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Ricette e storie di struffoli, susamielli, roccocò, sapienza, divino amore

Posted by on Dic 19, 2017

Ricette e storie di struffoli, susamielli, roccocò, sapienza, divino amore

Tre libri, tre strenne natalizie. Uno è un cofanetto in due volumi, “Comme se magna a Nnaatale-Come se magna a Ppasca. I menù napoletani delle festività natalizie e pasquali”. L’altro è “La cucina afrodisiaca napoletana”. L’editore è Cultura Nova e l’autore è Raffaele Bracale che ci offre così la narrazione dei piatti tradizionali natalizi e pasquali e di quelli afrodisiaci, conditi da divertenti aneddoti sulle tradizioni culinarie di un popolo che dispone di una ricchezza gastronomica che non ha pari nel mondo. E a questo proposito l’occasione ci sembra propozia per riproporre un articolo di Brak per Identità Insorgenti che ci racconta dei dolci di natale, delle tradizioni, delle loro storie e soprattutto delle ricette. Regalateveli a Natale questi libri: sono piccoli e rari gioielli, come il trattatello che segue.

Non posso che parlarvi dei dolci napoletani in epigrafe cominciando da gli STRUFFOLI o STRINGHETTE e con la CICERCHIATA

Gli struffoli o le stringhette sono per l’impasto il medesimo tipico dolce natalizio o carnascialesco, dolce che però, non necessitando di particolari ingredienti stagionali può essere preparato durante tutto l’anno, con gran soddisfazione di chi ne mangi, essendo una preparazione squisita. Prima di addentrarci in questioni linguistiche, mi par opportuno indicare qui di sèguito l’esatta ricetta del dolce,indicandone le dosi e il relativo modo di approntarlo.

Ricorderò però , prima di riportare la ricetta, che détto dolce è originariamente un dolce napoletano nato tra la fine del XVII ed i principi del XVIII secolo nelle cucine di un monastero femminile napoletano, quello delle monache della Croce di Lucca (attualmente a Napoli, nei pressi della centralissima piazzetta Miraglia, la piccola chiesa della Croce di Lucca è quanto rimane del grande complesso conventuale destinato oggi alla clinica universitaria del Policlinico, lungo l’attigua via del Sole. Il convento risulta essere stato edificato intorno al 1537, (e poi restaurato nel 1739, dal cavaliere Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 – ivi 1748), allievo di F. Solimena) con il denaro delle offerte raccolte a Lucca dal devoto Sebastiano Puccini(donde il nome: Croce di Lucca)) e di quelle devolute dai fedeli di S. Maria dello Splendore. La Chiesa e l’annesso Conservatorio (convento muliebre), siti in Napoli nel popolare quartiere di Montecalvario,  furono voluti nel 1592 da Lucia Caracciolo, facoltosa e munifica nobildonna partenopea che vi impose la regola francescana; a far tempo poi dal 1600, chiesa e conservatorio furon diretti dal venerabile mons. Carlo Carafa (della famosissima famiglia Carafa, che diede ecclesiastici (anche un papa: Paolo IV che istituí l’Indice dei libri proibiti) uomini di lettere e d’armi, che ne curò a proprie spese l’ampliamento ed il restauro.

Successivamente nella seconda metà del 1800, il rev. Angelo de Simone, coltissimo sacerdote, professore di lingue nel famoso Istituto Universitario Orientale di Napoli, si adoperò per curare l’ultimo restauro ed abbellimento della Chiesa cosí come ancora oggi si può osservare.

Le monache che conducevano la Chiesa e l’annesso Conservatorio per Orfane e Povere bisognose, divennero famose, oltre che per la loro opera caritatevole, anche per gli squisiti dolci del periodo natalizio e/o pasquale che erano solite preparare ed offrire o vendere ai visitatori, per far fronte al mantenimento delle loro beneficate.

Veniamo alla RICETTA DEGLI STRUFFOLI o STRINGHETTE E CICERCHIATA

Ingredienti Per 10 persone Farina bianca 00 grammi 600, Uova 4 + 1 tuorlo, zucchero 2 cucchiai colmi , strutto: 100 gr. 1 bicchierino di STREGA tipico odorosissimo liquore d’erbe prodotto nel beneventano,in alternativa 1 bicchierino d’anice Scorza grattugiata di mezzo limone Sale un pizzico olio per friggere 3 bicchieri.

Per condire e decorare: Miele d’acacia 400 gr , 50 gr. di confettini colorati (a Napoli si chiamano “diavulille”) 100 gr. di confettini cannellini (durissimi confettini, di color bianco a forma dell’omonimo fagiolo, confettini che all’interno contengono una festucola di cannella, spezia odorosissima e gustosa, da cui prendono il nome di cannellini.) 100 gr di scorzette d’ arancia candita, 100 gr di cedro candito, 50 gr di zucca candita (prodotto tipico napoletano dove si chiama cocozzata)il tutto tagliato a cubettini.

