Pontelandolfo e Casalduni di Giovanni De Matteo
La reazione serpeggiava dovunque, non c’era quasi paese in cui non si manifestasse con episodi cruenti o con un’ostilità latente verso i nuovi venuti e verso quelli che erano stati pronti a mimetizzarsi ed inserirsi tra i nuovi padroni.
Un altro episodio che offre un ritratto del tempo è quello di Pontelandolfo, in cui reazione contadina e brigantaggio si integrano perfettamente e sono piegati da una repressione più crudele e inumana di quanto esse fossero state. Nel 1859 i liberali di Pontelandolfo, e quelli che si affrettavano a salire sul carro del vincitore, avevano fondato un circolo, dove si fumava e giocava a carte ma si facevano anche discorsi sugli avvenimenti, su Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele: era il “Comitato liberale unitario“; la povera gente del paese lo chiamava il circolo dei “galantuomini“. Lo frequentavano, fra gli altri, il colonnello della Guardia Nazionale Giuseppe De Marco, ex garibaldino, Lorenzo Melchiorre, notabile e latifondista, sindaco fin dal 1855. Nel 1861 in paese era diffuso un malcontento per il cambiamento del governo, dovuto alla turbolenza di alcuni ed al fanatismo dell’arciprete Epifanio Di Gregorio. Gli scontenti, i ribelli, i soldati sbandati, si organizzavano nelle varie bande formate dai briganti, che scorrazzavano per le montagne del Matese: facevano guerriglia, uccidevano soldati piemontesi, facevano ricatti; per non andare nell’esercito di re Vittorio si erano messi a fare i briganti. La banda più forte, che operava tra Piedimonte e Isernia, era guidata da Cosimo Giordano, già sottufficiale dell’esercito borbonico, e, dopo la battaglia del Volturno, datosi alla macchia. Aveva ucciso l’assassino del padre, quindi aveva qualche motivo di rimanere nascosto. Uno dei gregari della banda era Nicola Mancini detto Scutanigno, nativo di Pontelandolfo. Ai primi di agosto Pontelandolfo, per antica tradizione, doveva fare la festa di San Donato, ma era giunta al sindaco una minaccia con richiesta di duemila ducati da parte di Giordano; il sindaco, per timore che tra i forestieri che sarebbero venuti per la festa, si insinuassero briganti, accampando “eccezionali motivi di ordine pubblico”, non dette il permesso per la fiera. Poi se n’era andato fuori paese, e con lui andarono via i più ragguardevoli componenti del Comitato liberale. Come il sindaco aveva previsto, Cosimo Giordano si avvicinò a Pontelandolfo. Erano con lui ex soldati, giovani renitenti alla leva piemontese, contadini delusi dalle promesse di Garibaldi, sbandati alla ricerca di facile bottino. L’arciprete fece sapere che il sindaco, la Guardia Nazionale, e molti “galantuomini” avevano abbandonato il paese; il sindaco di Casalduni, Luigi Orsini, fece sapere che anche Casalduni era quasi deserta, e Giordano si decise ad entrare nei due paesi, anche perché era necessario procurarsi da mangiare. Cosimo Giordano entrò, sparando colpi in aria e gridando viva Francesco; nominò un sindaco, visto che il sindaco se n’era andato, e l’arciprete preparò la processione. Questa, almeno, si poteva fare, e sulla vecchia torre fu issato il drappo borbonico, gli stemmi sabaudi furono abbattuti, le prigioni furono aperte, secondo il solito rituale. L’eccitazione cresceva, qualcuno già pensava a vendicarsi di qualche galantuomo, e i paesani cominciarono la caccia ai liberali; ai contadini si mescolarono i briganti, e Bascetta dette fuoco gli archivi. Le case dei galantuomini furono saccheggiate. In mezzo ai briganti, i contadini gridavano di non voler pagare le tasse ai piemontesi, e l’esattore mori nella sua casa in fiamme. Altri furono uccisi, perché “spioni”. Il fermento si estese a Casalduni, coperta di bandiere borboniche, e la “festa” cominciò con l’uccisione di Rosario De Angelis, che era soldato di Garibaldi. Un fittavolo diventato brigante, Angelo Pica detto Piccozzo, radunati alcuni contadini, assaltò la carrozza postale; soldati e carabinieri di scorta furono massacrati, gli assalitori presero danaro e pacchi e bruciarono il resto. Gaetano Negri, luogotenente colonnello, dette ordine al tenente Augusto Bracci di fare una ricognizione a Pontelandolfo. Il drappello di Bracci si avvicinava al paese, quando da folti cespugli partì un colpo; mori il primo soldato, briganti e contadini uscirono allo scoperto, Bracci tentò di far riparare i suoi soldati nella torre. Fu un massacro di quarantacinque soldati. Bracci, già cadavere, fu decapitato e la sua testa portata in giro. L’odio per quei “piemontesi” venuti in casa loro a dettar legge ed imporre ordini non fu più trattenuto. Il Comando piemontese reagì con l’ordine perentorio del generale Cialdini al luogotenente Negri: “Di Pontelandolfo e Casaldini non rimanga pietra su pietra”. L’ordine fu eseguito a puntino. Cosi il bersagliere Carlo Margolfo narrò la reazione militare: “Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava“. La colonna comandata dal luogotenente Negri fu attaccata dagli uomini di Cosimo Giordano, che dopo la scarica di fuciliere e l’uccisione di venticinque soldati, si