Alta Terra di Lavoro

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Quegli assassini dei fratelli d’ Italia di Angelo Manna

Posted by on Lug 11, 2024

Quegli assassini dei fratelli d’ Italia di Angelo Manna

La premessa

SETTARISMO INDECENTE

Nell’agosto del 1961, mentre anche tutto il Sud celebrava il centenario dell’unità d’Italia fra masochistici evviva e tripudi di tricolori (e ne frusciava danaro pubblico in alza-bandiere e marce-reali…), ci armammo di blocco-notes e magnetofono e partimmo alla volta di Casalduni e di Pontelandolfo dove celebrammo alla nostra maniera (come dire a nostre spese e contro-corrente…) il centenario che ci parve più consono: il centenario dei massacri, degli stupri, dei furti e degli incendi patiti dalla povera gente di quelle strapovere terre sannite che la gloriosa massacratrice Italia-una ebbe il cinismo fottuto di ribattezzare terre di briganti.

Ma rievocare quel maledetto ferragosto nel quale i bersaglieri scrissero forse la pagina più sporca della loro sporca storia risorgimentale non ci interessa. Altri l’hanno rievocato, e finalmente senza tirature di veli per carità di patria. Ci interessa dare solo la più concisa e la più precisa idea che del cosiddetto risorgimento italiano intesero darci, a Pontelandolfo (a casa del carissimo nostro Amico avvocato Pasquale Vessichelli) un vecchio maestro elementare di Morcone, don Liunardo (classe 1875), e un non meno giovane ex portalettere originario di San Lupo, don Mattiuccio …

Oh, sì: qualche giorno fa abbiamo riascoltato le loro voci nel nostro antico Geloso e siamo stati presi dalla commozione (chi dice che sono freddi, i magnetofoni ?…): ma il motivo per il quale ridiamo loro la parola non è affatto sentimentale, così come – per il fatto che l’articolo di cui l’intervista (che avevamo raccolto per il Corriere di Napoli) rappresentava la sostanza non vide mai la luce – non è affatto riparatorio, a scoppio ritardato… Don Liunardo e don Mattiuccio, personaggi non immaginari ma veri, autentici, avevano saputo trarre dal ripostiglio delle proprie memorie un po’ di episodi (che definire personali non è un azzardo) e ce li avevano raccontati in un modo neppure soltanto esemplare, ma prodigioso: come se il tempo avesse giuocato non ad illanguidirli ma a rafforzarli, non a renderli lacunosi e scialbi e a confinarli nel passato, ma a mantenerli vivi, attuali, e a bagnarli nell’oro della saggezza, per modo che, richiamandoli, i loro raccontatori potessero mostrare una eccezionale capacità di sintesi e di critica…

Don Liunardo e don Mattiuccio avevano raccontato e interpretato con poche battute un intero capitolo di storia patria, e vi avevano intessuto il relativo commento. E ci avevano talmente impressionato da darci la certezza che soltanto pochi professoroni veri (ve ne sono a bizzeffe, in Italia, ma quelli che contano non li fanno contare…) avrebbero saputo far meglio. Don Liunardo, don Mattiuccio… Potevamo dimenticarli ? E veniamo a don Liunardo. Il quale premise alla sua breve, succinta e compendiosa lezione che fosse stato suo padre a insegnargli tante cose: suo padre (classe 1839) che era stato sottufficiale dell’esercito napoletano e, ferito ad una gamba alla battaglia del Volturno, era poi sfuggito ai massacri bersagliereschi dell’agosto del 1861 ancorché il suo nome aprisse la lista dei (così li chiamavano) pericolosi arnesi della reazione.

La parola all’indimenticabile don Liunardo, dunque: avvertendo che di nostro non vi è che la forma (non anche il vocabolario) e qualche apporto che indicheremo in corsivo: I nordisti affogavano nei debiti. Erano degli squattrinati, e l’Austria gli aveva bell’ e spedito l’intimazione di sfratto. E allora i nostri rinnegati gli fecero immaginare, da lontano, come fosse fatto l’oro: gli fecero capire che venendo quaggiù essi avrebbero risolto ogni loro problema (ma figuriamoci se la gang cavouriana non se ne fosse già resa conto…). Essi calarono giù da noi, e noi, frate belle nuoste, trasite e accomodateve, state servite !, ce li dovemmo accollare, co la mazza o co la carrozza, metterceli in casa, a spese nostre… E in quel nostro oro gli facemmo bagnare prima un piedino, poi tutti e due, finché in quel nostro oro li facemmo nuotare…Ma – che grandi eroi ! – i fratellini ci sgozzarono come pecore e si fottettero Y oro e quant’ altro di prezioso avevamo. E si fottettero anche le nostre donne, e qui, a Pontelandolfo, afferrarono una ragazzina e (forse perché ce Y avevano troppo duro anche allora e pareva brutto mettere a sì cruda prova una povera verginella, NdA) furono tanto premurosi che la sverginarono con le baionette: la sventrarono.

MAI PACE POSSANO TROVARE…

Li facemmo uomini, quei criminali che ci ritroviamo eroi nei libri di storia.

Li facemmo uomini grazie ai danari a palate che ci facemmo rubare dai banchi pubblici e

privati. Oh, graziosi angioletti, soldatini cari: che i loro discendenti possano trovare morti

lente, infinite ed atroci !…

Li accogliemmo a braccia aperte, li sfamammo, li ingrassammo…

Ci ringraziarono?Sì. Saccheggiando e dando alle fiamme palazzi reali e patrizi, ville,

masserie, pagliai, stalle, covili…Ah, bastardi schifosi ! Quali averi, quali sostanze, quali

danari, quali oggetti cari e preziosi non ci sottrassero con Y inganno e con la violenza !…E poi ?

Eravamo ridotti all’osso, ché pure il pane niro e ttuosto che c’era rimasto e pure le ultime patate e le ultime cipolle, che avevamo tolto dalle bocche dei nostri figli, avevamo dato a loro o ci eravamo fatti rubare per quieto vivere: vennero in campagna, noi buttavamo il sangue sui solchi, ci misero in fila e, unò-dué, ci ingiunsero di uscire dalla terra, ché il padrone era cambiato, i contratti erano scaduti, bastonarono a morte chi si rifiutò di obbedire, andarono via solo quando fin l’ultimo cafone fu sparito, raggiunsero il paese, sfondarono le porte delle chiese, rubarono cristi, madonne, santi, ostensori, pissidi, sacramenti d’oro e d’argento e se li andarono a vendere…A chi ? Ai camorristi, amici e complici loro. Tentammo di opporci ? Di reagire ? Come no… Non lo avessimo mai fatto !

Quei prodi italiani (che erano soldati, bersaglieri, garibaldesi, carabinieri…) ci chiusero nei covili, nei tuguri, nelle baracche, sbarrarono le porte e ci dettero fuoco ! E mentre noi morivamo fra quei roghi orrendi, quegli eroici figli di puttana (mai pace possano trovare i

figli dei figli dei figli per settantasette generazioni !) spronavano i cavalli e, urlando Briganti !

Briganti ! (e va sapendo i briganti eravamo noi !…), giravano e rigiravano attorno alle fiamme,

bevevano, sputavano, sgruttavano, sghignazzavano in preda a una furia, a una foia

animalesca che era arraggimma, era fregola di gatte in calore, urlavano cose incomprensibili,

scaricavano le loro rivoltelle e i loro fucili verso le stelle: le quali, duttó’, come diceva quello, restavano a guardare…

Don Liunà’…E erano stelle pure i superstiti ?

Avendo capito l’antifona, rispose don Matteuccio, il vecchio postino. Il quale – la bocca

tremolante e atteggiata ad un sorriso che tralignava a tratti in un ghigno amaro- disse, pieno di ironia: I superstiti ? Zitte ! Se tenevano la posta. E

sse l’avevano da tènere, duttó’… Nfaccia

all’Italia-una, chi cumannava tribule e catene aveva da essere sultanto ubberito.Vulimmo

parlà e parlammo…Che cacchio poteva rappresentare la nostra morte di fronte ad un’ Italia-

una che noi vittime e loro assassini stavamo realizzando con tanto patriottico amore

reciproco (bravo don Mattiuccio !…NdA) ?

