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Ritrovata una Moneta di Clemente IIII

Posted by on Lug 21, 2016

Ritrovata una Moneta di Clemente IIII

importante articolo che Andrea Ianniello ci ha permesso di pubblicare e che non merita altri commenti……

 

Ritrovata una Moneta di Clemente IIII (IV) a Piedimonte di Casolla

 

Non molto tempo fa è stata ritrovata una moneta medioevale, a Piedimonte di Casolla, nel terreno vicino a Palazzo Alois, e da parte di Giovanni Vetrano, che assieme alla famiglia Dell’Aquila, abita nello storico palazzo di Gian Francesco Alois (ca. 1515 – 1564, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Gian_Francesco_Alois). Si tratta di un ritrovaento piccolo, ma piuttosto interessante, in quanto la moneta si presenta da un lato con l’effige del papa Clemente IV (o IIII, come si vede scritto su e com’era spesso in uso nel Medioevo, la forma “IV” è più classica o “classicista” e, dunque, meno frequente nel Medioevo, ed anche oltre il Medioevo).

Una notazione: G. F. Alois fu arso pubblicamente nella centralissima Piazza Mercato di Napoli, non lontano né dalla Stazione né dalla Circumvesuviana: a Piazza Mercato vi è la chiesa del Carmine, con dentro la statua di Corradino di Svevia, che in questa piazza fu fatto decapitare, e appena prima della piazza vi è Sant’Eligio, la chiesa dell’Ordine templare; e appena prima di Sant’Eligio vi è la chiesa di S. Giovanni “a Mare”, dell’Ordine “giovannita” (od Ospedaliero) per l’appunto. In quest’ultima chiesa, appena prima dell’entrata, si trova “a capa ‘e Napule”, “il talismano” della città, ormai obliato.

Siamo nel cuore della Napoli medioevale, così spesso trascurata rispetto a quella borbonica, sin troppa famosa e sin troppo “usata” (quella borbonica) per scopi di polemica spicciola. Si continua nell’assenza di visione e nel cabotaggio proprio minimo, ma è caratteristica della nostra epoca della stagnazione, questo “rivendicazionismo” e “vittimismo patologico”, atteggiamento tipico di un momento estremamente “narcisistico” della storia, ma fallimentare nei risultati. In tal caso, appunto, il narcisismo degenera in “vittimismo patologico” collettivo ed inguaribile. Nessuno si prende alcuna responsabilità delle scelte scellerate compiute nel corso dei decenni, ed anche dei secoli. Leggi: si continua sulla cattiva strada. Il primo indizio di salute (psicologica) si vede qualora s’inizi a prendersi la responsabilità delle scelte scellerate e, conseguentemente, s’inizi a discutere – per lo meno discutere, poi verrà il “fare” – di sentieri “altri” e diversi, rispetto a quelli sin ora percorsi.

Tornando a noi, il porto sorgeva appena sotto queste chiese, perché da qui partiva il traffico navale anche verso la Terra Santa. Né lontani sono i resti della parte delle mura aragonesi vicino al mare, parte che – finalmente – si vuol restaurare e rivalorizzare, “fuori tempo massimo”, come suol dirsi.

Veniamo a chi era Clemente IIII (o IV).

Clemente IV (1265-1268), fu il pontefice francese che favorì la casa d’Angiò sul trono del Regno di Napoli anche se, per l’esattezza, non era ancora il “Regno di Napoli”, ma quello di Sicilia, e fu proprio Clemente IV ad incoronare Rex Siciliae Carlo I d’Angiò, il quale poi, nel 1268, avrebbe portato al capitale a Napoli. Tra l’altro, a Clemente IV sono state attribuite molte cose false a riguardo della morte di Corradino di Svevia, fatto uccidere, come già detto, da Carlo d’Angiò nella Piazza Mercato di Napoli (1268), uccisione che Clemente invece non gradì per niente. “Frequenti dissidi furono provocati fra il re e il pontefice, dall’ambizione, dalla crudeltà e dalle difficoltà finanziarie di Carlo [d’Angiò], ma nell’animo di C. prevalse sempre la ragion politica” (G. Falco, “Clemente IV”, Enciclopedia Italiana. Ristampa fotolitica del Volume X pubblicato nel 1931, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1950, p. 569). E’ interessante sottolineare come Clemente IIII si rifiutò sempre di favorire i suoi parenti, rifiutò il “nepotismo”; ciò non fu solo dovuto al suo “buon carattere”, del resto relativo poiché, dovendo scegliere fra i suoi ricorrenti contrasti con Carlo d’Angiò e la raison d’état, optò sempre per quest’ultima, pur avendo, come s’è detto, con Carlo molti dissidi e problemi. La realtà è che il sistema di amministrazione era ben differente da quello che Roma avrebbe acquisito nell’epoca dell’Umanesimo e del Rinascimento. Clemente, dunque, non approvava molti dei metodi di Carlo d’Angiò, ma, per realpolitik, lo appoggiò. La Chiesa medioevale non poteva accettare di esser “circondata” dall’Impero sia al Nord, in Germania, sia al Sud, il Regno di Sicilia essendo incorporato nell’Impero: per la Chiesa era una necessità vitale rompere quest’anello. Nondimeno: “I presenti [all’esecuzione di Corradino di Svevia] ritennero che la sentenza nei riguardi di un ragazzo appena sedicenne era stata troppo dura; tutti furono profondamente commossi per la sua bionda bellezza e per il suo nobile contegno” (F. Fleetwood, La Torre dei falchi, guida storica di Casertavecchia, sotto il patrocinio dell’Ente Provinciale di Turismo di Caserta, Tipografia Caramanica, Scauri 1977, p. 70), per citare una rarità bibliografica, sicuramente “divulgativa”, ma di certo ben scritta e, comunque, una “data” che segna l’emersione della storia di Caserta come tema d’interesse più vasto: presto sarebbe stato fatto ogni possibile sforzo perché tal tema s’immergesse di nuovo[1].