Preparazione: Disponete la farina a fontana sul piano di lavoro, impastatela con uova, lo strutto o (ma è sconsigliabile)il burro di pari peso, lo zucchero, la buccia grattugiata di mezzo limone,un bicchierino di STREGA o di anice e un po’ di sale. Ottenuto un amalgama omogeneo e sostenuto, dategli la forma di una palla e fatelo riposare mezz’ora.

Poi lavoratela ancora brevemente con poca farina e dividetela in palle grandi come arance, da cui ricavare, rullandoli sul piano infarinato, tanti bastoncelli spessi un dito; tagliateli a tocchettini di circa 1 cm. che disporrete senza sovrapporli su un telo infarinato.

Al momento di friggerli, porli in un setaccio e scuoterli in modo da eliminare la farina in eccesso.

Friggeteli pochi alla volta in abbondante olio bollente: prelevateli quando siano ben dorati, quasi coloriti. Sgocciolateli e depositateli ad asciugare su carta assorbente da cucina.

Fate liquefare il miele a bagnomaria in una pentola abbastanza capiente, toglietela dal fuoco e unite gli struffoli fritti, rimescolando delicatamente fino a quando non si siano bene impregnati di miele.

Versate quindi la metà circa dei confettini e della frutta candita tagliata a pezzettini e rimescolare di nuovo. Prendete quindi il piatto di portata, mettetevi al centro un barattolo di vetro vuoto opportunamente bagnato sulla parete esterna (serve per facilitare la formazione del buco centrale) e disponete gli struffoli tutt’intorno a questo barattolo in modo da formare una ciambella. Poi, a miele ancora caldo, prendete i confettini e la frutta candita restanti e spargeteli sugli struffoli tentando di ottenere un effetto esteticamente gradevole. Quando il miele si sarà solidificato ( occorrerà circa 1/2 ora), togliete delicatamente il barattolo dal centro del piatto e servite gli struffoli. Poiché gli struffoli ànno il difetto di risultare talvolta un po’ duri, in alternativa, dalle palle di pasta si possono ricavare con un matterello infarinato delle sfoglie alte 1/2 cm. da cui con una rotella dentellata delle lunghe stringhe larghe 3 cm. tagliandole poi diagonalmente fino ad ottenere tanti piccoli rombi che posti su dei fogli di carta oleata vengono fritti e poi trattati, per la decorazione e presentazione come gli struffoli; rispetto a questi ultimi tali stringhette ànno il vantaggio, quando vengon fritte, di gonfiarsi mantenendosi poi friabili e soffici .

Ed affrontiamo finalmente le questioni linguistiche: struffoli plurale di struffolo parola originariamente napoletana pervenuta poi anche nella lingua nazionale dove indica oltre il dolce fatto con palline di farina e uova, fritte e tenute insieme con miele (specialità dell’Italia meridionale, ma pure di quella centrale dove à però il nome di cicerchiata), anche una cosa del tutto diversa, e cioè una piccola matassa di cenci e paglia usata dagli scultori per levigare e lustrare il marmo; per vero questa matassa in origine fu detta struffo, voce poi desueta per far posto a struffolo o strufolo tanto da non esser piú riportata dai lessici anche i piú forniti; le voci struffo e strufolo, nel significato di levigatoio deriva probabilmente dal longob. straufinon donde anche il verbo strofinare; ben piú complesso l’etimo della voce struffolo (dolce partenopeo e centro-meridionale); la maggioranza degli studiosi meridionali propendono per una culla greca: stroggolos (ritorto) (dal verbo strongolâo (attorcere) verbo che – come vedemmo alibi – in unione al verbo prepto (incavo) generò i napoletanissimi strangulaprievete) con evidente metaplasmo g→f; pur allettandomi lo stroggolos (ritorto) d’avvio, penso che non sia peregrina l’idea che lo veda in connubio con un latino tufer←tuber (bernoccolo,pallina) per cui lo struffolo verrebbe ad essere una pallina ritorta; rammenterò poi che il termine struffolo in talune regioni dell’alta Italia, oltre ai due significati riportati à anche quello di ciccioli (pezzetti residui del grasso di maiale sciolto ad alte temperature per ottenerne lo strutto o sugna) ed anche in tal significato lo struffolo (cicciolo*) andrebbe a riallacciarsi all’antico struffo inteso come brandello o cencio; stringhette: diminutivo plurale di stringa = nastrino ed in effetti il dolce (in forma di piccoli rombi) viene ricavato – come ò indicato nella preparazione – dal taglio in senso diagonale di piú fettucce o nastri di pasta larghi tre cm. e lunghi circa 30 cm.; etimologicamente la voce stringa da cui stringhette deriva forse da un ant. tedesco strangî, stranga , ma non gli sarebbe estraneo il greco straggàlê; cicerchiata Tipica specialità dell’Italia centrale: Abruzzo, Umbria, Marche e Lazio.

