che circolava, opposizioni che fecero cessare il dazio, e diedero luogo a convocarsi il Parlamento per occorrere alla riforma degli abusi, scrittore, il quale trovasi nell’ignoranza del dritto pubblico sicolo; li tre Bracci non formavano unica Camera; ma tre divise, e l’una distinta, ed indipendente dall’altra: la deliberazione di una Camera con 45 votanti valeva in opposizione tanto quanto quella di altra Camera con numero maggiore di votanti.

Non è questa in tanto la questione, che viene in esame, cioè sulla perfezione di quella vecchia Costituzione, che avea la Sicilia da remoti tempi, o dell’altra acquistata nel 1812. Trattasi di sapere se la Sicilia abbia sempre goduto gli usi, e leggi proprie, la sua indipendenza, e governo proprio, se debba cedere al suo stato politico per rientrare in una forma di Costituzione, che mentre accorda alla Sicilia 24 Deputati in Parlamento per sedervi contro 74, dovrà intieramente servire Napoli, dipendere come provincia dalla stessa, e profondervi le sue ricchezze: lasciare in somma di essere nel rango delle nazioni.

Non potè certamente con buona fede il contrario scrittore negare, essere oggetti cari aipopoli l’avere una propria rappresentanza Nazionale, una bandiera propria, il battere Moneta particolare.

Cessi la Minerva Napolitana di spargerci la sua protezione promettendoci l’abolizione della feudalità: questa opera fu fatta in Sicilia nel 1812 menocchè si volessero oggi con principi ultra-liberali togliere gli ex-feudi agl’inavanti Baroni: cioè le proprietà loro.

Esortiamo l’Autore della Minerva Napolitana colla carità di fratelli ad insultarci meno.

* Appel des Siciliens a le Nation Anglaise garante de la Constitution violeé par le Roi de Naples: Londres Imprimè par schulze et dean 13. Poland street pour M. M. Ridgways Piccadillis 1817.

* La Deputazione del Regno rappresentò nel 1715. contro gli atti Regi onde sostenere l’apostolica legazia in Sicilia: fu la stessa che nel 1739. si oppose alla naturalizzazione accordata dal Re ad esteri, e ciò per non infrangersi il privilegio di non conferirsi benefici e cariche a persone non siciliane: anzi ella negò riscuotere i donativi se pria il Re non avesse ritirato gli atti spediti. E per parlare degli ultimi tempi fu nel 1798, che la deputazione del regno sotto il Vicerè Principe Luzzi rappresentò non potersi eseguire i reali rescritti, che prescrissero l’esecuzione della deliberazione di un solo braccio, non già quella di due che formava l’atto parlamentario, ed in fine sono ben note le opposizioni che insorsero nel 1811. contro un dazio imposto fuori parlamento dell’un per 1oo., su tutti i pagamenti del denaro che circolava, opposizioni che fecero cessare il dazio, e diedero luogo a convocarsi il Parlamento per occorrere alla riforma degli abusi.

PER L’INDIPENDENZA DELLA SICILIA

P A L E R M O

PRESSO LORENZO DATO

1821

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa-1820/1821-Poche-osservazioni-Minerva-napolitana-indipendenza-Sicilia-2020.html

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