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Presepe Napoletano: per tutto il periodo natalizio su Identità Insorgenti è stata raccontata la storia (anche simbolica) dei pastori

Posted by on Gen 6, 2018

Presepe Napoletano: per tutto il periodo natalizio su Identità Insorgenti è stata raccontata la storia (anche simbolica) dei pastori

“ Era entrata nella bottega di Peppino Ascione, suo cugino, quello che faceva i Santi. La bottega era piccola e i cinque o sei Santi, grandi, al naturale, di legno scolpito, la riempivano.

Veramente Peppino Ascione faceva loro solamente la testa, le mani e i piedi, di stucco, delicatamente dipinti: ma egli era il primo stuccatore di Santi dei Banchi Nuovi, che pure è il quartiere tradizionale dove si fanno i Santi.

Quando occorreva, dipingeva anche i vestiti, sul legno, passandovi mollemente sopra il pennello intriso in una tinta assai ingenua: la tonaca azzurra della Madonna Immacolata cosparsa di stelle d’oro e d’argento, la tonaca bigia e il mantello azzurro del grande S. Giuseppe, la tonaca marrone del poverello di Assisi.

Ma preferiva, in verità, come tutto il popolo napoletano preferisce, le statue dei Santi vestite veramente, di lana o di seta, con una vera tonaca ricamata o trapunta, con un vero cordone

Matilde Serao

Ecco il luogo di ricordare anche un’altra spiccata passione dei napoletani. Sono i piccoli presepi che si vedono a Natale in tutte le chiese, rappresentanti propriamente l’adorazione dei pastori, degli angeli e dei Re Magi, raggruppati, più o meno compiutamente con maggiore o minore lusso o ricchezza. Questa rappresentazione è montata nell’allegra Napoli fin sui terrazzi delle case, vi si costruisce una leggera impalcatura a forma di capanna, ornata di alberi e cespugli sempre verdi.
La Madonna, il Bambino e tutti i circostanti e quelli sospesi nell’aria sono riccamente vestiti, e la casa impiega grandi somme per questo vestiario.

Ma ciò che rende inimitabile l’insieme è lo sfondo che comprende il Vesuvio con i suoi dintorni.
Ed è proprio questa la ragione per cui il presepe a Napoli, nel corso dei secoli, è divenuto parte integrante della città stessa, ha affascinato ed affascina ogni ceto, rappresenta e rappresenterà sempre la parte più reale e più viva del popolo napoletano colto nelle sue poliedriche e infinite sfaccettature.

Goethe


Abbiamo deciso di fare, con i nostri piccoli mezzi, un regalo ai nostri lettori, raccontando loro, per i prossimi 25 giorni, alcune delle figure tipiche del presepe napoletano, una al giorno, fino a Natale.  Accompagneremo ogni racconto con una foto di Francesco Paolo Busco fatta nelle botteghe dei nostri artigiani tra San Gregorio Armeno, san Biagio dei Librai, via dei Tribunali, in quel quadrilatero dell’arte artigiana che ben conosciamo e che vi raccontiamo ogni giorno. Stavolta questo viaggio ci porterà tra sacro e profano a scoprire i simboli dei vari soggetti che animano le case non solo dei partenopei nonché i musei della città.  Il presepe è inequivocabilmente Napoli e la sua identità, i pastori rappresentazione del popolo napoletano, le case, le osterie, il paesaggio sono partenopei, nulla vi è che possa rimandare alla Palestina se non, solo ed esclusivamente, le figure della natività. La passeggiata tra le bancarelle e la riscoperta del presepe d’arte a  San Martino, nella Reggia di Caserta, con i pastori di provenienza borbonica, a Capodimonte, dove è esposta una raffinata Adorazione degli Angeli, nel Correale di Sorrento, fanno parte ormai anche quelle della nostra ritualità natalizia.

Le origini

Anche sul presepe vi è una “narratio” ufficiale che non corrisponde al vero: secondo gli storici il presepe sarebbe un’invenzione di San Francesco d’Assisi che nel 1233 realizzò a Gubbio la messinscena della nascita di Gesù. E’ però, questa data, un falso storico, dal momento che a Napoli si ha notizia del presepe già nel 1025, in un documento che menziona la Chiesa di S. Maria del presepe – a Salita Capodimonte, nella foto qui su, sempre di Busco – e, un secolo dopo l’idea francescana, se ne parla anche in un documento del 1324 quando viene citata ad Amalfi una “cappella del presepe di casa d’Alagni”.

