PRATICHE RIFLESSIONI IN ECONOMIA SULLE DUE SICILIE
E SULLA EMANCIPAZIONE DE’ NULLATENENTI
DI LAMBRO BIDERI
NAPOLI
STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI G, NOBILE
RIFLESSIONI PRELIMINARI
PRIMO dovere di un popolo che vuol progredire nei suoi affari è quello di conoscere la sua posizione economica, le sue risorse produttive; e se difetti vi sono, nobilmente accusarli per eseguirne la correzione. È proprio ancora di un popolo libero cercare in se stesso tutte le risorse che sostener devono la prosperità nazionale, senza correr dietro a delle frivole scuse per nascondere i propri difetti, incolpandone le leggi ed il Governo; mentre l’egoismo e le ristrette cognizioni vietano a poter suggerire quei mezzi che abbisognar possono per migliorare la condizione degli uomini.
Nelle passate vicende molte erano le lagnanze, varie le particolari insinuazioni, stabile il pauperismo; queste sventure saranno sempre le stesse fin che la popolazione non giunga a conoscere, quali sono i principali difetti, quali le cause che li producono, e le misure che all’uopo si richieggono per apportarvi il rimedio. Noi non vogliamo negare con ciò che nuove leggi abbisognano, né il danno avvenuto negli affari per le risoluzioni maldigerite del passato governo: ma vogliamo avvertire soltanto, che se queste presero origine da chiara ignoranza di cause, o da sprattiche insinuazioni, torneranno a riprodursi anche sotto un ordine rappresentativo, se il sapere e le pratiche non giungono a poter stabilire che i principali difetti stanno nella condotta economica dell’intiera popolazione, la quale è caduta in quegli errori, che avvenir sogliono nell’ordine generale delle cose, allorquando non progrediscono a pari passo coi bisogni degli uomini e delle diverse produzioni. Ed ove, secondo le vicende di tempo e di luogo, si avanza più del bisogno, o si arresta, ove si era per lo innanzi, ne avviene il difetto, ed è appunto ciò che tra noi chiaramente si osserva; imperciocchè mentre in alcune cose s’è progredito, la coltura delle terre, che formar deve il nerbo della nostra economia, sulla falsa credenza d’una abbondante produzione, venne da tutti trascurata. Nelle migliorie abbiamo le manifatture, i mezzi di comunicazione e di trasporto, la creazione delle rendite, ossia d’un debito nazionale. Di queste sono mediocri le prime, in progresso i secondi, nobile ed eccellente il terzo. Ma quest’ultimo, che molto lusinghiero per una nazione nel vedere il suo credito estendersi in tutto lo straniero, in un popolo poco calcolatore, avea prodotto il grave danno, che non pochi trascurarono gli affari e l’agricoltura per comprar rendite, e vivere tra l’ozio ed i comodi d’una Capitale, preferendo il tenue interesse del cinque per cento, senza sollecitudini alle immense risorse dell’agricoltura e del commercio, che abbisognano di molte cure e lavoro. Qui il Governo decretò che la rendita fosse ridotta al quattro per cento, per tutti coloro che vogliono rientrarvi sino alla sua estinzione, acciò il mite interesse vieti a coloro che sono nei campi d’allontanarsene, ed obblighi ad un tempo a ritornarvi tutti quei che li aveano trascurati. Sarebbe poi troppo il pretendere che un Governo provveder dovesse ai bisogni dei particolari, in un suolo ove la natura ha prodigato tutti i suoi larghi doni, per unirli ad una bella e vantaggiosa posizione. Sarà nostro scopo dunque, per quanto i limiti di questi scritti ci permettono, rischiarare praticamente e nel miglior modo possibile la quistione, affine di scovrire la sede del vizio nelle differenti sue posizioni, e l’equivoco che in esse attribuirsi vuole. E così svegliare l’attenzione dei nostri produttori e capitalisti, potendo il Governo, fin dove crederà giuste le nostre osservazioni, applicarvi con successo le sue provvidenze.
CAPO I.
OSSERVAZIONI SULLA PRESENTE PRODUZIONE.
Fu sempre difetto di tutti coloro che poco la intendono, cantare la quantità immensa delle nostre produzioni, facendola credere a tutta la popolazione in modo tale, e con tanta precisione che ognuno in buona fede la ripete; e sulla cieca credenza che esse ribocchino a dismisura, dai proprietari e produttori in tutti gli anni si esclama: non troviamo a vendere i nostri prodotti; il commercio non li domanda; la fondiaria è cara. Mentre poi nel fatto nessun prodotto restò mai invenduto, a malgrado le strane pretese dei possessori: il commercio le ha sempre ricercate, né la fondiaria fu mai cara nelle due Sicilie.
Sensibile il Governo alle tante voci di abbondanza, e perché sempre disposto a giovare la pubblica prosperità, affine di estendere le nostre relazioni coll’Estero, ha ribassato dazi, ha stabilito trattati di commercio e di reciprocanza, acciò i nostri prodotti sieno ricercati a preferenza di quelli delle altre nazioni, e che ad un tempo la nostra marina mercantile gareggiasse nel traffico di tutte le straniere contrade, a fronte di qualunque altra marina ardita e possente. Né meglio potea farsi da un governo per animare il traffico ed il commercio nazionale. Resta ora a vedere se la tanto vantata produzione esiste, ed in mancanza, se la nostra popolazione, senza l’aiuto del Governo, sia capace a far trionfare nel confronto l’abbondanza delle nostre produzioni, e l’arditezza del traffico che da noi si desidera,
Tutti sanno, e noi pure lo conosciamo che le due Sicilie furon sempre fe più ricche che desiderarsi possa nella loro proporzione. E tanto è vero, che senza molto lavoro e con picciol moto, si fecero spese, si ammortizzarono debiti, e restò denaro in abbondanza. Ma tutto questo che serve solo a stabilire il credito nazionale, non forma punto la prosperità di tutti gli abitanti delle due Sicilie, né ci dimostra la tanto vantata produzione.
Le belle immagini e le vaghe illusioni dei nostri produttori dilettano fin dove non giungono ad offendere il generale interesse; ma trattandosi di dover venire allo sviluppamento di pubblica utilità, e di dover competere al confronto delle altre nazioni sul gran mercato del Mondo, sarà necessario che uno stato, nella sua proporzione, sia forte abbastanza nella quantità dei suoi prodotti non solo, ma pronto a poterli crescere, e variarne le qualità, a seconda che le alte viste commerciali ne daranno l’indizio d’una futura ricerca; ed è ancor questo quello che manca nell’ordine della nostra agricoltura.
Per venire al chiaro poi della nostra esportazione, senza punto arzigogolare per dimostrarne il vero, potrà ognuno prendere un estratto dell’introito ed esito dalle statistiche doganali, ove chiaramente si osserva la poca differenza che resta a nostro favore, la quale calcolata al minimum della sua proporzione, la sortita dovrà essere il triplo di quello che dagli esteri s’immette per il nostro consumo. Né può esser giusto il calcolo di proporzione, stabilito sopra prezzi correnti, i quali essendo soggetti a poter variare del cinquanta per cento, squilibrar possono da un anno all’altro la nostra bilancia economica; lo che ci avverte esser necessario (prima di parlare di esportazioni, stabilire quali devono essere i nostri principali prodotti, per averne una maggior quantità, ed essere di accordo col lavoro di cui abbisogna l’intiera popolazione. Un popolo allora potrà dirsi ricco in prodotti, quando potrà presentare al commercio la sua quantità, qualità, e basso prezzo, cosa che non può mai verificarsi dalla sola arborea produzione; forza è dunque che la maggior parte dei prodotti siano provvenienti dalle annue seminagioni, ove la mano dell’uomo ha potuto impiegare tutte le sue cure per ottenerle, ed a cui sia entrata una proporzionata somma di denaro, in compenso del proprio lavoro. E fino a che non si giunga a questo punto di veduta economica, nelle due Sicilie sarà sempre poco il lavoro, scarsa la produzione, molti i poveri. Non farà meraviglia dunque se noi tratteremo taluni dei nostri principali prodotti, come addizionali a tutti quelli che abbisognano, senza che poi alcuno possa credere che noi avessimo la mira di disprezzarli. Ed acciò tutti possano venire al chiaro della nostra posizione, ne passeremo a rassegna i principali. Abbondano a ribocco in alcuni punti delle due Sicilie, l’olio, le mandorle, i frutti, la manna, la liquirizia, il zolfo, il vino di corta vite. Di questi prodotti, gli arborei e particolarmente l’olio, servono solo a formare il benessere di alcune famiglie nell’interno delle nostre province, ma poco lavoro apprestano alla classe bisognosa. Lo zolfo e la liquirizia appartengono a ricchi possidenti, occupano molte braccia nel corso dell’anno, ma sempre nella loro ristretta proporzione. Il vino che può essere molto utile e ricco, perché più ripartito, e di molto lavoro in tutto l’anno abbisogna, è così mal curato, che ad eccezione di taluni Inglesi, stabiliti colle loro conce, nelle città meridionali della Sicilia, nessun altro ne profitta.
Sieguono quindi
Le sete
Le lane
Il cotone.
Le sete sono incipienti, delle quali poca n’è la quantità che si esporta, nella proporzione di tutti gli abitanti, anzi conviene avvertire, che nella maggior parte delle comuni non se ne parla ancora.
Le lane sono nella stessa posizione, il loro miglioramento progredisce a lento passo al di qua del Faro, mentre al di là, è ancora nel suo primiero stato.
Del cotone piccolissima n’è la produzione, ed ultima la qualità.
Questi tre prodotti, che dovrebbero essere abbondanti oltre ogni credere, tengono a fronte il torrente delle immissioni estere di tutti i tessuti e lavori dello stesso genere.
Tanti altri prodotti poi, che formar debbono la fortuna delle diverse classi degli abitanti delle due Sicilie, pazientemente li riceviamo dallo Straniero; sinanco i legnami, le cuoia, e tante qualità di formaggi che da noi si consumano. E quel che è peggio, a nostro scorno, in ogni tre o quattro anni, si aprono le porte agli esteri per portarci del grano per mangiare. Fermiamoci per poco sopra questa importante produzione. Dispiace a chi ben la intende, nel sentire le diverse opinioni, che su questa produzione si sostengono. Tutta la popolazione è persuasa che i grani di un anno, nel caso di scarsezza, bastar possono per anni due al nostro consumo. Altri dicono che i nostri grani essendo molto belli, vengono posposti nel commercio, alle inferiori qualità di basso prezzo. Altri infine vivono sicuri delle immense quantità che da noi si esportano. Noi invece abbiamo sempre detto che i nostri grani sono pochi, che la loro qualità è molto degenerata nella maggior parte, e che per aver grani, fa duopo che le due Sicilie, avessero da esportare 15 milioni di tomoli in ogni anno, tutti belli, perfetti, ed i più a buon mercato nel confronto di tutte le altre provvenienze, per offrirli al commercio. Sarà quindi impossibile, che i grani di perfetta qualità possano ottenersi senza conoscere le diverse classi che alla specie appartengono, e senza ben preparare le terre per affidarvi le seminagioni. Fu sempre questa la cagione, per la quale ai nostri tempi non abbiamo avuto abbondanza di grano, esportando sempre quelle quantità, che il bisogno ha sottratto dal nutrimento degl’indigenti, ai quali volendo dare una giusta porzione di pane, nei più fertili anni, il prodotto della presente agricoltura basterà a stento, mentre poi nel caso di scarsezza, mancano più milioni di tomoli per supplire il nostro consumo.
Per venire alla scoverta del vero, può ognuno prendere un estratto dell’Introito ed Esito di questa derrata, da trent’anni in qua, dal quale si osserva come fu sempre poca la nostra esportazione; cioè, ripetiamo ai nostri produttori, quella quantità che dovea nutrire gl’indigenti, i quali si sono alimentati d’erbe per sfamarsi. Né basta per noi il mostrare la poca esportazione in genere, essendochè l’argomento della quistione, avendo parte sulla bilancia economica, per la quale interessa far osservare che il grano immesso dagli Esteri fu sempre al doppio ed anche al triplo prezzo di quello che da noi si esporta. Tale ragione unita alla prima fa chiaramente vedere, che la poca esportazione, come permuta in valore, deve esser molto poca, mentre poi, cone quantità esuberante, sarebbe mancata, se l’ultima classe del popolo si avesse trovato il denaro per mangiarne la giusta porzione che ad ognun occorre nell’inverno.
Non ha poi bisogno di prove la poca pratica sulla conoscenza dei cereali, mentre passando in rassegna le diverse qualità al di qua del Faro, troviamo che due terzi, o per meglio dire, tre quarti dell’intiera produzione, vanno sotto la denominazione di mischi, cioè, degeneri, che non sono né teneri né duri, e che a nessuna classe appartengono; difetto che si osserva in tutte le province al di quà, da cui si escludono poca quantità di majoriche di Puglia, poche romanelle di Terra di Lavoro, e pochissime caroselle del Contado di Molise; alle quali tutte nella loro particolare classe, avuto riguardo alla perfezione che dovrebbero avere, con sommo stento, si può accordare il solo epiteto di mediocri. Fra queste tre classi poi la massa è tutta degenerata, come più appresso nell’articolo grani, loro classificazione e confronti, assai meglio si osserva.
Peggiore assai è la condizione per i duri, questi sono riuniti nel confuso assieme di tutte le classi sotto il nome generico di saragolle, che vuol dire grani duri. Né giovano le scuse dei produttori e proprietari, i quali dicono, non abbiamo le sementi, la terra non le produce, il clima le fa degenerare, mancano le braccia per coltivare le terre; mentre ognuno è nell’obbligo di conoscere che senza alcuna difficoltà, la produzione dei grani nelle due Sicilie deve esser abbondante, secondo il merito dei terreni, e di quella qualità e perfezione che si desidera. Le sementi tutte le abbiamo, né cosa alcuna manea per ottenerle, e molto meno mancano gli uomini per l’ordine di una perfetta agricoltura; ma questi, bisogna confessarlo, furono sempre mal compensati. Tengano i nostri grandi produttori più annalori e meno giornalieri, si dia la giusta mercede ai lavoratori in tutti i mesi dell’anno, ed allora i produttori vedranno come i lavoratori sboccano da tutte le contrade. E laddove un numero maggiore ne abbisogna, per aumentare la produzione, i mezzi di lavoro e le doti industriali, che daranno i proprietari per farli lavorare di proprio conto, saranno le pietre di Deucalione per farli nascere.
