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S.M. FERDINANDO IV di Patrizia Stabile

Posted by on Gen 22, 2020

S.M. FERDINANDO IV di Patrizia Stabile

Questo è il Re che la “vulgata” storiografica nazionale ha sempre presentato come volgare, ignorante, fanatico e reazionario. Un Re “Lazzarone”, “popolano”; ed infatti il popolo vero fu sempre con lui.

Nasce a Napoli il 12 gennaio 1751 un nostro amato sovrano, figlio di re Carlo.

Come abbiamo visto nella voce dedicata a Carlo di Borbone, quando nel 1759 questi lascia il Trono di Napoli per quello di Madrid – sancendo di fatto la definitiva separazione delle due Corone – lascia come erede a Napoli il suo terzo figlio, Ferdinando, allora bambino di otto anni, e lo affida ad un Consiglio di Reggenza di otto membri, fra cui emergevano le figure del Primo Ministro Tanucci e dello zio di Ferdinando il principe di San Nicandro.

Il primo ebbe il compito preciso di guidare politicamente il Regno, il secondo quello di educare il fanciullo.

Nato a Napoli il 12 gennaio 1751 dal Re Carlo di Borbone e da Maria Amalia Walburga di Sassonia, morirà sempre a Napoli il 4 gennaio 1825. Il suo è uno dei più lunghi regni della storia, se si considera la datazione a partire dal 1759 (66 anni di regno).

Dal principe di San Nicandro ricevette un’educazione mirata soprattutto alla cura della robustezza del corpo e di marca abbastanza popolare (i suoi tratti e il suo parlare in dialetto gli valsero il soprannome – nient’affatto dispregiativo – di “Re Lazzarone” [Col termine “Lazzari” o “Lazzaroni” erano indicati i popolani di Napoli che si batterono strenuamente ed eroicamente contro i soldati napoleonici e i giacobini repubblicani nel 1799 in difesa e a nome di Ferdinando, della monarchia e della Chiesa. Cfr. la voce apposita in questo sito sul sanfedismo e le insorgenze.]).
Finché fu in età minorile, il Regno fu retto a tutti gli effetti dal Tanucci, che proseguí senza indugi la politica riformista di Carlo di Borbone, di stretta intesa con il Trono di Madrid. Sono questi i decenni del celebre riformismo borbonico, comunque poi proseguito anche da Ferdinando fino agli anni della tempesta rivoluzionaria.

Nel 1768 sposò Maria Carolina d’Austria, figlia dell’Imperatrice del Sacro Romano Impero Maria Teresa d’Asburgo, sorella quindi degli Imperatori Giuseppe II e Leopoldo II e della Regina di Francia Maria Antonietta. Ferdinando ebbe da lei 18 figli, ed erede al Trono fu Francesco, a causa della morte prematura del principino Carlo Tito.

Delle figlie femmine, la primogenita Maria Teresa sposò l’Imperatore del Sacro Romano Impero Giuseppe II, la secondogenita Maria Luisa il Granduca di Toscana Ferdinando III, Maria Cristina il Re di Sardegna Carlo Felice, Maria Amelia il Re dei Francesi Luigi Filippo, Maria Antonietta il Re di Spagna Ferdinando VII.

Maria Carolina, giunta a Napoli appena sedicenne, acquistò subito un grande peso per le scelte politiche di Ferdinando, specie dopo la nascita di Francesco. Lo scontro con il Tanucci era inevitabile, ed inevitabile fu pertanto la progressiva rottura con Madrid, in cui la Regina riuscí a coinvolgere anche

Ferdinando (ragione di profondo dolore fu questo per l’ormai anziano Re di Spagna, che si vedeva in un certo senso sfuggire non solo e non tanto il controllo politico, quanto in certo qual modo anche la persona stessa del figlio Ferdinando).

Nel 1775 Maria Carolina entrò a far parte ufficialmente del Consiglio di Stato; Tanucci dapprima dovette acconsentire a vedersi molto ridotto il suo raggio d’azione, quindi dovette rassegnarsi ad uscire di scena nel 1777.