Quella della cicerchiata che ad un dipresso ripete gli struffoli partenopei è una preparazione tradizionale antichissima. Il nome deriva, a causa della forma del dolce, dalla voce cicerchia ( una sorta di piccolo cece; pianta erbacea rampicante, con fiori bianchi o rosei simili a quelli del pisello, coltivata come foraggio o per sovescio (pratica agraria che consiste nel sotterrare piante erbacee nel terreno in cui sono cresciute, allo scopo di arricchirlo di sostanze organiche).Spesso però, in talune regioni centro meridionali le cicerchie vengono usate a mo’ di ceci, per preparare gustosissime zuppe o minestre con aggiunta di pasta secca (fam. Leguminose), il nome cicerchia deriva da un basso latino cicercula(m), dim. di cicer ‘cece’; ma con i ceci in realtà ,questo dolce non à nessuna affinità se non nell’aspetto; cannella: droga aromatica usata in cucina e costituita dalla sottile corteccia interna, arrotolata in bastoncini e di colore giallo-bruno, di un’omonima pianta tipica delle regioni tropicali asiatiche Anche come agg. invar.: di colore giallo bruno tendente al rossiccio.

Voce pervenuta nell’italiano e nel napoletano attraverso il francese cannelle o l’olandese kaneel(la Francia e l’Olanda importarono in Europa, per prime detta droga) quale diminutivo di canna posto che tale spezie, come detto, non è che una corteccia arrotolata a mo’ di bastoncino o piccola canna; diavulille letteralmente: piccoli diavoli; in realtà minuscolissimi confettini colorati in varî colori, ma prevalentemente in rosso fuoco, donde popolarmente gliene derivò il nome di diavulillo plur.: diavulille diminutivo di diavulo o riavulo (con tipica variazione mediterranea di D→R): nell’ebraismo e nel cristianesimo, potenza che guida le forze del male e si identifica con Lucifero, il capo degli angeli che si ribellarono a Dio, poi divenutoSatana, principe delle tenebre; per estens., ognuno degli altri angeli ribelli e la forza del male che essi incarnano, nella fantasia popolare è concepito per lo piú come un mostro di forme umane con corna, ali, coda e altri attributi animaleschi, grande tentatore, amante di ogni disordine ed eccesso; etimologicamente la voce napoletana diavulo/riavulo è dal lat. tardo diabolu(m), che è dal gr. diábolos, propr. ‘calunniatore’, deriv. di diabállein ‘disunire, mettere male, calunniare’, che nel gr. cristiano traduce l’ebr. satan seu Satana ‘ il contraddittore’; cocozzata = polpa di una zucca bianca opportunamente candita; la canditura, che consiste nel far bollire lentamente una sostanza vegetale in uno sciroppo zuccherino, fino a che la concentrazione di zucchero sia sufficiente a ricoprire interamente la sostanza vegetale agglutinandosi ad essa tenacemente, è riservata agli interi frutti o anche alle sole bucce (scorzette: diminutivo di scorza dal lat. scortea(m) ‘veste di pelle’, femm. sostantivato dell’agg. scorteus, deriv. di scortum ‘pelle’) degli agrumi; talvolta, però – come in questo caso – si giunge a candire altri vegetali come la polpa delle cocurbitacee; infatti la voce cocozza/cucozza (donde, con l’aggiunta del suffisso ata, si ottiene cocozzata), è il modo napoletano di rendere l’italiano zucca;interessante è notare come etimologicamente, mentre la voce cocozza derivi dritto per dritto da un tardo lat.: cucutia(m),la voce italiana zucca abbia il medesimo etimo, però con metatesi ed aferesi della sillaba iniziale; in italiano abbiamo infatti talvolta anche cocuzza o cucuzza termini giocosi usati per indicare il capo, la testa.

Proseguiamo e parliamo dei DIVINO AMORE Gustosi dolcetti natalizi preparati dalle suore dell’omonimo convento del Divino Amore in via Spaccanapoli a Napoli.

Ingredienti 500 g di mandorle dolci sgusciate 500 g di zucchero 3 uova scorza grattugiata di 1 limone 1 bustina di vainiglia 100 gr. di canditi misti (cedro, cocozzata, e scorzette d’arancia) ostie q.b. marmellata di albicocche 3 grossi cucchiai, zucchero 2 cucchiai colmi, acqua 2 cucchiai.

Per la glassatura: Ghiaccia bianca colorante rosa procedimento Macinate le mandorle, non pelate, con il macinacaffe’ o il mixer, unite lo zucchero e con un po’ di acqua fredda fate un impasto di giusta consistenza. Incorporatevi 2 uova intere ed un rosso, la scorza grattugiata del limone, la vainiglia ed i canditi tagliati minutamente.

