QUANDO IL NORD ERAVAMO NOI (IV)
A tutti coloro che si sono trovati nella condizione del professor Bruni e che hanno avuto il coraggio di affermare di essere stati formatori di una falsa coscienza storica conferirei una medaglia al valore.
Ma, nell’impossibilità di farlo, sono disposto a concedere loro il perdono senza condizione. Gli impenitenti, invece, che avevano piena coscienza di quanto stavano perpetrando e che non hanno provato rimorso per il crimine commesso, non posso evitare di ritenerli intellettualmente dei disonesti, la scienza e la coscienza rappresentando per essi pesanti aggravanti. Grazie a questo tipo di insegnamento ( e prima che un’esigenza di revisionismo cominciasse a gettare un po’ di luce in fatti e avvenimenti cui la logica e la razionalità non riuscivano a trovare una spiegazione), alcune generazioni di cittadini sono cresciute in un colpevole e finalizzato stato di ignoranza, a dispetto della fama che godevano gli istituti superiori da cui provenivano. Grande delusione, quando, una volta all’ università, con sorpresa mista a sgomento, costoro avevano avuto modo di scoprire di essere stati plagiati da quei docenti verso i quali, per tutti gli anni delle superiori, avevano nutrito una specie di venerazione e delle cui parole non avevano motivo di dubitare. Molti di costoro, infatti, sono vissuti per molti anni con appiccicato addosso un senso di vergogna, che, senza colpa alcuna, li faceva sentire – grazie anche al contributo della scuola positivista di Lombroso e Niceforo [1] – come appartenenti ad una razza inferiore nei confronti di connazionali con i quali, invece, si sarebbe potuto instaurare veramente un rapporto di uguaglianza e di fratellanza che andasse oltre quello retorico e scarsamente sentito di inni e marce varie. Invece, proprio perché (come ormai emerge da documenti volutamente ignorati fino ad ora) [2] la cosiddetta unificazione non è stato quel fenomeno spontaneo tramandato dalla storiografia e sia perché alla sua base non c’è stato alcun atto d’amore, le popolazioni italiche non sono riuscite a sentire alcun desiderio di fratellanza né ad amalgamarsi, e – reciprocamente stranieri gli uni agli altri – siamo rimasti ancora siciliani, napoletani, milanesi, torinesi, ecc. Almeno per quello che riguarda una consistente parte della popolazione del Nord, ogni occasione è buona per rimarcare la differenza fra le due “ razze “. La parte spiacevole della cosa è rappresentata dal fatto che molto spesso non ci si limita solo a rimarcare questa differenza, ma non ci si sforza minimamente neppure di mascherare il palpabile sentimento di disprezzo e di avversione di una parte della popolazione nei confronti dell’altra, come se – per contrappasso – ogni cittadino del Meridione avesse sulla coscienza la tortura e l’uccisione degli avi o dei parenti più prossimi dei connazionali nordisti. Da quanto risulta finora, nessun generale borbonico ha meritato dai propri sottoposti l’ appellativo di Macellaio o di Requiescant come i due pluridecorati generali piemontesi.[3]
Proprio per dare una testimonianza del viscerale sentimento di disprezzo che una parte della nazione nutre e nutriva verso l’ altra, riporto alcune frasi tratte dal libro del savoiardo Carlo Margolfo, “ Mi toccò in sorte il numero 15.Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo “diario emerso accidentalmente dopo centoquattordici anni dai fatti (forse per una provvidenziale e beffarda nemesi storica). Da tali memorie è facile rilevare con quali intenzioni i sedicenti liberatori arrivassero nelle terre invase e con quanta insensibilità assistessero allo spettacolo di corpi che bruciavano come pezzi di legno e si accartocciavano come foglie, durante la spedizione punitiva di Pontelandolfo e Casalduni :<<… Entrammo nel paese;subito abbiamo cominciato a fucilare preti e uomini, quanti capitava,indi il soldato saccheggiava,e infine abbiamo dato l’incendio al paese … Quale desolazione! Non si poteva stare d’intorno per il gran calore. E quale rumore facevano quei poveri diavoli che per sorte avevano da morire abbrustoliti sotto le rovine delle case. Noi , invece, durante l’ incendio, avevamo di tutto:pollastri, vino, formaggio e pane>> ( Provviste che ovviamente non si erano portate da casa, ma che avevano requisite alle persone che si stavano apprestando a dare alle fiamme, come fascine, dopo di averle ben rinchiuse all’interno delle loro misere abitazioni ! ) Meno male che, a loro dire, i barbari eravamo noi!
