Alta Terra di Lavoro

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RIBELLI E BRIGANTI (V)

Posted by on Lug 24, 2022

RIBELLI E BRIGANTI (V)

IL MOVIMENTO ANTIFRANCESE IN BASILICATA

Nonostante da Napoli cerchino di minimizzare la sconfitta subita a Maida, il successo inglese, l’insurrezione calabrese e la presenza degli insorti a Lagonegro hanno notevoli ripercussioni in Basilicata.

Il comandante militare della Provincia, che ha appreso l’abbandono di Catanzaro e Cosenza da parte dei francesi da un magistrato proveniente da Catanzaro, ancor prima di ricevere conferma ufficiale da Napoli, scrive al generale Pinon, comandante militare in Terra di Bari, per comunicargli anche che egli si trova nella impossibilità di controllare la situazione nel caso in cui anche la Basilicata dovesse insorgere seguendo l’esempio dei calabresi. E nello stesso giorno, in difformità ai suoi precedenti ottimistici rapporti comunica al generale Alessandro Berthier, capo di Stato Maggiore Genenale, che la Basilicata n’est pas du tout tranquille e che la partie de la province limitrophe de la Calabre est menacée d’une insurrection.

I dati forniti dal Pignatelli sono vaghi ed incerti: ancora nei primi giorni di luglio a Matera non sanno effettivamente quale sia lo stato reale dei paesi della provincia. Il Pignatelli ignora che accanto al Rusciani, hanno operato negli ultimi mesi elementi noti per il loro attaccamento alla dinastia borbonica e per la loro avversione ai francesi. Coloro che in Basilicata hanno avuto contatti con l’ex colonnello borbonico prima del suo arresto sono prevalentemente uomini appartenenti al ceto dei civili. Non sono mancati, però, elementi popolani che, al servizio di Ruffo nel 1799, temono ora la vendetta dei galantuomini che erano e sono rimasti amici dei francesi. Il Rusciani, che non ha certo tralasciato di avvicinare anche contadini e popolani per organizzarli in bande armate e per servirsene contro i francesi, conta principalmente su elementi in grado di fornire una certa garanzia per l’organizzazione di un vasto movimento antifrancese nella regione. Prima di essere arrestato il barone Rusciani si è rivolto ai notabili, non solo, ma anche ad ufficiali dell’esercito borbonico che non hanno aderito al nuovo regime. Tra questi ha risposto al suo appello Felice Viggiani di Tramutola, che ora vive a Corleto Perticara. Valente artigiano nel suo paese, il Viggiani aveva chiuso la sua bottega di calzolaio nel 1789 per arruolarsi tra i Fucilieri di Montagna. Distintosi l’anno successivo tra gli uomini del cardinale Ruffo, era stato nominato ufficiale e destinato nel 1803 al comando di una Compagnia di Granatieri del III Reggimento stanziato in Basilicata per la repressione delle bande armate che operavano nella valle dell’Agri. Nel gennaio del 1806 aveva raggiunto con i suoi uomini l’esercito napoletano in ritirata. Prigioniero con il Rusciani a Campotenese, aveva ottenuto di rientrare a Corleto. E da Corleto aveva mantenuto rapporti con il suo vecchio colonnello il quale, rientrato da Terranova del Pollino, gli aveva affidato il compito di organizzare e dirigere nella sua zona il movimento antifrancese.

In contatto con Donato Micucci da Roccanova, un ex alfiere dell’esercito borbonico che, dopo Campestrino, si è ritirato nel suo paese Felice Viggiani è riuscito a creare una vasta rete di corrispondenti nei paesi della valle dell’Agri. E con il Micucci ha organizzato bande armate che, sin dal maggio del 1806, si andavano raccogliendo nei boschi del monte Maruggi e del Volturino e sul Raparo, da cui si spingevano anche nel Vallo di Diano e, lungo il Tanagro, mantenevano contatti con le bande che già operavano nella valle del Bianco, nell’alta valle del Sele e nell’alta valle dell’Ofanto. Il Pignatelli, che dal giugno del 1806 é in Basilicata, ignora non soltanto la reale consistenza di queste bande, ma anche l’attività del movimento antifrancese nella valle dell’Agri.

