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Proverbi e verità

Posted by on Giu 8, 2024

Proverbi e verità

Qualche tempo fa un giornalista reduce da un viaggio in Sardegna mi confessava francamente quanto fosse difficile per lui completare il suo servizio senza ripetere i soliti luoghi comuni,che siamo abituati a leggere sulla Sardegna.

La difficoltà  è cresciuta oggi con la varietà  di aspetti che l’isola  presenta mescolando  l’antico al moderno,e  l’imbarazzo  e reale è giustificato. Sotto la Sardegna di oggi bisogna scoprire la Sardegna di ieri per ritrovare l’organicità , la coerenza della coltura  di costume, caratteristica del mondo  sardo; che etnologi, glottologi; archeologi e studiosi di geografia umana, come La Lannon, Zervos eWagner riconoscono costante dai primi albori di questa civiltà fino ad oggi.
 Una guida sicura per chi voglia leggere dentro alla Sardegna e ritrovare la coerenza che dicevamo; sono i proverbi , i vecchi proverbi, che ogni tanto affiorano  anche oggi nella conversazione; casualmente, come casualmente può  accadere di ritrovare dietro a un contadino che ara qualche antico bronzo nuragico. In un paese quasi privo di letteratura scritta; essi ; i proverbi, sono documenti preziosi e insostituibili.

   Giovanni Spano, dotto canonico sardo vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, presentò così la sua raccolta  pubblicata a Cagliari nel 1871: “ Questi proverbi abbracciano tutta la filosofia divina e umana, mostrano, in poche parole, i dove ri che ha l’uomo ve rso Dio , verso i suoi simili e verso se stesso…Perciò tutti sono degni d’essere studiati perché contengono  ottimi avvisi ad ogni classe di persone,o riguardisi la rettitudine dell’anima, o la purezza   del cuore…L’arguzia che colorisce i commenti a ciascun proverbio e il metodo con cui è condotta questa sistematica raccolta smentiscono o per lo meno danno un senso di manzoniana ironia all’apparente candore della prefazione. Al  tempo  dello Spano gli studiosi (e tale ed apprezzato era infatti il nostro canonico) scrivevano in maniera differente da oggi; il distacco obiettivo dalla materia non era mai totale o “a priori”, ma si attuava, di volta in volta. Era implicito nella stessa partecipazione che sembrava contraddire  e contrastare con essa. Perciò   tutti sono degni  di essere studiati dice il canonico  dei suoi proverbi e questo è già  un segno della sua rigorosa obiettività scientifica, che, peraltro,  non ha niente di rigido, di assoluto, di neorealistico.Vediamo,per esempio, il commento a un proverbio sassarese: “bellu que canoni gu de Roseddu”. Lo Spano commenta: “Vale bello  come un asino”, perché queste bestie sono le fontane ambulanti di Sassari”. Infatti coi somari, a quei tempi, l’acqua si trasportava, a Sassari, di casa in casa ed era appunto l’acqua del Rosello. Si trattava di bestiole ben pasciute ed infiocchettate e su questo appunto si esercitava l’arguzia popolana, senza  che lo Spano, che era canonico, se ne scandalizzasse.  Egli riporta tutta la serie dei proverbi che si riferiscono ai suoi reverendi confratelli : “Rassu que canonigu”, grasso come un canonicu,”Tontu que canonigu”, stupico come un canonico, “Ignorante que canonigu”. Egli commenta:” Tutti questi proverbi si dicono dal popolo e si intendono degli antichi canonici, sebbene si citino a proposito per i moderni”, 