Il modo di intendere la parola liberazione da parte del Piemonte, fu oggetto di discussione che non lasciò indifferente nessuna corte d’Europa, anche di quelle che ne avevano appoggiato le mire espansionistiche. A Londra il deputato McGuire disse senza mezzi termini : << … Non vi può essere storia più iniqua di quella dei piemontesi nell’occupazione dell’Italia Meridionale … In luogo di pace, di prosperità, di contento generale che si erano promessi e proclamati come conseguenza certa dell’unità italiana, non si ha altro di effettivo che la stampa imbavagliata, le prigioni ripiene, le nazionalità schiacciate ed una sognata unione che in realtà è uno scherno, una burla, un’impostura>>.
Per quello che mi riguarda, nonostante la presunta superiorità di una parte della nazione, io sono andato sempre fiero di Napoli, la città che mi ha dato i natali, anche quando il suo nome veniva e viene associato a stereotipi affatto esemplari. E ciò non per superbia di carattere o di intelletto, ma semplicemente perché convinto – come recitano due proverbi delle nostre parti – che ”Le dita della mano non sono tutte uguali” e “ Chi è buono si salva da sé ”. La stessa fierezza, che mi porta a prediligere – ogni volta che posso – il dialetto alla lingua, mi accompagna anche oggi, epoca in cui la città del “ Vedi Napoli e poi muori “ o di quella immortalata nella canzone “ ‘E dduje Paravis “ ha conseguito, suo malgrado, un nuovo e più triste primato: quello della “munnezza”, i cui miasmi, sostituitisi alle fresche brezze marine ricche di iodio, ne hanno ammorbato l’aria e deturpato irrimediabilmente l’immagine, tanto che, per il resto del mondo, quello napoletano viene considerato come un popolo capace di produrre solo immondizia ed illegalità. Fortuna che le varie inchieste della magistratura o le notizie fornite dai mass media hanno potuto accertare che criminalità ed illegalità non conoscono frontiere e che, se può esserci un filo che accomuni il “laborioso” ed “onesto” Nord allo “sfaticato” e “ladrone” Sud questo è rappresentato proprio dall’illegalità, dalla diffusa corruzione a tutti i livelli e dalla criminalità, esercizi in cui gli “onesti” nordisti non temono confronti [ Sindona (1974),ENI PETROMIN (1980),Banco Ambrosiano (1982), Ferruzzi Montedison (1993),Cirio (2003), Parmalat (2004),Monte dei Paschi di Siena (2013 e 2016),ecc.].Ma, per tornare al punto di partenza, mentre dappertutto i rifiuti si sono trasformati in fonte di energia alternativa e di ricchezza, nella Campania, una volta “felix”, l’insaziabile voracità di persone indegne di far parte del consorzio umano ha tramutato quest’oro in motivo di vergogna, di dolore e di morte.
Allora, assodato che la storia insegnatami a scuola era totalmente falsa e addomesticata,ho avvertito la necessità di verificare se l’andar fiero della mia “napoletanità” avesse un fondamento. Per questo motivo ho intrapreso un viaggio a ritroso, alla ricerca di elementi o documenti possibilmente equidistanti da posizioni estremiste ,che potessero, senza pericolo di smentita, testimoniare se, oltre quello della “munnezza”, Napoli avesse mai avuto occasione di vantare nella sua storia anche momenti di maggior gloria e dignità. Così, dai giorni presenti, attraverso la fase dell’ unificazione, sono giunto dal secolo XIX al secolo XVIII , periodo che ha visto il Meridione d’Italia sotto il regno della dinastia borbonica.