Differisce in parte il difetto nella Sicilia, i nostri Siciliani sono molto esperti nell’eseguire le scelte delle diverse classi, che alla specie appartengono. Ma del pari che al di qua del Faro, vanno sempre soggetti in generale ad una scarsa produzione, essendo quelle terre del pari che queste mancanti sempre della bisognevole aratura. Né questa potrà mai giungere alla sua perfezione, senza l’abbondante e bello bestiame, il quale manca in tutte le due Sicilie, nelle diverse classi dei produttori e particolarmente nei borgesi ossia versurieri, che sono quelli dai quali si attende il lavoro. Sarà poi sempre vana la speranza, che le vaste industrie dei grandi proprietari e fittajoli venir possano in soccorso dei bisognosi; questi senza l’aiuto del Governo staranno sempre ammirando l’amenità del clima, e le pompose apparenze dei ricchi, senza aver che mangiare. D’altronde sarà necessario conoscere, che anche nelle grandi industrie, il bestiame fu sempre poco e mal curato; e abbenchè manchiamo d’una Statistica per dimostrarlo a quei che poco la intendono, pur nondimeno da alcuni risultati sul consumo delle carni, e dal bisogno di cuojami e formaggi, potrà ognuno chiaramente conoscere che mal curata e poca dev’esserne la quantità.
Le osservazioni sulle carni ci dimostrano che i piccoli villaggi, consumano pochi animali pecorini piccoli e scarni; nelle grandi comuni vi si aggiunge qualche animale vaccino, ed in Napoli ove si vive con lusso, da un calcolo approssimativo s’osserva che le carni nel corso d’un anno, tutte qualità comprese, toltane la parte che serve per i salati di ogni genere, e la deduzione del peso delle ossa, non oltrepassa un’oncia e mezza a persona al giorno. Ora se tutte le produzioni del bestiame sono poche, chi sarà mai colui che potrà mostrarci la sua abbondante quantità?
Tutti i grandi proprietari e fittajoli godono allorquando il prezzo del bestiame si eleva nei pubblici mercati, mentre noi al contrario facciamo sempre voti affinchè il prezzo sia basso, per mostrarci la sua abbondante quantità; acciò ogni pover uomo, possa farne acquisto, per la buona economia e coltura delle terre. Né si può desiderare, che tutto quello che servir deve, per l’uso del lavoro e della produzione sia caro. La buona economia vuole, che ad ottenere un’abbondante produzione, siano facili e pronti i mezzi, che animar devono le industrie:tali sono per noi, le cibarie, le sementi, gli ordegni, ed ogni sorta di bestiami, cose tutte che senza una buona organizzazione, non verranno mai alla luce
Ora francamente parlando, dove sono le tante produzioni? gl’ immensi bestiami? di che sono lodevoli i nostri proprietari e produttori o di niente. Perché tutto quello che manca, rimprovera la nostra pigrizia, mentre poi tutto quello che abbiamo si deve alla feracità del suolo ed alla dolcezza del clima.
CAPO II.
OSSERVAZIONI PRATICHE SULLE OPINIONI DEGLI ECONOMISTI.
Per riparare ai nostri bisogni sortono quindi in campo gli economisti, dicendo: togliete dazi e sarete ricchi. E con ciò credono essi d’aver trovato la soluzione del problema su cui cade la quistione. Ma per rispondere al ritrovato degli economisti, sarà necessario da prima vedere quali sono questi dazi, a chi conviene di levarli o diminuirli, e sino a qual punto.
La buona economia vuole, che tutti i dazi di sortita, che gravano sulle annue produzioni provvenienti dal lavoro dell’uomo, devono essere aboliti. I nostri prodotti di questo genere sono stati sempre esenti di dazi di sortita; dunque crediamo inutile il parlarne.
Tutte quelle mercanzie, che occorrono per le produzioni che un popolo deve esportare, è forza che siano esenti di dazi d’immissione. Così l’Inghilterra, togliendo i dazi sulle materie prime, agevola ed aumenta le sue produzioni, mentre poi invitando le altre nazioni, a diminuire i dazi d’immissione per le sue manifatture, ne procura il consumo senza far bene ad alcuno.
E qui l’abolizione del dazio e la libertà di commercio, presenta un ordine perfetto, ed un pronto vantaggio, che solo alle immense risorse della Gran Brettagna è dovuto. Noi non vogliamo dire con ciò, che il ribasso dei dazi, e la libertà di Commercio non possano essere utili a tutte le nazioni, per i differenti compensi che vi potranno essere, o che le due Sicilie non siano nel caso, di poter competere colle altre nazioni; anzi all’opposto vogliamo sostenere, che le due Sicilie nella loro proporzione, restar devono di gran lunga superiori, essendo nel caso di dare una illimitata quantità di prodotti, e ricevere dallo straniero solo quelli, che all’interno consumo potranno abbisognare. Ma questi compensi che formar debbono la nostra superiorità, non esistono, né venir possono senza la chiara conoscenza della sede del vizio, che in questa parte si trova nella mancante produzione, e non già nei dazi come si è voluto far credere. Lo che ci dimostra come tutte le misure prese a tal proposito, furono decise senza cognizioni di cause, e gettate all’azzardo, mentre le altre nazioni, prima di ribassar dazi e stabilire convenienze, ne prepararono il compenso. E se l’Inghilterra tolse sul nostro olio il dazio di Lire 10, pari a duc. 65 per ogni sette salme ed un quinto, lo tolse accorgendosi dell’errore che il dazio, oltrecchè gravava a danno delle sue manifatture, aumentava i prezzi delle altre provvenienze in quei mercati; senza che alcuno voglia credere nel ribasso, un utile apportato ai nostri prezzi, né in alcun modo il danno. Si osservino a tale riguardo i prezzi della nostra piazza, quando esisteva il dazio in Inghilterra, e quelli dopo l’abolizione, che oscillarono sempre sulla stessa proporzione, senza alcuna varietà; mentre i prezzi d’Inghilterra, dopo il ribasso del dazio, in quelle piazze oscillarono sempre, colla proporzione di Lire 10 ½; di meno per ogni tonnellata.
Fu sempre conosciuto in commercio, che tanto il ribasso dei dazi di consumo, quanto quelli di sortita, risultano sempre a favore della consumazione. E laddove la produzione non può trovare la sua convenienza, con aumentarne la quantità, il ribasso del dazio di sortita si rende inutile. Non deve sorprendere alcuno perciò, se una parte del dazio sul nostro olio ancora esiste; mentre qui bisogna ben distinguere, la differenza che passa tra le altre produzioni e l’olio d’olivo, il quale non va nella classe dei prodotti, che crescono o decrescono, secondo l’incoraggiamento che gli si appresta. Sarebbe un errore troppo materiale, quello di voler mettere gli oliveti, nella categoria delle annue seminagioni, sulle quali l’incoraggiamento spinge il produttore a coltivarne il doppio del consueto.
Se il ribasso del dazio sull’olio si vuol praticare per facilitarne l’esportazione, per agevolare il commercio, o vantaggiare il proprietario, questo sforzo riesce vano non potendone aumentare la quantità; inutile perché la quantità prodotta fu sempre comprata ed esportata nella regolarità dei suoi prezzi, cogli antichi e coi nuovi dazi; né il ribasso del dazio influì mai sul suo prezzo, né sulla sua esportazione. Imperciocchè se il genere al ribasso del dazio era in calma, è ribassato di prezzo al consumo; se invece si è trovato in effervescenza, il prezzo è aumentato alla produzione di più ducati, equilibrandosi con quello di tutti gli olei delle altre provvenienze, ed ecco che non ne ha goduto il proprietario, né il commercio, e vane sono state le premure per facilitarne la sortita. Si rende quindi inutile se il ribasso del dazio vuol darsi come incoraggiamento al possessore dei terreni, esso non ne ha di bisogno; fu sempre la dolcezza del clima, e la straordinaria vegetazione di quest’albero, che ne apportarono tra noi la devozione della sua coltura, come lo dimostrano le immense piantagioni eseguite al di qua ed al di là del faro; mentre esistevano tutti i dazi, ed i surrogati di questo genere, lo che ci fa vedere molto lontana l’idea del proprietario, che fu sempre quella di lasciare ai suoi eredi, una gran rendita in picciol spazio di terreno. Ed eccone le ragioni.
In buona agricoltura nei terreni leggieri friabili e molto profondi, si pianta la vigna e si coltiva a corto tralcio; mentre nello stesso terreno, e nella regolare distanza si pianta l’oliveto. Crescono gli alberi, mentre fruttifica la vigna nei primi anni; quindi si raddoppia il prodotto, fruttificando vigne ed oliveto, infine la vigna si perde, e l’oliveto resta eccelso e lussureggiante. E qui abbiamo che il proprietario da un terreno di mediocre qualità, e delle volte molto sterile, è stato largamente compensato.
La rendita sulla quale grava il peso fondiario, il possessore l’ottiene spogliata di tutte le spese, cioè il terreno produce più della coltura di che fa d’uopo, la puta vien compensata dalle legna, ed il frutto infine si apprezza in ottobre, obbligandosi il raccoglitore a dover consegnare al proprietario, la quantità di olio apprezzata franca di tutte spese; lo che fa vedere una rendita affatto oziosa che di nulla abbisogna.
Resta ora ad osservare il peso fondiario delle terre, per sapere se questo sia grave o leggiero come noi crediamo; cosa che dipende dalla qualità dei terreni, dai mezzi che vi possano essere per la coltura di essi, ed in ultimo dalle cure che il possessore adopra per farli fruttare. E laddove tutti i mezzi esistono nella loro proporzione, ed il terreno non frutta per incuria del proprietario, il dazio sarà sempre mite.
Ma prima di venire al chiaro della verità, sarà necessario osservare, che una gran parte dei poderi è passata nelle mani dei secondi possessori, i quali comprarono franco di fondiaria, e perciò non la pagano.
L’altra osservazione è quella, che la maggior parte dei terreni, trovandosi in potere dei fittaioli, il proprietario non può essere ammesso nella classe dei produttori, ma in quella degli oziosi, e come tale non può avere cosa di comune coi prodotti; ciò premesso resta solo a vedere cosa pagano, e cosa fanno per migliorare la condizione delle loro possessioni.
A cominciare dai dintorni di questa capitale, ove il prezzo d’affitto s’eleva al di sopra di ducati 25 il moggio, il peso fondiario a un bel circa sarà d’un quinto, dunque il proprietario introitando ducati 20 all’anno, netti di tutte spese, sopra picciolissimo spazio di terra, si lagna! Ma noi crediamo che le miniere del Perù non rendono tanto.
Osserviamo cosa ha fatto il proprietario a favore del suo fittaiolo per esigere ducati 25, nessuna agevolazione, nessun soccorso, solo la minaccia sempre pronta di volere in ogni anno aumentare il prezzo del suo terreno. Vediamo la posizione di questi singolarissimi terreni.
Spetta ad essi l’epiteto di singolarissimi, per la loro qualità friabile, profonda e perché nelle forti piogge assorbiscono facilmente l’acqua, mentre poi al secco mantengono il fresco; proprietà rara, per cui vegeta il pioppo e gli agrumi senza l’irrigazione. A tutte queste belle qualità naturali, vi si aggiungono la quantità degli abitanti per coltivarli, la ripartizione in piccoli pezzi, la vicinanza d’una popolosa capitale per consumare i suoi prodotti, ed il mare vicino per imbarcarli. Tutti questi vantaggi riuniti ci farebbero supporre un ordine di coltura portato al più alto grado di economia, e di perfezione; come sarebbero le siepi intrecciate di gelsi per raccoglierne le fronde, le vigne piantate di tutte le più belle qualità d’uve per mangiare e far vino, disposte a lunghe spalliere, per quanto è lungo e spazioso il podere, onde non ingombrare la terra, basse ed a larga distanza, per esser governate dal sole, e lasciare ad un tempo largo spazio per le diverse seminagioni.
Laddove poi invece d’uve, frutti d’altre qualità abbisognano, devono essere nei piccoli poderi, intrecciati e bassi gli alberi, anche a spalliere, tagliandone i rami laterali, o rotondi e bassi con innestare sempre i migliori frutti sopra i primi, acciò alla sana e colossale qualità del frutto, vi si unisca la squisitezza del sapore; lo che non esclude che i frutti possano essere portati a piccoli boschetti, per averne una maggior quantità, onde offrirli al commercio, che in questo ramo ogni giorno maggiormente s’estende.
L’abitazione del colono, comoda in modo da poter vivere colla sua famiglia, provveduta di ordegni, sementi, cibarie, oltre ad una o due vacche in stalla, ed altri animali secondo l’estensione più o meno grande del podere.
I pioppi infine, devono esistere, nei viottoli e viali di convicini, ai quali noi abbiamo sempre attribuito le spesse piogge estive di questa pianura.
Noi invece osserviamo, che una gran parte delle possessioni, mancano di fabbricati per potervi abitare; la terra ben coltivata (ma superficialmente) non per industria degli abitanti, ma per la sua qualità friabile, e per l’esuberanza delle braccia, che fanno a gara di averle in fitto, a malgrado il prezzo sempre crescente di esse terre; la cui gara degenera in miserie per il piccolo fittaiolo, maggiore assai per quei che sono chiamati al lavoro giornaliero.
Le vigne portate sopra pioppi, che molto adombrano il terreno, le qualità delle uve, le peggiori che a bella posta si possono ricercare. E sebbene i frutti nella loro totalità siano in tanta abbondanza, che ve ne sono in tutto l’anno, per tutto il popolo, e di tutte le qualità, pur tuttavia volendo dei frutti squisiti, e senza difetto alcuno, per presentarli in un pranzo di lusso, sarà ben difficile poterli ritrovare.
