Preghiera alla Madonna della Civita per la cessazione del coronavirus
Vorremmo avere la parola alata e penetrante di Cicerone
per suscitare nei cuori esacerbati un fervido palpito.
Ci raccomandiamo a Te, o Vergine Maria, con slancio di fede,
affinché la morte la smetta di falciare vite umane,
che non hanno avuto, a volte, l’onore di un cippo
o di un marmoreo monumemto, che l’Angelo del Signore,
l’Angelo delle tombe, amorevole, avrebbe ricoperto delle sue ali,
difendendole dagli insulti delle procelle e dei venti.
C’è nel nostro sguardo tutta la possanza dell’umile prece
che sui poveri morti invoca refrigerio e luce sempiterna.
Preghiamo, piegando le ginocchia innanzi alla venerata icona, del pennello
di S. Luca, di essere ammessi alla celeste magione, fra il coro degli angeli,
che Ti fan corona, o pietosa Salvatrice del mondo,tutta santa,
tutta bella e pura, rosa aulente, coronata di stelle in somma luce,
umile e alta più che creatura.
Imploriamo da Te, madre di rara grazia e di rara bontà,
madre di raro amore e di raro fervore, misericordia e protezione,
Tu che rallegrasti di luce e d’armonia le apriche valli sottostanti al santuario
della Civita e le scoscese balze vestite di vento; Tu che, con mano pietosa,
salvasti Itri e le città vicine dalla terribile epidemia che infieriva
nel regno di Napoli e in Terra di Lavoro, che ne erano desolati,
pagandone un largo, triste tributo.
Le invocazioni, le suppliche a Maria SS. ma della Civita si moltiplicavano,
strazianti ed angosciose, fino a quando esse furono accolte benignamente
dalla bruna Madonna di Itri, che da secoli aveva eletto il santuario di Itri
a luogo speciale, sacrato alla Regina degli angeli, vivente tra gli elci annosi
e i pallenti olivi, dal languido riflesso.
La veemenza del crudele morbo andò sensibilmente scemando
e si arrestò per sempre, salvando, Maria, con questo portento, le genti
di Terra di Lavoro e di tutto il reame di Napoli, liberate da tale flagello.
La cittadina di Ceccano, in segno di riconoscenza, stabilì di somministrare
perpetuamente al suddetto santuario un rubio di grano annuo. Era il 21 luglio dell’Anno Domini 1527. Da allora, ininterrottamente nei secoli, si celebra ad Itri e al santuario della Civita, con grandissima devozione e solennità, una grande festa, a cui partecipa un popolo radiante di letizia, su cui l’inclita Madre dell’Uomo-Dio dispiega speciale patrocinio e versa infinite grazie.
Ora, in questo tragico momento, in questa primavera che non ha rondini, occorre che gli italiani abbiano bisogno delle sue braccia di tenerezza, del Suo cuore, del sorriso dei Suoi dolci occhi.
Per riapprendere il sogno in canti d’esultanza, Madre del Verbo Amore, Signora di Fiducia, eccoci rivestiti del nostro abito di fanciullo trapunto di ricami.
E’ il solo ornamento che si addice a chi ha perduto l’innocenza e non s’imbeve più di
luce solare. Eleviamo a Te la nostra debole voce per lodarTi e amare il creato, che indegnamente ci hai donato, o Signore.
Alfredo Saccoccio