I morsi delle fiamme nelle nostre carni dovevano sembrarci carezze al pensiero che dalle Alpi

alla Sicilia saremmo stati uniti, e che nostro re sarebbe stato quel re galantuomo…Chillo

llà…Quel fetente di Savoia ca mai pace pozza trovare, che pozza àrdere, assiemme co li suoie,

dint’a lo peggio furno de lo nfierno…

Dottó’…Zitte rimanevano, le supèrstete, e felice e cuntiente…Zitte !

Se tenevano la posta. Ih che mmonnezza !…

Poca storia locale ? E tragica solo perché esagerata nel racconto dei figli di coloro che se la

videro scrivere addosso, sulla propria pelle, non già rimettendoci calamariere d’inchiostro,

ma fiumi di sangue ?…

Don Liunardo e don Mattiuccio erano andati ben oltre.

In quante comunità del conquistato Sud non si verificarono, in quel tempo maledetto, episodi di tanta efferatezza ? In quali terre dell’ex Reame i vincitori lasciarono in pace i cafoni, non li massacrarono chiamandoli briganti, o non gli gettarono addosso i terribili cani di presa amici loro, i camorristi o i briganti veri, allo scopo di tutelare gli sporchi interessi dei latifondisti

che avevano finanziato la spedizione garibaldina ottenendo in cambio che i piemontesi

chiudessero gli occhi sulle usurpazioni delle terre demaniali e dei relativi diritti, e sulle

espropriazioni abusive degli usi civici ? Don Liunardo e don Mattiuccio ci avevano raccontato solo la verità.

Non soltanto quella di Pontelandolfo e di Casalduni. Quegli assassini dei fratelli d’Italia

avevano guazzato nel sangue di centinaia di migliaia di cafoni inermi e miserabili in tutte le

contrade del Sud liberato e redento.

Ma come mai quei due poveri vecchi la conoscevano, la verità, e i grandi autori dei grandi

libri di storia no ?…

E QUESTO È IL FATTO…

E cchisto è ‘o fatto !…

Basta sfogliare un qualsiasi testo di storia d’Italia per rendersi conto dell’indecente faziosità con la quale gli infranciosati conquistatori e i loro degni accoliti (i nostri bravi traditori fra quelli) montarono i fasti del cosiddetto risorgimento e affrontarono il tema, ad esso pertinente, dell’altrettanto cosiddetto brigantaggio post-unitario nelle provincie meridionali. E non è necessario andarlo a pescare, questo qualsiasi testo (da aprire e leggere per vomitare…), fra i cimeli delle premiate Fiere delle Falsità allestite dal fatal Sessanta in poi, mentre quei funesti eventi si compivano.

Sorelle carnali di quelle messe in piedi dopo il Novantanove e il Quarantotto, esse dànno ancora i numeri a qualsiasi ora del giorno e della notte, e non chiudono, e non sbaraccano mai…A finanziarle e a proteggerle pensa babbuccio loro, lo Stato unitario che quei numeri deve far uscire su tutte le ruote e, neppure due volte la settimana, e neppure ogni giorno: ma in ogni momento ! Sennò perde la faccia !

E certamente è questo l’aspetto più vergognoso della cosiddetta storia del cosiddetto risorgimento…. La Storia di tutte le nazioni del mondo rivede se stessa ogni volta che si trovi di fronte a nuove scoperte documentali: procede alle opportune revisioni senza far drammi, si aggiorna. La storia d’Italia (che è consapevole delle proprie falsità) resta inchiodata alle spudoratezze vigliacche ponzate dai tantissimi panegiristi della Solenne Impostura Risorgimentale: continua, con cinica premeditazione (mentendo sapendo di mentire), a spacciare Falsità su Falsità.

I buoni ? Sempre loro: i vincitori. E i cattivi ? Sempre noi: i vinti…

E qual è la più insopportabile delle beffe che si aggiungono ai tanti danni ? È il bossismo. Alla mostra permanente, immonda, della mistificazione organizzata si aggiunge l’acido spetazzare delle calunnie del fecciume leghista. Tutto italiano, il paesaggio ? E già…Sputano addosso a noi finanche i padanisti. E sputano perché ci odiano, sputano perché ci schifano. Ma, chiediamoci, però: perché ce l’hanno tanto a morte con noi ? Ci odiano e ci schifano, forse, perché – individui, non persone – essi non sanno fare altro che sputare con voluttà morbosa sugli uomini e sulle cose che vanno ben oltre la portata del loro scadente comprendonio ? Oppure ci odiano perché ci invidiano: perché, per quanto non siano adeguatamente attrezzati mentalmente – sempre individui, e mai persone – riescono ad intuire almeno questo: che l’abissino di partenza, il piccolo abisso di partenza, cioè, scavato dalla Storia tra loro, i galli, e noi, i greci, resti tuttora incolmato nei rispettivi discendenti ? Possiamo affermare che l’odio padanista è, dunque, l’ovvia conseguenza di un maledetto complessino: cioè di un piccolo complesso, di inferiorità ?

A parere nostro, i padanisti (che non vanno mai confusi con i padani ! ) – saranno pure mezze calzette rivoltate e rattoppate, avranno finanche un sensibile deficit di materia grigia, saranno pure individui e non persone – ci odiano e ci schifano perché sono male informati su di noi, sanno, eccome no !, i cacchi dei nostri magliari, e basta ! Sanno dei nostri rifilatori di scartiloffi e di bidoni, e basta ! E fanno di tutte le nostre erbe un solo fascio… Chisto è ‘o fatto !…

I padanisti ci disprezzano perché siamo noi, noi sudisti, gli italiani peggio referenziati dell’Italia-una, e tali restiamo finanche agli occhi loro di fecciaiuoli-storici, e cioè di povera gente senza storia. Di tal che (invece di dolersi del fatto di dover vegetare, poverini, sforniti di quell’abc che, consentendogli di imparare a campare, potrebbe consigliargli l’uso di sputacchiere aventi fisionomie niente affatto somiglianti a quelle dei nostri uomini e delle nostre cose), fecciaiuoli e fessi pure, decidono che guardare dall’alto in basso la Terronia gli spetti, perdìo, per essere loro prosapia divina, e noi miserabile spermaglia fetente di un dio minore.

E sissignori: ci odiano e ci schifano, i fecciaiuoli. Ma chiediamoci subito: e noi ?…Noi, odiati, calunniati, schifati: quando i fecciaiuoli della favolosa Padania ci svuotano addosso i loro cacatoi, in quale civilissimo modo li ripaghiamo ? È vero o non è vero che li ripaghiamo con il più incazzato a morte dei Va fà nculo ?…È vero o non è vero che ci spremiamo, fino a diventare paonazzi, per urlare, come tanti pazzi scatenati: ‘E nurdiste so’ na chiavica ?…È vero !… Risolviamo il problema come se stessimo allo stadio: Nord-Sud, ics, parapatta e pace. Embè: loro ci hanno sturdute, stupetïate ‘e sìschere, e noi li abbiamo ntrunate, nzallanute ‘e pernacchie LI padanisti fanno i Taniello e noi facciamo i fra Liborio del marchese di Caccavone: Chello va pe cchesto e cchesto va pe cchello…

Restituiamo, l’abbiamo detto, pernacchi per fischi, e siamo pari.

Sciù !, per il Nord e per il Sud ! Trista è ‘a rogna, pèvo è ‘a zella. Brutta è la scabbia, e la tigna

è pure peggio…

L’ EFFETTO FIERA DELLE FALSITÀ

Vi sono altri motivi (a parte quelli fisio-patologici che sono identificabili a occhio nudo nel

loro comportamento) per cui i fecciaiuoli del Nord, i padanisti, ci odiano e ci schifano ? È

pensabile che il fecciume nordista sia da consegnare tout court alla neuropsichiatria o,

peggio, alla idiotoiatria ?

