Quelle fake news sulla nostra storia
Gaetano Mammone, alias Gaetano Coletta, era un brigante di Sora che marciò con il cardinale Ruffo. Un uomo spietato, tanto che dalle nostre parti una volta si diceva, per spaventare i bambini, “ti faccio prendere dal Mammone”.
Andrea Mammone è invece un ricercatore calabrese che insegna a Londra. Collabora con più giornali italiani e sabato, sull’inserto del Corriere della sera, si è deliziato a sbugiardare la “fake news” (riporto il titolo pubblicato dalla Lettura) sul periodo borbonico. Una, in particolare, interessa il nostro autore: la fabbrica di Mongiana della sua Calabria, di recente restaurata e diventata museo.
Nella sostanza, secondo l’autore, era una fabbrica in passivo che chiuse subito dopo l’unificazione, ben lontana dallo splendore dellle attività imprenditoriali del centro-nord. Mongiana, come ho scritto anche nel mio La Nazione napoletana edito nel 2015 da Utet, venne inserita tra i beni demaniali che il nuovo Stato italiano decise di vendere. “Non più strategica alla politica industriale dell’Italia unita”, per calcoli geografici, interessi politici legati ad altre aziende siderurgiche (prima fra tutte l’Ansaldo di Genova), poco collegata al territorio settentrionale perchè, naturalmente, era nata e produceva per uno Stato autonomo di altra dimensione e collocazione geografica. Svenduta non prima di essere quasi regalata ad un ex ufficiale garibaldino.
Come per Pietrarsa, anche per Mongiana fu istituita una commissione a maggioranza della destra cavouriana, che doveva giustificare la svendita dall’impianto e la sua chiusura, nonostante avesse dato lavoro a oltre 1500 persone quando era collegata al sistema imprenditoriale delle Due Sicilie. La chiusura di Mongiana fu un altro prezzo pagato al freddo calcolo economico dettato da un’unificazione che non teneva conto di diversità e peculiarità territoriali.
Persino il giornale d’ispirazione garibaldina “L’indipendente” di Dumas, come riportai ne La Nazione napoletana, criticò la decisione di Quintino Sella su Mongiana: “Il sig. Sella, per un’inesplicabile idea, non volle più sapere dell’appalto, ma invece vendere definitivamente miniere, selve e stabilimento”.
Nulla di tutto questo c’è nell’articolo del professore Mammone, che si perde nell’obiettivo di polemizzare con Pino Aprile, citare il compianto professore Galasso, un testo di Salvatore Lupo e di Alessandro Barbero. E, per avvalorare la sua tesi, riprende lo studio di fine Settecento commissionato dai Borbone al Galanti. Uno studio che, in verità, doveva individuare i problemi di Mongiana per risolverli, senza chiudere la fabbrica. Poi, il vuoto. Nessuna altra lettura, nessun approfondimento ulteriore. Solo la critica alla “fasulla esaltazione del periodo borbonico”, alimentata da “fake news”.
Il professore Mammone nelle sue ricerche studia soprattutto l’ascesa dei partiti della destra in occidente. La sua incursione nella storia delle Due Sicilie probabilmente è un tentativo giornalistico di spiegare certe simpatie grilline recenti, su alcuni temi che da anni portano avanti associazioni e movimenti nel sud rileggendo la storia del Mezzogiorno. La storia è sempre strumento per capire il presente, è vero. Le sue motivazioni sono occhiali per guardare all’oggi. Ma le forzature andrebbero evitate. Altrimenti, come un elenco della lavandaia, si potrebbero riaprire decine e decine di fake news sul nostro Risorgimento. E gli ideali unitari non ne farebbero una bella figura.
L’uso della propaganda, dei falsi, delle esagerazioni fu ben sperimentata dalla politica cavouriana, che finanziò l’agenzia di stampa Stefani per i suoi obiettivi e si avvalse di abili portavoce, come Massari. Oggi facciamo i conti con quei nostri esempi storici, ma spesso volutamente lo dimentichiamo.
Gigi Di Fiore
fonte https://www.ilmattino.it/blog/controstorie/fakenews_nellanostrastoria-3949789.html