Alta Terra di Lavoro

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QUALCHE CONTESTAZIONE INTERNA A CAVOUR

Posted by on Lug 14, 2018

QUALCHE CONTESTAZIONE INTERNA A CAVOUR

protesta dell’opposizione parlamentare piemontese

Da destra si disse spaventosa la situazione finanziaria, si moltiplicarono i raffronti con la più solida situazione degli Stati conservatori della penisola, si denunciò il declino della ricchezza nazionale, comprovato dalla riduzione delle entrate doganali nel 1857, si invocò il ritorno all’agricoltura ed a una politica più attenta agli interessi del Piemonte e meno propensa a inseguire i miraggi della politica italiana. Questa la sintesi del discorso al parlamento del 15 maggio 1858 di Ottavio Thaon conte di Revel (R3).

il grido di dolore

Ordito, dunque, il piano di provocazione che avrebbe costretto l’Austria alla guerra, organizzato il piano finanziario, si doveva dare all’opinione pubblica nazionale ed internazionale, per quanto possibile, una giustificazione alla imminente guerra. Fu ancora Napoleone III che dette una mano al Piemonte inventando il grido di dolore. Fortunatamente [!] abbiamo il diario di Giuseppe Massari, che visse in prima persona la vicenda del discorso della Corona che Vittorio Emanuele II avrebbe tenuto inaugurando il nuovo Parlamento nel 1859.

il diario di massari

25 dicembre 1858 – Uscendo dal teatro mi sono accompagnato con Cesare Berretta, il quale mi ha raccontato che Rothschild scrive da Parigi: “Tachez de savoir quelque chose sur le discour de la Couronne”. “Datevi da fare per saper qualcosa sul discorso della Corona”. [Perché Rothschild era interessato al discorso della Corona? Perché era interessato alle cose del Piemonte?].

31 dicembre 1858 – Stamane, prima delle 10, il conte mi chiama al ministero dell’interno. C’è il generale La Marmora. Il conte Cavour mi dà a leggere il progetto del discorso della Corona. Il re dice che non potendo parlare con franchezza, né dire ciò che vorrebbe, preferisce tacere: e non vuol pronunciare nessuna sorta di discorso. Il conte però spera di superare questa difficoltà. Ad ogni modo il re ha detto che se deve pronunciare un discorso vuole sia breve: “La lu fussa curt”. Leggo il discorso: ci faccio parecchie osservazioni di forma. L’ultimo paragrafo è quello che dà maggior ragione di pensare. Si combina nei seguenti termini: “L’orizzonte politico, in mezzo a cui sorge il novo anno, non è pienamente sereno. Ciò non sarà argomento per voi di intendere con minore alacrità ai vostri lavori parlamentari. Confortati dalla esperienza del passato, aspettiamo prudenti e decisi le eventualità dell’avvenire. Qualunque esse sieno, ci trovino forti e concordi, e costanti nel fermo proposito di compiere, camminando sulle orme segnate dal mio magnanimo genitore, la grande missione che la Divina Provvidenza ci ha affidata”. Quel forti e concordi non mi piace, si può essere concordi con un atto di volontà, ed anche, volendo, si può non essere forti, val dunque meglio mettere forti per la concordia. Questa osservazione garba ai due ministri che l’accettano. Il generale La Marmora è commosso visibilmente e trova che il discorso è molto significante. Il conte Cavour è commosso, ma calmo e risoluto, come uomo che sa bene quel che si faccia. Mi chiede in qual guisa credo io che il discorso sarà interpretato dal pubblico. Gli rispondo che nelle attuali disposizioni degli spiriti la frase sull’orizzonte non pienamente sereno sarà interpretata in senso molto bellicoso.

7 gennaio 1859 – Ecco l’opinione di Napoleone III sul discorso del Re: lo approva in complesso, ma dopo le parole eventualità dell’avvenire scrive di suo pugno col lapis: “Je trouve cela trop fort, et je préférerais quelque chose comme dans le genre de ce qui suit”. “Trovo che così sia troppo forte e preferirei qualcosa di questo genere”. Le parole seguenti sono scritte da Maquevel: “Cet avenir ne peut être qu’heureux car…” “Questo avvenire non può che essere felice poiché la nostra politica è basata sulla giustizia, sull’amore per la libertà della patria e dell’umanità: sentimenti che trovano eco in tutte le nazioni civili. Se il Piemonte, piccolo per il suo territorio, conta qualcosa nel consiglio di Europa, è per la grandezza delle idee che rappresenta e per la simpatia che ispira. Questa posizione senza dubbio crea dei pericoli ma tuttavia, rispettando i trattati, non possiamo restare insensibili alle grida di dolore che ci arrivano da tanti punti dell’Italia. Confidando nella nostra unione e nel nostro buon diritto come nel giudizio imparziale dei popoli sapremo attendere con calma e fermezza i giudizi della Provvidenza”. Il conte di Cavour mi dice: “Vada a chiudersi e mi scriva subito un paragrafo in questo senso”. Io mi chiudo nel gabinetto degli affari esteri, e propongo di compilare il paragrafo nel modo seguente: “L’orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente sereno: ciò non di meno voi vi accingerete con la consueta alacrità a’ vostri lavori parlamentari. Confortati dalla esperienza del passato, perseveranti nella pratica di una politica che non misura le sue risoluzioni dall’angustia del territorio, ma bensì dalla grandezza de’ princìpi di giustizia, di libertà, di patria, su cui essa riposa, le eventualità dell’avvenire ci trovino prudenti e decisi: le difficoltà non ci sgomentino. Dobbiamo rispetto ai trattati, ma non possiamo rimanere insensibili al grido di dolore, che da tante parti d’Italia si leva verso di noi. Fidenti dunque nel nostro buon diritto, e nel giudizio imparziale della opinione del mondo civile, forti per la concordia aspettiamo con tranquilla fermezza i decreti della Provvidenza”. Alle 5 vado a casa del ministro, e dandogli queste righe gli faccio osservare che esse sono più forti di quelle che Napoleone III ha voluto mitigare. Il conte è del mio parere. È chiaro che Napoleone III spinge le cose avanti.