Chi sostenga questo, sempre a nostro parere, non centra il bersaglio. Anzi: si mette dalla

parte di quella selvatica consorteria sudista che si vendica degli odi e dei disprezzi urlando

‘E nurdiste so’ na chiavica !… Chi sostiene questo deve dirci quale differenza passi tra lui e un medico che usi tastare i polsi per telefono e fare le diagnosi a distanza e pure a dispetto

Denunciamo l’abituale italico Falsismo integralista della storiografia e le sarabande nordiste

intrise di razzistico odio anti-sudista: ma facciamo scaturire queste cafonesche giaculatorie

soprattutto da quell’infame perverso Falsismo. E i conti tornano. Le beffe oltre i danni di cui

sopra sono conseguenze dell’impazzare del Mendacio. Il fecciume padano ci odia e ci schifa

forse perché sa di essere inferiore: ci schifa e ci odia certamente perché non sa. E noi

riusciamo a contro-odiarlo e pure a contro-schifarlo solo a colpi di Va fà nculo ! perché siamo

vittime del medesimo Mendacio.

Che è Mendacio di Stato.

Insomma: alle radici della pessima considerazione in cui il Nord tiene il Sud sta l’effetto

stravolgente di quelle Fiere delle Falsità che il signor capo dello Stato in testa e i suoi

papaveri grossi, mezzani e minuti appresso (tutti quacquaracquà, tutti quanti, in paranza: li

senti gridare Ih, uh, oh, ah, che vergogna, Bossi !, ma Bossi sputa, ed essi restano ai loro

balconi a guardare come fa…) non intendono sfabbricare: quasi che non fossero sempre state

quelle fiere infami il fondamento, la base, la pezza giustificativa, l’alibi, la forza della cultura

anti-sudista dell’Ottocento e del Novecento !

Chi ha il coraggio di smentirci ?

Il fecciume nordista, quello idiota, che è tardo e corto di comprendonio, ci odia e ci schifa

anche perché è nato, cresciuto e pasciuto tra quelle Fiere delle Falsità di cui stiamo lodando

montatori e protettori. Nel primo caso soffre di un brutto complesso di inferiorità, nel

secondo caso il complesso di cui soffre sempre brutto è, ma è di superiorità.

E perché è di superiorità ? Perché la storia d’Italia che esso conosce lo autorizza ad affacciarsi

sul Garigliano (magari dal ponte di ferro che Ferdinando II di Borbone fece costruire

sbalordendo l’Europa…) e a sputare e a vomitare e a farsi pure i suoi atti piccoli e grandi sulla

faccia di tutti gli uomini e di tutte le cose che da quel Garigliano fino a Pantelleria

rappresentano da quattromila e trecento anni il più sacro pianeta del pianeta Terra. La storia

d’Italia scritta con i piedi dai lacché del sabaudismo travestiti da storici, è un tal ammasso di

bugie che il fecciume nordista non potrebbe avere del Sud un concetto differente da quello

che esprime attraverso le sue monotone, tristi, patetiche, sconsolanti raffiche di insulti e di

calunnie.

E noi, bis in idem…Trista la rogna, peggiore la zella. Bossi-idioti si nasce, ma, santo Dio,

Bossi-razzisti si diventa: a scuola !…Dove la Storia dell’unità italiana è la storiella dell’agnello

che sbrana il lupo, la favola della libertà che spezza le catene della schiavitù, l’epopea dei

cavalieri dell’allobrogica tavola rotonda che tagliano le teste ai draghi sputa-fuoco della

Terronia…

E se anti-Bossi si nasce per un fatto di sangue, anti-Bossi alla stregua dei Bossi di diventa, bis

in idem, a scuola ! Dove il bianco del Sud è sempre nero, e dove il nero del Nord è sempre bianco !

INDOVINA INDOVINELLO…

Lo ha svelato mai alla feccia della Padania e contorni, qualche storico con gli zebedei al

tungsteno (esistono ?…) che, invece di odiarci e di sputarci addosso, i loro razzisti dovrebbero

aprir bocca solo per dirci grazie: grazie della pazienza che difronte alle loro provocazioni

siamo capaci di avere, grazie dell’onore che noi terroni, facemmo al loro Nord nel fatal

Sessanta, e ancora grazie dell’onore che da quell’anno maledetto gli facciamo, nel nome de

Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, ogni giorno ?

Indovina Nord bello, indovina indovinello…

Chi mise l’onore sulla faccia di un tricolore bianco, rosso e verde che era uno schifo di

simbolo ateo-massonico-giacobino, filo-gallico, bonapartista ? Fu o non fu il sangue dei nostri

soldati a ripulirlo, a disinfettarlo, a nobilitarlo, a fare di esso (che era soltanto una mappina

fetente) il simbolo sacro di una Italia-una che avrebbe potuto fare la fortuna di tutti i suoi

figli, e fece invece, vigliaccamente, figli e figliastri, padroni e schiavi, colonizzatori e

colonizzati, mariuoli e derubati, massacratori e massacrati ?…

E con quali braccia, se non con le nostre, furono fatte le automobili e le autostrade di quei

fecciaiuoli che inventarono per noi l’emigrazione interna, gli stagionali, i pendolari, e che,

campioni del liberismo fondato sul principio, caro al liberal-capitalismo, del massimo utile

con il minimo sforzo, spremono i nostri operai nelle loro super-foraggiate industrie e vanno

predicando la reintroduzione delle gabbie salariali per continuare a sfruttare i nostri

lavoratori rimettendoci costi ancora più bassi ?

E chi, se non noi, ricostruì il fecciume scarrupato dopo la seconda guerra mondiale ? Per

rimettere in piedi le città dei fecciaiuoli, il Debito pubblico non impiegò forse i risparmi delle

librette postali dei parenti dei nostri emigrati cacciati via a calcioni nel culo, espulsi sempre

con la mazza e mai con la carrozza da quella fetenteria di Italia-una che i nordisti avevano

inteso realizzare dopo aver sfruttato i nostri sogni e carpito la nostra buona fede, dopo aver

fatto man bassa del nostro oro, dopo aver massacrato, infamandoli come briganti, un milione

di cafoni, dopo aver profanato la nostra Civiltà che aveva solamente quattromila e trecento

anni?

Don Liunardo e don Mattiuccio avevano torto ? Macché !

E i danari della Cassa per il Mezzogiorno, danari destinati a noi, ci furono spediti o non ci

furono spediti con tanto di retro-marcia innestata e bloccata a che pigliassero la via dei

fecciaiuoli, ingrassassero quei brutti porcelloni suocce lloro, pari loro, che oggi li foraggiano ?

E chi la chiese la soppressione della Cassa perché, peggio di un ministero delle colonie,

espropriava regioni, province e comuni del Sud delle loro potestà gestionali e decisionali e,

quot peius, invece di assegnarci gli istituzionali contributi aggiuntivi, ci spediva (taglieggiati

alla base, ovviamente) contributi sostituivi che, non già quasi sempre ma sempre, non

coprivano neppure i contributi ordinari ? La chiese il senatur ? Il capo-feccia della Padania?

La chiese il sottoscritto, alla Camera dei Deputati, nel 1984.

Non si vantino mai i fecciaiuoli…Ché non vi è mai di che.

Non vi è mai stato. In tutta la loro storia senza storia…

E chi gli insegnò, chi gli ha insegnato e chi gli insegna a leggere e a scrivere, ai fecciaiuoli ?

Noi…Ma quali noi ? Quei noi che però…saranno pure greci, e sissignori, ma hanno

frequentato le scuole dell’Italia unita…

Quei noi che la sanno lunga fino al Novantanove…Poi cominciano a introppicare, a

incespicare, finché finiscono per spiegare ai fecciaiuoli in erba che il Sud debba ringraziarli a

ffaccia nterra, i loro bisnonnetti e trisavoletti, ché furono proprio loro (oh, che bravi !…) a

darci una mano fraterna a cacciar via un fetente di re straniero (che, guardacaso, parlava

napoletano soltanto da un secolo e un quarto) e furono sempre proprio loro (oh, che

magnanimi !…) a concederci l’onore di farci spartire con loro l’italianissimo loro re (che,

riguardacaso, era soltanto un infranciosato-storico che non parlava neppure francese: parlava

savoiardo…).