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   Non è sbagliato quello che dice lo Spano a proposito del lealismo  monarchico  dei Sardi, del loro rispetto per l’autorità, dell’attaccamento alla divisa militare, tutte cose che hanno fatto sempre dei Sardi ottimi soldati. Ricordiamo, a questo proposito, l’episodio di un discusso e famoso libro sulla Sardegna, “Caccia grossa” di Giulio Bechi (libro che piacque moltissimo a Benedetto Croce e pochissimo ai sardi), in cui si parla del rimpianto di un bandito famoso e terribile pe r il periodo passato sotto le armi.i. Questo rispetto per l’autorità, questo attaccamento alla  divisa e alla bandiera, che ne sono il simbolo, è reale, profondo, ma bisogna capirlo nel quadro della psicologia sarda. E’ un rispetto che chiede rispetto. E la  minima mancanza di rispetto all’idea gelosa e difficile che il sardo ha dell’autorità (salvaguardia e garanzia di una giustizia quasi inattuabile nel presente e che forse vagheggia una arcaica civiltà tribale o patriarcale, dove la giustizia si accompagnava alla saggezza invece che alla burocrazia ,ed era amministrata dai padri di famiglia invece che da funzionari), la minima mancanza di rispetto, la minima infrazione, la minima ombra che offuscasse questa idea di giustizia inattuabile nella società moderna, trasformava questi buoni soldati, questi ottimi sudditi, in fuorilegge e in banditi.”Nen re, Nen roccu”, dicono allora questi anarchici. Vale a dire:”Né re, né bastone”. E prima di arrivare a questa rottura di rapporti con la società e con l’autorità costituita, considerano la cosa con riserbo e prudenza: “Cum Deus et cum su re pagas paraulas,cioè,”Con Dio  e con il re poche parole”. Prudenza, per carità, perché non si sa mai come vada a finire. Ma bisogna distinguere tra i due timori reverenziali, quello per il re e quello per Dio.A Dio anche il bandito si affida, sia pure “cum pagas paraulas (chi cerca Dio non perisce), me ntre, invece, “Sa lege est pro atere, non pro qui la fafhet: “la legge è per gli altri, non per chi la fa”. Ed ecco un conciso, significativo commento al sovrabbondante legiferare degli Spagnuoli, che, a lungo, dominarono l’isola: “Leges medas, populu misru: “Molte leggi, popolo misero”.

   L’atteggiamento dei Sardi di fronte all’autorità costituita, , al potere (cioè questo rispetto pieno di riserbo, ma anche di riserve, questa ombrosa e guardinga prudenza dietro la quale può esserci tanto la dedizione assoluta, l’abnegazione, il silenzioso, eroico coraggio, come il sarcasmo più amaro, è molto simile  a quello che egli ha nei riguardi della donna. Non si tratta di misogeinismo, come si potrebbe pensare leggendo alcuni di questi proverbi, ma di un sacro timore di fronte a un bene inestimabile, che, in un momento , può essere perduto.  c’è  un altro elemento da tenere in considerazione: il finto, superstizioso disprezzo, comune a tutti i popoli di primitiva e risentita sensibilità, per le creature e le cose amate.

   Ma ascoltiamo un poco parlare questi uomini. Immaginiamoceli seduti attorno al fuoco. Fumano e fanno girare il fiasco di vino. Della loro conversazione di uomini soli e selvatici, ci limiteremo a notare i proverbi con i quali commentano il racconto. “Fagher che i sas feminas, qui s’attacant semper a sa pejus cosa”, “fare come le donne, che s’attengono sempre al peggio, dice uno, Un altro compare rincara la dose: “Tres cosas sunt reversas in su mundu: s’arveghe, s’aiunu e i sa femina” ( Ci sono tre cose, cioè tre creature, testarde nel mondo, la pecora, l’asino e la donna. Sembrano i nani di Biancaneve prima di conoscere Biancaneve. E invece no. Sono i nani di Biancaneve, pieni di u nsacro, superstizioso timore di perderla. Ed eccone un altro : “femina fortunosa” :donna pidocchiosa, donna fortunata, quasi a dire che anche la sorte è ingiusta. Non mancano, però, le confidenze che svelano un modo più segreto, più intimo, e spiegano la vera natura della protervia  verbale di poco prima :” Femina neada, dai su maridu amada”, donna con nei, amata dal marito. Nei che solo il marito può conoscere, come solo  il marito conosce, schiavo per sempre, della bellezza più segreta e gelosa.

 Alfredo Saccoccio

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