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«QUANDO NAPOLI ERA CAPITALE» di GIUSEPPE PIANELLI (XIV)

Posted by on Mar 9, 2021

«QUANDO NAPOLI ERA CAPITALE» di GIUSEPPE PIANELLI (XIV)

Una notte lunga dieci anni

Ferdinando però non si faceva abbagliare più dalla «gaia scienza» dei suoi contemporanei. Ancor più introverso, frustrato dalla mo­glie (che, come malignano i detrattori, certamente con quell’inglese se la intendeva), cominciava a diventare sempre più sospettoso. Ne aveva buone ragioni: era il 1789 quando la Stamperia reale pubbli­cava la sua legislazione, lo stesso anno in cui, a Parigi, veniva as­saltata la Bastiglia.


A Napoli, insieme agli intellettuali, agli artisti, ai letterati, agli scienziati di mezzo mondo, s’era concentrata la più variegata congerie di utopisti, sobillatori, teorici della rivoluzione. I diploma­tici erano sul chi vive per quel che si muoveva in Francia, la polizia era in allarme per certi tipi sospetti venuti dalla Baviera, si diceva che appartenessero a una setta detta «degli Illuminati» e che tra­massero regicidi e anarchia. A completare la confusione ci si met­tevano le grandi potenze, Austria e Inghilterra che filavano insieme. Pronubo Lord Acton, gli inglesi nel Regno ormai erano di casa: commerciavano, si spingevano in tour per le Calabrie, impiantava­no aziende, compravano in Sicilia tonnare, arance e vigne da Mar­sala e, favoriti dal loro connazionale, s’erano aggiudicati tutta la produzione dello zolfo, materia prima fondamentale soprattutto per gli esplosivi, come dire oggi l’uranio. Nel porto e in rada le loro fregate così possenti, pavesate a festa, facevano colore ma qualcuno già diffidava di tanto spiegamento di cannoni.


Da questo punto la storia di Napoli, che continuava ad essere allegra e spensierata, va letta in controluce con quel che succedeva in Francia. Le notizie arrivavano con una settimana di ritardo e, pur confuse, erano inquietanti, anche Maria Carolina era in trepidazione per la sorella Maria Antonietta: da quel 14 luglio era stato un preci­pitare d’eventi quasi che la convocazione degli Stati generali avesse aperto il vaso di Pandora facendo traboccare tutti i virus coltivati nel secolo. Sei giorni dopo cominciava la “grande paura”, i conta­dini si sollevavano in ogni parte del paese, l’inflazione cominciava ad impoverire lo stato e al posto del danaro sonante facevano la comparsa le prime banconote, gli “assegnati”. Le donne parigine erano andate a rapire la famiglia reale a Versailles, si sequestravano i beni del clero, poi gli si dava una costituzione civile, quindi si co­stringevano i preti a giurare fedeltà alla Costituzione. I “refrattari”, quelli che rifiutavano di disobbedire al Papa, che protestava invano, cominciavano ad essere perseguitati.


Quello stesso anno, 1790, moriva Giuseppe II d’Austria, fra­tello di Carolina: nessuno ricordava più che era stato fra i più acca­niti avversari dei “privilegi” dei preti. Come Tanucci per Spagna e Napoletano. L’Austria però continuava ad essere “felice”: Mozart, anche lui scherzando col fuoco della massoneria, dopo il Don Gio­vanni, metteva in scena Il flauto magico. Ma anche nei teatri napo­letani (ce n’erano un centinaio fra piccoli e grandi), nei caffè, nei salotti della nobiltà, la vita scorreva spensierata in un intrecciarsi di frivole opinioni su quella che sembrava, vista da lontano, una jac­querie che sarebbe finita, come saggiamente si faceva a Napoli da che mondo è mondo, tutta “a tarallucci e vino”.


Ma a corte si tremava, specie la Regina: «La famiglia reale è prigioniera della canaglia che non la lascia uscire dalle Tuileries», «Luigi è fuggito verso la Normandia ma l’hanno arrestato a Varennes», «Il Re ha dovuto giurare fedeltà alla Costituzione». 1791.


1792: Giacobini, ormai non si parla che di loro. Napoli è in fermento, anche qui si aprono i “club”, si discute, si complotta, si scrive. Gli inglesi, ormai in allarme, mentre a Londra cominciano ad arrivare gli esuli francesi, sorvegliano Napoli e il via vai di stra­nieri. La marmaglia parigina invade le Tuileries. La Francia dichia­ra guerra ad Austria e Prussia. Il 10 agosto Luigi XVI e la famiglia reale sono arrestati e condotti alla torre del Tempio, si dice che sia­no trattati come galeotti: la monarchia è finita ed è rimasta solo la guerra civile, si massacrano gli avversari, a migliaia, anche nelle prigioni. 11 dicembre: si apre il processo al Re: una grottesca mes­sinscena il cui verdetto è già scontato. «Lo chiamano “cittadino Capeto” e lui ha protestato: “Il mio nome è Borbone”».


Al Tempio fanno passare sotto le finestre, sulle picche dei rivoluzionari, le teste della migliore nobiltà, delle dame di corte più care han fatto orrende oscenità. Il Delfino è stato separato dai genitori ed affidato ad un turpe carceriere che gli insegna a bestemmiare contro il padre sotto la sua finestra.