Il suo posto fu preso due anni dopo dal ministro inglese il principe John Acton, che nel corso degli anni godette della totale fiducia dei Reali, ciò che gli permise di far gravitare il Regno dall’influenza spagnola sotto quella britannica (confermata, negli anni cruciali delle guerre napoleoniche, dalla presenza a Corte di Horatio Nelson, e di varie altre figure inglesi che grande influenza avevano sulle decisioni di Maria Carolina).
Il Primo Ministro Bernardo Tanucci
Il Primo Ministro Bernardo Tanucci

Ma l’uscita di scena del Tanucci non interruppe affatto il processo riformistico. Del resto, i genitori di entrambi i monarchi (Carlo di Borbone e Maria Teresa d’Asburgo) erano stati entrambi sovrani riformatori, ed avevano plasmato in tal senso la mentalità dei figli (come Giuseppe II a Vienna dimostrava con eccessivo zelo!).

La politica di riforme dovette però essere interrotta per il gravare della tempesta rivoluzionaria negli anni Novanta. Gli eventi di Francia, dapprima preoccupanti ma poi tragicamente sconvolgenti (la caduta della Monarchia, la Repubblica giacobina, l’assassinio del Re e poi della Regina e del loro figlioletto, la guerra civile, il Terrore, la dittatura robespierriana, centinaia di migliaia di morti, ecc.), fecero naturalmente mutare l’animo ingenuamente e a volte acriticamente aperto alle innovazioni politiche dei due sovrani napoletani. Specie dopo il 1794, sia per i fatti francesi, sia per la scoperta di una congiura repubblicana a Napoli.

Ferdinando e Maria Carolina iniziarono a intuire il vero volto che si nascondeva dietro i riformatori [Come sempre accade in certi contesti storici o di vita vissuta, i futuri traditori si nascondono sempre fra i più vicini e costanti osannatori. Tutta la cosiddetta intellettualità partenopea, composta per lo più da aristocratici vicinissimi ai Reali e da beneficiati e onorati dagli stessi, non perdeva occasione per esaltare Maria Carolina come il faro del progresso e della civiltà in Napoli, e presentare Ferdinando come il “novello Tito”.

Saranno proprio costoro a fondare la Repubblica Partenopea con l’appoggio delle armi dell’invasore napoleonico], specie dietro gli intellettuali illuministi e massoni (da loro sempre finora appoggiati). Peraltro, nonostante qualche tentativo di conciliazione con la neonata Repubblica Francese, di fatto Ferdinando aderí alle Coalizioni internazionali antirivoluzionarie ed antinapoleoniche, rimanendo in tal modo anche fedele al “Patto di Famiglia” borbonico ed alla alleanza con gli inglesi.

La duplice perdita e la duplice riconquista del Regno continentale

Come è noto, a partire dal 1796, il giovane Napoleone Buonaparte invade e conquista gradualmente la gran parte dei territori degli Stati italiani preunitari, incontrando ovunque, come unica e feroce resistenza, la spontanea rivolta armata delle popolazioni italiane – le insorgenze controrivoluzionarie – insorte in difesa della Chiesa e della religione cattolica e dei legittimi secolari sovrani e governi (in un concetto, contro l’aggressione rivoluzionaria in difesa della secolare civiltà, società e identità tradizionali).

Nel febbraio del 1798 gli eserciti rivoluzionari invadono lo Stato Pontificio, provocando la fuga di Pio VI e instaurando la giacobina Repubblica Romana. Nel mese di novembre, Ferdinando, consapevole che ormai ai napoleonici mancava solo il Regno di Napoli per completare la conquista d’Italia, decide di muovere guerra ai francesi, anche allo scopo di liberare Roma e permettere il ritorno del Pontefice nel proprio Stato. Il comando viene affidato al generale austriaco Mack, ma la scelta si rivela subito errata. Egli dapprima entra in Roma senza colpo ferire (peraltro i napoletani furono accolti in trionfo dai romani), ma poi, di fronte al contrattacco del generale napoleonico Championnet, il Mack fugge miserevolemente, e l’esercito borbonico si scioglie alla rinfusa. Naturalmente Championnet ora ha il pretesto per marciare su Napoli.

Ferdinando l’8 dicembre 1798 emana un proclama a tutti i suoi sudditi, invitandoli ufficialmente a resistere in armi contro l’invasore. Mai proclama fu più seguito alla lettera. Migliaia, decine di migliaia di uomini, di ogni età e ceto, comprese donne ed anziani, presero le armi contro i francesi, combattendo per sei mesi strenuamente fino alla riconquista del Regno.

