Prendere esempio dal “brigante Piccioni”
Giovanni Piccioni, grande figura della terra marchigiana. Da ufficiale dell’esercito del papa difese con eroismo le terre dello Stato Pontificio.
Fu definito Brigante dai piemontesi.
Il pronipote Luigi: “Sacrificò la vita per la sua terra”
Una storia da riscrivere quella della cosiddetta Unità d’Italia.
Come ha ben scritto nel suo libro lo storico Carlo Alianello fu una “CONQUISTA DEL SUD” da parte dei piemontesi per conto delle consorterie massoniche anglo francesi dell’epoca.
Il maggiore Piccioni si batté per difendere lo Stato Pontificio in nome della fede cattolica. Anche i suoi tre figli più grandi combatterono per la stessa battaglia.
Abbiamo incontrato Luigi Piccioni farmacista nel comune teramano di Valle Castellana dove vive da 42 anni. Luigi ci ha fatto un racconto ben documentato sulla storia di Giovanni Piccioni, nonno di suo nonno.
Da sempre nella zona è stato conosciuto come il brigante Piccioni ma Giovanni Piccioni non è mai stato un brigante. La sua storia va raccontata correttamente e riscritta affinché tutti la conoscano.
Giovanni Piccioni nacque nel 1798 a San Gregorio, frazione del Comune di Acquasanta Terme. All’epoca San Gregorio era sotto il Comune di Monte Calvo. Dopo l’unità d’Italia furono ridisegnati i confini e Monte Calvo fu assorbito dal Comune di Acquasanta.
Giovanbattista Piccioni e Anna Fabiani, erano agricoltori su queste montagne e proprietari di caseggiati e terreni che coltivavano a grano e orzo soprattutto.
Due anni dopo la nascita di Giovanni, nel 1800, la famiglia si trasferì a Castel Trosino, frazione di Ascoli Piceno. Il padre Giovanbattista decise infatti di raggiungere il fratello don Marco Piccioni il quale istruì Giovanni fin da bambino. Don Marco, parroco di Castel Trosino insegnò a Giovanni a leggere e scrivere e lo educò ai precetti della Chiesa.
Una formazione cattolica vera che segnerà tutto il corso della sua vita.
Raggiunta l’ètà matura, Giovanni giura fedeltà al Papa ed entra nel corpo dei Centurioni.
I Centurioni formavano un corpo militare di volontari istituito dal Cardinale Albani e poi preso in consegna dal Cardinale Tommaso Benetti di Fermo, a supporto dell’esercito papale soprattutto nelle regioni più periferiche. Bene armati e addestrati alle tecniche della guerriglia, diventano una parte della difesa dello Stato Pontificio.
Nei Centurioni Giovanni Piccioni raggiunge presto il grado di Maggiore, un titolo che porterà per sempre.
Come Maggiore affiancava il Generale del Corpo. Tra i Generali che affiancò ci fu Monsignor Savelli nel 1849 che risiedeva a Teramo. Nel 1860 era al fianco del Generale Conte di Chevigny.
L’esercito di volontari entrava in funzione nei momenti di necessità.
Di fatti nelle varie guerre sono sempre intervenuti gli eserciti regolari delle nazioni cattoliche europee: una volta i francesi, un’altra gli austriaci. A questi eserciti regolari si affiancavano i volontari dell’esercito pontificio.
I volontari arrivavano da tutte le parti del mondo per la difesa dello Stato Pontificio, affluendo a Roma, dove c’erano dei comitati di arruolamento.
A circa 23 anni Giovanni sposa Angela Caponi e ritorna sulle sue montagne. Acquista dalla famiglia Rozzi casa e terreni a Rocca di Montecalvo, proprio sopra il lago di Talvacchia, poco distante da San Gregorio. Casa dei Rozzi si chiamerà così per sempre quell’agglomerato, dove, con manodopera locale, torna a lavorare la terra e a curare i suoi vigneti che danno buon vino.
Qui Giovanni viene presto eletto Priore del Comune di Montecalvo.