Lavorate l’impasto, formate degli ovetti,schiacciateli un po’, collocateli sulla placca del forno foderati di ostie e fateli cuocere a 180° per una ventina di minuti. Una volta che siano raffreddati, eliminate i bordi d’ostia superflui, spennellate leggermente i dolci con marmellata di albicocche diluita con poca acqua e zucchero e glassateli con ghiaccia bianca (ottenuta con zucchero a velo vainigliato, albume sbattuto alla fiocca neve ferma) e coloratela di rosa con colorante per alimenti.

E veniamo ora ai SUSAMIELLI Il nome susamielle altro non è che la corruzione nel parlato di sesamelli atteso che i susamielli in origine si chiamavano appunto sesamelli, in quanto venivano ricoperti da semi di sesamo. Farina 250 Gr. Miele 250 Gr. Zuchero 100 Gr. mandorle 100 Gr. cubetti di cocozzata, cedro e scorzette di arance candite; “pisto” cioè un trito di cannella, chiodi di garofano, noce moscata, vaniglia, un pizzico di ammoniaca(quella per dolci, ovviamente)

Procedimento: Tritare finemente nel mixer tutte le mandorle; mischiare le mandorle, lo zucchero, il pisto, il cedro, le scorzette, la cocozzata (il tutto tritato in piccoli pezzi) con la farina; scaldare a fuoco moderato il miele e, appena sciolto, unirlo alla farina, disposta a fontana, insieme con un pizzico di ammoniaca. Lavorare l’impasto fino a quando non diventa omogeneo, a questo punto fare dei salamini e sistemarli su una teglia unta piegati a forma di S, schiacciandoli leggermente. Infornare a 180° per 15-20 minuti circa.

Ed ora parliamo del dolce noto con il nome di SAPIENZA Si tratta di una variante dei susamielli, détta sapienza, con derivazione dal nome del dal monastero della Sapienza (via santa Maria di Costantinopoli – NA), monastero le cui suore furono produttrici di ottimi classici susamielli cui aggiunsero a mo’ di decorazione alcune (tre) mandorle intere poste sulla superficie dei singoli dolcetti.

A Napoli, sia pure per un equivoco, come chiarirò, rammentando la grevezza degli ingredienti usati per questo dolce, si suole dare del susamiello ad ogni persona dal carattere greve e scostante che difficilmente riesce a familiarizzare con gli altri, risultando fastidioso e noioso; ma il dolcetto è buonissimo, pure se a prova di denti! Tuttavia devo precisare che ad un piú attento esame la voce susamiello nel significato di persona dal carattere greve e scostante che difficilmente riesce a familiarizzare con gli altri, risultando fastidioso e noioso, non deriva la sua origine dal summenzionato gustosissimo dolcetto che à la forma di una ESSE maiuscola, bensí dal riferimento ai pesanti ceppi (pur essi forma di una ESSE maiuscola), usati per costringere le caviglie dei condannati ai bagni penali.

Ed eccoci infine ai ROCCOCÒ Tipico dolce meridionale, ma soprattutto campano, d’impasto durissimo; deriva il suo nome roccocò dal francese rococo (roccia artificiale) con evidente riferimento alla durezza dell’impasto.

Ingredienti: 500 g farina 400 g zucchero 270 g mandorle (70 da tritare e 200 da tostare e utilizzare intere), 6 grammi pisto (ottenuto addizionando e pestando insieme 35 chiodi di garofano + un cucchiaino di pepe bianco + 1/2 cucchiaino di cannella + 1/2 cucchiaino di noce moscata), 1/2 cucchiaino di bicarbonato di ammonio (circa 4 grammi), scorze di agrumi grattugiate (1 limone + 1 arancio + 1 mandarino) 150 ml acqua 1 tuorlo d’uovo sbattuto con un cucchiaio di latte per spennellare. (Con queste dosi si ottengono circa 18 roccocò) Procedimento

Disporre la farina a fontana e aggiungere al centro tutti gli ingredienti tranne le mandorle intere. Impastare ed amalgamare bene.

Aggiungere le mandorle intere e impastare un po’ a mano, cercando di distribuire bene le mandorle nell’impasto.

Formare bastoncini dello spessore di un dito e metterli a 9 a 9 in teglia sulla carta forno, creando delle ciambelline. Poi schiacciarle leggermente e spennellarle con il tuorlo sbattuto con il latte.

Infornare in forno caldo a 200 °C per 10 min ed a 180° per altri 10 minuti.

M’auguro d’essere stato preciso e circostanziato e saluto i cortesi lettori.

Raffaele Bracale Brak

fonte

identitainsorgenti.com

 

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