diresse verso la montagna. L’azione dei militari si frantumò in un numero infinito di episodi di sangue e di fuoco. I soldati entravano nelle case, spingevano fuori quelli che vi erano, man mano che le persone uscivano venivano accolte da scariche di fucileria. Dopo solo due ore, Pontelandolfo era un ammasso di case brucianti e di cadaveri. Un ufficiale dell’esercito piemontese che ebbe occasione dopo qualche tempo di passare per Pontelandolfo, Angiolo De Witt, ci ha lasciato una pagina impressionante di quello che avvenne, anche se usa ancora quei termini che tanto indispettivano i meridionali, popolaccio, ribaldi, cafoni, canaglia; nessun accenno alla ferocia dei soldati, alle loro rapine, nessuna parola di pietà per i morti, “vae victis”. “Quei bravi militi trovarono quel popolaccio in completa reazione, e furono presi a colpi di sasso dalla inferocita plebaglia, che al grido di “viva Francesco II” aveva sposato la causa dei briganti. Ritiratisi in una collinetta molto vicina al paese, formarono un gruppo di difesa, e tennero per molte ore a rispettosa distanza quella canaglia, proseguendo un continuo fuoco di fila; sopraffatti dal numero e diradati nelle file dai spessi proiettili dei briganti, furono tutti miseramente trucidati. Quando sopraggiunse in quella terra di ribaldi il battaglione di bersaglieri comandato dal maggiore Rossi, i briganti si erano allontanati e il paese deserto. Le porte e le finestre delle case erano ermeticamente chiuse, e non una sola persona si aggirava per le silenziose contrade. Due sole finestre si spalancarono e furono quelle dell’unica casa appartenente ad una famiglia liberale, la quale durante l’invasione dei briganti aveva subito molti dispetti… Penetrarono alfine nell’interno del paese i bersaglieri italiani ed il popolaccio, che aveva unito la sua sorte e quella dei nemici della patria, da assediante era diventato assediato e gli toccò rintanarsi nei suoi luridi tuguri… I fratelli Lo Russo che erano i ricchi proprietari della casa fatto segno all’ira antiliberale, si sentirono sollevare… I bersaglieri, prendendoli per reazionari, con dei bene aggiustati colpi di carabina, gli uccisero tutti e due. Vedi crudele fatalità! Il maggiore Rossi ordinò l’incendio e lo sterminio dell’intero paese. I manipoli di bersaglieri fecero snidare dalle case gli impauriti reazionari dell’ieri, e quando, dai mucchi di quei cafoni erano costretti dalle baionette di scendere per la via, ivi giunti vi trovavano squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo contro di loro… Questa scena di terrore guerresco durò un’intera giornata“. Poi la colonna di bersaglieri si diresse a Fragneto Monforte, con un centinaio di persone arrestate, con i ferri ai polsi. Da Fragneto il luogotenente Negri dettò al telegrafista il celebre messaggio per il Comando generale: “Giovedì 14 agosto 1861. Ieri all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora“. Quale giustizia? Ce lo chiediamo ancora. Se i briganti avevano saccheggiato, se i contadini avevano fatto la loro “reazione”, le regole dell’umanità furono travolte dai piemontesi. La truppa risponde col fuoco al fuoco dei fucili, con gli arresti le uccisioni alle aggressioni ed alle rivolte ma non deve travolgere uomini, cose, persone inermi, in un rogo generale, che colpisce anche quelle donne, vecchi, e bambini, che la buona volontà di un soldato avrebbe voluto risparmiare. Per i superstiti di Pontelandolfo fu iniziato procedimento penale contro 219 persone, altro procedimento fu avviato contro 103 imputati per i fatti di Casalduni, ed un terzo per l’eccidio dei soldati del tenente Bracci. Dovevano rispondere di “banda armata all’oggetto di distruggere la forma di governo e di eccitare i regnicoli ad armarsi contro i poteri dello Stato, devastazione, saccheggio, strage, omicidi, estorsioai, eccetera I diversi procedimenti approdarono alla Corte d’Assise di Benevento, che emise la sentenza 7 giugno 1864 n. 1223: “trattandosi di reati politici avvenuti a mezzo del 1861, potendo i colpevoli di soli reati politici senza reato comune, godere del beneficio dell’indulto sovrano dato con decreto 17 novembre 1863, eccetera. Così si chiudeva un’altra pagine di brigantaggio, e reazione, pagina che si ripropone alla lettura ed alla riflessione. Gaetano Negri nel 1884 fu nominato sindaco di Milano. Cosimo Giordano prima riparò a Roma, poi tornò sul Matese: nel settembre 1866 il sottoprefetto Pennacchio di Cerreto Sannita pose il premio di tremila lire a chi avesse catturato Giodano e l’altro capobanda Vincenzo Lodovico detto Pelucchiello. Ma Giordano era andato in Francia, a vendere frutta e vino. Arrestato a Genova nel 1882, sarà condannato dalla Corte d’Assise di Benevento ai lavori forzati a vita il 25 agosto 1884, e morirà a Favignana nel 1888. I morti di Pontelandolfo, tredici uccisi dai piemontesi e quattro dai briganti, sono ricordati dalla lapide apposta dal Municipio nel 1975 perché “vincendo l’oblio dei secoli il sacrificio si eterni ed ammonisca“……..
fonte
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Casalduni2.htm