Infatti, i francesi a costo di gravi perdite riuscirono il 22 gennaio 1799 a conquistare Napoli (qui dovettero massacrare, prima di prendere effettivo possesso della città e di proclamare la “Repubblica Napoletana”, 10.000 “lazzari” insorti in nome di Ferdinando). Nel frattempo, già dal 22 dicembre 1798 la Corte si era spostata a Palermo, e Ferdinando aveva lasciato Napoli in mano ad un consiglio di aristocratici e al Vicario regio Pignatelli.

Instaurata a Napoli la Repubblica, i giacobini procedettero alla “repubblicanizzazione” delle provincie, ma con scarsi risultati effettivi. Infatti, ovunque era evidente il malcontento popolare e i sentimenti di fedeltà alla dinastia si palesavano ogni giorno in maniera sempre più evidente e “minacciosa”. Verso la fine di gennaio, il Cardinale Fabrizio Ruffo dei Principi di Scilla si presentò a Corte a Palermo con un audacissimo progetto: chiese al Re navi, uomini e soldi per attuare una spedizione militare di riconquista del Regno di Napoli con l’appoggio delle popolazioni che sicuramente non sarebbe mancato.

Il progetto era talmente audace da lasciare perplessi i Reali; alla fine, date le insistenze del Ruffo e visto che in effetti non v’era poi molto di meglio da fare, Ferdinando cedette e concesse al Cardinale una sola nave con sette uomini (in pratica nulla), ma il titolo ufficiale di Vicario del Re per il Regno di Napoli (in pratica, tutto!). Il Ruffo si accontentò, sicuro che le popolazioni continentali lo avrebbero seguito.

E il Ruffo aveva assolutamente ragione! Sbarcato nei suoi feudi in Calabria, bastò far girare la voce delle intenzioni e del suo nuovo potere effettivo, che in poche settimane si ritrovò un esercito di decine di migliaia di volontari giunti da ogni parte del Regno per la causa borbonica, pronti a morire per cacciare i repubblicani giacobini.

Il Ruffo fondò così la “Armata Cristiana e Reale” in nome di Ferdinando IV (si veda la voce dedicata alle insorgenze controrivoluzionarie e al sanfedismo), che nel giro di tre mesi giunse in trionfo a Napoli restaurando la monarchia borbonica il 13 giugno 1799, giorno di Sant’Antonio, protettore ufficiale dell’”Armata della Santa Fede”.

Ferdinando e Maria Carolina nel frattempo giunsero a Napoli via mare, preceduti dal Nelson, che aveva ordini di fare giustizia dei giacobini traditori rinchiusi in Castel S. Elmo, circondati dall’Armata sanfedista. Il Ruffo, consapevole che il Nelson li avrebbe massacrati tutti, offrì loro la possibilità della fuga via terra; ma costoro credettero opportuno fidarsi più di un protestante che di un cattolico, e si consegnarono all’ammiraglio inglese, il quale fece senz’altro impiccare 99 di loro, con l’approvazione di Maria Carolina più che di Ferdinando.

Si tratta dei famosi giacobini della Repubblica Partenopea, “vittime dei Borboni”, come tutta la storiografia nazionale ha sempre detto e ribadito. Non è questa la sede per aprire polemiche storiografiche e ideologiche. Un’unica serena ed evidente considerazione ci permettiamo di fare: sicuramente si sarebbe potuta usare, oltre la giustizia, anche maggiore clemenza. Ma gli storici hanno sempre voluto dimenticare l’esigenza imprescrittibile della giustizia, in una situazione i cui termini erano chiari: dei sudditi – molti dei quali vicini alla Corona – si erano macchiati di alto tradimento cacciando il Re e instaurando un repubblica rivoluzionaria non solo fondata sulle armi straniere dell’invasore della patria comune, quanto soprattutto priva di alcun concreto appoggio popolare, anzi, come la storia ha inequivocabilmente dimostrato, in palese e tragico scontro con la reale volontà delle popolazioni del Regno, fermamente fedeli ai Borbone.