Il lunedì dell’Angelo del 1282 sarebbero iniziati i cosiddetti “Vespri” siciliani.

Or dunque, perché si è ritrovata questa moneta papale. Occorre chiedersi, allora, se sia stata trovata su terreno di diporto. La risposta è, probabilmente, sì, ma non da luoghi molto lontani dallo stesso Palazzo Alois, e l’origine della stessa moneta dimostra la rilevanza dell’epoca angioina, sia a Caserta (cosiddetta “vecchia”, in realtà è Caserta tour court) che a Piedimonte di Casolla stesso, come attestato, tra l’altro, dal Palazzo Orfitelli, sempre lì a Piedimonte di Casolla, non troppo distante da Palazzo Alois.

Al palazzo Orfitelli vi si può vedere sia il giglio dei Borbone, posteriore (ottocentesco) sia il giglio angioino, medioevale. Noi sappiamo delle – seguenti, rispetto a Clemente IV – lotte attorno a Caserta vecchia: la più importante battaglia del borgo medioevale è stata quella di Torre Lupara (ca. 1348), che s’iscriveva pienamente nell’epoca di quei contrasti medioevali, in tal caso fra gli Angioini di Napoli e gli Angiò di Durazzo, legati alla casa d’Ungheria: l’allora conte di Caserta, Francesco De la Rath, famiglia d’origine catalana, prese parte a favore del ramo ungherese, e riuscì a difendere Caserta dall’attacco degli Angioini napoletani.

Un antenato di Francesco, Diego De la Rath, è citato nel Decameron di Boccaccio (cfr. http://www.vicusmedievalis.altervista.org/Medievalia01/01.pdf, pp. 19-20). Tra l’altro, il soggiorno che Boccaccio fece a Napoli lo influenzò profondamente. Nel filmare “Il Decameron” (dell’ormai lontano 1971), Pasolini, dunque, non scelse certo “casualmente” i luoghi: Caserta vecchia, il Palazzo Cocozza della Montanara (e anche qualche altro scorcio) a Piedimonte di Casolla, Santa Chiara a Napoli.

Questi luoghi, tranne Napoli, ça va sans dire, non son citati nella pagina Wikipedia, relativa al film (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Decameron). Evidentemente, si pensa che non esistano più, o forse non siano mai esistiti.

Sul primo punto, si può anche esser d’accordo, vista la perenne eclisse che li caratterizza – salvo interventi episodici della serie “fai vedere”, e che non cambiano nulla -, mentre sul secondo punto non si può esser d’accordo, son luoghi esistiti, a quanto sembrerebbe dai ritrovamenti archeologici e dalle traballanti vestigia architettoniche (si veda la distruttiva ed istruttiva vicenda dell’Arco d’ingresso a Caserta vecchia).

Dicono vi fossero. Forse, chissà, il termine passato, con la dovuta prudenza (ma senza pruderie), si può anche coniugare, facciamo questa concessione: il problema è il tempo futuro.

Quanto al presente, traballa molto, balli sudamericani naturalmente, o anche altri, ché i sudamericani appaiono “appassiti di moda”.

La moda non passa, la moda appassisce, per poi riapparire.

In effetti, Caserta ha una storia particolare, perché presenta una tipologia che ricorda quella di Sant’Agata de’ Goti, con tanti “casali” sparsi, certo quello centrale è, senza dubbio, il più importante, ma la tipologia è “a spruzzo”.

La “Via tifatina” ricollegava direttamente Caserta con Sant’Agata de’ Goti, una via che la discesa sul piano avrebbe sempre più reso laterale, ma che, nel Medioevo, ed oltre, era molto importante.

Tra l’altro, non casualmente l’acqua della Reggia che si ritrova in Caserta proviene da Bucciano, sotto i monti del Taburno[2], monti ben visibili, per l’appunto, da Sant’Agata de’ Goti. Tra l’altro, il toponimo “de’ Goti” deriverebbe dalla famiglia de Goth che, durante sempre l’epoca angioina, fu feudataria della città. Un’altra teoria, che però sembra più tarda (un po’ come Caserta da casa “irta”, quando invece è da casa “hirt”, come l’inglese herd), ricollega il toponimo al passaggio dei Goti di Alarico, fatto storico quest’ultimo, ma il punto è che l’aggiunta “de’ Goti” si ritrova durante il XIV secolo (epoca angioina), e confermerebbe la prima teoria piuttosto che la seconda.