Ora ad un proprietario, che nulla ha speso per migliorare il suo terreno, abbandonandolo alla cura di uomini semplici e bisognosi, i quali fatigano tutto l’anno per pagare il carissimo affitto, senza soccorsi, senza ajuti e senza alcuna istruzione, chi sarà mai quell’economista, che non dirà che la fondiaria sia leggiera?
Passando quindi nelle altre estremità del nostro suolo, ed ove le vaste tenute si affittano ad un ducato il moggio, ove più ed ove meno ancora, troviamo da parte del proprietario gli stessi difetti. Esso vive in città padrone di migliaia di moggi di terreni, che per meschino che ne sia l’affitto, la sua rendita è sempre quella d’un Signore. Le lagnanze sono: il poco prezzo che si ottiene dai terreni, la trascuraggine dei grandi fittajoli, la poca quantità di abitanti per coltivare le terre. Intanto mancano nei terreni i comodi per abitare, in alcuni luoghi i beveratoi per dissetare il bestiame, il quale avvicinandosi ai ruscelli, intorbida l’acqua coi piedi, e quindi assetato di unita al fango se la beve, da cui ne avvengono gravi malattie, e la distruzione d’esso bestiame. In quei terreni non esistono alberi, che possano purificare l’aria, e servire ad un tempo per l’attrazione delle piogge, e per ombra, ove i lavoratori nelle ore del meriggio, potessero, mangiando, scanzare per qualche mezz’ora i raggi cocenti del sole, sotto i quali restano tutte le ore del giorno; esponendosi a febbri, cefalalgie, ed altri mali apportatori di numerose mortalità. E se il proprietario si occupasse a migliorare le sue possessioni, con dare i mezzi di lavoro a quei che ne abbisognano, vi sarebbe più concorso di lavoratori, maggiore ne sarebbe l’affitto, e per esso insignificante la fondiaria. Ma i grandi nostri proprietari rare volte visitarono le loro terre, essendovi ancora di quei che tuttora ignorano le loro possessioni, e perciò non possono conoscere il miglioramento del quale occorrono.
Abbiamo toccate le due estremità, per non venire ad un dettaglio infinito nelle diverse posizioni. Ma senza andare tanto oltre, possiamo assicurare ad ognuno, che sottoposte tutte le contrade ad un rigoroso esame di prattici osservatori, i difetti, sia per incuria o per bisogno, saranno sempre gli stessi in tutte le distanze, ove più ed ove meno; come ancora in quei proprietari che coltivano le terre di proprio conto. Or dunque se dazi sulle esportazioni non ve ne sono, e la fondiaria molto regolare o leggiera, il vizio in questa parte dei grandi spazi, star deve tra i proprietari ed i grandi fittajoli, i quali trovarono l’utile nelle vecchie pratiche, ove sempre fermamente resteranno, per le ragioni che or ora spiegano nel pregio il difetto.
Nei paesi ove sono molti i terreni di prima qualità, ed a poco prezzo, dai quali con poco lavoro, nella sua proporzione molto s’ottiene, sorge il contrasto che in noi si osserva tra i grandi fittajoli o possidenti molto ricchi, gl’immensi bisogni dei nullatenenti, e la poca produzione per lo stato. Né sarà mai sperabile che i nostri produttori, accostumati alle rotazioni di poca spesa, vengano a cambiarle per dare più lavoro ai giornalieri, onde aumentare la produzione; dunque spetterebbe al proprietario aumentare il lavoro, per migliorare la sua rendita: ma esso non lo fa, e non lo pensa; mentre il grande fittajolo, non è obbligato e molto meno ne conosce i vantaggi. E qui siede quel difetto che da tutti si cerca e che nessuno lo trova; essendochè le industrie sono le stesse, ma niente ordinate e d’accordo coi bisogni e col numero sempre crescente delle nostre popolazioni. E se tutti i dazi esistenti, si volessero togliere come incoraggiamento di produzione, questo sforzo oltre che sarebbe dannoso per le rendite dello stato, nelle due Sicilie servirebbe solo ad accrescere l’inerzia di chi possiede, e la miseria dei nullatenenti.
Fin qui le nostre osservazioni fanno chiaramente vedere l’equivoco degli economisti, e la necessità di una pronta miglioria in agricoltura, accompagnata da alcune istruzioni commerciali, cose tutte che dipendono dalla pronta occupazione di tutti gli abitanti, e dai mezzi che ad essi si potranno apprestare. E abbenchè non sia nostro proposito esporre un trattato di agricoltura e di commercio, avendone segnato i difetti crediamo nostro dovere, di partitamente notare alcune regole principali ridotte nei brevi limiti della pratica esecuzione, e così svegliare l’attenzione dei nostri proprietari, capitalisti, e produttori.
CAPO III.
PRINCIPALI PRATICHE SULL’AGRICOLTURA,
SUOI BISOGNI E MODO DI ESECUZIONE,
I principali difetti della nostra agricoltura si osservano nello sciupio inutile che si usa delle terre, e nel poco e cattivo nutrimento che si appresta al bestiame; a togliere i quali ricorrer si deve alla seminagione delle praterie artificiali annue, ed alla raccolta di molto fieno, per darne a tutti gli armenti, ed in quella quantità che il bisogno richiede; in guisachè laddove i terreni sono di primo ordine, le praterie arteficiali ed il fieno, saranno necessarie per i soli mesi d’invermo, dove sono meno produttivi d’erbe, il bisogno sarà per mesi sei, ed ove infine i terreni poca erba producono, le praterie saranno seminate per tutti i mesi dell’anno, e per tutti gli usi che occorrer possono al bestiame. Quest’ordine di coltura, per le vaste industrie, bene accorda con le presenti terzerie, nelle quali, secondo l’ordine che verremo esponendo, si otterrà l’ingrasso, il buon trattamento per gli animali, e l’economia delle terre.
Per venire alla pratica applicazione, il metodo per le vaste industrie come per le piccole deve, essere quello di seminare le praterie invernali subito incominciate le prime piogge ed anche prima al secco ove i terreni lo permettono, acciò la vegetazione spiegar possa tutta la sua forza, essendo ancora caldo il terreno, per trovarsi l’erbaggio sul cominciare di Decembre, buono a poterlo pascolare.
Le praterie invernali è necessario che siano di erbe grosse unite alle fine, qualunque ne sia la qualità, purchè siano forti a poter resistere all’azione del freddo; tali sono, il lupino, i broccoli, le rape, le fave ed altre simili alle quali si unisce in abbondanza l’avena e l’orzo per addolcirne il sapore. Se tutte queste erbe verranno seminate in massa e folte, daranno un pascolo che unito al fieno nel modo che ora parleremo, formar debbono la miglior nutrizione invernale pel bestiame. Sarà poi diversa la seminagione di quelle erbe che si destinano per uso di fieno, le quali è necessario che sieno fine, seminate folte, e tagliate prima che giunga la maturità.
La semina delle praterie invernali, nelle grandi industrie sarà eseguita nella terzeria, che deve essere preparata in maggesi, e dove s’è tagliato il fieno nella stagione precedente, che d’unita all’erbaggio, di cui è parola, nutrir deve il bestiame nel modo ed ordine che segue.
Il pascolo sarà dato alle vacche, qualunque ne sia il numero, un pezzo al giorno; giunto che sarà il tramonto del sole, le vacche saranno ritirate nel terreno pascolato, ove si è sparso fieno in abbondanza, per mangiare e dormire tutta la notte, e così seguitare tutti i giorni e le notti, fino a che i pascoli naturali o coltivati, cominciano ad essere abbondanti nella stagione più avanzata.
Quello che abbiamo detto per le vacche, dev’esser lo stesso per ogni sorta di animali vaccini, cavallini, bufali, ed altri, bastando per le pecore il solo pascolo del giorno, ed un letto di fieno la notte. Sarebbe poi dannoso dare il fieno al bestiame, senza unirlo ad una prateria giornaliera, per addolcire il secco nutrimento che abbisogna nella stagione invernale.
Questo terreno, che fu già coltivato nella seminagione degli erbaggi, via via come si consuma il pascolo, gli aratri torneranno a prepararlo per seminarvi in Genmajo, Febbrajo e Marzo ed ancor dopo, secondo convenir possa al genere delle quì appresso produzioni: Grano turco, grani marzuoli, canape, pomi di terra, cotone, lini marzuoli, colzat, sesamo, od altro che meglio convenir possa agli industriosi, secondo la qualità dei terreni più o meno buoni, irrigabili, e secondo le varie elevazioni.
A fianco alle seminagioni invernali, dalla fine di Marzo in avanti, seguitar devono i maggesi, in quei terreni che sono rimasti incolti spettanti alla terzeria, che seminar si deve nell’autunno dello stesso anno, la quale per il maggior numero di aratri verrà coltivata due o tre volte più del consueto.
A questi maggesi, si uniscono i terreni delle seminagioni intermedie, di cui abbiamo parlato, ai quali dando una o più arature, cadute le prime piogge, formar devono il completo per la seminagione autunnale dell’industria.
Ed ecco che tutti si scagliano dicendo, ove si prendono tanti buoi per arare triplicatamente la terra, tanto fieno per darne a tutti gli animali, per dormirvi sopra in modo da ingrassare il terreno? Alle quali osservazioni si risponde così. Per il bestiame o se ne aumenta la quantità che abbisogna, o si restringe la coltura nella proporzione dei mezzi, che ognuno possiede per bene eseguirla.
Le difficoltà dell’erbaggio nei terreni molto feraci, come sono quegli al di là del Faro, ed alcune contrade al di qua, non meritano risposta, perché lasciando una porzione in riserba dei campi che ora inutilmente si sciupano, se ne potrà raccogliere tanto da buttarlo triplicatamente per ingrasso, e perciò occorrono solo i falcioni per tagliarlo dove non sono usati ancora. Venendo quindi a rispondere per i terreni meno feraci, si fa osservare che ove viene bello il grano, cresce del pari ed assai meglio l’erbaggio, il quale si aumenta in ogni anno, nella proporzione più abbondante come verrà eseguito l’ingrasso. Ora ognuno può ben comprendere come in quei terreni, ove fa d’uopo una seminagione continua, accompagnata di praterie tutte artificiali annue, come nelle piccole industrie, l’ingrasso cresce a misura che molto fieno ed erba si produce, e così maggiori saranno gli utili per incoraggiarne la pratica.
Siamo poi assolutamente contrari per le praterie di lunga durata e terreni saldi, nei luoghi ove le terre sono coltivabili e di buona qualità. Questi metodi presso di noi servono solo ad inutilizzare i terreni, che oltre al pascolo, servir devono per l’uso delle diverse produzioni. Né quì può giovare l’esempio dei paesi freddi, ove la vegetazione arrestandosi per più mesi, obbliga il coltivatore a servirsi dei terreni per un solo uso in tutto il corso dell’anno, e perciò necessarie le praterie anzidette.
ARMENTI, LORO QUALITÀ, E QUANTITÀ.
Le principali razze di cui abbisognano le due Sicilie per l’economia dei campi, sono vacche, giumente, e pecore, di esse le prime due classi e le bestie da soma, è necessario che sieno belli e robusti per essere d’accordo colla feracità e forza dei nostri terreni; tutti gli altri animali, seguir debbono l’ordine delle diverse speculazioni, e la quantità dei diversi prodotti, che servir possano al nutrimento di essi animali.
Riesce quindi difficile sull’istante, indicare con precisione, il numero che occorrer possa partitamente, per il progresso di una generale miglioria, tanto per le industrie presenti, che per provedere i borgesi nell’ordine, che quì appresso indicheremo. Però siamo di fermo parere, che per stabilire una giusta proporzione, nelle sole industrie esistenti, ne abbisogna un terzo più di quello che ora si osserva nelle diverse classi, ove più ed ove meno; in guisachè, ove esistono molte vacche, occorre unirvi un numero proporzionato di pecore, ed ove meno le vacche si osservano, sarà necessario aumentarne la quantità, per essere in proporzione coi lanuti. Cose tutte che sempre dipenderanno dalla qualità dei terreni, e dal genere delle diverse speculazioni, che meglio convenir possono ai bravi industriosi.
Non pochi sono nella falsa opinione che le vacche apportano perdita; errore che sorge dal poco e cattivo nutrimento, dalla qualità di esse, ed in ultimo dalla poca attenzione che si usa per migliorarne le razze; in guisachè essendo le vacche ben nutrite, produttive di latte, e colossali, l’errore vien corretto sull’istante. Sarà però sempre necessario, prima di venire alla ricerca del bestiame, convincersi dell’abbondante nutrizione che per esso occorre, onde non cadere in errori.
Conosce ognuno che gli animali vaccini colla lingua mietono l’erba mangiando, proprietà che presenta il bisogno di un alto erbaggio, ed in difetto la morte di essi animali, e se nei cavallini e lanuti uno speciale vantaggio si suppone perché rendono la terra coi denti, puranche in essi vi sono gravissimi danni a prevedere.
Il primo è che l’animale non essendo mai sazio, produce piccoli figli, e sempre debole e scarno si osserva; quindi obbligato l’animale a strappar l’erba sin dalle radici, oltrecchè ne distrugge i germi produttori, s’ingoia con essi la terra dalla quale ne avvengono delle mortalità non prevedute; spaventevoli infine sono l’erbe velenose, che l’animale affamato indistintamente s’ingoja, ove i pascoli sono molto scarsi nello inverno, da dove ne avvengono quei malanni che sventure dai volgari si appellano. Queste riflessioni fanno chiaramente vedere, la necessità delle praterie artificiali annue, e del molto fieno di cui poco innanzi abbiamo parlato, per ben nutrire il bestiame ed ottenere simultaneamente l’ingrasso, ed i soccorsi che abbisognano
Tornando ora alla qualità delle vacche, senza correr lontano per ottenerle, le abbiamo nella nostra Sicilia, le quali mal curate, secondo gli usi dello stato presente, il prodotto in massa, vien calcolato alla ragione di quindici caraffe di latte al giorno, lasciando una delle mammelle al piccolo vitello; mentre ve ne sono di quelle, che collo stesso trattamento danno trenta caraffe di latte per ognuna. Ma se i pascoli saranno abbondanti in tutte le stagioni, e la cura maggiore per la scelta delle migliori di esse, potrà ognuno contare sopra trenta caraffe di latte al giorno nella totalità di una mandria. Sono colossali e belle le vacche della Contea di Modica; sono ancora colossali e belle quelle delle altre contrade dell’isola, le quali innestate coi maschi delle prime, danno vitelli assai più belli e robusti.