Il viaggio sarebbe potuto andare anche più indietro nel tempo, fino alla colonizzazione dei cumani ed anche oltre, ma non ho voluto scomodare né la storia né la mitologia per provare l’ antichità e la nobiltà della mia terra. Però un minimo di passato è necessario rispolverarlo, poiché , constando l’intera parabola esistenziale di tre momenti:passato, presente e futuro, si dimostra di fondamentale importanza per ogni popolo conoscere il proprio passato (quindi le proprie origini, le proprie radici) per avere una precisa conoscenza del presente e sperare di costruirsi un futuro. Nessuno dei tre momenti esistenziali, infatti, può esistere ed avere significato senza rapportarsi con gli altri.
Così, per conoscere il passato della mia umiliata e vilipesa terra, e capire il presente in cui essa è immersa, inizio il mio viaggio a ritroso e, prima di por mano a testi o atlanti storici che possono contenere informazioni poco obiettive, mi accingo a verificare quale sia l’accezione che la lessicologia corrente registra relativamente al termine “borbonico”.
Mi servo, come punto di partenza, di fonti che, per loro natura, dovrebbero presumibilmente essere asettiche: il Dizionario Garzanti della Lingua Italiana ed il Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana di Devoto – Oli.
Alla voce “borbonico” il Garzanti riporta:
agg. :” dei Borboni (sic);relativo ai Borboni (sic) – Fig.: retrogrado “.
A proposito di “retrogrado” la stessa fonte riporta: ” che cammina, che va all’indietro – Fig. : contrario al progresso e desideroso di tornare ai sistemi del passato” .
Il Devoto – Oli, relativamente alla voce “borbonico”, riporta :
agg.:” proprio dei Borboni (sic) di Napoli, o seguace e sostenitore del loro governo:quindi, anche come sostantivo : retrogrado, reazionario”.
Chiarito il significato che la prima fonte registra a proposito di “retrogrado”, vediamo cosa riporta la seconda a proposito di “reazionario”.
agg.:” appellativo polemico di tono spregevole che si dà a persona o atteggiamento auspicante la ricostituzione,anche con metodi violenti, di un assetto sociale e politico storicamente superato”.
Se le fonti consultate sono intellettualmente oneste e se la storiografia non è stata ingiusta nei suoi confronti, quella dei Borbone di Napoli è stata davvero una dinastia che si è ben meritata la nomea che gli storiografi le hanno cucito addosso. Se, invece, il ricordo tramandato è frutto di mistificazione , per la dinastia investita da tale calunnia è molto difficile sia tentare una difesa che una riabilitazione, giacché il fatto stesso di trovarsi sotto accusa rappresenta obiettivamente una condizione di svantaggio.
Le pagine del tempo e della storia, infatti, assimilabili a quelle di un diario personale, non possono che riportare quanto vi viene trascritto. Così, se motivi di natura economica, politica o di altro genere suggeriscono di modificare o alterare la verità , diventa molto difficile dimostrare che certe affermazioni sono inesatte dal punto di vista storico e scorrette da quello etico. Ma si sa che la politica e la diplomazia, che si ispirano al più estremo machiavellismo, sono luoghi in cui la moralità non ha diritto di asilo, per cui, in nome del fine da raggiungere, si può arrivare perfino a falsificare fatti o a distruggere documenti , per non correre il rischio di essere smentiti o tacciati di mendacio da studi o approfondimenti futuri. E così anche un santo rischia di essere consegnato ai posteri come un demonio se chi ha interesse a che ciò avvenga si mette di impegno, distruggendo prove a favore e demolendo la figura vera per costruirne un’altra del tutto falsa.