Il Priore era l’equivalente odierno del Sindaco. Designato dalla Curia Vescovile, quindi uomo di fiducia dello Stato Pontificio ma eletto dai suoi compaesani che vedono in lui il loro Primo cittadino. Piccioni guiderà le milizie papaline locali alla riconquista di Ascoli Piceno, passata ai rivoltosi dopo i moti insurrezionali del 1831, spinti dai venti massonico rivoluzionari che spirano dall’Europa. Chiama a raccolta e guida in battaglia i suoi centurioni provenienti dai Comuni dell’alta valle del Tronto. Tanti volontari che si uniscono nella battaglia in difesa dello Stato Pontificio. Da Montecalvo, da Mozzano, Acquasanta, Montegallo, Arquata.
A San Gregorio il maggiore Piccioni insedia il suo quartier generale. Organizza gerarchicamente e disloca le sei compagnie, che arriverà a contare migliaia di uomini, nei vari punti strategici, Mozzano, Cagnano, Coperso, Spelonga, Montegallo.
È il Corpo di Riserva Pontificio una milizia volontaria bene armata, nata e formata con la dottrina cattolica, che si scontra, nel 1849, con i rivoltosi ascolani alle porte della città.
È una grande vittoria sui mazziniani guidati dal capitano Colucci, per il comandante Piccioni, che entra in Ascoli alla testa dei suoi uomini e in città ripristina il governo pontificio. Fa abbattere l’albero, simbolo massonico della rivolta in Piazza del Popolo e riconsegna la città delle cento torri al Papato.
Un’impresa che verrà ricompensata da una medaglia e una modesta pensione di tre scudi romani al mese. Il comandante Piccioni diventa famoso in tutta la zona.
Ma lui umilmente torna a coltivare le sue terre, alla vita semplice di montanaro con la sua numerosa famiglia. La moglie Angela gli ha dato infatti ben nove figli: Giorgio, Gregorio e Leopoldo, che combatteranno al suo fianco, Giovanbattista e Gioacchino e poi le quattro femmine, Leopoldina, Rosalia, Michelina e Giacinta.
Ma la fede in Cristo e al Papa lo chiama presto ancora in causa a difesa della sua terra invasa dai neo giacobini piemontesi.
L’avanzata dei mercenari garibaldini, finanziati da quella massoneria mondialista che oggi finanzia i tagliagole dell’Isis e Al-Qaeda, da Sud e l’offensiva barbarica piemontese da nord tentano, solo pochi anni dopo, di stritolare nella morsa lo Stato Pontificio. Il potere temporale dalla Santa Sede esercitato sui propri territori per quasi mille anni è a rischio. Il suo esercito di volontari è piccolo e con pochi mezzi di fronte all’orda barbarica che arriva dal Piemonte e raccoglie invasati dalla Lombardia, dall’Inghilterra, dalla Francia, Ungheria, Polonia, Stati Uniti e persino dalla Turchia. Parlavano una strana lingua e bestemmiavano in continuazione in onore all’idolo diabolico massonico!
Il generale Lamoriciere pensa ancora a Piccioni e alle sue milizie come baluardo difensivo. A San Gregorio il Maggiore mantiene il suo giuramento di fedeltà a Cristo e alla Chiesa e torna a schierarsi ancora sotto la bandiera bianca e gialla con le insegne Pontificie radunando i suoi uomini. Chevigny ha facile successo con il Maggiore, valoroso soldato di Cristo, sperando anche in rinforzi da Roma e il soccorso di potenze straniere, che non arriveranno mai.
Giovanni Piccioni, sapendo che agli uomini tocca la battaglia e a Dio la Gloria, non esita a tornare a servire la causa, in nome dei nobili ideali che hanno sempre animato la sua vita. All’inizio ottiene qualche successo nei primi atti di guerriglia contro le truppe piemontesi. I nuovi invasori della sua terra, non esitano ad usare ogni mezzo per soffocare al più presto, nel sangue, quella che può considerarsi la prima forma di Resistenza della Storia italiana.
Altro che Fratelli d’Italia! I barbari sotto il comando del generale Ferdinando Augusto Pinelli iniziano infatti a terrorizzare ignobilmente gli abitanti indifesi dei paesi sospettati di dare supporto agli uomini di Piccioni. Vengono definiti tutti delinquenti comuni. Briganti. Già, briganti. Cafoni che attentano alla sicurezza del nascente regno italiota. E con questa scusa vennero compiuti massacri inenarrabili! E versati fiumi di sangue per questa Italia falsa e criminale che ancora oggi non rende giustizia ai morti.
Nonostante le riscoperte storiche di questi fatti i nostri ragazzi a scuola sono costretti ad imparare che i criminali sono stati eroi della Storia. Scritta, sempre, da chi le guerre le vince.