Ma del resto se volessimo andare più indietro  ancora- e come vedremo più avanti questo è un aspetto sottolineato anche da Roberto De Simone –  dovremmo spostarci nella Napoli greca, proprio là dove oggi c’è San Gregorio Armeno, la strada dei presepi artigiani: qui, racconta Claudio Canzanella in “Razzullo e la Sibilla, il presepe dalle radici pagane alla Sacra Rappresentazione” – dove tra l’altro si ricorda in un capitolo sia La Cantata dei pastori e le sue origine, che Natale in Casa Cupiello, citando le opere del teatro partenopeo legato al tema – le statuette in terracotta esistevano assai prima della nascita di Cristo. “Fin dal IV secolo avanti Cristo i greci e poi i romani che abitavano Neapolis si recavano proprio dove esistevano i templi dei Dioscuri, di Demetra e Cerere, di Iside per acquistare statuette votive da donare alle divinità, sia per propiziarle che come ex voto”. Del resto, sottolinea a sua volta Antonio Daldanise in “Mi piace o presepio” associare la data del 25 dicembre alla nascita è una cosa che si richiama ai riti orientali dove la Vergine veniva paragonata alla Dea Celeste e il sole nascente alla figura di un neonato. La data, inoltre, nel mondo pagano, segnava la nascita del Dio Mitra, il sole invictus che lotta contro le tenebre discendendo nel regno dei morti e risalendone vittorioso. Su quelle origini pagane

E’ comunque nel secolo XV che compaiono i primi “figurarum sculptores” che realizzano sacre rappresentazioni in chiese e cappelle napoletane – le più importanti sono quelle dei presepi di San Giovanni a Carbonara dei fratelli Pietro e Giovanni Alemanno, San Domenico Maggiore, Sant’Eligio e Santa Chiara. Sono statue lignee policrome a grandezza naturale colte in atteggiamenti ieratici di intensa religiosità, poste davanti ad un fondale dipinto. Verso la metà del 1500, con l’abbandono del simbolismo medioevale, nasce invece il presepe moderno per merito, secondo la tradizione, di San Gaetano da Thiene che nel 1530 realizza nell’oratorio di Santa Maria della Stelletta, presso l’Ospedale degli Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo.

L’arte presepiale napoletana è stata storicamente, e lo è tutt’oggi, veicolo di identificazione della “napoletanità”, ed è passata dall’essere un simbolo religioso ad uno strumento descrittivo della cultura napoletana, nella quale ogni cittadino si identifica e si sente rappresentato.

Il realismo è caratteristica di quest’arte, ed è stato ripreso sia  nelle rappresentazioni teatrali che nelle produzioni cinematografiche. Questo realismo ha preso piede nel ‘500 quando iniziano a comparire sul presepe i primi accenni al paesaggio in rilievo che sostituisce quello del fondale dipinto; al bue e all’asinello – unici animali presenti nella rappresentazione – si aggiungono via via cani, pecore, capre. Durante il ‘500 si intensifica anche la costruzione dei presepi con figure di dimensioni sempre più ridotte fino a giungere alla realizzazione del primo presepe mobile a figure articolabili, allestito dai padri Scolopi nel 1627.

Il secolo d’oro del presepio a Napoli è il ‘700 e coincide con il Regno di Carlo III di Borbone, sovrano mecenate che riporta la città partenopea al livello delle più ferventi capitali europee, alimentando una meravigliosa fioritura culturale e artistica, testimoniata anche dalla magnifica produzione presepiale.

Di questo ci narra anche Marco Perillo in “101 perché sulla storia di Napoli che non puoi non sapere” quando sottolinea il multiculturalismo dell’epoca borbonica, con pastori turchi e georgiani (che effettivamente frequentavano all’epoca la città di Napoli).

Nel 700 inoltre cambiano le tecniche di realizzazione del “pastore” sostituendo la statua scolpita, la cui realizzazione richiedeva troppo tempo, con manichini con un’anima di fil di ferro, arti in legno e teste di terracotta ricavate da piccoli stampi, che avevano anche il pregio di poter essere articolati come richiedeva il personaggio, rappresentato nell’atto in cui veniva colto, dando l’impressione del movimento.

Il pastoraio diviene una vera e propria professione, che coinvolge anche le donne di casa adibite al taglio e cucito delle vesti, con specializzazioni diverse, nella realizzazione di pastori, di animali di strumenti di lavoro e musicali, di prodotto dell’orto e minuterie varie tutti riprodotti in scala.

Tra questi eccelle Giuseppe Sammartino e per gli animali Saverio Vassallo. Altri storici artisti artigiani sono Matteo Bottigliero, Lorenzo Mosca, Angelo Vivo, Francesco Celebrano e Giovan Battista Polidoro Nasce lo “scoglio”, una sorta di sperone roccioso che, a seconda delle dimensioni può ospitare la scena del “Mistero” (Maria, Giuseppe, Gesù, Angeli, bue e asinello) o costituire la base per tutto il paesaggio presepiale. La grotta, con una miriade di Angeli che scendono dall’alto viene sempre più spesso sostituita con le rovine di un tempio pagano; la scena della Natività è sempre più defilata e quasi soffocata nello scenario circostante sovrabbondante di personaggi e paesaggi, nei quali spicca il corteo dei magi reso più esotico dal seguito dei “mori” abbigliati con vesti orientali dai colori sgargianti.