Passando quindi ad osservare i vantaggi che apportano le vacche, e l’utile che si ricava dalle pecore, ne troviamo assai differente l’utile ed il bisogno. La vacca si rende indispensabile perché ci dà i buoi per coltivare la terra. Il valore della vacca corrisponde col suo volume, colla quantità del latte, col prodotto del suo vitello, il che fa vedere il suo valore intrinseco. La pe cora all’opposto presenta un prezzo d’affezione, che non corrisponde né col valore ne col suo prodotto. Le vacche che noi abbiamo accennate tutte in massa, per belle che siano, non oltrepassano duc. 60 il pajo, mentre una pecora Merinos di mediocre qualità vale duc. 20, fina e bella duc. 40, sopraffina duc. 60, ed anche le prime qualità di Puglia non si danno meno di otto a dieci ducati ognuna. Parlando poi di quelle pecore a lunga lana dette Dishley, le quali sono grosse di corpo, e portano molta lana, il loro prezzo è assai più caro delle prime; basta avvertire che un maschio di qualità perfetta non si ottiene in Inghilterra meno di lire 50 pari a duc. 500, le inferiori sempre meno per gradi, diminuendo sino a lire 5, pari a duc. 50, prezzo che appartiene quasi alla sola affezione.
Fin qui noi ci siamo occupati a farne il confronto per togliere quelle fissazioni, che esistono in alcuni particolari, mentre poi nel fatto il nostro ragionamento si limita soltanto a stabilire la proporzione, che abbisogna nelle due Sicilie tra pecore e vacche. Essendo utili le pecore, ma utili ed indispensabili le vacche.
BISOGNI DEI BORGESI, ED ACQUE PER LE IRRIGAZIONI.
Per venire quindi alle principali migliorie nelle due Sicilie, sarà necessario distribuire il bestiame alle persone, che abbisognano di lavorare, per accrescere il numero dei borgesi, che da taluni versurieri si appellano. Il numero di animali che per essi occorre, siamo sicuri che ascende ad una cifra molto considerevole, mettendo a calcolo i lavoratori presenti sprovveduti, e quei che sortiranno al lavoro coi mezzi opportuni.
Per ben comprendere questo punto di alta economia, fa d’uopo riflettere alle diverse volontà degli uomini, i quali abbenchè amino migliorare la propria condizione col travaglio, ricusano lavorare nella qualità di persone di servizio, preferendo l’ozio, il vagabondaggio, la miseria, e qualunque altra sventura, alla servitù per libera che sia; mentre poi offrendo ad essi il lavoro di proprio conto, ne accettano sull’istante le condizioni. Ora riunendo il numero del bestiame che abbisogna per le industrie presenti, e quello che fa d’uopo per provvedere i borgesi, la cifra totale sarà almeno uguale alla quantità esistente. Questa quantità, che per taluni potrà sembrare immensa, essa si ottiene senza veruna difficoltà, gradatamente in anni quattro dal buon trattamento, e dall’ordine di condotta dello stesso bestiame esistente, il cui prodotto sarà ancora più bello di tutto quello che ora si osserva.
Per giungere in ultimo al più alto grado di perfezione nelle nostre migliorie, passar si deve alla costruzione di chiuse, e canali per utilizzare le acque nello impiego delle irrigazioni.
Molti credono che nelle due Sicilie vi siano poche acque per irrigare i terreni; mentre noi all’opposto abbiamo sempre osservato, che una metà, o per meglio dire due terzi dei terreni arabili, che esistono nei bassi piani, e nei piani inclinati delle medie elevazioni, possono essere largamente irrigati nelle stagioni che abbisogna, e specialmente nella primavera, restando per il forte dell’està una quantità minore, che sono le acque sorgive ed abbondanti. Di queste acque se ne può accrescere la quantità, colla costruzione delle chiuse nelle gole delle montagne, più o meno grandi secondo potrà permettere la posizione locale. I vantaggi che risultano da questa operazione sono i seguenti.
Il primo è quello, che le acque arrestate nei grandi alluvioni, cessano di formar torrenti, e danneggiare le campagne sottoposte.
2. Le quantità ingorgate, essendo immense, e chiuse in tutti i gradi di alta elevazione, per mezzo di canali fabbricati, possono essere trasportate in tutte le distanze che si desidera. Nel quale corso, oltre le irrigazioni a cui sono destinate, possono servire nel loro passaggio per animare le macchine, che si vogliono impiegare a qualunque sorta di fabbriche, molini, ed altro, che ai bisogni dell’industria potrà essere vantaggioso.
3. Queste chiuse, che nell’inverno hanno servito per conservare le acque, serviranno nell’està per l’economia di esse, raccogliendo per ore dodici le acque perenni, le quali riunite, scorrer debbono nelle ore del giorno per l’irrigazione, senza che alcuna quantità vada perduta. Da questa operazione chiaro si vede, che le acque possono essere abbondanti e pronte, in tutti i mesi dell’anno, per lo adempimento di vaste ed abbondanti irrigazioni, ed in tutte le distanze che si desidera.
E poi un errore gravissimo, quello di chiudere le acque dei fiumi nelle pianure per alzarne il livello; primo perché la quantità delle terre che ne gode è sempre poca; secondo perché le acque ingorgate nel basso piano, formano delle lagune di cattiv’aria a danno dei convicini che nulla godono; tutto l’opposto delle chiuse costruite nelle alture, le quali mancate le acque, restano al secco e verdeggianti.
A tutto quello che abbiamo esposto sul bestiame e sulle risorse delle irrigazioni, seguir deve la preparazione dei terreni, come qui appresso diremo.
PREPARAZIONE DELLE TERRE E SUOI VANTAGGI
Conosce ognuno, che i maggesi di quei terreni che sono stati lungamente in riposo, sono sempre i migliori per affidarvi le sementi; ma siccome per noi abbiamo stabilito, che tutti i terreni devono essere coltivati a vicenda, sarà inutile il cercarli. Troveremo invece i vantaggi, nel modo di preparare i terreni e nell’ingrasso di essi.
La prima che si richiede nella preparazione delle terre, è la profonda aratura, replicata tante volte, per quanto più i mezzi lo permettono, acciò la parte vegetabile e l’ingrasso, mescolandosi ugualmente colla terra, giunga a toccare quella profondità, fin dove le radici lunghe e sottili del grano, possono penetrare; perfezione che nei terreni di nerbo, difficilmente si ottiene con cinque o sei arature. Né bisogna dare ascolto, a coloro i quali credono che il grano gettasse leggermente le sue radici; mentre noi abbiamo osservato, che nei terreni molto friabili, (abbenchè sieno capillari, giungono ad una profondità straordinaria; alla quale abbiamo sempre attribuito, tutte le malattie che avvengono a questa pianta nella sua vegetazione, e particolarmente nel tempo della granigione.
La vegetazione dei grani, si osserva straordinariamente alta, ove i terreni sono di qualità friabile e profonda, mentre poi dove sono poco profondi e meno friabili, i grani non vengono mai alti. Collo stesso principio si è sempre da noi interpetrato come avviene la cattiva granigione, e delle volte la buona granigione e poco il prodotto; cioè se abbiamo osservato alta la vegetazione e leggiero il grano, i nostri sospetti sono caduti sulla poca sostanza vegetabile, esistente fin dove le radici del grano s’erano approfondite, e dove poi in altri luoghi abbiamo osservato buona la qualità dei grani; ma vuote una parte delle capsule, che volgarmente poca resa si appella in questo caso si è da noi stabilito che la poca sostanza nutritiva riconcentrata in alcune delle capsule ne avea favorito quei pochi granelli, ma che per il dippiù, la pianta non ebbe la forza per fruttificarne il resto. Osservazione che svegliar deve l’attenzione degli agricoltori, essendochè con essa svanisce l’idea dell’azione atmosferica, restando solo quella della forza ed ugual nutrizione, che riceve la pianta dal terreno sino al punto della sua granigione. Né può cadere dubbio alcuno, imperciocchè se una parte del grano nella stessa spiga è giunto alla maturità bello e perfetto, non vi può essere altra ragione in contrario per la mancanza del resto, che solo quella della debolezza della pianta, mentre l’azione atmosferica se ne avea favorito quei pochi granelli che vennero alla luce, ne avrebbe collo stesso influsso favorito ancor quei che sono mancati. Noi non intendiamo con ciò escludere l’azione atmosferica, per i risultati di una buona o cattiva granigione: Ma trattandosi di cose contro le quali l’uomo non ha mezzi da opporre, crediamo inutile il parlarne, e portare l’attenzione dei nostri industriosi, ai doveri di una perfetta agricoltura, onde dar tanta forza alla vegetazione, per resistere a tutti gli eventi delle cattive stagioni, anziché farli perdere in quelle vane speranze che sempre alimentarono la volgare innocenza.
Colle profonde e replicate arature del pari i nostri agricoltori, devono correggere il pregiudizio, che i grani teneri mal si producono nei terreni di nerbo, o che i duri non vengono in quei leggieri. Ben comprende ognuno, che il grano tenero essendo più debole del duro, la sua forza non giunge a far penetrare le radici in un terreno robusto, ma se questo vien preparato in modo da renderlo friabile abbastanza, il prodotto dei teneri in questi terreni, sarà abbondante ed ancor meglio di quello dei duri. Così e dello stesso modo, essendo che il grano duro abbisogna di maggior nutrizione (senza curare il bianco lato a cui delle volte va soggetto) sarà necessario ingrassare nella regolare proporzione i terreni leggieri, acciò possano nutrire un vegetabile che di maggior sostanza abbisogna. E se varietà attribuir si vogliono ai terreni nella produzione dei cereali, esse star debbono nella più o meno sollecita degenerazione, che ne apportano le differenti qualità; difetto che impedir si deve colla cura delle annue scelte senza che alcuno trascuri i vantaggi che ottener si possono, colla preferenza di alcune qualità più ricercate.
Crediamo ora inutile parlare della qualità dei terreni, essendochè ognuno coltivar deve quelle terre ove si trova, senza poterle cambiare, siano esse argillose, arenose, calcaree, o di perfetta qualità, come sono i terreni medi di prim’ordine, essendo le pratiche con più o meno vantaggi sempre le stesse.
È un argomento inutile del pari, quello della loro esposizione, il quale serve solo ad imbarazzare la mente dei buoni agricoltori, né noi crediamo che fin ora vi sia persona, che ne avesse notatamente e con profitto dimostrato le diverse qualità dei terreni, e la loro esposizione; e noi volendo passare a questa specie d’analisi, siamo sicuri di maggiormente imbarazzare i nostri agricoltori, coi tanti esempi di fatto, che alle esposizioni e qualità si riferiscono, le quali di maggiori bizzarrie si compongono, ove maggiori e variate sono le differenti posizioni, in quei terreni che tra monti, colline, e falsi piani, nelle varie pendenze vanno leggermente a declinare: Ove abbiamo osservato a piccole distanze delle varietà singolarissime d’abbondanza, avverarsi in quei terreni di poca apparenza, mentre poi in quei di miglior qualità ed ancor meglio esposti, abbiamo osservato una poca e cattiva produzione. Ragioni tutte per convincersi, che le terre variano ad ogni passo, nella loro composizione avvenuta in tempi remotissimi, nelle quali la pratica degli agricoltori locali, ne ha scoverto i pregi ed i difetti, a cui noi raccomandiamo la buona agricoltura, per mezzo della quale, s’accrescerà sempre il pregio dei primi, e si diminuirà il vizio dei secondi.
Siamo poi molto contrari, all’idea di concimare le terre colla calce nel nostro clima, né sappiamo quanto bene possa produrre nei paesi freddi ove è in uso. La calce è un caustico che sul principio deve danneggiare le radici dei grani, per poca che ne sia la quantità. Se poi dopo due o tre anni, perduta la sua forza indurisca la terra, o faccia del bene non è deciso ancora. Ma comunque sieno i risultati, oltre che molto costerebbe per i grandi spazi, noi lo crediamo assai rischioso, ed inutile per i nostri climi, potendo dalla forte vegetazione e dalle diverse qualità e modi come verrà impiegata, ottenere ad un tempo, l’ingrasso ed il concime dei terreni, ai quali affidarsi devono le scelte sementi nel modo ed ordine che ora parleremo.
SULLA SCELTA DELLE SEMENTI E LORO ESECUZIONE
Cerere la prima conobbe come dovea essere coltivato il grano, e da selvaggio che era, colla cura delle annue scelte, e la coltura delle terre lo portò a quella perfezione che da noi si osserva, tramandando alla posterità, l’impareggiabile scoverta, e la pratica che si richiede per migliorarne la qualità.
Immagini ora ognuno d’allora fino ai giorni nostri quanti milioni di volte furono dette e ripetute in prosa ed in versi queste pratiche. Ma siccome si tratta d’un genere di prima necessità, resta anche per noi e per altri ancora il permesso di poterne parlare.
E noto a tutti, che la specie grani in molte classi si divide, né queste esistevano nel suo bel principio, se l’uomo classificate non le avesse, con quelle distinzioni, che oggi da noi s’osservano. Sarà poi un errore gravissimo il credere, che il grano possa avere mai limite nella sua perfezione, essendochè ne varia continuamente ed a vicenda le sue qualità per supplire a quelle mancanze, che quasi stanco, dopo anni abbandona l’una classe per sostenerne l’altra a preferenza. Obbligando con ciò l’uomo a vegliare le infinite sue modifiche, ed i singolari portenti fin dove può giungere la sua abbondante produzione. Or per venire alla pratica applicazione delle scelte, a quei che l’hanno obbliato, ne ripetiamo esattamente il modo e l’ordine tramandatoci per la loro esecuzione.
