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Come Re Francesco, anche noi segno di misericordia

Posted by on Giu 13, 2016

Come Re Francesco, anche noi segno di misericordia

pubblico integralmente un articolo con le fonti sul Giubileo della Misericordia. La nostra identità e tradizione va a braccetto con la religione cattolica apostolica romana, chi ha questo sentimento non deve dimenticarlo mai.

Nel pensare a quest’anno giubilare della misericordia, Papa Francesco ci richiama ad essere attenti e giudiziosi nel volgersi del tempo, perché mai come in questo tempo attuale è necessario non lasciarsi distrarre dalle inutilità e dalle apparenze, ma essere vigili,  e risvegliare in noi l’attenzione all’essenziale.

Il cristiano deve ritrovare il senso della sua vocazione, ed essere segno di amore e misericordia.

Proprio ispirandosi a questo pensiero il Sommo Pontefice ha istituito l’anno della misericordia, perché il credente dinanzi alle problematiche e ai cambiamenti epocali sappia rendere con la propria vita, con le proprie opere e buone azioni, la presenza di Dio che continua ad amare l’umanità.

Pensando a questo anno speciale, mi passa nella mente come il pio Re Francesco II ha vissuto  questa presenza di Dio nella propria vita, proprio rivestendosi di quella carità e misericordia che vengono da Dio stesso.

Ogni sua azione è condotta da quella virtù spirituale, che apre il cuore alla comprensione e al perdono, capace quindi di lasciarsi coinvolgere da quella carità di Dio, “che ha tanto amato il mondo da sacrificare sulla Croce il suo Unigenito Figlio”.

Riflettevo la capacità di questo buon Sovrano, che proprio modellandosi al Buon Pastore, a quel Cristo Re che governa le nostre anime, ha sempre uno sguardo di pietà e compassione verso ciascuno. Egli conosce la sua gente, ed è bello pensarlo mentre si ferma ad accogliere la confidenza della sua gente, dei suoi soldati, di quanti si rivolgono a lui. Sempre uno sguardo di dolcezza e tenerezza, un gesto di amore e di comprensione, una parola di perdono e di speranza.

Già ricco di questa sensibilità nei vari stadi della sua vita, appena Re subito mette in moto quella sua ansia di carità e misericordia, preoccupandosi proprio di migliorare le condizioni sociali del suo popolo. Incomincia da subito a fare riforme, a sistemare opere pubbliche, a promuovere la cultura e l’istruzione della gioventù, a creare lavoro. Seppure si trova poi a dover vivere la situazione di una invasione ignobile da parte di uno stato straniero, con il quale era in pace, e senza alcuna dichiarazione di guerra, ciò nonostante egli continua ad operare per il bene del suo popolo, fino a quando è costretto a lasciare Napoli.

Talmente la sua vita è ripiena di questa presenza divina, che la sua carità non si limita, quasi da leggere in lui quella urgenza di san Paolo ad amare. “L’amore di Cristo ci spinge”, dice l’apostolo nella sua lettera ai Corinzi. Proprio quell’amore ha sempre spinto le azioni e la volontà di Francesco II di Borbone, il quale non ha mai avuto paura di saper perdere e sacrificarsi, da vero galantuomo,  piuttosto che far soffrire gli altri.

Ricordiamo quella sua estrema confidenza, dove accetta umilmente anche quell’infondato giudizio della storia, che lo ha giudicato debole, solamente perché lui non vuole lo spargimento di sangue innocente. Perché lui, cristiano puro e dal cuore grande, totalmente sincero ed innocente, non può credere nella falsità e nell’inganno, tanto più di persone che devono tener fede al proprio giuramento. Lui, dal cuore sensibile e uomo di pace, non può desiderare il male del suo prossimo.

 

Il vero Re Galantuomo, che ai suoi soldati insegna la pietà, la comprensione e l’amore verso il nemico, perché  anche nella difesa e nella lotta bisogna che il proprio coraggio e la propria forza non siano mai accompagnati dalla brutalità, dall’odio, dal rancore e dalla ferocia, ma sempre dal buon sentimento cristiano. E lo ha testimoniato questo sentimento proprio sul Volturno, quando nel momento della vittoria, nel vedere i nemici affogare nel fiume, invita i suoi soldati a soccorrere i vinti e riportarli in salvo. Oppure quando nell’ospedale di Caserta, dove egli ha chiamato a servire come infermieri i fraticelli di San Ludovico da Casoria, desidera che i garibaldini e i piemontesi feriti, siano ben trattati come i soldati napoletani.