Ci odiano, i fecciaiuoli…Certo. E ci schifano pure. L’ingratitudine umana (così si dice e così è)

è più grande della misericordia di Dio. E allora…

Che gghiammo truvanno ? Che andiamo arzigogolando ?

I fecciaiuoli nordisti sono i galli che invidiano i greci e li odiano, li calunniano e li

bestemmiano perché hanno il complessino di inferiorità, e sono gli ignoranti che non sanno

un cacchio degli uomini e delle cose su cui sputano, presumono che noi si sia tutto quanto

essi hanno letto nei santi vangeli dell’Impostura risorgimentale e si fanno venire il

complessone di superiorità, e proprio per via delle falsità fra le quali sono nati, cresciuti e

pasciuti, niente sanno e niente vogliono sapere, sono finanche gli ingrati che non riescono a

dirci grazie dell’onore che, tradendo il nostro sangue e la nostra Civiltà, noi abbiamo fatto e

continuiamo a fare alla loro storia: che non fossimo mai stati, mannaggia a nnuie, tanto

masochisticamente affezionati alle catene, sarebbe né più né meno che la grande storia della

Padania: la storia, vivó !, della terra dei gloriosi Zi’ Nisciune, i quali, come si sa, discendono

nientemeno che da Zì’ Pacchione il Grande in persona, sicché sono parenti stretti dei favolosi

Cazze ‘e Lampachiara!.

Ma noi sudisti replichiamo agli insulti dei nordisti con gli insulti…

E non lo risolviamo affatto, il problema. Dovremmo tentare di risolverlo mettendo il

fecciume in condizione di sapere come andassero per davvero le cose nostre e le loro, per

effetto di quel fatal Sessanta ? E già.

Perché cantargli le pesti e le corna, povero fecciume, e fargli morti e stramorti, assalirlo con il

garbaccio della nostra rinomata vasciaioleria da mandracchio ?

Non sarebbe più opportuno, facendo finta di non conoscere tutti i perché del loro odio,

cercare di tornare i grandi signoroni che eravamo prima che un fetente di re usurpatore

mariuolo assassino, figlio di una verdummara e di un chianchiere, ci infliggesse il disonore di

scaraventarci nella puzzolente cloaca della sua e soltanto sua Italia-una ?

Perché scennere a ccumpetenzia, scendere al loro basso livello, replicare alle calunnie, con

anatemi e scuntrufole anche pesanti…?

Un nostro proverbio antico di quattro secoli non ammonisce, forse, che Autro che parole vòle

la zita !, altro che chiacchiere vuole la sposa, e che dunque non ci fa una bella figura chi

voglia ripagare un magliaro facendogli il pacco ?…E allora ?

CHE VERGOGNA DI NAZIONE !…

Fila o non fila, il nostro discorso ? E già, e già, e già…Fila. Ma po se ncaglia e addio…E perché mai si incaglia ? Perché non può essere di conseguenza. Per poter essere tale dovrebbe sapersene uscire con l’esortazione più ovvia, anzi, con la più naturale. Dovrebbe poter dire: Studiamocele bene, noi, le cose nostre e le loro, e poi le giriamo a loro, per competenza, ai padanisti: allora sì che renderemo un servigio prezioso all’Italia-una e a tutti gli italiani. Dovrebbe poter dire: M

Ma sì…Mettiamoli noi, dove andavano messi, i puntini, sulle i della nostra storia, e furono messi in maniera tale che loro, i vincitori, celebrassero i loro fasti, e noi, i vinti, rimanessimo scornati tra i nostri nefasti. E allora sì che le varie fecce di cui il Nord è super-produttore (ma, grazie a Dio, esistono anche nordisti onesti e per bene !) avranno di che tirarsi la lingua in quel posto…

E dovrebbe poter concludere: E, anzi, facciamo ancor meglio e di più. Facciamo in modo che chiunque si accorga che i puntini sono stati messi dove avrebbero dovuto trovarsi fin dal fatal Sessanta, si faccia la cacchina nelle brache, o, quanto meno, si preoccupi molto seriamente delle pieghe che le cose italiane potrebbero prendere: e altro che per assodare quale turpiloquio, quello dei fecciauoli nordisti o quello dei contro-fecciaiuoli sudisti, si fidi di essere più grasso e pittoresco !… E già, e già, e già…Abbiamo reso l’idea ? E allora, così come stanno, dal 1860, le cose dei libri di storia italiana che si intricano di affari risorgimentali e dintorni, i padanisti potranno soltanto continuare a far scoppiare sulle nostre facce i loro grutti acidi e fetenti. E noi potremo replicare solo per le rime: o, per poter dimostrare di saper mettere a’ coppa, potremo soltanto sbuffare sulle loro facciacce toste, toste al punto che il bronzo al loro confronto è ricotta, una mezza dozzina di quelle loffette robuste, che da noi si dicono chiantute, e che mozzerebbero il fiato ad un sommozzatore… Ci rileggiamo le righe introduttive di questo capitoletto ? E che cosa di nuovo possiamo dedurne se non che razzisti e anti-razzisti non si nasce, ma si diventa a scuola, dove tutto si insegna e si impara tranne che la Verità: che non s’ha da sapere mai ? E perché non s’ha da sapere mai ?

Quale tragedia nazionale sarebbe, riusciamo ad immaginarcela ?, se le Fiere delle Falsità chiudessero i battenti ? Cadrebbe a questa fetenteria di Italia-una la maschera dell’eroica e santa madonnella. E senza la sua maschera, la faccia di questa fetenteria di Italia-una sarebbe la faccia di una puttana, neppure qualsiasi: ma usurpatrice, ladra, razzista e assassina. E se queste cose le spiegassimo al fecciume…? Già…E a noi chi cacchio le spiega ?

Nord e Sud, questo sì che ci accomuna, siamo l’unica nazione europea che non sa la vera storia degli uomini e degli eventi che le dettero il battesimo, e che – proprio per questo suo continuo, protervo non sapere – non sa di essere giunta, ormai, all’estrema unzione… Siamo l’unica nazione del mondo civile in cui convivono popolazioni che non si capiscono, si sopportano, sì, per inerzia o per quieto vivere, finché non sbottano, arraggiate, in chi songh’ io e cchi si’ ttu, in chi sono io e chi sei tu, finché non corrono a cacciarsi le fedi di battesimo, a vantare e a sbattersi sulla faccia ettolitri di sanguiblù, quarti di nobiltà a bizzeffe, e foreste fitte di alberi genealogici nfraschïate ‘e palle, infrascati di palle…

E non sanno chi sono, come nascono, a quali sangui appartengono, di quali alberi genealogici sono ramificazioni…

UN PO’ DI STORIA AUTENTICA

Ma la funzione di chi sa è far sapere ciò che sa a chi non sa…

Questo libercolo sa. E allora, guagliù’, pigliate carta e penna e prendete nota. Così che

quando gli pruderà di bel nuovo il mazzettino, al fecciume, di sputarci addosso, noi gli si

possa rispondere non più per le rime, ma raccontandogli un po’ di quella storia del

cosiddetto risorgimento che può soltanto mortificarli e avvilirli…Quella vera.

La quale, per esempio, dice quanto segue:

Dal 1815, che fu l’anno della restaurazione post-murattiana, fino al fatal Sessanta, i sudditi di

sua maestà borbonica conobbero, al di qua e al di là dal Faro, soltanto cinque contribuzioni

permanenti:

1) la fondiaria, 2) l’indiretta (tabacchi, carte da giuoco, dogana, polvere da caccia e sale), 3) la

tassa di registro e di bollo, 4) la bonafficiata, 5) le poste. E la Sicilia andò sempre esente da

alcune di esse: e anche quando, in Sicilia come sul continente, furono introdotte nuove

imposte e nuove tasse, queste, sull’Isola, non vennero mai mantenute per molto tempo.

E qual era, di grazia, il sistema fiscale che vigeva nel regno sardo-piemontese quando la

cosiddetta epopea risorgimentale bolliva nelle auguste brache di Vittorio Emanuele, in quelle del suo servo-padrone Benso ragionier Camillo, e in quelle degli spettabili famigli loro di Stupinigi, Racconigi e casali vari ?

