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Quella voce che viene dal mare. Nella sala della Meridiana del museo archeologico

Posted by on Apr 1, 2016

Quella voce che viene dal mare. Nella sala della Meridiana del museo archeologico

fonte ilmondodisuk.com

Continuiamo il nostro excursus nella mostra “Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei”. Questa volta l’autrice si concentra sull’esposizione al Museo archeologico.

 

1738. Ufficialmente è l’anno della scoperta delle città sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. In realtà, i ritrovamenti erano già iniziati 40 anni prima, quando un contadino, scavando un pozzo ad Ercolano, vi aveva trovato dei marmi pregiati. Venne a saperlo un artigiano al servizio di un nobiluomo e poi un funzionario del re Carlo di Borbone il quale ne riferì al suo Sovrano, che, appunto nel 1738, diede l’autorizzazione agli scavi. Da notare che Carlo è lo stesso re che fece costruire il San Carlo, il teatro d’Opera più antico del mondo, che, tre anni dopo la sua ascesa al trono, il 4 novembre del 1737, era già pronto per mettere in scena “Achille in Sciro”. (la stessa opera, il 4 e il 5 novembre di quest’anno 2016, sarà presentata, nello stesso teatro, per le celebrazioni del tricentenario della nascita del re Borbone).
Gli scavi proseguirono, interessando Pompei e poi Stabiae e Oplonti. Il figlio di Carlo, il re Ferdinando IV di Borbone, stabilì di allocare questi reperti, insieme alle opere d’arte di famiglia, in un grande palazzo seicentesco e qui i re napoletani li mostravano agli amici, ai turisti e ai diplomatici stranieri. Questo palazzo oggi è il Museo Archeologico di Napoli. Conserva il più ricco e pregevole patrimonio archeologico d’Italia, che offre alla vista di tutti, cittadini napoletani e turisti. Testimonia la bellezza dell’arte antica e l’attività e lo splendore della capitale borbonica.
La notizia della scoperta delle antiche città sconvolse la cultura europea. Un turismo di alto rango di studiosi e scienziati accorse a Napoli da ogni parte e tra questi Johann Joachim Winckelmann (1717/1768). Il famoso studioso tedesco, ammiratore degli templi Paestum (= Poseidonia) e della scultura antica, che immaginava di un purissimo bianco, teorizzò quel classicismo che credeva di vedere in questi antichi reperti e ne considerò seguaci i romani, pur se affermava che “la prima fonte di ispirazione deve essere collegata a Omero” (“Saggio sull’allegoria”). Nacque così, negli scritti teorici e nelle arti, il Neoclassicismo, che si svilupperà soprattutto nella Francia giacobina e napoleonica. I napoletani furono accusati di non essere abbastanza neoclassici. Ma essi videro nella riscoperta dell’antico non tanto il classicismo quanto la classicità (sinonimo di bellezza di prima classe) dei ritmi ellenistici, che furono usati nelle decorazioni “pompeiane” delle sale dei palazzi, nelle “vedute” cittadine, nelle nature morte, finanche nelle stampine d’illustrazione e furono sottintesi nella grande pittura. I napoletani erano consapevoli di essere depositari e continuatori di quella antica cultura, in cui ritrovavano, liberandola dalle successive forzature, la loro origine, la loro identità.
La mostra “Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei”, presente a Pompei e al Museo Archeologico dal 16 marzo, testimonia l’antica nostra civiltà, mostrandone le varietà ed esaltandone l’originaria componente magnogreca. A Pompei si ha la testimonianza realistica, nelle cinque ville con giardino di recente ristrutturate, di una piacevole vita quotidiana allietata da una natura benigna. Qui, al Museo Archeologico, più chiaramente e ampiamente è testimoniata la vita spirituale dei nostri antichi, se ne comprende la religiosità, la sacralità dei miti naturalistici, la capacità immaginativa, l’arte, che qui è espressione di una originaria bellezza e di una visione ampia e profonda del mondo. Una visita a questa mostra non può lasciare indifferenti, è un’esperienza che rimane nell’anima.
Dal vasto atrio del museo si può entrare nei giardini storici, che, riaperti per l’occasione, accoglieranno anche in seguito i visitatori: vi è creata un’atmosfera in cui si esalta la natura e l’antico e si percepisce l’eternità della storia.