Le scelte dei grani si eseguono separando le spighe, che ad una sola classe appartengono, avendo cura che nessuna delle altre classi vi sia mischiata. La quantità sarà sempre alla ragione del cinque o sei per cento, in guisacchè dovendo seminare tomoli 100 di grano in ogni anno, la scelta dovrà essere eseguita per soli cinque o sei, i quali affidati in un terreno ben preparato, i tomoli 100 saranno il minimum della sua produzione, per servire all’annua seminagione. Da questo stesso prodotto si deve rinnovare la scelta anzidetta, il secondo prodotto servirà per gli usi di vendere e mangiare.
Nel caso poi che variare si vogliono le sementi, la scelta sarà eseguita sopra altre classi, ma sempre collo stesso metodo in tutti gli anni e nella stessa proporzione; ed una sol volta che questa pratica si trascura, il grano comincia a degenerare, diminuendo la produzione, e per essa la perdita in qualità e quantità.
Né basta sapere che i grani migliorano coll’esecuzione delle scelte, essendo ancor necessario conoscere, che oltre al miglioramento che dopo pochi anni, quasi non appartengono più alla classe da cui s’è cominciata la scelta. S’avvera quel fenomeno delle pronte varietà che ne apporta la natura di questo vegetabile, dalle quali nascono spighe assai migliori e diverse di qualità alle quali un altro nome le compete.
Prodigiosamente questo fenomeno s’osserva in tutti gli anni, ed in quei paesi ove le scelte con attenzione s’eseguono, da dove ne avvengono le tante classi che alla specie appartengono, coi tanti nomi diversi dei quali qui appresso parleremo.
Le scelte s’eseguono nel tempo della trebbia, ed in quelle ore del giorno in cui si attende il lavoro.
Per bene eseguire questa semplicissima operazione, sarà a cura di colui, che la dirige badare al colorito delle spighe d’ogni classe, dal quale principalmente si osserva il miglioramento o la degenerazione d’esse; quindi prendendone una delle più perfette, la farà osservare agli uomini, donne o ragazzi che possano essere, avvertendoli di non confondervene alcuna d’altra qualità, o di meno perfezione. Riunite quindi da essi in mazzetti passeranno sotto l’osservazione di colui che ne avrà la cura.
Per indagare poi le varietà, che avvengono dal miglioramento, che poc’anzi abbiamo accennato fa d’uopo assistere alla mietitura, gettando lo sguardo sulla massa delle spighe, che vengono di fronte al taglio, per osservarne la differenza onde raccogliere quell’una che cade sotto l’occhio dell’osservatore. La quantità scelta sarà conservata in sacchi con tutte le spighe, da cui sarà spogliata sul momento che se ne deve eseguire la semina, senza che l’azione dell’aria avesse potuto in alcun modo inumidirla.
L’umido che le sementi soffrono nei magazzini, o che delle volte dai magazzinieri a bella posta si procura, fa perdere tutta la robustezza al grano, da dove ne avvengono principalmente le tante malattie a cui va soggetto questo vegetabile; tali sono la lenta e debole vegetazione, il poco cestire, la spaventevole malattia del carbone, e tante altre sventure delle quali l’uomo non se ne potrà render conto, attribuendone all’aria ed alla terra la colpa, mentre fu esso che affidò alla terra un seme mal sano, da cui non potea mai attendere un’abbondante e sana produzione.
Sono quindi inutili e nocive le scelte che si usano delle migliori spighe, senza scrupolosamente separarne le classi alle quali appartengono, per le seguenti ragioni.
Nei campi dei cereali, ove tutte le classi vengono seminate in confuso, sorge con esse il contrasto di vegetazione più o meno attiva; in guisachè una classe diviene parassita dell’altra, per il maggior nutrimento che succhia dalla terra, e per l’azione più forte che danneggia la minore; disordine che non può avvenire allorquando le sementi sono tutte d’una classe, per la semplice ragione che essendovi unità di forme dev’esservi l’ugual bisogno, l’ugual forza, e per esse l’uguaglianza nella vegetazione.
Sono ancora inutili tutti quei rimedi sinora scritti e ripetuti per purificare le sementi, medicandole affine di preservarle dalle malattie alle quali possono andar soggette, nel corso della loro vegetazione, ritrovati che possono giovare in parte, ma un corpo ammalato per ben curato che sia, non sarà mai sano e perfetto. Come del pari se la terra di qualche vizio è composta (lo che non è facile conoscere) la concia data al grano, non ne correggerà certamente il difetto. La coltura delle terre dunque e le scelte, saranno le sole che render debbono le sementi sane, onde poter resistere a tutti gli influssi delle cattive stagioni; tutto altro dire sarà sempre inutile, ed estraneo alla pratica che abbisogna.
GRANI, LORO CLASSIFICAZIONE E CONFRONTI.
Le qualità dei grani che da noi si coltivano, sono teneri e duri, ed alcune altre poco usate, che sebbene a nessuna delle due classi principali appartengono, meritano essere notate per il grado particolare che nella specie li distingue. Tra tutte occorre conoscere quali sono le più ricercate in commercio, quali le migliori per la panizzazione delle diverse classi del popolo, con quali delle altre provvenienze s’assomigliano, e quali sono da esse prime qualità
Le prime qualità Tenere sono:
Carosella
Maiorica
Romanella
Le prime qualità Dure sono:
Giustulisa
Cannizzara
Realforte o Spagnola
Castiglione
Turca o Zingara.
Le seconde qualità dure, sono:
Russia
Paola o Trentina
Scardulla
Palmentella
Sambucara
Trimelia
Farro
Le qualità diverse poco usate, sono:
Cicirello
Paola
Oriana
Confalone
Doposiegue la serie innumerevole dei degeneri dei quali qui appresso parleremo.
Quindi orzo comune
Orzo mondo.
Avena Comune
La piccola e bianca Avena manca.
Fra tutte le qualità tenere e dure, le prime sono le sole che in commercio si ricercano. Esse esistono da per ogni dove sotto altri nomi, ove più ed ove meno abbondanti, in guisachè tanto i teneri quanto i duri, più o meno perfetti nei diversi mercati d’Europa si osservano; lo che convincer deve i nostri agricoltori, che nessuna qualità di grani manca nelle due Sicilie.
Di tutte quelle che abbiamo accennato, le qualità brune contengono più sostanza vegeto-animale delle altre, per cui la loro pasta, più di ogni altra qualità facilmente si allunga, tali sono; la romanella nei teneri, la turca, la scardulla, e la trimelia più di ogni altra nei duri; queste unite alle altre qualità chiare formano il miglior pane; cioè la Romanella unita alla Carosella, forma il miglior pane bianco e perfetto, per il ceto civile degli uomini. La Turca, la Scardulla, e più di tutte la trimelia, unita al Castiglione od al Realforte, formano un pane sano, sostanzioso, ed il più salutare, che possa ricercarsi per i lavoratori delle campagne, e per tutti coloro che amano di bene alimentarsi.
Riportandoci quindi alle somiglianze commerciali, la Carosella di prim’ordine, non ha pari nella sua bianchezza, ma il suo pane s’indurisce facilmente, ed il grano è molto gentile per la manutenzione, per cui sarebbe conveniente spedirla in farine unita alla romanella. Le nostre buone majoriche nello stato presente, sono migliori di quelle che vengono dal Mar Nero; ma molto inferiori di quelle di alcuni paesi più avanzati. Le nostre Romanelle sono per ora inferiori a quelle qualità, che abbiamo osservato in alcuni mercati d’Europa, portate sotto altri nomi. La nostra Giustulisa è superiore a tutte le qualità dure sinora conosciute, per la sua qualità molto fina e trasparente. Il Realforte occupa il primo posto fra i duri, per la sua bella qualità, per la sua straordinaria ed alta vegetazione, per le sue grosse spighe, e per l’abbondante produzione. La Cannizzara somiglia esattamente alle prime qualità di Cagliari. Il nostro Castiglione e la Paola, formano l’insieme di cui si compongono le qualità dure che sboccano dai porti del Mar Nero, ma d’esse le nostre prime qualità sono assai migliori. La zingara infine tra le prime qualità dure abbenchè meno chiara merita essere considerata per la sua robustezza, ed abbondante produzione.
Le seconde qualità dure sebbene di molto inferiori alle prime, non lasciano di acquistare la loro particolare bellezza sotto l’ordine d’una perfetta agricoltura; però sarà sempre indispensabile coltivare fra esse la Trimelia; primo per la sua comoda seminagione, la quale si esegue da Gennaio a tutto Marzo secondo le varie elevazioni, quindi per la sua abbondante produzione, e per la qualità, che più d’ogni altra, come poc’anzi abbiamo accennato, contiene molta sostanza Vegetoanimale; per cui viene preferita a tutte le altre qualità per la panizzazione dei lavoratori.
Questa è la sola cagione, che i villici Siciliani, avvezzi a nutrirsi delle migliori qualità di grani du ri, non vogliono mangiare le patate ed il grano d’india, comunque esse siano preparate; Né noi crediamo che nelle due Sicilie, sotto l’ordine d’una perfetta agricoltura, i lavoratori dovessero mangiare patate e granone, potendo meglio alimentarsi delle buone qualità di grani duri, che sono assai più di sostanza e salutari. Coltivare dunque in abbondanza le patate per le bestie, ed il granone pel commercio e per gli animali ancora, come formanti parte delle seminagioni intermedie, dovrà essere una delle principali economie della nostra agricoltura, potendo esse servire all’occorrenza nei casi d’eccezione o di gusto, per la cibaria degli uomini, senza che lo siano di proposito.
Passando quindi all’analisi dei grani degenerati, diremo che sono degeneri delle Caroselle, le Carosellette e tutti i mischi della stessa classe; Sono degeneri delle Majoriche, i maiorchini bianchi e rossicci, e le bianchette. Sono degeneri delle Romanelle i Canzani, quei di Montesarchio, le soline, le risciole ed altre qualità inferiori, che alla stessa classe appartengono. Sono degeneri del Castiglione, i duri di Cutrone, e di Campomarino; sono degeneri di questi in secondo grado, tutti i mischi delle stesse contrade. Sono degeneri della giustulisa, alcuni duri di Barletta; Appartengono inoltre alla classe delle trimelie, le così dette urlie, chiattolille, ed altre simili, le quali perché seminate in diverse stagioni, variano in parte nella qualità, e portano un altro nome. Sono un miscuglio di Scardulla, Paola, Russia ed altri di seconda qualità tutti i duri di Manfredonia; e abbenchè nella puglia esistano delle belle qualità dure e tenere, nelle industrie di taluni particolari, esse mai giungono a quella perfezione di cui noi intendiamo parlare; Sono giunti infine all’ultimo grado della degenerazione, una gran parte dei grani di Basilicata, ed altri punti particolari di alcune contrade al di qua del faro. Tutte queste classificazioni e confronti, sono da noi riferiti, a solo oggetto di far conoscere ai nostri agricoltori, che la poca produzione, oltre la cattiva coltura dei terreni, dipende dalle pessime qualità di grani impiegati nelle seminagioni, e che queste ottener possono uno speciale miglioramento, classificandone col metodo indicato le diverse qualità, che alla specie appartengono.
PRODUZIONI DIVERSE DI GENERI ED ANIMALI
Tutto quello che abbiamo esposto per i grani, riguardante le scelte, deve essere di norma per tutte le altre seminagioni, delle quali l’uomo abbisogna, non escluse le patate, esse del pari che i grani, richiedono col mezzo delle scelte, la semina di perfezione, per servire alle doti annue dell’industria. Per alcune di queste ultime, le osservazioni oltre alla sana qualità del frutto, debbono riguardare la qualità della pianta, il colorito dei fiori, ed altre osservazioni, che la sola pratica potrà insegnarle.
Sarà un’idea molto strana, il supporre d’aver migliorato una classe di vegetabile o di animali, col solo acquisto di essi, senza curarne il miglioramento; Gli animali del pari che i vegetabili, occorrono d’un piccolo armento di perfezione, che servir deve per migliorare il totale delle razze di ciascuna classe; strano è ancora il credere, che l’animale perfetto, tenuto in confuso con quei d’inferiore qualità, conservar possa la sua primiera bellezza; esso col tempo degenera, non solo pel grossolano trattamento, ma ancora per l’azione di contatto cogli inferiori.
Per il vino sarà indispensabile classificare le uve nella loro qualità, onde ottenerne la perfezione; né sarà mai possibile, che il vino fatto dalle moltiplici qualità di uve, possa avere quella specialità, che si ricerca pel suo sapore. Passando quindi alle qualità commerciali, per la sua durata, e per resistere ad una lunga navigazione (senza ricorrere alle conce) è forza che la vigna, sia coltivata a corto tralcio, ed usare tutte le cure di manutenzione che a tal uopo si richiedono.
Diverse assai sono le condizioni, che occorrono per le qualità dei formaggi. La prima dipende dall’erbaggio, la seconda dal lento moto che devono fare le vacche, imperciocchè un lungo e sforzato cammino, altera il latte e lo riscalda; quindi abbisogna l’arte ed il condimento, poi la mano di colui che sappia manipolarlo, con quella perfezione che si richiede, per non avvenire ciò che accade col pane, che colla stessa farina, da una mano vien buono e da un’altra cattivo; in ultimo sono indispensabili i gradi di temperatura, onde ottenerne la perfezione.
Premesse le precauzioni anzidette, noi siamo di fermo parere, che tutte le prime qualità di formaggi ricercati in commercio, possono essere bene eseguite nelle due Sicilie.