I repubblicani napoletani (poche centinaia di individui in tutto) insomma non erano stati né votati né comunque ben accettati dalle milioni di persone che abitavano il Regno; anzi, furono combattuti ferocemente dalle popolazioni, e la loro forza risiedeva solo nelle armi straniere, senza alcun prestigio o consenso.
Essi erano a tutti gli effetti “traditori della patria” asserviti allo straniero invasore ed erano responsabili di una violentissima guerra civile, anche se la storiografia filorisorgimentale li ha sempre presentati come eroi e “martiri”: ma il loro atto, agli occhi del legittimo sovrano, non poteva passare impunito: il buon senso lo dimostra, e possiamo essere certi che altri sovrani – o Capi di Stato – a volte osannati non si sarebbero comportati in maniera molto differente in tali tragici frangenti.

Ferdinando e Carolina tornarono sul Trono di Napoli in trionfo e col pieno e completo consenso delle popolazioni che si erano battute spontaneamente per loro. Fino al 1805 regnarono in pace, ma poi la tempesta napoleonica si abbatté nuovamente su di loro. Agli inizi del 1806 l’Imperatore dei Francesi conquistava il Regno di Napoli e poneva sul Trono il fratello Giuseppe. Ancora una volta i Reali e la corte si spostarono a Palermo, ed ancora una volta ricominciò la spontanea guerriglia sanfedista (anche se ora non vi fu più una nuova “Armata Cristiana e Reale”), che durò fino al 1810, ed in Calabria specialmente fino alla Restaurazione.

Nel 1808 Napoleone disponeva da Parigi che Giuseppe doveva andare a Madrid, e poneva sul Trono di Napoli suo cognato Gioacchino Murat, che vi rimarrà fino al 1815, anno della Restaurazione europea. Per altro, il Murat nel 1815, disperato per la definitiva vittoria delle forze restauratrici, tentò il tutto e per tutto sbarcando in Calabria e invitando i contadini all’insurrezione armata contro i Borbone: sarà preso a fucilate dai contadini stessi, arrestato e quindi fucilato.

Gli ultimi anni del suo regno

Con la sconfitta definitiva di Napoleone e il Congresso di Vienna, l’intera Europa si avviava ad una nuova fase della sua storia, quella nota sotto il nome di Restaurazione.

Ferdinando preferì stavolta assumere ufficialmente il titolo di “Re delle Due Sicilie” [Durante il suo regno a Palermo, gli inglesi a Corte avevano favorito l’autonomismo siciliano, costringendolo a concedere la Costituzione del 1812 e a far partire Maria Carolina dall’isola, che poi morirà nel 1814 in esilio.] (divenne quindi “I” come numerazione) e volle attuare una politica di pacificazione nazionale, forse anche troppo generosa. Infatti, non solo lasciò sostanzialmente impuniti i collaboratori del Murat, ma spesso confermò loro le cariche, i ruoli e i privilegi acquisiti sotto il regime napoleonico; e questo specie con gli ufficiali militari, cosa di cui ebbe presto a pentirsi.

A Corte si svolgeva lo scontro fra il Ministro de’ Medici, filoliberale e massone, e il Ministro della Polizia Antonio Capece Minotolo, Principe di Canosa, cattolico intransigente, controrivoluzionario e fedelissimo dei Borbone, acerrimo nemico delle sette massoniche e di ogni tendenza rivoluzionaria. Ferdinando però fece prevalere il de’ Medici, e ciò comportò nel 1820 un’altra rivoluzione, di stampo costituzionalista, organizzata ed attuata dalla setta massonica della Carboneria.

Ferdinando dapprima accettò di concedere la costituzione; ma i tempi ormai erano cambiati, e ben sapeva che, per il principio di legittimità stabilito al Congresso di Vienna e per i patti della Santa Alleanza, Metternich sarebbe presto intervenuto contro i rivoluzionari. Ed infatti così avvenne. Vi fu un Congresso della Santa Alleanza a Lubiana, in cui si stabilì l’intervento contro Napoli. Il parlamento napoletano inviò proprio Ferdinando a Lubiana per perorare la causa costituzionalista; ma naturalmente Ferdinando giunto lì chiese al Metternich l’intervento contro i rivoluzionari napoletani, che puntualmente avvenne.

Ferdinando poté così restaurare l’assolutismo, e vivere in pace gli ultimissimi anni del suo lungo e travagliato regno.