Dal 1850 (non ancora smaltito lo scucitone di Novara…) e fino al 1854, a fronte delle cinque contribuzioni permanenti, testé ricordate, sulle quali si reggeva il fisco napoletano, il governo sardo-piemontese introdusse, poveri sudditi, ventitré nuove tasse ed imposte. Nel 1850 rincarò i prezzi dei tabacchi, del piombo e della polvere da caccia, impose nuove tasse sui pesi e sulle misure, aumentò i prezzi della carta bollata, pretese di più sulle esportazioni della paglia, del fieno e dell’avena, aumentò per un quinquennio i diritti di registrazione, nel 1851 aumentò le tasse sulle costruzioni, sulla manomorta, sulle successioni e sulle industrie, nel 1852 decurtò le pensioni statali, aumentò le tasse sulle donazioni, sulle dotazioni e sui mutui, rincarò le spese delle adozioni e delle emancipazioni, nel 1853 aumentò le imposte di consumo non certo dei franfellicchi e dei bomboloni: ma delle carni, dell’acquavite, dei cuoi, delle pelli, della birra, aumentò le tasse a carico dei cocchieri di piazza, le imposte personali, le tasse sulla caccia e sulle associazioni industriali, nel 1854 inasprì di bel nuovo i prelievi sulle successioni, e così decretò per i valori bollati e per le produzioni industriali e le tasse sanitarie… Qualche fetente di risorgimentalista ha mai spiegato ai signori del piano di sopra quanto fossero pezzenti, quanto fosse pietosa la fiacca che battevano, quanto fosse vitale, per loro, dare retta alla pulce dell’Italia-una che i fuorusciti meridionali mettevano e rimettevano nei loro orecchi, ammantare di sacro l’empio disegno, e dare addosso al Reame ?

Qualche agiografo di quella solenne chiavicheria che fu il cosiddetto risorgimento italiano ha mai sentito il dovere di scrivere che tutti gli appassionati viva l’Italia suonati e cantati dai pezzentoni della premiata pidocchieria sabauda volessero significare Caro Reame, càntati il de profundis ché sei giunto al capolinea: mors tua vita mea, io risorgo a tue spese, tu sei fottuto e fottuto resti ?

Il divario fra i due sistemi fiscali era dunque enorme. E se è facile obiettare che non è mai stata la quantità dei prelievi a determinare i maggiori o i minori aggravi, ecco quanto è più facile costringere gli

obiettori a ingoiarsi le linguettine…Chi dice che i sudditi napoletani, pagando soltanto cinque tipi di imposte e tasse, fossero meno afflitti dei sudditi sardo-piemontesi che ne pagavano ventitré ? Non lo diciamo noi: lo dicono i conti ufficiali, lo dicono le cifre ineluttabilmente storiche.

Nella selva delle opere tanto inutili quanto ridicole sui rapporti Nord-Sud, vi è un’operetta preziosa che molti meridionali conoscono e molti settentrionali no, o fanno finta di non conoscere: gli Scritti sulla questione meridionale di Francesco Saverio Nitti. Nelle pagine della quale operetta (che fu ripresa da ancora altri scritti del grande statista di Melfi e mai e poi mai fu smentita dai passati e presenti maestri del Mendacio) si legge la risposta alla seguente domanda: quanto pagavano al proprio erario i sudditi di sua maestà borbonica quando ai fratellini piemontesi saltò il grilletto (per amore, si capisce…) di precipitarsi a rotta di collo (che non si ruppero) dentro le loro case per liberarli (a cannonate e a baionettate nelle reni) ? E quanto pagavano, loro, gli zelanti liberatori, all’erario di sua maestà sabauda, loro padrona e signora ?

Le sedici Province del Regno di Napoli – scrisse il Nitti – pagavano nel 1860, quando furono invase e conquistate, 110 milioni e mezzo di lire italiane al netto delle riscossioni. Con queste, arrivavano a pagare lire italiane 129 milioni, 629 mila e 676…Ma, scialapòpolo, facciamo finta che pagassero 140 milioni di lire e che i sudditi non fossero 9 milioni e mezzo ma 10…I regnicoli di Franceschiello pagavano, dunque, all’erario, ogni anno, per imposte, tasse, soprattasse e quant’altro, 14 lire italiane, o 14 franchi francesi, ché lire e franchi si equivalevano ed erano poco più della ventitreesima parte di un ducato: nel senso che per formare un ducato napoletano occorrevano 4 lire, o franchi, e 25 centesimi. E i sudditi di sua

maestà sabauda, gli eroi del risorgimento, i nostri fratellini, quanto pagavano al loro fisco ?

La massa dei prelievi del fisco sardo-piemontese equivaleva quasi esattamente a quella del

fisco borbonico.

Sua maestà Vittorio Emanuele II, cioè, mentre il tremblement stava per avere la sua terribile

stura, incassava, rispetto al nominale cuginetto Francesco II, gli stessi denari…Ma, santo cielo

!, i suoi sudditi, i fratellini nostri piemontesi, erano la metà, e neppure !, dei sudditi napolitani !…

Il che significa, sempre che la matematica non sia un’opinione, che gli infranciosati sudditi

del re galantuomo in embrione pagavano più del doppio delle 14 lire. Pagavano circa 30-31

lire l’anno, e neppure ogni anno: nel Sessanta, per esempio, ne pagarono 32- 33…

E qualche miserabile di risorgimentalista ha mai svelato agli italiani di sopra e di sotto

quanto pagassero, poi, a Italia fatta, i liberatori-redentori, e quanto pagassero i liberati-redenti ? Glielo sveliamo noi…

Fatta l’Italia, il Piemonte e dintorni si chiamarono Italia del Nord e le nostre provincie

meridionali presero il nome di Italia del Sud.

Ebbene, nel 1861, per 6 milioni di lire di redditi dichiarati e accertati, il Nord, tutto intero,

pagò all’erario ormai nazionale, che si insediò a Torino, un miliardo e 300 milioni tondi di

lire. E il Sud, tutto intero, per 2 miliardi e mezzo di lire di redditi dichiarati e accertati, di

milioni ne pagò 700 !

Il Nord, cioè, pagò il 21,66 % dei redditi, il Sud il 28 %.

In parole povere, guagliù’, i nuovi padroni ci si presentarono e dissero Piacere di fare la

vostra conoscenza, e noi rispondemmo Il piacere è tutto nostro. Avessero voluto usare, ai

cani dicendo, pesi e misure uguali per il Nord e per il Sud, per tutti gli italiani, il Sud avrebbe

dovuto pagare 541 milioni, non 700. Ma scarsi in italiano, i piemontesi fecero finta di essere

ciucci anche in latino: il significato dell’espressione par condicio dovevano, dovevano e

dovevano ignorarlo… Non ignorarlo, e applicarlo, avrebbe significato voler fare l’Italia-una: e

l’Italia-una, come il matrimonio fra Renzo e Lucia, non si aveva da fare, né allora né mai…

E il finalino è ancora più interessante…Eccolo qua.

E delle tasse, soprattasse, delle imposte dirette e indirette ? Che ne fu, dopo il Sessanta ? Ne

fu che i sudditi borbonici, che pagavano 14 lire a testa e ogni anno al loro fisco, ne pagarono,

al fisco italiano, 32 ! Sempre a testa, ma non ogni anno. Ché ogni anno che passò fu più duro

e più penoso. E, come concluse, l’indimenticabile don Mattiuccio, a Pontelandolfo ? Li

supèrstete? Zitte. Ih che mmonnezza…? Li supèrstete usarono la bocca soltanto per gridare

Viva l’Italia !… E meglio non avrebbe potuto concludere, don Mattiuccio…

I cervelloni meridionali erano saltati sui cocchi trionfali dei vincitori…Il Sud era al rantolo ?