I PRIMI SUCCESSI DEGLI INSORTI LUCANI

La rotta subita dai francesi a Maida ha immediate ripercussioni nei paesi in cui opera, emissario del Viggiani, Donato Micucci. L’8 luglio l’ex alfiere borbonico si reca a Sarconi. Ha un rapido incontro con Carlo de Mauro, antico capomassa al seguito di Sciarpa nel 1799. Assicuratosi che questi, con i figlioli Ciro, Michele e Nicola, s’avevano già procurate le armi per fare una seconda rivoluzione, il Micucci convoca i notabili locali e comunica loro, che le armate francesi, battute dagli inglesi, sono in rotta, che la Calabria e tutti i paesi del versante lucano del Pollino sono in armi e che Francesco di Borbone è tra gli insorti per guidarli alla riconquista del Regno. Alla riunione dei notabili segue una manifestazione antifrancese cui partecipa l’intera popolazione di questo piccolo centro abitato. Nello stesso giorno, dopo aver dichiarato decaduto il governo francese e ripristinata l’autorità della dinastia borbonica, il sindaco Nicola Lattaro e Nicola di Mauro, commissionati dal Popolo di Sarconi si recano oltre Lagonegro per incontrarsi nei pressi di Maratea con emissari borbonici dai quali ottengono incoraggiamenti, armi, danaro e promesse. Da Sarconi, ormai borbonica, il Micucci si reca sul Raparo dove sono le bande che qualche giorno prima hanno assalito Carbone e, assumendone il comando e il controllo affida loro il compito di raggiungere paesi delle valli del Sinni e dell’Agri dove il movimento antifrancese ha già i suoi agenti. Gli ottocento uomini raccolti sul Raparo vengono distribuiti in più colonne. Alcune scendono a Castelsaraceno, altre, lungo il Cogliandrino, s dirigono verso Lauria dove un reparto francese controlla ancora la situazione nonostante Giuseppe Pesce abbia già organizzato un centro insurrezionale a Laura Inferiore. Accolti favorevolmente dalla popolazione di Lauria, il 13 luglio gli insorgenti – preciserà il giudice Lombardi nella relazione da lui redatta nel gennaio del 1807 sui fatti di Lauria – assalirono il Comandante francese che con trenta uomini era in guarnigione, lo fugarono verso Rivello e pochi suoi soldati rinchiusero in prigione. Padroni della situazione, gli insorti controllano ormai la zona e il giorno successivo affrontano un reparto polacco che si ritira dalla Calabria: di questi – preciserà il giudice Lombardi – molti fecero prigionieri e molti ne uccisero. Ed accolgono poi la colonna calabrese del Necco che vi giunge il 18 luglio.

A Castelsaraceno, dove notabili e popolani hanno accolto gli insorti scesi dal Raparo manifestando la loro avversione ai francesi, le bande si dividono ancora, alcune per dirigersi nella valle del Sinni, altre in quella dell’Agri. Le prime si portano a San Chirico Raparo dove i Magaldi, noti come antichi giacobini ed amici dei francesi, hanno abbandonato il paese agli insorti. Da San Chirico, dopo aver riportato al dominio borbonico Episcopia, raggiungono Roccanova dove contano su Fabrizio di Pietro il quale, già agente del Rusciani, mantiene ora contatti col Micucci. Da Roccanova, insorta contro i francesi, partono uomini per controllare gli insorti di Castronuovo, l’attuale Castronuovo SantAndrea, e quelli di Santarcangelo che hanno già innalzato i vessilli borbonici.