E’ questo il presepe napoletano più puro: una folla di contadini, pastori, pescatori, artigiani, mendicanti, popolo minuto e notabili, tutti colti nelle loro attività quotidiane o in momenti di svago, nei mercati, nelle botteghe, taverne, vie e piazze in scorci di vita cittadina o paesana.

E con i Borbone, dunque, che il presepe diventa una vera e propria moda. Lo stesso re, abile nei lavori manuali e nella realizzazione di congegni, si circonda di scenografi, artisti e architetti. Tra questi G. B. Nauclerio che, attraverso tecniche di illuminazione, simulava il passaggio dal giorno alla notte e viceversa e ancora Cappello e De Fazio nonché il dilettante Mosca impiegato e geniale presepista.

La regina e le dame di corte confezionano minuscoli abiti per i manichini con le stoffe tessute negli opifici reali di San Leucio. Il presepio immenso, viene allestito in alcuni saloni del Palazzo Reale di Napoli, con centinaia di personaggi e una gran cura per i dettagli. I nobili naturalmente imitano il sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati: gemme preziose, magnifiche stoffe catturano l’attenzione del “popolino” – ammesso nelle case patrizie per ammirare il presepio – forse più della scena stessa.

Famosi i presepi allestiti per il principe di Ischitella, con i Magi abbigliati con vesti dove brillavano innumerevoli gioielli.

Ed è sempre in quest’epoca che il presepio si diffonde anche presso il popolo partenopeo, anche se in forma naturalmente meno sontuosa; ogni casa ha comunque il suo presepio seppure con pochi “pastori” raggruppati su un minuscolo “scoglio”, dentro la “scarabattola”, una teca da appendere al muro o tenere sul comò.

E’ tale la frenesia del presepe di Napoli da suscitare le pur bonarie critiche dell’architetto Luigi Vanvitelli che nel 1752 scrivendo al fratello Urbano a Roma, definisce il presepe una “ragazzata” pur rilevando “l’abilità” e la “efficace applicazione” dei napoletani così “goffi nel resto”. E’ chiaro che il presepe settecentesco, non a caso definito cortese, di sacro conserva ben poco.

Si rivela più una esperienza mondana dei nobili e ricchi borghesi: l’avvenimento e il passatempo principale delle festività natalizie, quando il re e la corte visitavano i presepi più rinomati della capitale del regno che talvolta riuscivano a stupire anche la regina come accadde a Carolina nel 1768, alla visita del presepe allestito nella chiesa di Gesù Nuovo.

Tuttavia l’universalità e la spettacolarità che si accompagnano all’evento presepio del ‘700 e le critiche che ne conseguirono, nulla tolgono alla Napoli splendida capitale di cultura e d’arte e meta irrinunciabile di colti viaggiatori italiani e stranieri di quell’era.

Dopo il regno di Ferdinando IV il presepe cominciò a decadere. La maggior parte dei presepi furono definitivamente smontati, i pastori venduti o dispersi. Di questi fantastici presepi non è giunto fino a noi quasi nulla. Tra i pochi salvati, va ricordato il magnifico allestimento Cuciniello, donato dallo scrittore Michele Cuciniello alla città di Napoli e conservato nel Museo della Certosa di San Martino.

E del resto come sottolinea il Maestro Roberto De Simone in uno dei suoi libri dedicati al presepe Napoletano, “sarebbe impensabile, oggi, pretendere di leggere compiutamente i segnali correlati alla tradizione piú autentica del Natale, dal momento che molti di essi appaiono degradati a sbiadito retaggio di una cultura alla quale, nel lento scorrere del tempo, sì è sostituito tutto un mondo di segni e valori diversi dal Natale così come era sentito e vissuto una volta. Lo stesso presepe settecentesco, al di là del suo indiscusso valore storico e artistico, ridotto oggi a esibizione di mero collezionismo, di ostentato benessere economico, ha perduto ogni riferimento alla sua originaria espressione devozionale”. Per De Simone comunque per analizzare la storia del presepe napoletano è necessario partire dal presupposto che la festa del Natale è molto piú antica del Natale cristiano, essendo comune a diversi popoli il mito solare di un divino Bambino partorito in una grotta da una Madre vergine”.

Nel corso di due millenni il nostro Natale ha intessuto un simbolismo di notevole complessità storica e religiosa. Il nostro tentativo, sperando di fare cosa gradita, sarà quello di raccontarvene alcuni significativi elementi.

Lucilla Parlato

Fonti:
Il presepe popolare napoletano – Roberto De Simone – Einaudi
Mi piace ‘o Presepio – Storia, curiosità e notizie – Antonio Daldanise – Pisanti
Razzullo e la Sibilla – Il presepe alle radici pagane della sacra rappresentazione – Claudio Canzanella – Stamperie del Valentino
Tradizioni Popolari di Napoli – Claudio Corvino – Newton Compton
101 perché sulla storia di Napoli che non puoi non sapere – Marco Perillo – Newton Compton
www.presepi.it

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