Per quanto riguarda il nostro oggetto, è accertato ormai che una delle cause all’origine della fama che in campo internazionale ha circondato in maniera negativa i Borbone di Napoli è rappresentata dal contenuto della già citata e famigerata lettera che lord Gladstone – su richiesta del Palmerston – inviò a lord Aberdeen il 17 luglio 1851sul sistema carcerario e giudiziario del Regno duosiciliano . Stranamente, già dal 1902, però, a pochi anni dai fatti di cui ci stiamo occupando, da uno storico inglese (Bolton King) sappiamo che nessuno Stato in Italia poteva vantare istituzioni così progredite come quelle del Regno di Napoli ove ,tra l’ altro era in vigore un regime penitenziario fra i meno disumani di Europa, che prevedeva con molto anticipo rispetto a molti altri Stati una riforma che tenesse conto sia dei bisogni dei detenuti che di rieducarli per consentir loro di iniziare una nuova vita una volta pagato il debito con la giustizia.( Si consultino, a tale riguardo, le circolari e i decreti regi contenuti nei Codici della grandissima scuola di giurisprudenza napoletana e siciliana e si consulti pure, per par condicio, il modo in cui venivano rieducati i prigionieri nel carcere di Fenestrelle del civilissimo Regno Sabaudo, di cui – come per le foibe – nessuno storico si è mai preoccupato didarne notizia). Tra l’altro, dopo l’ annessione piemontese, lo stesso Gladstone, tornato a Napoli tra il 1888 ed il 1889, confessò ai liberali napoletani di non essere mai stato in un carcere napoletano e di aver scritto la lettera per incarico di Lord Palmerston.
Ora mi domando : << I cosiddetti esuli, costituiti da cospiratori di ogni sorta, che avevano tramato ai danni della dinastia borbonica, una volta scoperti e mandati al confino, potevano mai fornire notizie oggettivamente veritiere intorno ad un regime contro cui avevano tanto tramato e che si erano adoperati ad abbattere in ogni modo?>>. Questo è il primo dubbio che dovrebbe affacciarsi alla mente di chiunque, non prevenuto, si accinga a prendere in considerazione questo particolare momento storico.
Tra le altre cause che possono aver contribuito a costruire e consegnare ai posteri un’ immagine distorta dei Borbone hanno giocato un ruolo importante :
– gli interessi commerciali che l’Inghilterra (per contrastare l’espansione del suo nemico capitale:la Francia) aveva in certa parte del Mediterraneo (Gibilterra e Malta, quest’ultima scorrettamente sottratta al Regno delle Due Sicilie, di cui faceva parte), che di lì a poco l’avrebbero spinta a mettere in moto le varie massonerie sparse per il mondo per eliminare definitivamente i Borbone dall’ Italia Meridionale e sostituirli con la Casa Savoia
– ed il tentativo messo in atto da Ferdinando II già nel 1840 di liberalizzare il mercato degli zolfi (il petrolio dell’ epoca) negando all’Inghilterra il rinnovo della concessione del loro monopolio in Sicilia: ciò che aveva offeso l’orgoglio di razza degli inglesi, che, però, non si erano mostrati altrettanto corretti quando, di rimando in rimando, finirono per impossessarsi dell’isola di Malta che faceva parte del Regno delle Due Sicilie). [4]
Castrese Lucio Schiano (segue)
[1] Vedi Nota 7
[2] Trattasi del cosiddetto “armadio delle vergogne”, di cui all’ interpellanza parlamentare n. 2-01134 dell’on. Angelo Manna nella seduta della Camera dei Deputati di lunedì 4 marzo 1991, che si riporta di seguito:
[3] Soprannomi guadagnati per la loro ferocia rispettivamente dal generale Enrico Cialdini e dal generale Maurizio De Sonnaz
[4] Il tentativo, purtroppo, penalizzò doppiamente il Regno delle Due Sicilie, poiché si dovettero risarcire sia i francesi per la rescissione del contratto che gli inglesi per il mancato guadagno.