21 gennaio 1793: Luigi XVI è portato al patibolo. «Il Re Cri­stianissimo ha fatto onore al suo nome: è morto come un santo», dice Pio VI. A SaintDenis la cappella dove riposavano tutti i re di Francia è stata devastata, ossa e ceneri disperse tra i rifiuti. In Vandea il popolo, lealista e cattolico, si ribella: comincia il primo geno­cidio della storia, ordinato dalla Convenzione. Il decreto porta un nome asettico: «Progetto di spopolamento della Vandea militare». Centocinquant’anni più tardi un altro progetto avrà un nome “scien­tifico”: «Soluzione finale del problema ebraico».


Girondini, Giacobini, Marat assassinato, tutta la nazione in armi, mentre infuria il Terrore. Gli anni si contano dalla Rivoluzio­ne, i mesi han cambiato nome, la domenica è stata abolita, è stato abolito Dio, a Notre Dame una ballerina ha danzato sull’altare nei panni della Dea Ragione. Tutte le statue di santi delle cattedrali so­no state decapitate, dell’Abbazia di Cluny hanno fatto una cava di pietre. Anche Maria Antonietta viene portata alla ghigliottina. Il Delfino, 10 anni, è stato lasciato morire di fame, in una cella angu­sta e buia, fra i pidocchi, i ratti e lo sterco.


Secondo gli storici più moderati, e solo per quel che riguarda il “Terrore”, il numero delle sentenze capitali pronunciate dal Tri­bunale rivoluzionario francese e dalle diverse giurisdizioni eccezio­nali si elevò a 16.594: 518 da marzo a settembre 1793, 10.812 da ottobre 1793 a maggio 1794, 2554 in giugno e luglio, 86 in agosto. Nella sola Parigi, dal marzo 1793 al giugno 1794, furono ghigliotti­nati 1251 cittadini; nel seguente mese e mezzo, altri 1376. Non en­trano in questo conto le esecuzioni senza processo, come a Nantes, per annegamento nella Loira (da 2000 a 3000 persone), a Tolone, o sui campi di battaglia: dai 35.000 ai 40.000 giustiziati. Non entrano nel conto nemmeno le vittime della forte mortalità fra i detenuti. In totale, fino al 1794, si stima siano state vittime del Tribunale rivo­luzionario dalle 100.000 alle 300.000 persone. In Vandea si conta­no dalle 110.000 alle 300.000 persone soppresse solo perché van­deane.


Nel 1794, a Napoli, con un processo a 270 persone, fra nobi­li, borghesi e clero, sospette di simpatie giacobine, si apriva la fase “reazionaria” del Regno di Ferdinando IV.


Il 2 marzo 1796 un tale Bonaparte viene promosso generale in capo dell’esercito d’Italia e nei mesi successivi conquista il Pie­monte, la Lombardia, entra nel Veneto. Il 31 dicembre fonda la Re­pubblica Cispadana e scende verso il Lazio. Il 9 luglio 1797 fonda la Repubblica Cisalpina. I FrancoCisalpini comandati dal generale Berthier occupano Roma. Viene proclamata la Repubblica romana. Napoleone (che meditava di relegarlo in Sardegna) fa rapire Pio VI e lo fa deportare prima in Toscana, poi in Francia, a Valence, dove morirà un anno più tardi.


GUIDA ALLA LETTURA / 4.

Come detto nel capitolo precedente, anche per questo periodo storico è difficile trovare una bibliografia obiettiva sulla storia del Regno di Napoli.

Per la rivoluzione francese, oltre il libro di Gaxotte già citato alla “Guida alla lettura /1 “, è utile, con cautela: FRANÇOIS FURET, Critica della rivoluzione francese, Laterza, RomaBari, 1995.


Inoltre, anche se i giudizi non sono sempre misurati, un ‘opera lumi­nosa, scritta da un contemporaneo, è quella di


JOSEPH DE MAISTRE, Considerazioni sulla Francia, Ed. Riuniti, Roma, 1985.

Pieno di particolari anedottici e di piacevole lettura è: JEANPAUL BERTAUD, La vita quotidiana in Francia al tempo della rivoluzione, Bur Rizzoli, Milano, 1997. Un documento impressionante, invece, commovente e molto più elo­quente di tanta “storia” sono i diari di tre prigionieri del Tempio: JEANBAPTISTE HANET (CLERY), MARIETHERESECHARLOTTE DI FRANCIA, EDGEWORTH DE FIRMONT, Il prigio­niero del Tempio. Detenzione, processo e morte di Luigi XVI, Bonacci, Roma,1993.

Sul massacro della Vandea:

REYNALD SECHER, Il genocidio vandeano, Effedieffe, Milano, 1989.

Interessante, proprio perché vista da tutt’altra prospettiva, è l’opera di uno dei più estremisti fra i rivoluzionari:


GRACCHUS BABEUF, La guerra di Vandea e il Sistema di Spo­polamento, Effedieffe, Milano, 1989.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/storia/storia_del_sud_vista_dal_sud.html#NATO

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