Alta Terra di Lavoro

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QUESTIONE MERIDIONALE di FRANCESCO CEFALI’

Posted by on Dic 27, 2021

QUESTIONE MERIDIONALE di FRANCESCO CEFALI’

Inizio il mio intervento ricordando che il Sud Italia è unito fin dal lontano 1130, da quando Ruggero II d’Altavilla è stato incoronato re di Sicilia e duca di Puglia e di Calabria dopo oltre dieci anni di guerre portate avanti da suo padre Ruggero I e da suo zio Roberto contro i Saraceni.  Ruggero II, che era nato a Mileto il 22 dicembre 1095, creò un Regno tra i più potenti d’Europa e meglio funzionanti che raggiunse, poi, il massimo livello culturale e sociale, per quei tempi con Federico II di Svevia.

Dopo la sua morte, però, il Meridione, avendo perso l’autonomia, fu abbandonato e sfruttato per quasi cinque secoli, ovvero: nei primi due e mezzo fu coinvolto, suo malgrado, da una serie di costose e sanguinose guerre tra Angioini e Aragonesi, a cui seguirono altri due secoli di sfruttamento da parte degli Asburgo di Spagna. Si verificò così lo spopolamento delle campagne e il sovraffollamento di Napoli. I pochi contadini rimasti furono trattati come degli schiavi. Tutto ciò causò un forte declino economico e sociale del Sud, ovvero, come ha scritto pure il grande meridionalista Gaetano Salvemini, inizio la così detta Questione Meridionale.

Solo nel 1734, dopo che Carlo di Borbone sconfiggendo gli Asburgo d’Austria diventò re del Regno di Napoli e di Sicilia, il Meridione riacquistò la propria autonomia e indipendenza. Carlo, in 25 anni di governo creò un grande Regno in tutti i campi, il terzo a livello europeo come importanza. Nel progetto del nuovo re ogni provincia del Regno delle Due Sicilie doveva avere una propria caratteristica in grado di creare indotto e sviluppo economico. Sorsero in questa prospettiva: le fabbriche di maioliche, quelle di porcellana di Capodimonte, le industrie laniere della valle del Liri, le ferriere di Mongiana, gli impianti serici di San Leucio, gli zolfi siciliani, le industrie tessili e laniere degli Abruzzi e del Molise e le saline pugliesi; furono inoltre rafforzate le coste calabresi e siciliane per combattere le incursioni piratesche dei saraceni e degli africani. Nel 1759 Carlo fu proclamato re di Spagna e i suoi successori al trono del Sud non sono stati sempre alla sua altezza. Le zone periferiche del regno erano prive di strade, ecc.: per andare a Napoli o a Roma bisognava prendere per forza un piroscafo. Pure Palermo, la prima capitale del regno fu trascurata. I contadini e gli operai delle zone periferiche del Regno, inoltre, furono abbandonati a se stessi salvo casi eccezionali, come quando cercarono di aiutare le popolazioni della Calabria Ulteriore colpite dal terribile terremoto del 1873 che causò la distruzione di molti centri abitati e la morte di 29451. Il governo borbonico, dopo aver appreso la notizia, impose un’imposta straordinaria di 1.200.000 ducati a favore delle zone terremotate. Per la ricostruzione il governo suggeriva la forma tipo delle città, la regolarità degli edifici e la larghezza delle strade: 8 metri per la strada principale dei piccoli paesi, da 10 a 13 per quelli più grandi; le strade secondarie dovevano essere larghe da 6 a 8 metri, diritte e ortogonali tra loro; le nuove costruzioni dovevano seguire il cosiddetto sistema delle case baraccate, che prevedeva case non oltre i due piani di altezza, strutture portanti in legno all’interno delle murature capaci di resistere alle sollecitazioni sismiche e infine l’eliminazione dei tetti spingenti. I reali di Napoli, per sostenere le gravose opere della ricostruzione e per favorire i coloni in modo da diventare proprietari della terra, emanarono una serie di “dispacci” e costituirono la Cassa Sacra, necessaria per riscuotere tutte le rendite ecclesiastiche degli enti aboliti. Nonostante il pronto intervento e l’impegno fattivo del governo borbonico le cose non andarono come previsto, La Cassa Sacra, riforma rivoluzionaria e coraggiosa, fallì quasi completamente i propri obiettivi: il pagamento in contanti delle terre ecclesiastiche favorì gli avidi ricchi a discapito dei coloni che non potevano disporre di somme così cospicue; così i contadini, che prima avevano in fitto le terre, o dovettero cambiare padrone o addirittura furono cacciati. Così, il 16 gennaio 1796, il governo borbonico decretò la soppressione della Cassa Sacra. E’ importante a questo punto approfondire la situazione economica e sociale della Calabria e non solo, prima dell’Unità. Alla soglia del 1860, i contadini, gli operai e gli artigiani calabresi vivevano, come ho già detto, in condizioni di quasi povertà, sia perché i vari governi borbonici dell’ultimo secolo, lontani geograficamente, pensavano in modo particolare ai bisogni di Napoli e dintorni, ma principalmente per colpa delle prepotenze dei baroni e degli altri feudatari che da sempre avevano contestato la concessione in fitto delle terre demaniali ai contadini. Infatti, nel 1460 c’è stata in Calabria la rivolta dei baroni, capeggiata da Antonio Centelles, contro il governo di Ferdinando I d’Aragona, proprio su queste concessioni. E’ pure vero che nel 1800 i contadini e gli operai erano in cattive condizioni economiche e sociali in tutta l’Europa (basta leggere i Miserabili di Victor Ugo per averne la conferma, oppure ricordarsi delle malattie, come la pellagra, che colpirono i contadini del Nord a causa della loro scarsa nutrizione). Nell’industria, invece, le condizioni sociali ed economiche del Sud erano migliori. In Calabria, la produzione industriale iniziò con lo sfruttamento delle miniere di ferro e di grafite di Bivongi e di Pazzano che venivano trasformati in ghisa e in acciaio nel Real Stabilimento di Mongiana, fatto realizzare da re Ferdinando IV nel 1771, e nella ferriera di Cardinale. Negli stabilimenti di Mongiana e di Cardinale e nelle miniere di Pazzano, di Bivongi e di Fuscaldo, dove si estraeva il caolino per le porcellane di Capodimonte, lavoravano circa 2.500 operai, numero veramente notevole per quell’epoca. C’erano inoltre altre attività importanti nel campo tessile, in modo particolare nella produzione della seta.  