Viva l’Italia, o zitti. Quei ladri fondavano finanche la Banca d’Italia, con i danari rapinati al

Sud: una banca privata che privata resta: eViva l’Italia, o zitti. E zitti si stettero. E d’altra

parte, come facevano a parlare ? Avevano i grugni impediti. Li tenevano affondati nelle

greppie tricolori. A stento riuscivano a mangiare a sbafo, a benedire gli imbanditori e a

sgruttare sulle nostre facce scavate dalla miseria e tagliate dal disonore…

Qualche fetente di risorgimentalista le ha mai svelate queste cose ? Mai.

Pezzenti storici, pidocchietti insignoriti…Sono questi gli epiteti con i quali ci piace, ogni tanto,

apostrofare i padanisti bossiani. Siamo cattivi ?

Non lo siamo. Seguiteci. Vi sono leggi naturali, anche in economia. Ed una di queste, che non

puó essere revocata, emendata, rimpiazzata, proprio perché è naturale, è la legge secondo cui

sono ricchi quegli Stati nei quali la moneta circola con maggiore velocità.

Alle ore 9 di stamattina, Casimiro dà ad Espedito, il suo salumiere, 50 mila lire, alle ore 9,10

Espedito se le spende facendo il pieno nel suo camioncino, alle ore 9,15 il benzinaio dà le

50mila lire che ha appena incassato alla moglie che paga la sarta, alle ore 9,20 la sarta dà le 50

mila lire al figlio che corre a comprare i due compact disc della sua rock-star preferita, alle

ore 9,25 il rivenditore che ha piazzato i due CD acquista due stecche di sigarette americane,

alle 9,30 il contrabbandiere consegna le 50 mila lire alla figlia che corre a comprare libri e

quaderni dal cartolaio, alle 9,35 il cartolaio, don Luigino, chiama Peppeniello, che è il suo

fattorino, e gli fa: Passa nu mumento pe ddó Spedito…Te fai fà doie marenne, prusutto crudo

e mmuzzarella, e tte faie dà doie birre e nu cuoppo ‘e pasta cresciuta…E che gli mette in mano

?…Le 50 mila lire che Espedito ha avuto da Casimiro neppure mezz’ora prima…

E che succede, a quel punto ? Succede che Espedito dà le 50 mila lire a Vicenzino, che è il

primo dei suoi figli, il quale, invece di andare difilato all’università, passa a salutare, diciamo

così, la tosta donna Rusenella che fa la vita e viaggia giusto a 50 mila lire a…saluto. Alle 9,45,

Rusenella va da Casimiro e acquista tre metri di stoffa: e lo paga con le 50 mila lire che tre

quarti d’ora fa proprio Casimiro ha dato al salumiere !

Casimiro ha un debito di 50 mila lire con la cameriera, se lo toglie, e la danza

ricomincia…Quanti affari sono stati conclusi in tanto poco tempo e sempre con una sola

banconota da 50 mila lire ? Una dozzina di affari, per 600 mila lire ! Le 50 mila lire si sono

moltiplicate per dodici… E per stasera, quanti affari saranno stati conclusi ? E quanti miliardi

avremo fatto circolare, e per quanti milioni di affari ? Riapriamo la citata operetta di don

Francesco Saverio Nitti, Ciccio per gli amici, e che cacchio va a capitarci di apprendere ? Che

proprio alla vigilia del tremblement, nel 1860, circolavano, in tutti gli Stati della Penisola, 667

miliardi di lire del tempo. Ne circolavano 22 in Lombardia, nel Parmense, nel Modenese e a

Venezia (pari al 3,29 % del totale), ne circolavano 85 in Toscana (pari al 12,75%), ne

circolavano 90 negli Stati pontifici (pari al 13,49 %), ne circolavano 27 nel regno piemontese

(pari al 4,04%).

E quanti milioni circolavano nel regno di Napoli ? Ne circolavano 443 !

Nella patria dei terroni, dei magliari, dei cafoni e dei camorristi, circolava solo il 66,44 % del

totale dei danari circolanti in Italia ! Gli italiani, tutti quanti insieme, facevano circolare 14 lire

a testa ? I regnicoli napoletani ne facevano circolare 49 e un quarto…

Pezzenti storici, pidocchietti insignoriti…

Ci piace apostrofarli così, ogni tanto, i fecciaiuoli del Nord. Siamo cattivi ?

L’unificazione italiana era stata una mostruosità bio-genetica. Mettere insieme siciliani e

altoatesini, calabresi e valdostani era stata un’alchimia pazzesca. Ce la rinfacciarono i

francesi, gli inglesi…

Ma avremmo potuto tradurla, pur conservando la nostre diversità, in un trionfo

straordinario. Il miracolo dell’osmosi e dell’armonizzazione che francesi e inglesi ritenevano

impossible avremmo saputo compierlo…

Solo che ci avessero concesso la par condicio !…

Ma quel cosiddetto risorgimento affratellatore ci piantò, a morte di subito, tutti i suoi coltelli

fetenti nelle reni !…

1) L’epoca in cui fu fatta l’unificazione era la meno opportuna e la più sospetta. Il Piemonte affogava nei debiti e doveva cacciar via lo spettro dell’asburgizzazione. Il Sud no. Il Sud aveva un regno sovrano, libero, indipendente, una monarchia nazionale, e la cambiale-tratta da cento lire di un qualsiasi regnicolo suo andava a ruba: veniva acquistata, sulla piazza internazionale di Parigi, meglio che alla stregua di un bene-rifugio !, per cento-quattordici-centoventi lire…

2) A promuoverla, l’unificazione, fu una pezzente e traballante trimurti del Nord (Piemonte-Lombardia-Liguria). Il sublime sogno dell’unificazione delle popolazioni italiche – sogno niente affatto dantesco (errata-corrige), sogno federiciano, cioè di quel Federico II di Hohenstaufen che fu il più geniale imperatore della Storia – servì solo da paravento agli

uzzoli schifosi di detta squattrinata e scricchiolante trimurti: uzzoli banditeschi, uzzoli, come dire, usurpatòri, massacratòri, colonizzatòri !

3) Il Reame napoletano fu invaso a tradimento, e Torino, svergognata, tentò di criminalizzare l’armata garibaldina. Mio diletto cugino Francesco – mandò a dire re Vittorio Emanuele II – e cchi ‘o sape a cchistu fetente ‘e Calibbarde che è sbarcato nSicilia e sta venenno a Nnapule spennenno ‘o nomme mio ?… Ma mo scengh’ io, con il mio esercito piamontese, e ssiente che mmuseca…’O faccio cchiù ffuì ca correre, a stu pirata !… Franceschié’, t’ ‘a dongh’io la soddisfazzione che meriti…Io, il tuo affezionato cugino…

Non scrisse in napoletano, il galantuomo !…

E già. Ma non scrisse neppure in italiano (il re d’Italia l’italiano lo conosceva solo di vista): e

se le parole non furono queste, questo fu il succo: Nèh, ma chi lo conosce, questo fetente di

Garibaldi che è sbarcato in Sicilia e sta venendo a Napoli spendendo il mio nome ?…Ma mo

scendo io, e sentirai la musica…Lo faccio più fuggire che correre, questo pirata…Te la dà lui,

la soddisfazione che meriti: il tuo affezionato cugino Vittorio Emanuele…

Ed era stato lui, l’ipocrita infame, a dare a Garibaldi ordini, danari, uomini, navi, fucili e

cannoni per fargli invadere il Reame di Napoli !

4) Ma alla conquista garibaldina andata felicemente in porto seguì la calata dell’orda cialdiniana nel regno sul quale la dinastia di Carlo III, monarchia nazionale napoletana, governava da oltre un secolo e un quarto: e subimmo lo scorno della presa di possesso delle nostre cose da parte dei pidocchietti che si dovevano insignorire…

5) Fu guerra aperta, ancorché mai dichiarata, tra i piemontesi (che obbedivano anche e soprattutto agli ordini della massoneria inglese) e i napoletani, traditi da generali, ammiragli, politicanti corrotti, con ori, sterline, franchi francesi, cambiali (talvolta false…), promesse di mazzette, vitalizi, pensioni, cattedre, posti e carriere causanti…

6) E l’orda barbarica diede inizio ai massacri della gente che si ribellava alle razzie, agli incendi, agli stupri, ai furti sacrileghi, ai soprusi di ogni genere. Tutti coloro i quali si difendono sono briganti ! Giù la maschera: la truppaglia allobrogica era calata giù da noi per estinguere la sua fame di bottino e la sua sete di sangue…Ed estinse questa e quella senza por tempo in mezzo…E alla grande !