La verità è che proprio la conquista del sud è stata una vergogna che grida al cospetto di Dio.
Ottanta anni dopo questi eventi mostruosi i nazisti vengono accusati di atrocità, ma di queste atrocità furono “maestri” i piemontesi nell’invasione degli stati italiani indipendenti.
Case incendiate, razzie di animali, saccheggi, esecuzioni sommarie di civili, stupri e violenze efferate sistematiche ai danni della popolazione civile inerme, e spesso innocente, fiaccano presto ogni resistenza.
Pinelli, che ebbe a dichiarare “…contro nemici tali la pietà è un delitto…” fa terra bruciata intorno agli uomini di Piccioni senza quasi mai affrontarli direttamente. Qui si vede la vigliaccheria di questa gentaglia definita “eroe” nei libri di scuola.
Il terrore si diffonde tra la gente e dà i suoi frutti. I collegamenti fra le formazioni pontificie già difficili, si interrompono, e vengono a mancare i rifornimenti. Non c’è casa dell’acquasantano che non abbia avuto morti ammazzati dalle truppe regie. Dopo tanti lutti familiari patiti, anche lo scoramento fra i riservisti pontifici si fa strada.
Piccioni scioglie le Compagnie. Chi vuole può tornare a casa. In molti, braccati e affamati, restano alla macchia come lui. Qualcuno, come i suoi figli, riesce a raggiungere Roma per riunirsi ai comitati anti-unitari della capitale. Giorgio rimarrà ucciso in un agguato tesogli dagli uomini di Pinelli a Piedicava di Acquasanta. Leopoldo, arrestato a Roma nel 1867, sconterà 25 anni di prigione, prima a Gaeta e poi a Pianosa. Tornerà infine nella sua casa di Rocca di Montecalvo dove morirà il 14 aprile 1898. Anche Gregorio morirà segregato, in condizioni disumane, nel carcere duro di Finalborgo, in provincia di Savona. Un ex convento confiscato proprio allo Stato Pontificio.
Braccato per due anni come un pericolo pubblico il Maggiore Piccioni riesce a sfuggire alla cattura. Nascondendosi nei boschi che conosce a memoria in ogni anfratto e grazie all’aiuto prezioso di pochissimi amici fidati. Sulla sua testa è stata messa una taglia molto allettante dai piemontesi. Nel 1863 decide di raggiungere i figli a Roma. A Colonna di Acquasanta si aggrega a due sacerdoti, conosciuti grazie ad una delle sue figlie, diretti proprio nella capitale per proseguire poi verso le loro Missioni in Africa.
Verrà tradito da chi gli procura falsi documenti di identità per il viaggio. Viene catturato infatti in una trattoria vicino alla stazione di San Benedetto del Tronto, dove sta pranzando con i due religiosi in attesa del treno. Il commissario ascolano Alvitreti si farà un nome grazie a quell’arresto eccellente, frutto solo di una delazione infame. Tradotto alla Fortezza Malatesta di Ascoli Giovanni Piccioni affronta un processo farsa dalla sentenza già scritta.
Insurrezione e costituzione di banda armata, secondo l’accusa.
Fu condannato a sedici anni di reclusione, che a 65 anni di età, equivalgono ad un ergastolo e a mille lire di multa. Lui conscio che morirà dentro quella prigione, alla lettura della sentenza sbeffeggia il giudice: “Qualche anno farò in tempo a farmelo. Gli altri dovrà farseli lei al posto mio”.
Morirà in carcere 5 anni dopo nel 1868. Il suo cadavere fu gettato nella fossa comune della Fortezza. I suoi discendenti perseguitati fino al 1945 dal Governo italiano, che esige, come da sentenza, trentaduemila lire di risarcimento danni.
Un prestito della Curia di 323 scudi romani permetterà loro di saldare il debito con lo Stato ed evitare il pignoramento degli immobili.
Dai frutti li riconoscerete
A conquista avvenuta da parte dei piemontesi il centro sud dell’Italia conobbe un forte impoverimento che favorì l’emigrazione.