Ma dove la mostra assume il carattere splendido di un lusso straordinario è nella Sala della Meridiana. Qui vi sono oggetti preziosissimi, in cui ammiriamo la conoscenza dei materiali, la creazione dell’artista, la tecnica dell’artigian; e anche il lavoro attentissimo dell’archeologo scavatore, quello sensibile del catalogatore e quello consapevole dello studioso che ha conservato questi oggetti e di quello che ha preparato questa mostra lussuosa. Il tutto offerto a noi poveri mortali.
Possiamo ascoltare in queste opere una voce che viene dal mare, di una civiltà che qui è arrivata attraverso un viaggio mediterraneo e quindi è profondamente consapevole del fascino e dei pericoli marini, cioè della forza potente di Poseidone. E’ una civiltà che, più di altre, sa, per esperienza, che l’uomo non è il padrone della natura, ma deve osservarla e rispettarla. Così nella coppa di Nestore, un cratere dell’VIII secolo a. C. ritrovato a Pitecusa (Ischia), vediamo una scena di naufragio. E spesso, nei dipinti di scene mitologiche, compare il mare, sia con le sue rocce, come nel mito di Perseo e Andromeda, sia con la rappresentazione di coste punteggiate di ville. Le acque di una cascata, invece, sono visibili in quel mito di Artemide e Atteone che in pittura è stato replicato più volte.
La storia è questa. Afrodite può mostrarsi nuda ma non Artemide. Atteone vede Artemide bagnarsi nuda sotto una cascata, la guarda ed è punito, sbranato dalle belve. Nella rappresentazione dei miti antichi ritroviamo quelli posteriori: per esempio, nel mito di Piramo e Tisbe ritroviamo la storia di Romeo e Giulietta. Non solo. Nella pitture nella sala della Meridiana possiamo trovare in nuce gran parte della pittura europea e oltre. Michelangelo, Raffaello, Botticelli ecc. erano già lì, nel mondo greco. Così i vari generi pittorici: i ritratti, le “vedute” e le “nature morte” e le pitture di historia.
Nella Sala della Meridiana sono in mostra anche deliziose sculture e preziosi oggetti d’oro. Tra questi, di grande bellezza e lavorati con molta perizia, le corone di foglie di oro purissimo che provengono dalle tombe scoperte a Verghina, in Macedonia, negli anni Settanta del secolo scorso. Queste tombe contengono un giallo. Appartengono ai re macedoni del IV secolo a. C. ma non si sa con precisione a quali. Una di queste tombe apparterrebbe al primo re della Grecia, quel Filippo II di Macedonia che fu padre di Alessandro il Grande, colui il quale conquistò il Medio Oriente e rese greco anche l’Egitto. Un’altra tomba, forse, a Filippo III Arrideo, figlio della seconda moglie di Filippo II, che Olimpiade, la prima moglie di Filippo II, avrebbe fatto uccidere per far salire al trono il proprio figlio, Alessandro III, del quale sarebbe l’altra tomba. Come andò veramente non si sa.
La mostra testimonia la varietà in cui si articola la civiltà e l’arte ellenistica e libera la grecità dall’immagine del classicismo in cui è stata imbalsamata. Vediamo, quindi, oltre la varietà delle rappresentazioni, la varietà delle tecniche, la fantasia degli intarsi, la meraviglia dei vasi invetriati, la grandezza di certi vasi straordinari. Interessantissima è appunto la pittura sui vasi magnogreci del IV secolo a. C., che non si possono definire romani perché i rapporti di sudditanza con Roma a quel tempo non c’erano.
Sulla curva superficie di questi vasi anche i visitatori della mostra possono osservare quella rappresentazione dello spazio che gli studiosi hanno rilevato. In un libro (“Lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana” ed. Pironti) si afferma che nella pittura napoletana, sin da quella magnogreca, si può osservare la rappresentazione di uno spazio in movimento. Nel libro si spiega, inoltre, che la realizzazione su una superficie piana di questo spazio in movimento si ottiene con la proiezione su di essa di uno spazio curvo, cioè il pittore dipingeva come se la superficie piana sulla quale stendeva i colori fosse curva. Osserviamo che non si può negare che il pittore che dipingeva sul vaso dipingeva su una superficie curva. Anche sui vasi lo spazio gira. Perché i vasi sono tondi. O no?

 

Adriana Dragoni

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