Precursore del Barocco, cantore dell’amore: la storia di Correggio su Rai 5
Protagonista di un bel documentario su Rai 5, Correggio ha goduto di fortune critiche alterne. Ripercorriamo la vicenda del grande artista, tra soffitti maestosi e prove d’amore
La notizia non è nuova: Parma, “Capitale Italiana della Cultura” per il 2020, mantiene il titolo anche per il 2021, insieme alla “borsa” per finanziare i relativi eventi, interrotti per la pandemia. La Rai giustifica questo privilegio testimoniando la straordinaria storia culturale della città e manda in onda trasmissioni come la puntata di Art Night trasmessa, su Rai 5, qualche sera fa, su un grande artista emiliano, il Correggio, che molto lavorò a Parma. È stato presentato da esperti che, senza esondare nell’oratoria, ne hanno commentato l’arte e l’ambiente in cui questa è nata, mostrandone anche i luoghi a essa contemporanei. Iniziativa opportuna, perché, se oggi si tende a dire che la vera arte è senza tempo (e nessuno lo nega), è ragionevole pensare che l’ambiente, in cui è stata realizzata e che essa stessa ha concorso a formare, le aggiunga valore e fascino.
Dalla camera della Badessa alla cupola del Duomo
Nel documentario andato in onda su Rai 5, “Correggio. Dall’ombra alla luce”, di Emanuela Avallone e Linda Tugnoli e prodotto da Rai Cultura, brilla di luce l’arte di Antonio Allegri, detto il Correggio dal luogo di nascita (un paesino emiliano che, molto piccolo al tempo, adesso ha più di 25mila abitanti). L’Allegri (1489-1534) fu tra i primi a “sfondare i soffitti”, per dipingere cieli abitati da celesti figure che si librano in aria. Aveva cominciato con il dipingere il soffitto della Camera della Badessa, nel convento benedettino di san Paolo a Parma, un ambiente interdetto dalla clausura, che poi fu scoperto, per caso, da Raphael Mengs (1728-1779), dopo che per due secoli era stato chiuso e nascosto.
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Può interessare sapere che la Camera, durante la clausura piuttosto elastica del primo Cinquecento, era il salottino della badessa Giovanna Piacenza che, in competizione con gli altri salotti parmensi, vi intratteneva dotti conversari. E vi aveva voluto, sulla cappa del camino, una sorta di suo ritratto, quasi di femminista ante litteram: l’immagine di Diana, la casta dea, che nella caccia era forte quanto gli uomini. Correggio dà uno svolgimento più mosso e vivace a un tema suggeritogli dalla “Camera degli Sposi” di Andrea Mantegna (1431-1506), nel Palazzo Ducale della vicina Mantova. E imposta il dipinto della volta su una ferma composizione geometrica: intorno a un centro stellato, che contiene lo stemma nobiliare della Badessa, gira una serie di oblò, nei quali si intravedono putti gioiosi, contornata da una corona di lunette in finto marmo.
Poi Correggio continua a “sfondare i soffitti”, con il dipingere la cupola di san Giovanni Evangelista, sempre a Parma, dove un Cristo, come racconta l’Apocalisse, ascende al cielo tra la cerchia degli apostoli, che sembrano ricorrersi l’un l’altro, lungo la cornice circolare della calotta sferica.
Infine, nella cupola del Duomo della città, accentua e complica questo moto rotatorio imprimendogli, con un’invenzione spettacolare, un’apparente accelerata velocità e una profondità vertiginosa, con il graduale scalare delle nubi e dei cori celesti, che sprofondano in alto, verso l’infinito.
«Figurò – descrive il Vasari (1511-1574) ne “Le vite” – una Nostra Donna, che ascende in cielo tra Angeli e altri Santi con intorno…una grandissima moltitudine di figure lavorate in fresco, vedute di sotto in su con grandissima maraviglia…che se l’ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia e (fosse) stato a Roma… sarebbe venuto al sommo dei grandi». Eppure, sembra oggi accertato che l’Allegri sia stato a Roma. Ma non ebbe quel successo sperato: troppo lontano era il suo stile, che travalica l’equilibrio classico, dal raffaellismo dominante nella Roma papalina del tempo. La Madonna non ha nulla di maestoso e, con piedi e gambe nude, è appena coperta da un bianco lenzuolo svolazzante.
Un’opera che non può mancare, in un grande museo
“Un artista prebarocco”, è stato definito Correggio, perché, pur realizzando spazi amplissimi in prospettive travolgenti, li sostiene con la sicura composizione geometrica del cerchio. E, che non sia un artista barocco tout court, si comprende soprattutto se lo si paragona a un pittore del secolo seguente, barocco per eccellenza, che crea figure che vivono in un libero spazio non precostituito e lo rendono vivo. Ci riferiamo a Luca Giordano, ammirato nella fantastica mostra curata da Stefano Causa, coadiuvato da Patrizia Piscitello, al Museo di Capodimonte di Napoli, che precipitosamente chiusa per il Covid, in questi giorni è stata riaperta, fino all’11 aprile.
Correggio, che era stato mortificato dalla critica classicheggiante e poi da quella neoclassica, appunto per il suo travolgere lo spazio tradizionale, seppur seguendo, forzandole, le tradizionali regole prospettiche, ora è stato giustamente riabilitato. Tanto che, nel documentario citato, il direttore della Reggia Museo e del Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger ci dice che non c’è nessun grande museo che manchi di almeno un’opera del Correggio. E Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, ci ricorda che il Correggio è uno degli artisti più copiati.
Correggio, ovvero, le prove dell’amore (non pervenute)
Lui è anche il cantore dell’amore. È autore di scene profane, dove racconta dell’amore reale in veste mitologica, esprimendo, con un’acutissima sensibilità, straordinaria in un uomo, l’erotico piacere della donna, le sue sensazioni intime, rendendo il brivido dei sensi nel fremito della sua epidermide nuda e nel tepore del rapido respiro nella bocca socchiusa. Le sue eroine sono donne dalla silhouette sinuosa e la vita sottile, che si prestano ai dolci slanci e alle sdutte movenze dell’unione amorosa.
Al vederle, si potrebbe pensare a un profondo sperimentatore dei peccaminosi amori di donne fascinose. Ma…sorpresa! Antonio Allegri – almeno a detta del Vasari – «viveva da bonissimo cristiano» e, per quanto poco si sappia della sua vita per il suo essere ritroso (e non si conosce di lui nessun ritratto), essendo «aggravato di famiglia e di continuo risparmiare» (è sempre Vasari che ce lo dice), deve essere stato soltanto il castigato amante della propria moglie.
Adriana Dragoni
fonte
www.exibart.com