7) E vergognosa fu la sconfessione di quel leone imbecille di Garibaldi che era stato l’unico conquistatore del Sud. I suoi decreti di alter-ego del re d’Italia Vittorio Emanuele – ih che figura ‘e mmerda ! – vennero revocati, non a Teano (errata-corrige), a Taverna Catena.

8) Il plebiscito con il quale i conquistati e colonizzandi napolitani accettarono l’annessione al regno del grande Usurpatore-Ladro-Assassino venne controllato dalla crema dei bersaglieri e dei camorristi di Tore ‘e Crescienzio. Qualche storico ha mai scritto che l’Italia-una che fa la guerra alla camorra deve il suo glorioso nascimento anche e soprattutto ad essa ? 9) Quei bastardi dei fratelli d’Italia superarono ogni limite con gli ultra-decennali massacri, barbarici, sadici, con i quali liquidarono, battezzandoli briganti ritardanti l’opera dell’unificazione, un milione di cafoni, i quali se ne strafottevano del Savoia e del Borbone: avevano soltanto lo smarrimento nell’anima, la fame nello stomaco, la disperazione nel cuore, la tbc, la terzana, le artropatie, le cardiopatie, l’anemia perniciosa, la mania suicida nel sangue. Erano insorti in armi contro i ricchi terrieri diventati liberali e italiani (vedremo perchè fra qualche pagina): erano insorti per stato di necessità, per forza maggiore, per legittima difesa ! 10) Quegli assassini dei fratelli d’Italia assistettero con cinica strafottenza all’ultimo atto della tragedia scritta dall’orda loro sulla pelle di un milione di cafoni. E coloro i quali scamparono ai bagni di sangue, deposero le armi: alcuni furono fucilati, altri furono avviati agli ergastoli. La fecero franca migliaia e migliaia di famiglie ridotte ormai allo stato di larve umane e sociali. E una merce nuova andò a ruba, a Napoli:

l’onore delle donne dei cafoni. Chi glieli dava, a quei poveretti, i danari per il passaporto rosso e il biglietto del bastimento ?

PREPARIAMO LA RIVOLUZIONE !

Ragazzi del Sud ! Il glorioso risorgimento italiano fu tutto questo.

L’unificazione italiana ci costò, in poco più di dieci anni, un milione di morti, tutti uccisi a tradimento, e ci costò, in meno di un secolo, e sempre a tradimento, ventisei milioni di emigranti !

Ed ha le meningi imbottite di puttanate, l’Italia ! Ad imbottirgliele sono state e sono i nord-dipendenti politicanti del Sud, gli eredi dei pragmatici e immorali traditori del fatal Sessanta. E sono stati e sono gli untuosi servitori del Mendacio: gli storiografi e i giornalisti. Ma noi abbiamo un dovere da compiere. Una Mamma offesa, tradita, maltrattata, calunniata e in catene sta chiamando dal 1860 i suoi figli attorno alle sue piaghe fisiche e morali che ormai Y hanno ridotta allo stremo. È possibile che nessuno di essi ne oda il rantolo che giorno dopo giorno si fa più forte e accorra al suo capezzale ? Ed è possibile che nessuno decida di non farla morire e, preso da sacro furore, dichiari la guerra ai suoi vigliacchi torturatori di sopra e di sotto per ottenere (prima ancora del risarcimento dei danni materiali e morali che Essa subisce da quasi centoquaranta anni) che quei puntini sulle Sue i vadano messi al loro posto prima che sia troppo tardi (e chi vuole intendere intenda) ? Ed è possibile che neppure il Capo dello Stato, che è il simbolo dell’Italia-una, comprenda che il Sud ha bisogno, sì, di tante cose, ma per poter avere la meglio sulla malasorte materiale e morale che incombe su tutti i suoi organi vitali è indispensabile ed urgente il suo ricovero nel reparto di rianimazione e terapia intensiva dell’ospedale della Sacra Verità Storica, e non già di scongiuri, e tanto meno di novene – con tutto il rispetto – al solito taumaturgo san Gennaro ? Il Sud voleva l’Italia-una e la sta ancora aspettando. Il Nord voleva solo il Sud ! Voleva un’ Italia tutta sua per farci solo i cacchi suoi ! Le nostre cose non andarono come gli scribacchini al servizio di quegli assassini dei fratelli d’Italia vollero farci credere…E chiunque sostenga il contrario, beatificando il cosiddetto risorgimento, mente: e mente solo per la gola…E fa dell’apologia del crimine ! A cominciare dal Capo dello Stato, che è piemontese, discende da gesuiti travestiti da sbirri, e da sbirri travestiti da gesuiti !

Ragazzi del Sud ! Sangue del nostro sangue che forse non sarà blu ma acqua certamente non è ! Scribacchini travestiti da storici imperversano dal 1860, e Roma ci impone di abbeverarci alle loro avvelenate fonti ? Noi possiamo dimostrare la loro velenosità.

Ed è per questo che abbiamo scritto Italia ! Italia ! Italia !…, ed è per questo che scrivemmo Quegli assassini dei fratelli d’Italia…Ed è per questo che scriviamo queste schede, essenziali e veritiere, sul cosiddetto brigantaggio post-unitario nelle provincie meridionali. Noi quel rantolo lo abbiamo udito e quelle piaghe e quelle catene le abbiamo viste, e non ci fidiamo più di sapere che Mammà sta morendo e che noi figli ce ne stiamo con le mani in mano, o, peggio, stiamo lì, al suo capezzale, soltanto a tirarle i piedi.

Il Sud non deve scalare campanili e agitare leoni ! Il Sud ha da organizzare la sua inesorabile vendetta. In qual modo? I suoi figli mettendo o rimettendo a dovere, al loro posto, i puntini sulle i della propria storia. Voi ragazzi imparando e riflettendo…Noi il dies irae, che spunterà, ne siamo certi, potremo non vederlo. Vogliamo andarcene, però, con la soddisfazione che a propiziarne l’aurora e il mezzogiorno (di fuoco !…) siamo stati noi. Noi scriviamo tutto quanto sappiamo ! Voi, imparate. E allora sì che la musica sarà diversa. La forza di sbattere sulla faccia gialla dei nostri calunniatori (e di quelli che fanno finta di incazzarsi quando la feccia padanese ci sputa addosso) tutto quanto avremo scritto e imparato ci verrà dalle verità che saremo stati capaci di appurare sul nostro conto. E allora sì che potremo sfidare i professoroni ciucci, i cattedratici bugiardi, i sabaudisti postumi e cocciuti, i sacchi scuciti che dal 1860 si dànno le arie dei materassi imbottiti o delle

trapunte arabescate. E allora sì che potremo mandargli a dire, ovunque si annidino e chiunque li foraggi: Vi siete cacagliati e ragliati addosso! La vostra sporca iacovella è durata abbastanza. E dunque: Scennite da cavallo…E gghiate a ppère ! Iate !… Un giorno, questi sfratta-panelle, questi ietta-càntere, questi saccenti e vuoti schiavacci del potere allobrogo-longobardico giureranno nientemeno che il liberal-capitalismo annoveri dei santi tra le sue orde: e ne faranno perfino i nomi…E quanta sporcizia getteranno sulla trimurti tragica del Sud (Mafia-Camorra-Ndrangheta) è presto detto: ne getteranno quanta ne gettano dai giornali e dalle tv i loro compari giornalisti i quali nell’arte di leccare e succhiare i famosi campanelli cinesi fra le natiche dei potenti sono, come sopra, maste fernute.Giureranno cose ovvie, scontate: che la nostra tragica trimurti (della quale giureranno che siamo figli degnissimi!…) compia crimini orrendi, e che lo Stato, prosit, faccia bene a perseguitarla per farglieli pagare…

Non giureranno mai, però, che in Italia imperversi, più efferata di ogni altra, una gang di industriali super-assistiti e super-parassiti che realizza il massimo utile con il minimo sforzo, e che questa gang sia proprio il riverito e onorato liberal-capitalismo, e che, cancro del sistema economico, esso sfrutti il lavoro e tenda a monopolizzare i mercati e compia due crimini che lo Stato punisce legiferando per favorirli: spremendo i contribuenti, facendo senatori a vita e capi di governo e ministri i ricattatori più abietti… Se non mi dài 5 mila miliardi, trasferisco gli stabilimenti altrove, all’estero, all’inferno : dove trovo manodopera migliore di questa e con minori pretese!…E lo Stato risponde Sì, sì, sì !… E i professoroni scrivono Bravo !…

E non giureranno mai che se in Italia è un leviatano, questa gang è il cancro che divora l’anima e il corpo del Sud.