8 gennaio 1859 – Il conte mi dice che iersera il re esaminò la nuova versione, la approvò con alcune modificazioni. Concordiamo nel dire che questa nuova versione è sempre più forte della prima. Il conte esclama: “Ora non si guarda più addietro”. Nella nuova versione è ancora conservata più letteralmente che nella mia la frase di Napoleone III.

9 gennaio 1859 – Ho veduto due volte il conte Cavour al ministero dell’interno. È agitato perché iersera e stamane il consiglio de’ ministri ha fatto viva opposizione alla frase del discorso del re sul grido di dolore. Perfino Paleocapa è contrario! Il conte Cavour è tacciato di temerità. Il generale La Marmora è anch’egli fra gli opponenti, e ha detto a me, che si teme l’effetto di quella frase sulla Borsa di Parigi [perché?]. Il conte ha scritto a Nigra a Parigi, perché consulti Napoleone III, e risponda per telegramma, prima di domattina.

10 gennaio 1859 – Data memorabile! Fausto giorno! Il 10 gennaio 1855 fu firmato il trattato di alleanza con le potenze occidentali: quel trattato a cui l’Italia deve tutto [si riferisce all’invio delle truppe piemontesi in Crimea: ecco che inizia la falsificazione della storia e la glorificazione di Cavour]. Gloria eterna di Cavour. Anche allora La Marmora e Paleocapa si opponevano! Mancavano allora di senso politico: ne mancano anche oggi. Di buon mattino sono agli affari esteri. Vittoria! La frase è conservata. Viva il re, viva Cavour! Il telegramma di Parigi è giunto stanotte; approva e loda: l’opposizione dei ministri non ha avuto più proteste. Rivedendo le copie del discorso già stampate, che erano tenute sotto chiave, il conte Cavour ha esclamato: “Non dubitate, non si torna più addietro”. Che funzione commovente questa mattina! È riuscita di là delle mie speranze. Il re, Iddio lo benedica, ha letto il discorso a meraviglia. L’effetto è stato immenso. Io ero nell’aula, ed ho veduto tutto benissimo.

11 gennaio 1859 – Alle ore 11 ant. veggo il conte Cavour all’Interno: è preoccupato per la questione finanziaria. Mi dice: “Sarà più facile trovar danari dopo aver fatta toccare una sconfitta agli austriaci che prima”. Sir James stamane mi mostra una lettera di John Samuel nella quale è detto che a Londra “all Jews believe in war” “tutti gli Ebrei sperano nella guerra” (GM).

E che il grido di dolore fosse una abile messa in scena, viene comprovato da un piccolo, trascurato avvenimento. Considerazioni: Notevolissimi spunti di riflessione critica sulla storia dell’unità italiana si possono trarre dal racconto del collaboratore del Cavour. Il grido di dolore, innanzi tutto, era la giustificazione che i politici franco piemontesi davano alla politica aggressiva nei confronti dell’Austria. Gli interessi in gioco non erano quelli delle popolazioni che avrebbero gridato il loro dolore ma quelli della Francia [o di qualche francese?], disposta a lasciare al Piemonte, suo strumento, parte del bottino di guerra. Su tutto questo, meglio, sotto tutto questo, si avverte la presenza di un potere più solido e forte del potere politico e militare. Il Massari ci riferisce la preoccupazione del La Marmora nel momento cruciale della vicenda “si teme l’effetto di quella frase sulla Borsa di Parigi”; ci riferisce la preoccupazione del Cavour “nel trovar danari”; ci riferisce che “tutti gli ebrei sperano nella guerra”. Non aveva, allora, alcuna importanza stabilire le ragioni delle popolazioni che avrebbero gridato di dolore; non si fa menzione delle cause di quel grido, né si dice quali popolazioni delle tante italiane avrebbero gridato di dolore. A Plombières Napoleone III e Cavour avevano per ore cercato una ragione di guerra contro l’Austria. Avevano teso l’orecchio ma non avevano sentito alcun grido di dolore. Avevano deciso allora di provocare il grido. Rileggiamo uno dei punti nodali della relazione di Cavour a Vittorio Emanuele sul colloquio con Napoleone. “L’imperatore venne in mio aiuto e ci mettemmo insieme ad esaminare tutti gli Stati d’Italia, per cercarvi questa causa di guerra così difficile da trovare. Dopo aver viaggiato senza successo in tutta la penisola arrivammo quasi senza accorgercene a Massa e Carrara, e là scoprimmo quel che cercavamo con tanto ardore…”. Insomma, per trovare qualcuno che gridasse bisognava provocarlo! Alla base di quegli accordi c’era, però, che la Francia non poteva assolutamente apparire all’opinione pubblica ed alla diplomazia europea come aggressore dell’Austria: erano troppo recenti le gesta del primo Napoleone. Ed allora l’Europa assisté alla indegna ed ignobile campagna di provocazione messa in atto dai Carignano contro l’Austria, per costringerla alla guerra, provocando, in questo modo, la discesa in campo dell’esercito francese.

 

fonte

http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Personaggi/Cavour02.htm

 

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