Ci racconta sempre Luigi Piccioni che nel confinante Abruzzo era fiorente la produzione ed il commercio della lana che poi finiva nelle industrie tessili napoletane. Dopo l’arrivo dei piemontesi questo mercato chiuse. Ci fu un caso fortunato, a Fara San Martino, dove le cose andarono bene perché gli imprenditori riuscirono a riconvertire l’attività laniera in un pastificio divenuto poi famoso nel mondo. Per il resto fu una tragedia che provocò emigrazione nelle Americhe e nel nord Italia.
Oggi sembra di rivivere lo stesso dramma con l’Europa!
Un vero eroe! Esempio per i nostri tempi. Tempi mediocri di questa modernità sedata prevalentemente dal sistema mediatico che riesce ad incutere terrore nella popolazione e soprattutto in molti giovani che smettono di vivere per paura di morire. La grande forza e determinazione di Giovanni Piccioni era fondata nella Fede in Cristo e al servizio della Chiesa. Così aveva educato anche i suoi figli che si erano battuti per la stessa causa.
“Gli uomini come Giovanni Piccioni si meritano più rispetto – sostiene, non da oggi, il pronipote Luigi – l’impegno, la perseveranza, la devozione alla causa di queste persone sono inimmaginabili al giorno d’oggi. Giovanni ha sacrificato la propria vita e quella di suoi tre figli solo ed esclusivamente per lo Stato Pontificio e per gli ideali più alti che esso rappresentava”.
L’integrità morale del Priore di Montecalvo, Giovanni Piccioni, non è mai venuta meno. Ricorda ancora il pronipote Luigi: “Ben sapendo che qualcuno dei suoi uomini sotto la bandiera del Papa avrebbe potuto approfittare per perseguire bassi interessi personali o consumare vendette private, in una lettera aperta così li ammonisce”:
“Quartier Generale di San Gregorio, 12 gennaio 1861…soldati, nel mentre debbo rallegrarmi con voi per le vostre prodezze già operate contro il nemico e lodare il vostro sommo valore, sono costretto, con grande dispiacere e rammarico, per le lagnanze di molti buoni e legittimi fedeli al nostro sovrano Pio IX°, a rimproveravi per le soverchierie e i disturbi che fate a questi patire…ricordatevi che voi siete assoldati per difendere la religione di un Cristo, Egli è il vostro sommo padrone e primario condottiero e che lungi dovete essere dalle ubriachezze e dalle bestemmie e da qualunque discorso maldicente e immodesto…rispetto dovete avere alla Santa Chiesa e ai ministri di Dio, a pro dei quali dobbiamo esporre le nostre sostanze e le nostre vite… coraggio! mentre risorgeremo dalle nostre miserie, dimenticheremo le nostre sventure, e fiduciati nell’aiuto del sommo Iddio, dell’Immacolata Concezione Maria Santissima, e del nostro inclito protettore Sant’Emidio, seguiteremo con maggiore forza, con maggiore valore a battere il nostro nemico…”.
Altro che brigante, bandito cafone, ladrone rozzo e sanguinario, come è stato descritto poi dai vincitori. In queste righe c’è tutto il Credo granitico del Maggiore Giovanni Piccioni. Una figura da far conoscere.
Oggi più che mai appare doveroso ridare dignità a Giovanni Piccioni che brigante non è mai stato.
“Quando sento parlare dell’albero del Piccioni – continua Luigi – come il nascondiglio preferito per i suoi agguati ai viandanti da rapinare, mi viene da sorridere. Il nonno di mio nonno non c’entra nulla con quell’albero. Ma quel gigantesco e millenario platano cavo che sorge lungo la via Salaria, continua a tramandare una leggenda che contribuisce a mantenere viva anche la memoria di Giovanni. Perciò va bene così. Vorrei solo riuscire ad affiggere una targa sulla sua casa natale di San Gregorio, magari a fargli intitolare anche una piazza, come il Comune di Acquasanta ci ha promesso e dargli una tomba, anche simbolica, nella sua terra che tanto ha amato. Faccio appello a storici,
antiquari e collezionisti. Chi avesse oggetti o documenti antichi che riguardano, o ricordano, il maggiore Piccioni, ce lo comunicassero. Siamo interessati, noi ultimi suoi discendenti, a custodirne la memoria”.
Ci lasciamo con Luigi con l’auspicio di ritrovarci in un futuro prossimo per l’inaugurazione di una Piazzetta del paesino di San Gregorio intitolata a Giovanni Piccioni. Con la speranza che il Comune di Acquasanta Terme accolga la richiesta.
Massimo Martelli
fonte