PRIMERANO di NICOLA ZITARA
Anni ’50. Bovalino, andata e ritorno
Non credo che chi, in passato, avviava un’industria in Calabria fosse spinto dallo spirito del profitto. L’avarizia era connessa alla rendita, al commercio, alle libere professioni. Semmai, nelle attività industriali, il profitto era il metro che misurava il successo, mentre le perdite erano l’indicatore opposto. Prima e durante la guerra, nell’antica terra del padronato fondiario, arrivò il tempo dei pastifici e dei mulini. Fu una gara a chi ci sapeva fare, come nelle corse in bicicletta dei dilettanti. Ne sorsero dovunque. In un certo senso fu una rivolta della provincia contro Napoli e il suo hinterland, nonché la messa in discussione di Messina che, con i Molini Gazzi, esercitava una sua indiscussa egemonia sulla panificazione in Calabria. D’altra parte, a quel tempo, il porto di Messina faceva da struttura di sbarco per le merci dirette in Calabria e in partenza dalla Calabria, in particolare per le arance e i limoni che andavano in Inghilterra e nei paesi del Nord. Una rivolta contro il passato rusticano. Da vecchio sidernese, ricordo il successo che ottennero il pastificio e il molino Cataldo; da (in quegli anni) studente di stanza a Locri quello di un altro pastificio Leonardi e del Molino Fiamingo.
Queste imprese partivano con un capitale proprio. La banca (di regola il Banco di Napoli) aggiungeva come è naturale una parte o tutto il capitale d’esercizio. Siccome nuora non fa cosa che suocera non sappia, anche se non ho mai studiato l’argomento, credo di poter dire che il Banco si muoveva in forza di una direttiva del governo. La prevalenza delle imprese a capitale proprio è un indicatore negativo che rivela la modestia del capitale investito e l’involuzione del sistema meridionale rispetto all’ultima età borbonica, allorché la forma della società per azioni ebbe tale e tanta fortuna da sorprendere positivamente un’economista della statura di Ludovico Bianchini. Nel Sud unitario questo tipo d’impresa, che raccoglie i capitali presso il vasto pubblico divenne (ed è) una cosa di cui si legge sui giornali che il Nord ci manda. Comunque, più che il credito bancario, l’agevolazione a favore dell’industria molitoria proveniva da una disposizione legislativa, in base alla quale i molini, dovunque insediati, ottenevano il grano allo stesso prezzo; cosa resa possibile dall’ammasso obbligatorio del grano, con lo Stato che fissava il prezzo di conferimento e il prezzo di vendita. Traducendo la regola in termini di opportunità concrete, avveniva che i grani teneri centrosettentrionali potevano arrivare alle piccole imprese del Sud senza pagare una mediazione ai grossisti e franco magazzino (espressione del gergo commerciale per dire che il trasporto viene effettuato a carico e a rischio del fornitore)
Fino a che non ci fu la levata di scudi contro il Mezzogiorno da parte della Confindustria, del Corriere della Sera, di quel furfante di Montanelli, il quale insaporiva con l’arte della scrittura i peggiori veleni distillati nei laboratori del municipalismo padano, i nostri poveri paesi di Calabria videro un pullulare di piccole iniziative industriali. Mauro-Caffè (in appresso salita di scala), Spatolisano, Canale Costantino, Lecce, D’Alessandro, il saponificio Audino, i lanifici e i cotonifici nell’Alto Tirreno cosentino, le fabbriche di laterizi e le raffinerie delle sanse dovunque, la Calce idrata D’Agotino sono un ricordo personale e non certo un elenco esaustivo, che forse neppure la Camera di Commercio ha mai compilato.