RISORGIMENTO ITALIANO

Passiamo al 1860 quando i Savoia, in seguito alla spedizione dei Mille, aggredirono in modo violento e arbitrario i nostri territori e fu la fine del grande Regno delle Due Sicilie.

Dopo l’emanazione del DECRETO di Garibaldi del 31 agosto 1860 a Rogliano e quello precedente del 2 giugno divulgato in Sicilia, con i quali si stabiliva che tutti i combattenti per la libertà avrebbero ricevuto come compenso delle quote di terra del demanio pubblico, i contadini avevano iniziato a sperare in un cambiamento delle loro condizioni di vita. Di li a poco però rimasero delusi. Infatti, Donato Morelli, nominato da Garibaldi governatore della Calabria Citra, con i due NUOVI DECRETI del 5 e dell’8 settembre 1860, annullò l’efficacia di quelli precedenti. Così, gran parte dei cittadini del Regno delle Due Sicilie, principalmente contadini, pastori e artigiani ridotti all’estrema povertà, legittimisti e soldati sbandati dell’ex esercito borbonico, chiamati poi ingiustamente “briganti”, si ribellarono con durezza contro gli invasori anche se in modo scomposto, perché privi di una guida comune; le ribellioni si propagarono a macchia d’olio in tutto il Sud, fu una vera e propria guerra che durò per più di dieci anni. I Savoia si comportarono esattamente come un esercito straniero: saccheggiarono chiese, palazzi pubblici e privati, rubando ogni oggetto prezioso. Il Palazzo Reale di Napoli fu denudato di tutti gli oggetti di valore e spediti a Torino;  l’oro della Tesoreria dello Stato e i beni del re, depositati presso il Banco di Napoli, furono requisiti. Fu soppressa la libertà di stampa e di riunione e fu instaurata una durissima dittatura militare. Le truppe piemontesi compirono, stupri, violenze, distruzioni e moltissimi omicidi, in modo particolare dopo l’entrata in vigore della terribile legge Pica del 15 agosto 1863. Tutti quelli che si ribellavano venivano uccisi o deportati in strutture del centro-nord. Proteste condivise e fatte proprie nel tempo da diversi grandi meridionalisti: Gaetano Salvemini, Francesco Saverio Nitti, don Luigi Sturzo, Pasquale Villari, Vincenzo Padula, Guido Dorso, Corrado Alvaro, Giustino Fortunato, Franco Molfese, Antonio Gramsci, Gaetano Cingari, Nicola Zitara e molti altri.