Il liberal-capitalismo robotizza i nostri operai imponendo loro ritmi di lavorazione e unò-dué da lager che al Nord si guarda bene dall’imporre, e vuole le gabbie salariali per ridurre ulteriormente i costi…Nel frattempo ha distrutto l’agricoltura, ci ha tolto i sapori e i colori della terra, del cielo e del mare, ha devastato la nostra cultura, ha mortificato la nostra fantasia, ha dato la morte a quelle piccole e strapiccole imprese, specialmente quelle a conduzione familiare che rappresentavano la vitale boccata di ossigeno per la nostra semi­asfissiata economia, il danaro che le banche gli prestano lo restituisce con interessi ridotti rispetto a quelli che le banche medesime (associazioni per delinquere di stampo mafioso super-protette dall’Italia-una) pretendono dai nostri imprenditori…

Giureranno finanche che il liberal-capitalismo ha risolto tanti nostri assilli occupazionali?…Eh ! Il confindustrialismo agnellesco e berlusconiano lo giura e lo fa giurare da una vita ! Ma non giureranno mai, quei fetenti schiavacci, che, come dovevasi dimostrare, il Sud ricopre ormai da attore consumato il ruolo assegnatogli nel 1860 dai vincitori: il ruolo del consumatore dei prodotti del Nord, il ruolo della piazza sulla quale devono scialare le industrie di quegli assassini dei fratelli d’Italia ! E non giureranno mai che chi consuma licenzia, sbaracca e chiude: solo chi produce ingrassa, solo chi produce si spande, si ingrandisce, si allarga, solo chi produce assume !…

DECAPITARE E SALARIZZARE…

E chi giurerà mai che è questo associazionismo per delinquere il perverso strumento attraverso il quale si perfeziona il piano dei colonizzatori scattato nel fatal Sessanta: la decapitazione delle colonie, l’assoggettamento, la nord-dipendenza ? Cervelloni ! Salite su da noi, al Nord ! Quanto volete al mese ? Purché badiate ai cacchi nostri, non ai vostri!… E il resto ? Mance: operai, uscieri, fattorini, portieri, banconisti, autisti, parcheggiatori…Ma sì che ce la fanno a sbarcare il lunario, costoro, ce la fanno, ce la fanno, ce la fanno. Ostia! La

disoccupazione terrorizza il Sud, e quegli assassini dei fratelli d’Italia accorrono nel Sud e lo

salvano. E come lo salvano? Offrendogli il salario ! Lo salvano realizzando il perverso piano

allobrogo-longobardico-licustre del cosiddetto risorgimento : nordizzando coloro i quali

potrebbero correre a suonare le campane e a gridare che Li turche so’ sbarcate a la Marina…E

salarizzando i poveri disgraziati: quelli che come pecore belano, belano, bèèè, ma poi si fanno

scannare tanto belli, e come cani abbaiano, abbaiano, bù bù, e non mordono mai…

Fu perversa la trappola che i pezzenti della trimurti del Nord ci tesero nel fatal Sessanta, per

fare non già l’Italia degli italiani ma l’Italia loro, l’Italia degli eroi e dei briganti, dei padroni e

degli schiavi, dei massacratori e dei massacrati, dei conquistatori e dei conquistati, dei

rapinatori e dei rapinati, dei produttori e dei consumatori, dei liberal-capitalisti e dei salariati

da spremere e gettar via come limoni ormai senza più sugo, dei pidocchi che dovevano

insignorirsi con i nostri danari e dei gettati sul lastrico che, spogliati, vessati, mortificati e

schiattati in corpo, e derubati del passato, del presente e del futuro, dovevano andarsi a

cercare al di là dell’oceano il tozzo di pane per non morire di fame !…

Il cosiddetto risorgimento, guagliù’, a noi doveva dare il fumo e il fumo dette, e a chi lo

aveva escogitato per poterci fare tranquillamente i cacchi propri doveva riservare l’arrosto, e

l’arrosto riservò…

Persuadere la gente del nostro sangue sarà difficile ?

Siamo convinti che dover tentare di risvegliare in essa l’orgoglio nazionale che fa parte del

suo DNA e può essere soltanto assopito è, per noi, un obbligo morale, civile, professionale.

Siamo sicuri, o non lo siamo, di riuscire a fare proseliti ? La nostra risposta è che non ce ne

fotte più di tanto…Le catene alle caviglie e ai polsi ci vanno strette, lo stoppaglio che

portiamo conficcato nella gola ci toglie il respiro. E bella, papale papale, la verità è che per

non dover morire incatenati e asfissiati, pensiamo che un solo scampo abbiamo il dovere di

indicare ai nostri connazionali: la rivoluzione.

Ma non quella delle bombe e del sangue.

Dobbiamo prendere coscienza del nostro stato di conquistati, colonizzati e assoggettati,

sbatterlo sulla faccia dei fetenti di lassù e di quant’altri complici, nordisti e sudisti, essi si

procurarono con il danaro (nostro !…), dobbiamo sederci noi e loro a tavolino e fare oppure

disfare definitivamente l’Italia-una per la quale fummo disposti a giuocarci finanche Dignità

e Onore di Nazione: tradimmo un re che era nostro, una patria che era nostra, una

indipendenza che era nostra e soltanto nostra…

Non sarà possibile ottenere la par condicio da i vincitori ? Dovremo continuare a fare i vinti ?

Peggio per chi ebbe torto ed ha torto. Con chi soffre non si può tirare a lungo la corda.

Qualcuno prima o poi si fa male.

Noi scriviamo per preparare la rivoluzione. Perché voi, ragazzi che domani sarete uomini, prendiate coscienza dello stato di soggezione nel quale la pidocchiosa

trimurti nordista ci

spinse e ci continua a spingere con l’inganno e con la violenza riducendo sempre più al

lumicino le nostre speranze di sopravvivenza. Sì. Scriviamo per preparare la rivoluzione. E

non può contare se avremo successo domani o fra un secolo. Lo avremo.

Ragazzi del Sud ! Sangue del nostro sangue !

La Storia è solo questa. E gli storici italiani, per la faccia loro, continuano a servire il

Mendacio. Che è Mendacio di Stato. È il Mendacio che copre le sporcizie che i barbari si

portarono appresso per infettare il Reame e ucciderlo a tradimento. È il Mendacio che fa da

nobile paravento, tutto mitica magnificenza e tutto fiabesco splendore, ad un cosiddetto

risorgimento che fu solo tra i tempi più sconci della storia europea, e non può e non deve

essere svergognato. E sennò…

E sennò non si scopron le tombe e non si levano i morti : si scopron le zelle e si levan gli

sputi, oltre ai fischi e ai pernacchi !…E a schifìo finisce…

Brutto affare facemmo. Essere meridionali – calabresi come napoletani, pugliesi come lucani,

abruzzesi come molisani o come siciliani – fu sempre un onore, per otto secoli di fila. Dai

Normanni in poi.

E sarebbe stato un onore essere italiani in un’Italia-una sul serio.

Ma in questa…Questa Italia-una il nostro Onore ce lo strappa, e lo usa per nettarsi il culo ogni

giorno !

E la colpa è soltanto nostra: ché non le sbattiamo mai, sul brutto grugno che si ritrova, un bel

Basta !, deciso e sanguigno…Tremendo !

Ragazzi del Sud: non lo scordate mai !

Dal sito www.angelomanna.it

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