Mentre l’insurrezione si estende in tutti i centri della valle del Sinni che accolgono emissari provenienti dalla pianura jonica e dai paesi della valle del Sarmento, da Castelsaraceno partono uomini armati diretti a San Martino d’Agri per unirsi alle forze del Viggiani, che il 15 luglio hanno riguadagnato all’obbedienza borbonica Corleto Perticara, e dirigersi poi verso l’insorta Laurenzana per controllare la valle del Serrapotamo. A rincorare gli animi giunge la notizia nei paesi dalla Lata al Pollino che i ribelli hanno occupato Lagonegro e che è insorta anche Montemurro dove Domenico e Pasquale Robilotta compiono ogni sforzo per accrescere i nemici dei frances. A contribuire alla diffusione del movimento insurrezionale in tutti i paesi della Basilicata dalla Lata al Pollino sono le notizie che il generale Vernier non è più in grado di far fronte alle forze realiste ormai padrone della costa jonica della Basilicata.

Lo sbarco degli insorti calabresi alla foce del Canna nord di Cassano minaccia infatti seriamente il generale Vernier: egli teme di essere accerchiato e, anziché attendere nella Piana di Sibari le truppe del generale Reynier che non sono riuscite a mantenere il marchesato, risale verso Oriolo. Egli conta di fermarsi a Rocca Imperiale per tentare di arginare la rotta francese. Ma respinto dagli insorti che, risalito il Canna hanno occupato l’omonimo centro abitato e puntano verso Oriolo, il Vernier riesce ad evitare l’attacco e, rinunciando a Rocca Imperiale, paese ancora fedele ai francesi, si ritira verso Matera evitando, però, i centri abitati che hanno già innalzato il vessillo borbonico.

La notizia della ritirata del Vernier ha notevoli ripercussioni in tutti i paesi della Basilicata sud orientale: Francesco Pannarese, un ricco proprietario terriero e fedele suddito dei Borboni al cui servizio si era distinto nel 1799, ha assunto il comando degli

insorti che hanno costretto il Vernier ad abbandonare Oriolo e, spintosi oltre la Pietra di Roseto, minaccia seriamente Rocca Imperiale, l’unico centro della costa jonica a sud del Sinni dove non è stato ancora possibile innalzare il vessillo borbonico. È convinzione generale che i francesi stiano per abbandonare il paese e lo conferma, tra gli altri, un merciaiuolo pugliese, tal Vincenzo Celano di Capurso in Terra di Bari, il quale, presentandosi come antico gregario del cardinale Ruffo, girando per la provincia di Matera allarma e semina massime contrarie all’attuale governo annunziando la rotta dei francesi e i successi degli insorti calabresi.

La situazione precipita: la stessa Matera è minacciata. Il comandante militare dispone la leva a stormo di tutta la gioventù della Provincia e con gli uomini accorsi da Picerno e da Avigliano cerca di contenere il moto che minaccia di estendersi ovunque. Mentre su richiesta del Pignatelli da Trani vengono inviati reparti della Milizia provinciale nella zona di Venosa e di Montemilone minacciate da bande armate che non sembrano avere rapporti con il movimento insurrezionale, dai paesi del Vulture giungono notizie poco rassicuranti: a Melfi i fratelli Leopoldo e Raffaele Palumbo hanno promosso manifestazioni antifrancesi e a Rionero in Vulture preoccupa seriamente la condotta di Savino Valenzano, di Raffaele e Francesco Catena, dei fratelli Anastasia, dei fratelli Italiano e di altri galantuomini e civili manifestamente antifrancesi. Nell’impossibilità di inviare armati nel Melfese, da Matera si richiede l’intervento del preside dell’Udienza di Capitanata il quale provvede ad inviare a Melfi soldati della sua Milizia Provinciale.

L’ottimismo è ormai scomparso: l’insurrection a éclaté sur la frontière de la Calabre Citerieure et de la Basilicata – comunica il Pignatelli il 13 luglio al capo dello Stato Maggiore Generale – Il parait que Cenne est le cheflieu de l’insurrection qui s’est ètendue jusqu’à la Rocca Imperiale.

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