Con l’Unità aumentarono in modo notevole le diverse forme di razzismo: i Savoia  per giustificare, a livello internazionale l’invasione del Sud si inventarono la teoria delle “Due Italie”, considerando il Nord di razza superiore e il Sud di razza inferiore. La punta di diamante del nascente razzismo fu Cesare Lombroso, che dopo l’esame post – mortem del 16 agosto 1864 del “presunto brigante” Giuseppe Villella di Motta S. Lucia, emanò la sua teoria sul criminale atavico, cioè nato delinquente, solo per aver trovato una “fossetta occipitale mediana” dietro la sua testa. Il Lombroso era convinto che le anomalie fisiche potessero avere un’influenza sull’attività del cervelletto. In realtà, quella anomalia, a parere di tutti gli esperti, è frequente nell’essere umano ed è priva di qualsiasi significato. A onor del vero l’autopsia su Giuseppe Villella non è mai stata fatta: ho dei documenti che certificano che il cittadino di Motta S. Lucia citato dal medico di Verona, è deceduto di morte naturale nel suo paese natio il 16 febbraio 1866 e non a Pavia nel 1864.

Nel 1865 fallirono quasi tutte le fabbriche del Sud perché prive di commesse: diverse furono poi trasferite al nord. Peggiorarono le condizione economiche di TUTTO il Regno delle Due Sicilie e incominciò quindi l’emigrazione, quasi inesistente prima del 1860. Con i soldi del Regno delle Due Sicilie e con l’oro delle banche del Sud (vedi tab. n.3), furono finanziate principalmente le opere pubbliche e le industrie del Nord; faccio qualche esempio, bonifiche idrauliche: al Nord 160 volte più del Sud; lavori nelle ferrovie: al Nord oltre tre più volte del Sud; distribuzione delle tasse per ogni 100 lire: al Sud 10 lire, al Nord 90 lire.

Iniziò così il divario economico tra il Nord che aveva le industrie e un modello di sviluppo agricolo che prevedeva l’investimento di una parte dei profitti per l’ammodernamento delle aziende che favorì il costante incremento quantitativo e qualitativo della produzione, prodotti che venivano poi distribuiti sui mercati internazionali, e il Sud che aveva una produzione agricola di tipo feudale, dove la nuova borghesia meridionale, che in genere risiedeva nella capitale, non era disposta a reinvestire i propri profitti nelle imprese agricole; pertanto si producevano prodotti non competitivi e perciò vendibili solo localmente. La stagnazione della produzione agricola, l’assenza totale di sviluppo industriale e l’imposizione governativa di nuovi dazi su alcuni prodotti di prima necessità fecero aumentare la miseria dei ceti più poveri principalmente del Sud crearono nel Meridione un evidente deficit economico che aumentò con il trascorrere degli anni.

Solo negli ultimi anni del secolo ventesimo si è tentato di risolvere il problema del divario economico e strutturale tra Nord e Sud. Sono stati finanziati e costruiti a tale scopo diversi stabilimenti industriali (Bagnoli, Sir di Lamezia, Crotone, Saline Joniche, Taranto, Gela…) risultati però sbagliati nella scelta del prodotto da realizzare. In realtà questi investimenti hanno solo arricchito alcuni imprenditori del nord e avvelenato i nostri territori. Nel campo strutturale, invece, con il raddoppio della linea ferrata Salerno – Reggio Calabria e di altre tratte, con la costruzione dell’autostrada del Sole, di porti, aeroporti e università gli investimenti sono stati nel complesso positivi. In ogni caso l’emigrazione non si è arrestata e il divario tra Nord e Sud è aumentato con il passare degli anni, questo perché i fondi stanziati sono stati insufficienti e alcune volte sbagliati. Mi spiego meglio: in condizioni normali e non come in questa occasione che bisognava recuperare il divario Nord Sud, al Meridione d’Italia, per estensione e per numero di abitanti, spetta il 34% delle risorse interne e di quelle europee (percentuale riconosciuta pure dalla Commissione europea dopo una specifica petizione del 2014 alla quale ho aderito pure io). I governi degli ultimi anni del 1900 hanno  investito a Sud il 32% dei fondi, quelli successivi, invece, solo il 20%. Infatti, EURISPES nella sua relazione del 30 gennaio 2020 ha scritto che nei primi 17 anni del corrente secolo sono stati “sottratti” al Meridione, dai governi che si sono succeduti, ben 840 miliardi di euro che erano destinati per costruire scuole, ospedali, strade, autostrade, ecc.

Oggi si spera che con i finanziamenti del Ricovery fund si riesca finalmente ad ridurre il “famoso” divario tra Nord e Sud, anche se l’inizio non è incoraggiante e vi dico perché: l’Unione europea nella ripartizione degli oltre 700 miliardi di Euro da distribuire ai Paesi membri, ha destinato all’Italia ben 209 miliardi di euro, invece dei circa 100 che gli spettavano in rapporto alla popolazione. Questi fondi in più sono stati previsti principalmente per ridurre il divario economico e strutturale tra i territori ricchi e quelli poveri. Secondo diversi economisti, alle Regioni del Sud Italia spetterebbe il 50% dei fondi del Ricovery fund e non il 40% come stabilito dall’attuale governo italiano.

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