Il tema storiografico sullo sfondo, tema del quale si discute ormai da molto tempo, è se la “discesa” sul piano sia avvenuta più d’una volta nelle travagliate, ricorrenti ondate fra piano e collina che caratterizzano la storia casertana. Certo è che, nel XIV secolo, ed anche probabilmente prima, sia per la presenza, nell’attuale Piazza Vanvitelli, di uno storico mercato, sia anche grazie ai recenti ritrovamenti nella chiesa di S. Pietro ad “Aldifreda” (sul cui nome, disputato, cfr. http://autoscuolalamotta.blogspot.it/2013/06/qualche-riflessione-sulletimologia-del_2.html), si può dire che si era già verificata una prima “ridiscesa”, chiamiamola con un termine più corretto.

Vi è, inoltre, un altro tema storiografico, sullo sfondo: come sia avvenuto il fenomeno chiamato “incastellamento”. Come si passa dal castrum al castellum vero e proprio, in altre parole. Il secondo è quello tipicamente, effettivamente medioevale; invece il castrum è proprio della fine dell’Impero romano e dell’epoca della guerra cosiddetta “greco”-gotica” (= romano-gotica, parte terminale di tutta una serie di contrasti che avevano, lungo il vasto e tortuoso corso della storia, opposto i Romani ai Goti, “i più colti fra i barbari”).

In altre parole, vi sarebbero state per lo meno tre fasi, per lo meno: una prima, al termine dell’Impero romano e nelle crisi successive, caratterizzata sia dalla natura temporanea della salita sul colle, sia dal fatto che si rimaneva “a mezza costa” del colle.

Segue una fase di ascesa, nell’epoca longobarda, che è l’epoca “fondante” Caserta vecchia.

Si ha una fase di “relativa” ridiscesa, ed è quella di S. Pietro “ad Montes”, cui segue una risalita al colle. Si ridiscende in epoca angioina, ma sia la crisi della seconda metà del XIV sec., sia le lotte interne agli Angioini, divisi nei due rami di cui s’è detto, sia le seguenti lotte fra Angioini ed Aragonesi, spinsero ad una risalita, “definitiva” in epoca medioevale.

Sarebbero seguite le discese al piano di epoca moderna, ma è un altro discorso.

Questo per tratteggiare, del tutto “schematicamente”, un tema inevitabilmente molto complesso, cui solo un’opera di ricostruzione archeologica potrebbe aiutare a dare qualche risposta, opera che rimane del tutto chimerica, dati i tempi, i luoghi, gli uomini.

Il “succo” della questione, come suol dirsi, è che le discese e le risalite sono tate tante, che vi è sempre stata una “dialettica” colle pianura, ormai, da tempo, completamente abolita, dalla “riduzione al piano” che vediamo in atto da molti decenni, e che rende la fascia pedemontana e quella collinare inevitabilmente subalterne rispetto alla pianura.

Sarebbe senza dubbio “cosa buona e giusta” riequilibrare questa relazione, ormai a senso unico, ma richiederebbe una classe davvero dirigente, consapevole del territorio e della sua storia, e dunque capace d’intervenire sulla lunga distanza, con idee e piani precisi, e non i soliti interventi “per fare vedere”, interventi che nulla cambiano. Ora, una cosa del genere fa immediatamente venir in mente quella canzone inglese, il cui ritornello, peraltro molto pervasivo (di quelli che “si piazzano in testa”), mi parrebbe questo: “Sweet dreams are made of these …” (“I dolci sogni son fatti di queste [cose] …”).

Come ben si sa, di dolci sogni, si può morire, tra l’altro del tutto immeritatamente …

 

Andrea A. Ianniello

 

[1]  Pur se con alterne sfortune, “Mission ccomplished” può dirsi, e molto da presso al senso di Bush …

[2] Secondo alcuni, l’etimo di “Taburno” sarebbe osco, e significherebbe “cima”.

 

 

foto prese dal sito wikimedia.org  ( Wikipedia Commons)

 

Clemente IV
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e6/Papst_Clemens_IV.jpg
(Wikimedia Commons)

Clemente IV e Carlo i d’Angiò
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/97/Tour_Ferrande_-_Cl%C3%A9ment_IV_%26_Charles_1er_de_Sicile.JPG/800px-Tour_Ferrande_-_Cl%C3%A9ment_IV_%26_Charles_1er_de_Sicile.JPG
(Wikimedia Commons)

Carlo I d’Angiò
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/6d/Palazzo_Reale_di_Napoli_-_Carlo_I_d%27Angi%C3%B2.jpg/800px-Palazzo_Reale_di_Napoli_-_Carlo_I_d%27Angi%C3%B2.jpg
(Wikimedia Commons) 

 

 

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