Tali sono:
Lo Stilton
Il Cester
Il Parmigiano
Lo Svizzero
L’Olandese
Secondo i pascoli, e le varie elevazioni, ove si potranno procurare con l’arte, i gradi di temperatura, per ciascuna qualità. Né tutto ciò può essere trascurato dai nostri mandriani; imperciocchè dovendo senza ritardo aumentare il numero delle nostre pastorizie, saremo obbligati esportare, la quantità dei formaggi esuberanti alla nostra consumazione; i quali saranno da tutti rifiutati, se non si giunge a saperne ben manifatturare le diverse qualità.
Per venire quindi alla propagazione delle piante, e delle razze al di qua ed al di là del faro, i metodi che occorrono sono i seguenti:
Per la ripristinazione dei boschi, praticar si deve la semina di quegli alberi, che meglio convenir possono nelle varie elevazioni del nostro suolo, e stabilire il divieto (con leggi) del pascolo pei differenti animali,
Per avere gelsi ed alberi di ogni qualità, sarà necessario che in ogni comune, vi siano i semenzai, ove tutti gli alberi che si credono utili, vengano seminati e curati a spese delle Comuni, per darne a tutti coloro che li ricercano; con questo metodo s’avranno se te, frutti e legnami in abbondanza.
Per avere lane fine, oltre alle grandi mandrie, usar si deve la distribuzione dei merinos belli e perfetti, a tutti i piccoli possessori delle Comuni, ed in picciol numero.
Siamo d’opinione contraria sull’innesto dei merinos, colle nostre pecore ordinarie a lunga lana; Imperciocchè si perde tempo e mal riesce l’innesto; sarà vantaggioso invece, innestarle colle Dishley nelle quali troviamo una maggiore affinità. Da questo innesto s ottengono simultaneamente due vantaggi, il primo è quello di render più grosse le nostre pecore a lunga lana; il secondo sarà di migliorare la lana di esse pecore, ed averne una maggiore quantità, dovendo conoscere i nostri mandriani, che un montone Dishley grosso e perfetto, giunge a portare rotoli quattro circa, mentre le nostre portano un rotolo e mezzo di lana per uso di sole bisacce.
Per avere cavalli e muli, fa d’uopo distribuire ai piccoli proprietari e pastori le giumente una per ognuno, il valore delle quali, verrà pagato coi figli a tempo determinato, e tenere i Stalloni in tutte le comuni a carico dello stato, senza far pagare cosa alcuna ai proprietari delle giumente.
Per il Cotone infine, passar si deve alla coltura del Macao. Questa pianta come ognuno conosce è di qualità arborea; in ogni anno dopo raccolto il frutto si taglia vicino alle sue radici, dove getta di nuovo i polloni per la seconda produzione; finito il terzo prodotto s’invecchia, e bisogna rinnovare la semina. Questa pianta ama i climi caldi lo che non impedisce, che si possa coltivare nei terreni bassi delle due Sicilie. Anni addietro per farne un saggio, lo abbiamo coltivato in un giardino di Napoli con le sementi dell’Egitto, da cui si ottennero i seguenti risultati.
La semina da noi eseguita nei primi di marzo fu distrutta dal freddo; rinnovata la seconda volta verso la metà d’aprile, portò la sua vegetazione a sei piedi e mezzo di altezza, ed il frutto straordinariamente abbondante e perfetto, in modo tale che dopo averne raccolto una quantità in agosto e Settembre, le piante restarono cariche di frutti e fiori, che non giunsero alla maturità a cagione del freddo sopraggiunto, e nei primi di novembre le piante divennero secche. Questo risultato chiaramente dimostra, che nelle coste meridionali della Sicilia, la sua durata sarà di anni tre, e la produzione assai più abbondante, di quella da noi ottenuta, essendovi in quelle coste, una temperatura molto dolce in tutto l’inverno, oltre a due mesi che si prolunga il calore più di quello che regolarmente duro in questo clima di Napoli.
Al di qua del Faro, sarà necessario seminarlo in ogni anno, ed avere dei semenzai coverti per trapiantarli, onde procurare alla pianta con due mesi anticipati lo sviluppo dell’intiera produzione, la quale sembra che sia illimitata, per gl’innumerevoli frutti e fiori che questa pianta produce progressivamente e per gradi, a misura come s’eleva la sua vegetazione.
Sarà infine necessario far comprendere ai nostri agricoltori, di solo occuparsi delle belle ed abbondanti produzioni, per sostenerne la concorrenza, lasciando agli eventi il prezzo che per esse abbisogna, il quale dipenderà sempre, dalle infinite combinazioni del consumo, e della speculazione.
Così e dello stesso modo sarà utile avvertire alle intiere popolazioni, che gl’intrighi ed il monopolio commerciale, sono vane immagini popolari; imperciocchè l’aumento, il ribasso, ed i contrattempi della mercatura, dipendono sempre dalle circostanze più o meno felici degli uomini, e da altre infinite cause, contro le quali quei che monopolisti si appellano, non hanno alcuna forza ad opporre nei generi d’illimitata produzione; anzi convien sapere che i speculatori si trovano sempre esposti, al ludibrio di tutti gli eventi, a cui van soggetti il consumo e la produzione, restando in loro favore, il solo azzardo e l’arditezza colla quale espongono i capitali; nel modo ed ordine come il qui appresso quadro della mercatura, chiaramente lo di mastra.
QUADRO DELLA MERCATURA
Un uomo di mercatura, educava il suo figlio a parlar poco, rider mai, e comporre le sue lettere con se e forse, per non palesare la sua insufficienza; quindi lo avvertiva, a non far mai pompa del suo sapere, né dei suoi capitali per immensi che sieno, per non cimentare il suo credito. Ed egli è pur vero che il portamento taciturno e sostenuto, forma il mistero della fortuna, e del sapere degli uomini di mercatura.
Cosa direbbero oltre il dare ed avere, quei banchieri, e quei negozianti, che praticamente eseguono le loro operazioni, se si volessero esporre ad un esame? E cosa farebbero tanti e tanti altri, che con mezzi limitati spiccano i propri affari a più milioni, se facessero conoscere i loro capitali? E se fosse per noi possibile, esporre al sole tutte le fortune e la pratica degli uomini di mercatura; sarebbe nullo il credito, e la pratica verrebbe ad occupare il primo posto, tra le cose materiali degli uomini. Chiaro è dunque che il primo baluardo della mercatura, è il mistero in cui sono sempre avvolti tutti coloro che vi si aggirano, tanto per le loro fortune, che per il sapere, ed è questo che da prima, bisogna rispettare come base fondamentale del credito, e del moto commerciale.
Ma per meglio osservare da vicino gli uomini di mercatura, entriamo per poco col pensiero nelle prime borse del gran mercato del mondo. Ed eccoci in Londra, Parigi, Amsterdam, Vienna, Canton, Nova Jork ec. ec. Che folla di gente! Che contegno! Quanti affari! Che immense fortune! Tutte sostenute ed animate da quel mistero, che poc’anzi abbiamo accennato. Ogni punto di questi, è una fonte, che raccoglie e diffonde ad un tempo, le fortune, per i differenti canali delle diverse popolazioni, in modo tale e con tanta precisione, che ognuno creder potrebbe quegli uomini, dotati d’angelico e sagacissimo pensare; mentre poi non è così; essi poco vedono e nulla sanno: né bisogna credere che questo sia un pensiero vago e capriccioso, esso vien sostenuto da fatti incontrastabili.
Cosa può mai sapere un uomo preoccupato dalle sue faccende l’ inviluppato tutto il giorno in mezzo ai suoi libri di contabilità e di relazioni, le cui lettere contengono tutte le collezioni che vi sono tra il probabile e l’incerto. E qual conto potrà mai dare un banchiere, un negoziante, sull’avvenire delle sue operazioni le quali vanno ad incontrarsi nel loro corso, tra tante combinazioni, centuplicate dalle volontà d’innumerevoli individui, i quali variano per quanto varie sono le figure di ognuno di essi; discordi e dissenzienti sempre, in modo chè laddove uno il guadagno a chiare note vi osserva, l’altro con tutta l’esattezza del calcolo una perdita vi dimostra. Alle tante combinazioni, precedono le incerte produzioni, i bisogni o l’abbondanza monetaria in cui potrà trovarsi il commercio, le decisioni sempre varie dei possessori e contraenti, le voci più o meno allarmanti che offuscono sempre le menti d’ognuno. Bisogna dire dunque che il Commercio poggia sulla fantasia degli uomini, su i moti più o meno sensibili che l’interesse potrà segnare sul cuore di ciascuno; a dirla corta il commercio è un fantasma, che si presenta nelle menti di tutti or bello or brutto, ma sempre vario e fuggitivo da dove ne avviene l’incertezza, ed il carattere volubile, e sempre vario dell’uomo di mercatura.
Vinti gli uomini dalle immense difficoltà, per resistere e star saldi, a tutti gli eventi della mercatura, vi opposero l’educazione commerciale, l’altra di contatto; colla prima tirarono sempre il denaro dei particolari nel commercio, mentre coll’altra, appresero a ben compensare gli uomini, onde ispirare l’amor proprio e la buona fede, per l’esatto adempimento degli affari; quindi crearono istituzioni, riunirono capitali per esporli alle più ardite ed azzardose imprese.
Col mezzo di questa educazione, l’Inghilterra è giunta essa sola, ad occupare quasi tre quarti del Commercio, sul Gran Mercato del Mondo. Con questa stessa educazione, l’Olanda esercita ancora un potere, sopra sedici milioni di abitanti, sparsi sopra alcune isole dell’Arcipelago Australe. Nello stesso modo ai giorni nostri, s’osservano lunghi e spaziosi canali, Vapori, Strade Ferrate, Ponti e cammini sopra e sotto ampie correnti, ed altre imprese al segno, che una ciurma incoraggiata dal denaro dei capitalisti, ardita si avanza sull’uno e l’altro polo, per pescare un pesce. Ma sebbene all’educazione della mercatura, gli uomini devono una gran parte di queste imprese, esse in nulla vi appartengono.
La mercatura in generale, vien sostenuta da tre classi di uomini, che in vari modi l’esercitano. Gli uni sono commercianti, altri trafficanti, speculatori o megozianti i terzi. Ed ecco l’uomo ardito e generoso, coi capitali sul bordo della sua nave, compra in un punto, per vendere in un altro, esposto sempre alla concorrenza di tutte le nazioni; e questi è quello che commerciante si appella.
Viene dopo tardi e lento il trafficante, che dalle sue possessioni, carica i prodotti per trasportarli al consumo, sostenuto sempre da privilegi e privative, e perciò comodo e temporeggiante. Sono infine speculatori, tutti coloro che comprano, vendono, spediscono, complicando in mille modi le loro operazioni, sullo stesso mercato e senza proposito alcuno. Fra tutti i primi sono sempre quelli dai quali il maggior guadagno s’ottiene, poco ai secondi, meno ai terzi. Attenti vegliano quindi i banchieri, ove più il denaro abbisognar possa, per eseguire le loro operazioni di cambio, permutando da un punto all’ altro i loro capitali, ma sempre dipendenti dalle produzioni, e dal moto generale degli uomini. Ed eccoli tutti in contatto, che gareggiano a vicenda sul Gran Mercato del Mondo, per ingrandire le loro fortune, in vari modi e sopra differenti oggetti; e laddove più arditi ed audaci, sono gli uomini di mercatura, più abbondante del pari il denaro, e la sua circolazione si osserva. Infelice! quella nazione, che non fu mai educata nelle operazioni commerciali e nelle grandi imprese; e quasi più infelici e meschini, quei capitalisti che timidi e circospetti attendono gli utili da sborsi illeciti e da smodate usure! Gloria dunque a tutti coloro che intraprendenti ed esperti, animarono il commercio e le utili imprese, per giovare al moto generale degli uomini, ed ai propri interessi.
Fin qui il quadro magico della mercatura, chiaramente ci dimostra, che l’educazione è la prima che abbisogna. Ma quest’educazione commerciale che tanto alto figura nelle menti degli uomini; altro non è in tutti gli affari, che una oscurissima pratica, acquistata e sostenuta dal solo spirito di guadagno, il quale s’aumenta a gran passi ove i mezzi sono più limitati, e decresce ove gli uomini pigri e lenti, credono di avere meno bisogni. I primi furono sempre quelli, che trionfarono a danno dei secondi; esempio che svegliar deve l’attenzione dei possidenti e capitalisti, per unire i vantaggi d’una abbondante e bella produzione, alle risorse della mercatura, onde trionfare nel confronto generale degli affari, ed occupare il primo rango nella bilancia economica. Né mancò mai fra noi cosa alcuna ad ottenerlo; anzi dobbiamo dire, che i nostri capitalisti, furono sempre i più fortunati del Mondo, per la bella e centrale posizione; alla quale fan corona, la fertilità del suolo, l’aria salubre ed amena, un popolo dolce e laborioso, le vaste e grandiose imprese, che abbisognano. Tali sono.
Le ampie località pel deposito delle future derrate ponti e strade, chiuse e canali per le irrigazioni. Volgendo quindi le viste al commercio, so osservano abbondanza di Marinari ed ottimi prodotti indigeni per esportare e molto consumo dei stranieri che per noi occorrono; ed infine una posizione marittima, che oltre alla sua naturale bellezza, non tarderà guari ad essere l’emporio di tutte le nazioni del mondo; allorquando i lavori già tracciati, perverranno ad unire il mediterraneo al mar rosso; ragioni tutte che svegliar debbono l’attenzione dei nostri capitalisti, anzichè vederli impallidire, ad ogni numero che vien tratto fuori dall’urna, nella sala del sorteggio delle rendite. Alzare dunque l’ingegno a grandi viste, animare il lavoro e le utili imprese, persuadere i produttori all’esatto adempimento d’una qualità perfetta, ed ingrandire ad un tempo le altrui e le proprie fortune, fu sempre dovere dei possidenti e capitalisti di uno Stato. E se l’educazione negli affari di mercatura, fu sempre spinta e sostenuta dai propri interessi; spetta più di ogni altro ai nostri produttori, riflettere alle immense perdite a cui van soggetti in tutti gli anni, non curando le qualità e l’esatto adempimento delle consegne, sotto l’aspetto d’una apparente e rovinosa economia. Essi obbliarono, che le merci, i prodotti, e qualunque altra cosa, che al Commercio si espone, oltre al prezzo corrente e di uguaglianza, porta quello di affezione e di credito, se la qualità e singolarmente bella, da dove ne avviene la preferenza ed il prezzo.