E quest’atteggiamento, intimo alla sua anima cristiana, lo ha vissuto sempre, nell’assedio di Gaeta, nell’esilio romano, e oltre,  sino alla fine.

Ed è bello ricordare la sua accoglienza gioiosa e generosa verso quegli esuli o visitatori napoletani e siciliani, che mai lasciavano la sua casa a mani vuote. Il suo interessarsi dei mali del suo popolo, delle disgrazie della sua gente,  pronto a dare le sue “povere” risorse, fino al suo ultimo ducato, il suo stesso sangue.

La sua disponibilità verso tutti, sia familiari che estranei. Con coraggio ha assistito la sua matrigna affetta da colera, e unico dei figli gli è stato vicino fino alla morte. La capacità di saper perdonare quelli che l’avevano tradito e gli avevano fatto del male, saper commuoversi dinanzi alle loro disgrazie. Provò compassione persino per Garibaldi, quando ha saputo del suo ferimento ed arresto ad Aspromonte.

Ricordare la sua vita semplice e modesta, allorquando nella piccola e sorridente città di Arco a Trento, nascosto e silenzioso, percorre con semplicità quelle strade, salutando e sorridendo all’umile gente, dando la mano ai semplici contadini, e sedersi con discrezione e dignità in quel banco della Collegiata, adorando il suo Gesù, e recitando insieme alla semplice gente del luogo il santo rosario, o partecipare alla santa Messa con devozione e commozione.

Davvero in tutta la sua esistenza, seppure accompagnata da prove e sofferenze inaudite, ha saputo essere coraggioso e dignitoso, trovando proprio nella fede e nella carità,  la forza di vincere il male e di essere uomo di pace, sempre amabile.

Il segreto di questa sua amabilità nasce proprio da questa capacità di rivestirsi della misericordia di Cristo, e questo lo rende capace di fare scelte e gesti coraggiosi, controcorrenti, e seppure nel contesto della guerra, nella miseria, nella persecuzione, nelle amarezze, seppe tener viva quella presenza di Dio, che rende realmente  l’uomo vittorioso.

Diventa profetica la sua vita, che seppe leggere attentamente questi tempi nuovi e le nuove tendenze epocali, e che dinanzi ad una società che al bene preferisce il male, alla giustizia l’iniquità, alla verità della fede la malizia della corruzione, ad una vita vera le apparenze vane, egli con la sua vita, le sue opere e le sue poche parole, lascia una testimonianza autentica, che non si può costruire il bene senza lasciare entrare Dio nella propria vita. E la sua esistenza si ritrova proprio in queste intenzioni di Papa Francesco: una vita che cerca il bene  e l’essenziale, che non si lascia traviare dalle apparenze e dalle illusioni, una vita che lascia a tutti sentimenti di concordia, di pace e di perdono, perché realmente, confrontandoci a lui, anche  la nostra vita sia vigile e attenda, così che il momento della resa dei conti non siamo trovati impreparati e disuniti, ma insieme capaci di costruire una società migliore.

Tra pochi giorni andremo, insieme al Principe Carlo di Borbone, Duca di Castro, che per molti di noi rappresenta la continuità della memoria e della storia della nostra terra, e  della stessa figura del nostro amato Re Francesco II di Borbone, andremo proprio a Roma, accogliendo l’invito del Santo Padre, per vivere questo Giubileo della Misericordia. Ci ritroveremo insieme con Lui ad attraversare quella Porta Santa della Misericordia e partecipare insieme alla Santa Messa proprio sull’Altare della Confessione in Vaticano, Sede del Vicario di Cristo sulla terra. Allora si rende necessario in questa felice occasione, accogliere prontamente la testimonianza del nostro buon Re Francesco, aprire il nostro cuore al suo messaggio di pace e di concordia, rivestirci come lui di umiltà, semplicità, mitezza e bontà, saper tendere, come lui, la nostra mano ad ogni prossimo, e saper sorridere, rifuggendo dalla vanità, dall’orgoglio, dalla presunzione, dalla falsità, dall’arroganza, dal desiderio di potere, dalle divisioni. Saper vivere nella carità e nella bontà.

Questo è l’ottimo esempio che ci da sempre lo stesso Duca di Castro e la sua Regale Famiglia, quando lo vediamo girare per il mondo e per la nostra terra, a compiere opere sociali. Se siamo realmente fedeli a ciò che ci rappresenta e siamo realmente onorati di seguire i suoi passi di buon Padre, allora viviamo realmente e degnamente questo Giubileo della Misericordia, proprio nel segno della santità di Francesco II di Borbone.

 

GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

a cura di don Massimo Cuofano

 

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