Polifemo, Secondo Tucidide, Viveva A Nisida
Nisida ha due enormi scogli a forma di guglia chiamati “da Levante” e “da Ponente” che si trovano ai due lati opposti e questi potrebbero essere i massi scagliati da Polifemo; in più Nisida era semi disabitata ed era la terra delle “caprette”, proprio come l’isoletta su cui sbarcò Ulisse insieme ai suoi.
Polifemo, dal greco Polýphemos, ossia “colui che parla molto, chiacchierone” oppure “molto conosciuto”, è il ciclope più famoso della mitologia. Di Polifemo ne parlarono molti autori antichi come Teocrito, Tucidide, Euripide, Ovidio e Virgilio, ma colui che gli ha donato l’immortalità è certamente Omero nella sua seconda opera più famosa: l’Odissea. E non è un caso che, l’ondata di caldo torrido dell’estate del 2017 che si abbattè su Napoli, fu chiamata dai meteorologi proprio Polifemo.Omero narra che Ulisse, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, sbarcò su un’isola disabitata, l’isola delle Capre. Dopo un giorno di permanenza Ulisse decise di esplorare l’isola, terra dei giganteschi ciclopi, dotati di un solo grande occhio in mezzo alla fronte, molto ostili e contrari alla presenza di stranieri.
Spinto dalla curiosità che lo ha sempre contraddistinto, l’eroe si addentra in una grotta dove incappa nel ciclope più terribile tra tutti: il famoso Polifemo. Qui, lui e i suoi compagni vengono catturati e fatti prigionieri.“Troppo, nè lunge, un’isoletta siede
Di foreste ombreggiata, ed abitata
Da un’infinita nazïon di capre
Silvestri, onde la pace alcun non turba:
Chè il cacciator, che per burroni e boschi
Si consuma la vita, ivi non entra,
Non aratore, o mandrïan, v’alberga.
Manca d’umani totalmente, e solo
Le belanti caprette, inculta, pasce.
Però che navi dalle rosse guance
Tu cerchi indarno tra i Ciclopi, indarno
Cerchi fabbro di nave a saldi banchi,
Su cui passare i golfi, e le straniere
Città trovar, qual delle genti è usanza,
Che spesso van l’una dall’altra ai lidi,
E all’isola deserta addur coloni.”Generalmente si è soliti pensare che la terra dei Ciclopi sia quella che si trova alle pendici del vulcano catanese Etna, anzi, si è abbastanza certi dell’ubicazione. I faraglioni che si dispongono di fronte al comune di Aci Trezza sono, nell’immaginario collettivo, gli stessi che Polifemo scagliò, pieno di ira, quando comprese che Ulisse riuscì a fargliela ancora una volta. Il ciclope provò a fermare l‘uomo dal multiforme ingegno ed i suoi, lanciando questi enormi sassi. Ma oramai le imbarcazioni erano lontane ed Ulisse era scappato insieme ai suoi fedelissimi verso altre avventure.Ma c’è chi, come lo studioso francese Victor Bérard, esperto di storia e geografia dei poemi omerici, e Carlo Raso, legge nei versi di Omero un luogo diverso per l’esatta collocazione dell’isola di Polifemo. Secondo questi due autori Tucidide, ne “La Guerra del Peloponneso” (VI, IV, 5), evoca Cuma, «la Cuma calcidica del paese degli Opici», essendo sicuro del fatto che questa sia la terra di origine degli Opici, il popolo degli occhi. A questo punto, sempre secondo Victor Bérard, la vicina isoletta di Nisida è senz’altro l’isola che diede i natali al gigante Polifemo.L’isola di Nisida ha in effetti delle somiglianze incredibili con la descrizione qui riportata: Nisida ha due enormi scogli a forma di guglia chiamati “da Levante” e “da Ponente” che si trovano ai due lati opposti dell’isoletta e questi potrebbero essere stati i massi scagliati da Polifemo; in più Nisida era semi disabitata ed era la terra delle “caprette”, proprio come l’isoletta in cui sbarcò Ulisse insieme ai suoi. Inoltre Bérard, nella corposa opera del 1929 “Les navigations d’Ulysse“, trova che l’enorme traforo della Grotta di Seiano, tunnel del I secolo perfezionato dal prefetto romano di Tiberio Lucio Elio Seiano, non era altro che l’antro di Polifemo. I dieci metri di altezza ed i sei di larghezza giustificherebbero la teoria dell’esperto francese.Bérard spese ogni giorno della sua vita a cercare di ricostruire le tappe del viaggio di Ulisse e la sua è certamente una delle ricostruzioni più realistiche elaborate. L’attendibilità di Bérard si può riscontrare comunque anche nel fatto che la Campania sia piena di luoghi e racconti mitici: basterebbe pensare alla sirena Partenope, al mito delle sirene che bloccarono Ulisse presso gli scogli de Li Galli o il lago d’Averno, famoso per essere stato l’entrata del regno dei morti, oppure il suggestivo Sentiero degli Dei.Vuoi vedere che Victor Bérard non aveva tutti i torti?
riflettevo appunto leggendo l’articolo che avete postato che non c’è posto al mondo che abbia dato origine a così tante leggende e letteratura postuma e ricerche di approfondimento come i territori delle Due Sicilie…
E’ la prima impressione che mi è venuta da fare e però non sono riuscita ad esprimerla nel solito mio modo… purtroppo sono quasi analfabeta nell’uso di questo strumento di comunicazione, per cui ad ogni cambiamento vado in tilt… ma non fateci caso…è il progresso! un cordiale saluto. caterina ossi