Né bisogna mai supporre, che questa preferenza di qualità, che dai particolari per nulla si conta, sia poco dannosa. Essa oltre alle perdite di quantità, che abbiamo segnato in agricoltura, porta in commercio per gli stati, la differenza di più milioni, nella totalità del suo prezzo. Così ed ancor più nociva fu sempre l’economia sulle mercedi degli uomini. Tali sono, le deduzioni che si fanno ai lavoratori, ai mezzani, ai viaggiatori, ai commessi, ed ai naviganti. Ah sciagurata economia! essa apportò le rovine degli uomini, distrusse la buona fede, accrebbe il vizio e le malvagità, e fe cadere le intiere nazioni nell’abbandono.
L’esatto adempimento dunque negli affari di mercatura, il buon trattamento, e la generosità verso i subalterni, altro non sono che il sostegno del credito e dei propri interessi. E se talune nazioni, usarono di largamente compensare le fatiche degli uomini, e l’esatto adempimento dei propri doveri, trovarono in quella spesa apparente, la fonte della loro fortuna, e del loro ingrandimento.
DUE PAROLE SUI NULLATENENTI
Sono i nullatenenti che col lavoro sostengono tutte le fortune e la grandezza delle nazioni, ed è ancora ad essi che tutti i beni e le ricchezze dei particolari si affidano. Ed ecco la classe la più utile, la più rispettabile, ma sventuratamente, la più negletta, la più disprezzata; dalla quale sortono, medici, vagabondi, malo fattori, vizio che li avvilisce e li degrada: Ma questo vizio desolatore, sta realmente in essi, o vien procurato da chi possiede? ecco il gran punto della quistione!
Vizio naturale non lo è affatto, procurato a bella posta nemmeno, esso vien sostenuto dall’egoismo, dallo spirito di guadagno, e da quel principio di superiorità, a cui tende l’uomo per istinto; tutte qualità necessarie per mantenere l’ordine sociale, ed il progresso delle nazioni, imperciocchè l’egoismo, cumola le fortune per dividere ai posteri, lo spirito di guadagno anima gl’intraprenditori a grandi viste, il genio di superiorità, dispone l’ordine e lo mantiene; E quì si vede l’ordine sociale, stabilito solo a compensare il lavoro del nullatenente all’occorrenza, ed abbandonarlo quando poco abbisogna, da cui ne risulta quel contrasto di fortune, che si osserva tra il ricco ed il bisognoso; contrasto che serve ad accrescere le spese dello stato, a limitarne le produzioni, ed a togliere ai nullatenenti ogni speranza a poter migliorare la loro condizione.
Ne i possidenti nella loro posizione, possono essere obbligati a vegliare sull’avvenire dei nullatenenti, e molto meno potranno gustare i vantaggi, che arrecar deve il loro miglioramento, persuasi che questo li sottrae dal bisogno in cui sono, e per esso dal lavoro che debbono esercitare; mentre non è così nel fatto. Migliorare la condizione dei nullatenenti vuol dire, occupare gli uomini al lavoro, ed impedire che l’esuberanza di questa classe numerosa, sia vagabonda, mendicante, malfattrice, né altro modo vi potrà essere per migliorare la loro s” lochè chiaro dimostra l’errore di quegli, che credono poter mancare i lavoratori colla emancipazione dei nullatenenti, mentre noi sappiamo esser sempre crescente il numero, per la occupazione delle intiere famiglie, e per quelle ragioni da noi accennate in agricolture, ove tra le altre entra al lavoro quella classe di uomini, che ora si trova fra il ricco ed il povero, la quale più nociva che utile eziando poco o nulla produce. Emancipare dunque i nullatenenti dalla miseria, nel modo che noi la intendiamo, vale lo stesso che consolidare le fortune, triplicare le produzioni, ed accrescere le rendite di uno stato.
Saranno quindi inutili anzi dannosi, tutti gli sforzi che si adoprano dalle riunioni filantropiche e dai governi, per impedire i danni che arreca l’esuberanza di questa classe numerosa di uomini; essi si arrestarono tra la pietà e le punizioni, senza mai apporre un argine alle cause principali che ne arrecano il danno. Tali sono le sovvenzioni mensili, le elemosine giornaliere, le reclusioni dei poveri nei così detti stabilimenti di beneficenza per farli lavorare, ed altri simili ritrovati, che avviliscono l’uomo invece di emanciparlo dalla miseria. Il soccorso mensile rende l’uomo inerte, l’elemosina degrada chi la fa ed avvilisce chi la riceve, la reclusione dei poveri aggiunge all’infortunio la pena; questo modo di procedere verso i poveri, è un abuso di potere inconsiderato, che si usa da tutte le nazioni, per nascondere il vizio e le ristrette cognizioni amministrative, ma che forma ad un tempo il colmo delle umane oppressioni; né ragione vi potrà essere, per punire colla prigionia, colui che si presenta in pubblico a chiedere un soccorso alle sue sventure. Noi invece vogliamo, che il povero sia soccorso al primo apparire, quindi interrogato sulle cause che lo hanno ridotto a quel grado di avvilimento, e dopo educato al lavoro colla sua famiglia, ma sempre libero e dolcemente trattato in vaste campagne, per rimettere in esso con metodi opportuni, quel grado d’indipendenza che per l’ uomo abbisogna. E qui il nostro dire perfettamente si oppone, al parere di coloro i quali credono, che uomini avviliti e privi della libertà, possono essere utili nelle manifatture, ove sono preliminari al lavoro, vivacità d’ingegno, e quella dose di amor proprio, che guida alla perfezione delle cose, qualità che nell’uomo avvilito, sono le prime ad essere sottratte dalla miseria, e distrutte da una ingiusta punizione.
Noi senza entrare nel modo, troviamo giuste le punizioni dei malfattori, ed ancor queste se prendono origine da bisogni di prima necessità, nemmeno giuste potranno essere. Allora un castigo potrà dirsi giusto, quando si è prima provveduto ai principali bisogni dell’uomo; e se ciò fosse noi siamo sicuri, che i delitti sarebbero tutti svaniti o in gran parte scemati: essendo che questi del pari che i poveri, hanno la stessa origine e di uguali soccorsi occorrono.
Quindi è strano il credere, che il malvagio lo sia per istinto, ed il povero per infingardaggine, questi del pari che ogni altro cittadino, amano migliorare la propria condizione col lavoro, il quale mancando a ripetuti intervalli, pone gli uomini in quella disperata posizione, ove gli uni perché deboli di spirito, si abbassano alla mendicità, mentre gli altri più iracondi e meno subordinati, al delitto si abbandonano; e però tanto i primi, quanto i secondi, sono sempre segnali chiarissimi per conoscere la cattiva amministrazione di uno stato. Il povero qual pubblico banditore, colle sue grida di afflizione avverte alle intiere popolazioni, lo stento a poter vivere, che esiste nelle differenti classi dalle quali lui è sortito; mentre l’altro inferocito dalla miseria, disprezza l’ordine e le leggi e ne annuncia l’imminente rovina.
Questi danni non sarebbero mai avvenuti, se le cognizioni degli uomini per una sol volta, si fossero occupate a considerare l’utile che arrecar deve l’emancipazione dei nullatenenti; i quali aspirano al lavoro per ottenere una semplice sussistenza, e vendere l’esuberante produzione al prezzo corrente, senza calcoli e senza ritardo, in opposizione del ricco, il quale impiega i lavoratori finché i limiti della convenienza il permettono, e pronto a congedarli ove il sospetto di una perdita potrebbe offendere i suoi interessi. Sono queste chiare dimostrazioni, per conoscere i danni che arreca il calcolo dei ricchi, alle produzioni dello stato, ed il bene che produr deve l’emancipazione dei nullatenenti, coll’indipendenza del lavoro che per essi abbisogna.
Ma prima di passare più oltre fa d’uopo avvertire, come l’indipendente lavoro, che apportar deve la emancipazione dei nullatenenti, non può aver cosa di comune con qualunque metodo finora conosciuto, né coll’assurdo principio di quegli che credono poter assicurare il lavoro ai giornalieri.
Assicurare il lavoro a quegli che ne abbisognano è cosa impossibile, ed il prometterlo, viene in contrasto coi mezzi dello stato, pone in cimento l’ordine publico e le altrui proprietà, e rende stabile e sempre crescente il numero dei bisognosi.
Supponiamo per poco che uno stato, si voglia obbligare a tanti lavori publici, per quanto abbisognar possono alla libera volontà, di tutti coloro che si vogliono presentare; ne avverrà di fatto, l’indolenza alle ricerche per migliorare la propria condizione. L’inerzia dei lavoratori, i quali spensierati direbbero domani se avrò bisogno andrò ai lavori publici, e con ciò l’aumento dei poveri, ed in tanta quantità, da assorbire le rendite dello stato, e far mancare quel lavoro che si crede di poter assicurare.
Se in altro modo impiegar si vogliono i lavoratori ad una speculazione produttiva, sarà ancor più difficile e dannosa la posizione, sicuri che tutte le produzioni per le quali una spesa occorre ad ottenerle, vanno subordinate al calcolo di utili e perdite, da cui ne risulta; che se la quantità prodotta è in grande abbondanza, apporta il ribasso a danno delle proprie e delle altrui produzioni. Se invece la poca quantità prodotta viene in contrasto colla spesa che occorre ad ottenerla, il deficit obbliga l’impresa a levar mano, e lasciare privi di sussistenza, un numero infinito di lavoratori, che vivono sull’idea di un strano dritto, per dar dimano alle proprietà dei particolari; e quindi dimostrato l’assurdo di voler assicurare il lavoro ai giornalieri.
Fin qui l’argomento presenta la necessità di emancipare i nullatenenti, ed il bene che da essi ottenersi deve, restando solo a decidere, come ed a quale delle tre classi, che sostengono l’ordine sociale, spettar deve l’incarico della esecuzione.
Abbiamo detto da prima, che i proprietari nulla possono oltre la mercede pel lavoro, che dai nullatenenti viene eseguito, e molto meno i sostenitori dell’ordine, o per meglio dire i governi, potranno mai occuparsi di una impresa che ad infiniti dettagli va soggetta; dunque l’impresa verrà sostenuta dall’alta classe degli intraprenditori, la quale unendo l’utile degli interessati, al sommo vantaggio dei nullatenenti, coi mezzi che presenta una vasta istituzione, venir deve nei campi e coll’aiuto del commercio, alla esecuzione di quei metodi che qui da noi si stabiliscono; ma prima parleremo dell’impresa.
Le imprese campestri a grandi viste, di metodi affatto nuovi abbisognano, spogliati da qualunque usura, o privato interesse, ma che apportino gli utili da semplici ed onorate speculazioni. Al colono poi per farlo riuscire al lavoro non devono gravarlo di debiti, né di pensieri che lo affliggono, ma invece munirlo di tutto ciò che occorrer possa per esso e per la sua famiglia, onde col proprio lavoro, venga ad emanciparsi dalla miseria e dallo stato giornaliero in anni quattro, con divenire proprietario delle doti a lui assegnate, quindi di terre. A fare la qual cosa, la compagnia ricever deve nei suoi stabilimenti, uomini che asseriscono essere nullatenenti, o che il sieno o che né, come tali dovrà riconoscerli, rinunziando a qualunque loro proprietà. Non deve guardar chi sono, né saper da dove vengono, e molto meno deve occuparsi di come hanno passato i loro giorni, basterà solo che asseriscano di non possedere cosa alcuna, per essere ammessi nelle industrie della Compagnia. A bene intenderla, la caratteristica da noi stabilita di nullatenenti, per venire in soccorso dell’uomo, comprende tutte le classi indistintamente chi poco o nulla possiede, e fra questi quei servi di pena che sortono dalle prigioni, i quali sono da tutti malveduti dopo di averla espiata.
Una nobile impresa che mira ad ispirare l’amore pel lavoro, e che vuole civilizzare gli uomini, per giungere al colmo dei suoi disegni, guarda l’uomo nel suo stato naturale, gli appresta tutto l’occorrente per indurlo ad una nuova vita, ad altra maniera di pensare, sicura che colui il quale era inerte, vagabondo, malvagio, perché disperato e non avea da mangiare, sarà ora sotto un buon trattamento e felice avvenire, laborioso, onorato, leale.
Questo fu sempre lo scopo di quella compagnia, da noi messa in ordine sin dal mille ottocento trentadue, la cui esecuzione ed ordinamento, oltre lo statuto che riguarda l’insieme dell’impresa; la fortuna ed il felice avvenire dei nullatenenti, vennero da noi espressi in un modello di contratto, (che qui infine riporteremo) ove chiaramente vengono stabiliti; il credito dei nullatenenti, la emancipazione che per essi abbisogna, e la conservazione dell’ordine sociale; e siccome non può darsi impresa senza utili per i soci che la compongono, così in questa parte fu da noi ritrovato il modo, di unire all’emancipazione dei nullatenenti, il sommo vantaggio per gl’interessati, con risolvere in quelle condizioni, l’enigma che si racchiude in un solenne paradosso, cioè, che la miseria e le oppressioni dei nullatenenti, saranno bandite al primo apparire ed in tutto il Mondo. Con dar tutto a chi nulla tiene, prender niente da questo, e lucrare il cento per cento.
Né molto abbisogna per venire alla scoverta del vero, per chi ben sappia valutare la qualità dei contraenti, ed i patti che in quel contratto si racchiudono; imperciocchè la compagnia ricca, mentre i coloni nudi e di nulla possidenti si dichiarano, lo che apertamente dimostra che si dà tutto a chi nulla tiene. Prender niente da questo è ancor chiarissimo, essendo prima condizione ed oggetto, quella di emancipare i nullatenenti in anni quattro, mediante gli aiuti e le buone istruzioni al lavoro, la cui produzione è tutta in favore dei nullatenenti, e con ciò nulla prende la compagnia dal colono. Resta solo a vedere da dove e come venir debbono gli utili all’impresa; attenti che ora vengono a galla. Essi coloni sono consumatori di una gran parte di quelle speculazioni, che esercitar deve la compagnia, per mezzo delle quali ottiene quei utili che poc’anzi abbiamo accennato, senza la menoma delle usure, mentre certe ed immancabili sono la ricchezza ed il felice avvenire dei coloni. E con ciò noi senza punto alterare l’ordine sociale, abbiamo apprestato lavoro ai nullatenenti, avviata la loro emancipazione, e tolta l’esuberanza dei lavoratori. Non è quindi difficil cosa il comprendere, come i nullatenenti bene adempiranno al pagamento delle doti ottenute in assegna dalla compagnia, e di tutto il resto che per essi possa occorrere nel corso dell’anno, saputo che gli utili di un uomo e della sua famiglia, vengono triplicati dai mezzi facili e pronti, che ad essi si apprestano per aumentarne la produzione. E pure chi l’avrebbe mai creduto dopo anni due di sofistiche discussioni, le autorità incaricate ad esaminare i vantaggi e l’oggetto della istituzione, al 1854 rigettarono apertamente il modello di contratto, che servir dovea al conseguimento di sì nobile scopo. Ma poniamo da parte quello che per sventura avvenne, e torniamo al proposito della sua utilità.
Col metodo da noi stabilito, ogni nullatenente colla sua famiglia si emancipa dalla miseria in anni quattro, con questi metodi ogni schiavo nelle Americhe, ed in qualunque altro stato di forzata servitù, sarà libero in anni quattro, emancipato dalla miseria in anni otto; si noti bene che questo prima deve comprare il valore di se stesso, e quindi diverrà proprietario delle doti a lui assegnate, percui anni otto abbisognano. A bene intenderla, la bontà dell’impresa si distingue in quelle risorse, che si apprestano ai nullatenenti per emanciparli dalla miseria; e nel ricevere nei campi e nelle industrie, non solo l’uomo valido isolatamente (nel modo come al presente si usa, per un miserabile trattamento), ma ancora tutta la sua famiglia, di ambi i sessi e di qualunque età, ed altri ancor’orfani che siano, ai quali la compagnia apre un dare ed avere, mettendoli al rango di ogni altro onesto cittadino; e perché questi sono di corta esperienza, la compagnia li spoglia dalle penose riflessioni del debitore, lasciando ad essi quelle sole condizioni che formar debbono la sicurtà di un felice avvenire. A dirla corta la compagnia li tratta come suoi pupilli, apprestando ad essi tutti i soccorsi possibili, e tutte le istruzioni necessarie, affine di farli divenire proprietari di tutto quello, che hanno avuto assegnato dalla Compagnia.
Ora non farà meraviglia, se noi includendo la emancipazione degli schiavi nei metodi indicati; col mezzo di una pratica esecuzione siam giunti a risolvere il problema, offrendo agli interessati un utile, mentre le riunioni filantropiche nelle prime città del Mondo, si sono tormentate senza profitto; imperciocchè non è difficilcosa il comprendere, come un uomo che forma al presente col suo lavoro, la fortuna di colui che lo possiede, possa allora mediante gli aiuti opportuni di una ben’ordinata istituzione, comprare il valore di se stesso, e dare un utile all’impresa.
Sono quindi immensi i vantaggi che la compagnia, arreca a quei lavoratori nel liberarli col metodo da noi stabilito; non solo per il buon trattamento, che ricevono durante il tempo che occorre per la loro emancipazione; ma ancora per la educazione al lavoro che da essi si apprende, per mezzo della quale, quei uomini schiavi dopo la loro acquistata libertà, saranno più laboriosi di prima, e non già inerti come la contano, i partigiani della schiavitù i loro nemici.
Qui è necessario che ognuno sappia, come questa grande istituzione, non può sussistere senza gli aiuti della mercatura, alla quale da noi fu unita; per cui Compagnia Agraria Commerciale si appella.
Primo sostegno della agricoltura è il Commercio, esso somministra i capitali e le cognizioni, di tutto quello che conseguir si deve nei campi, senza il commercio, il coltivatore non saprebbe cambiare le sue produzioni, senza il commercio, le produzioni non sarebbero né trasportate né vendute. Una Compagnia di Commercio unita all’agricoltura, a contare dal primo giorno della sua istallazione, e compra e vende merci, bestiami, generi e prodotti di tutte le qualità, ed altri utili affari intraprende; mentre una compagnia unicamente occupata all’agricoltura, lavora sulla speranza di un futuro raccolto, esposta a tutte le intemperie delle differenti stagioni, senza che alcuno venga a sollecitare lo smercio delle sue produzioni, ed incoraggiarne la coltura di esse: Ma se il commercio è messo a sostenere l’impresa, la monotonia dei Campi viene interrotta dal brio e dall’attività commerciale, per i vantaggi che si ottengono dal commercio immediato all’agricoltura, i cui utili e le immense risorse, formar debbono quell’insieme filantropico e generoso, che solo alla presente organizzazione è dovuto. Sappi ognuno però, che far commercio ed estendere relazioni, non vuol dire (come alcuni credono) opprimere né usurpare i dritti di intiere popolazioni, ma invece noi intendiamo parlare di quel commercio, libero a tutte le nazioni del Mondo, ove la compagnia potrà occupare il suo rango, senza offendere nella menoma parte i dritti di alcuno; cose tutte che assai meglio si osservano nei divieti e nell’ordine generale dello statuto, che quì lungo e noioso sarebbe il riportarlo.
MODELLO DI CUNTRATTO
PER LA EMANCIPAZIONE DEI NULLATENENTI.
Preliminari al Contratto.
Si sono presentati alla Compagnia Agraria Commerciale N. N. nullatenenti, i quali abbenchè avessero qualche cosa di loro proprietà, s’intendono sempre nudi per la Compagnia; essa rinuncia di aver dritto a qualunque loro proprietà come principio fondamentale della sua Istituzione.
I detti Coloni sono stati a lavorare per un dato tempo nelle industrie della Compagnia con vitto e soldo, ove hanno appreso, i metodi di coltura, la tenuta e cura degli armenti, la condotta morale che per essi abbisogna. Ed ora convengono e stabiliscono quanto siegue.
ART. 1.
La Compagnia Agraria Commerciale apre ad essi Coloni un dare ed avere nel luogo designato pel lavoro e nella sua contabilità, con tutte quelle chiarezze che meglio convenir possono all’intendimento di essi Coloni: e questo per tutto il tempo del presente contratto, che avrà la durata di anni quattro improrogabili, salvo il caso stabilito nell’articolo 5, paragrafo
2. S. 1. La Compagnia assegna salme o moggi di terre ai Coloni per uso di coltura, e queste per l’annuo prezzo, secondo il merito di esse terre. S. 2. La Compagnia assegna tanti animali Vaccini, ed altri di diverse qualità, che potranno occorrere all’adempimento di quanto si conviene; e questi per l’effettivo prezzo corrente in contanti, che potranno valere nel luogo designato pel lavoro; il quale prezzo verrà stabilito da arbitri scelti da ambe le parti nel caso che non sieno di accordo: Si obbliga in oltre assegnare altri animali, nel caso di morte dei primi o che un numero maggiore nel corso degli affari ne abbisognasse. S. 5. I detti animali saranno consegnati dalla compagnia, non già secondo l’uso di fiera, pieni di vizi e difetti, un sacco d’ossa morti in terra; ma sani, giovani, e senza vizio o difetto alcuno, pronti a potersene servire; obbligandosi la Compagnia di cambiarli nel caso che vizii o difetti si venissero a scovrire.
S. 4. Assegna in oltre tutti gli ordegni e ferramenti necessari, forti e ben costruiti, e questi pel prezzo effettivo corrente in contanti nel luogo ove li assegna. S. 5. La Compagnia si obbliga far somministrare dai suoi magazzinieri locali, tutte le sementi necessarie, e queste di ogni bontà e perfezione. S. 6. Permette ai detti Coloni di condurre nei terreni assegnati, tutte le persone di loro famiglia, di ambi i sessi e di qualunque età, niuno escluso o eccettuato. S. 7. La Compagnia si obbliga passare vitto e soldo, ai detti Coloni ed alle loro famiglie, secondo l’uso e costume per le persone di servizio negli affari di conto proprio; e questo secondo il merito e l’età di ognuno di essi, niuno escluso. S. 8. Si obbliga infine la Compagnia nel caso di sventure, malattie ed altro, assistere detti Coloni per tutto quello che abbisognar possa, come medici, medicamenti ed altro, senza mai congedarli.
ART. 2.
Il pagamento di tutto quello che essi Coloni avranno ricevuto dalla Compagnia, sarà eseguito dalla vendita dei loro prodotti, sempre in contanti, e mai in genere, salvo scambievole convenienza cioè.
S. 1. Il prezzo dei terreni sarà pagato in ogni anno secondo il valore convenuto.
S. 2. Le Cibarie e tutto quello che potrà abbisognare in denaro per qualunque sia causa, lo pagheranno in contanti, ed in ogni anno coll’interesse del 5 per cent l’anno (). S. 5. Le Sementi saranno restituite alla Compagnia in genere, col 5 per cento in genere, scelte e secondo le regole che segnerà la Compagnia. S. 4. Il valore degli Animali, ordegni ed altro appartenenti alle doti industriali, sarà pagato nel corso di anni quattro, coll’interesse del 5 per cento a scalare.
ART. 5.
Nel caso che i detti pagamenti non si potranno adempire nel modo come si è detto in ogni anno, saranno riportati per l’adempimento agli anni seguenti 2. 5. e 4. senza che la Compagnia possa mai sospendere tutto quello che per essi Coloni occorre, nel modo ed ordine stabilito nel presente contratto.
S. 1. Se alla fine del quarto anno, liquidato il conto, avranno pagato tutte le doti a loro assegnate, se ne andranno via dalle industrie con tutto quello che si avranno guadagnato.
S. 2. Se si avessero affrancato parte delle doti, andranno via dalle industrie con quella parte che si avranno guadagnato. Ma in questo caso essi Coloni, essendo di buona condotta, possono prolungare il contratto per altri anni due, onde affrancarsi il resto delle doti assegnate. S. 5. Se per sventura nulla avessero potuto pagare, o che tutto si sia perduto, senza la menoma colpa di essi Coloni; la Compagnia conosciuta la buona condotta, la scia a loro facoltà di restare nelle industrie. Obbligandosi in questo caso, rinnovare il Contratto con tutte le anzidette condizioni, mettendo in piena dimenticanza il debito arretrato, il quale s’intende finito coll’epoca del precedente contratto. S. 4. Nel caso di morte di essi coloni, la Compagnia riconosce di dritto i loro eredi, per tutto quello che con essi ha convenuto nel presente contratto.
Obblighi dei Coloni.
ART. 4.
Essendo persuasi i detti Coloni dei tanti vantaggi che la compagnia assicura in loro favore, per cautela e buona riuscita degli affari, si obbligano e stabiliscono quanto segue.
S. 1. Accettano servire la compagnia nella qualità di annalori, a tutte sorte di servizi e lavori campestri per anni quattro, i quali lavori saranno sempre obbligati eseguirli nei terreni a loro assegnati.
S. 2. Si obbligano lavorare nelle dette terre, dell’uscita del sole sino al tramonto, coi soliti riposi nelle ore di colezione, mezzogiorno, e merenda, eccetto le domeniche e feste principali.
S. 5. Si obbligano dare tutta la cura agli animali, secondo i regolamenti che saranno loro ordinati dalla compagnia. –
S. 4. Si obbligano dare relazione al soprastante locale della salute degli animali, e dello stato degli ordegni, e domandarne il rimpiazzo nel caso di bisogno, il quale come si è detto ceder deve a debito dei detti coloni.
S. 5. Si obbligano coltivare le terre a seminagione continua, nel modo che verrà loro ordinato dalla compagnia, e con quelli metodi che la stessa potrà dettare, ed eseguire alla lettera, senza veruna scusa, essendo già istruiti prima del convenuto nel presente contratto.
S. 6. Si obbligano consegnare alle case rurali del luogo istesso, contro ricevo del magazziniere locale, tutt’i prodotti niuno escluso, di animali, seminagioni ed altro, qualunque ne sieno le quantità.
S. 7. Si obbligano liquidare il conto colla compagnia per tutto il 51 agosto di ciascun anno, eccetto i casi d’impossibilità stabiliti nell’art. 5 del presente contratto.
S. 8. Il detto pagamento, si obbligano farlo sempre in contanti e mai in genere, salvo scambievole conver IlleIlZ8.
Art. 5.
Si conviene che se non adempiranno a quanto si è stabilito, per lavori ed altri obblighi contratti, saranno mandati via dalle industrie, con la multa di dover perdere tutto quello che hanno pagato in conto. senza avere alcun dritto verso la compagnia.
S. 1. Se si portano via qualunque menoma parte dei prodotti, e di qualunque qualità, prima di portarli alle case rurali, si conviene che sarà considerato qual furto commesso alla Compagnia, nella qualità di persone di servizio.
S. 2. Se si portassero via animali, ferramenti, ordegni, prima di aver liquidato il conto finale colla compagnia, sarà considerato come furto, quantunque ne avessero pagata porzione, perciò in questi casi di furto, essi coloni si assoggettano per patto di multa stabilito a loro danno, di perdere tutto ciò che avranno potuto pagare alla Compagnia, e perdere ancora qualunque altro dritto verso la stessa, con essere tradotti in giudizio per quello che riguarda il furto.
S. 5. Si conviene infine, che le sottoscritte parti saranno sempre obbligati, in caso di controversie, e specialmente nei casi di furto, provare innanzi le autorità competenti, il fatto accaduto come si usa nei giudizii di tal genere. E sicuri che ciò sia lontano si obbligano, all’esatto adempimento.
FINE
fonte
https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1848-bideri-pratiche-riflessioni-economia-due-sicilie-2018.html