Il Sovrano del riformismo italiano

Ferdinando può essere senz’altro considerato il Sovrano che per eccellenza in Italia incarnò i criteri del riformismo illuminato, proseguendo e compiendo ciò che il padre aveva cominciato. Non è qui possibile approfondire, neanche per sommi capi, un discorso di importanza storica fondamentale, e molto trattato dalla storiografia degli ultimi decenni. Ci limitiamo quindi ad elencare una dopo l’altra le più importanti riforme ed opere attuate per sua volontà o ispirazione.

Edilizia civile:

Il 4/IX/1762 iniziò la costruzione in Napoli del primo cimitero in Italia in Napoli; poi ne costruì uno a Palermo;
fece costruire e ampliare strade di Napoli, come Foria;
restaurò il Palazzo Reale di Napoli;
nel 1779 innalzò la Fabbrica de’ Granili;
nel 1780 iniziò la Villa Reale;
costruì tre teatri: de’ Fiorentini, del Fondo e di San Ferdinando;
edificò: l’Orto botanico a Palermo, la Villa inglese di Caserta, il Cantiere di Castellammare, il piccolo porto di Napoli, i lavori dell’Emissario di Claudio, Palazzo Reale di Cardito;
costruì più di mille miglia di strade per congiungere Napoli con le province;
restaurò ponti, ne costruì di nuovi, prosciugò maremme, arginò fiumi, ecc.; nel 1790 bonificò la Baia di Napoli;
terminò le costruzioni iniziate dal padre (Regge di Caserta e Portici);
ne iniziò di nuove: Favorita di Palermo, Chiesa di S. Francesco di Paola in Napoli, ecc.

Istituzioni ed iniziative culturali:

nel 1768 stabilì una scuola gratuita per ogni Comune del Regno e per ambo i sessi, ordinando che nelle case religiose si facesse altrettanto; stabilì altresì un collegio per educare la gioventù in ogni provincia, il tutto senza tasse supplementari;
nel 1779 trasformò la Casa dei Gesuiti di Napoli in un Collegio per nobili giovanetti, detto Ferdinandeo, e diede un Conservatorio per l’istruzione delle orfane povere;
nel 1778 fu creata l’Università di Cattaneo, l’anno seguente quella di Palermo con teatro anatomico, laboratorio chimico e gabinetto fisico;
istituì una sezione astronomica nel Palazzo Reale di Palermo, ove lavorò il Piazzi; un altro osservatorio fondò sulla Torre di San Gaudioso in Napoli;
solo in Sicilia fondò 4 licei, 18 collegi e molte scuole normali;
fondò in Palermo un seminario nautico per l’istruzione di marinai;
istituì una deputazione per sorvegliare tutti i Collegi del Regno;
nel 1778 istituì l’Accademia delle Scienze e delle Belle Arti a Napoli;
aprì una biblioteca a Palermo;
riordinò le tre Università del Regno, creando nuove cattedre: si vide per la prima volta negli ospedali quella di ostetricia e di osservazioni chirurgiche;
scelse come docenti i migliori ingegni, senza badare alle loro opinioni politiche, come Genovesi, Palmieri, Galanti, Troja, Cavalieri, Serrao, Gagliardi, ecc.;
onorò i geni dell’arte musicale, come Cimarosa e Paisiello, che eresse a maestro del Principe ereditario; inoltre somministrò i mezzi a molti giovani artisti per perfezionarsi a Roma;
arricchì il Museo di Napoli e la Biblioteca;
continuò gli scavi di Ercolano e Pompei.

Provvedimenti militari:

Fondò parecchi collegi militari, un’accademia per le armi dotte, riordinò l’esercito;
riordinò la marina, e quando nel 1790 andò a fuoco il vascello Ruggiero in costruzione a Castellammare, i sudditi spontaneamente offrirono al Sovrano una colletta di un milione di ducati per la ricostruzione del vascello;
pubblicò il Codice Penale militare.

Provvedimenti economici:

Fondò la Borsa di Cambio, ed avviò molti nuovi commerci, come la pesca del corallo;
cedette a canone e provvide di ottime leggi il Tavoliere della Puglia, facendo sorgere molte colonie, esentando per 40 anni da molte tasse gli agricoltori che avessero popolato, coltivato e incrementato quelle zone fin’allora abbandonate; fondò a tal proposito Monti frumentari;
diminuì notevolmente le tasse ai cittadini (specie quelle da versare ai baroni), dirette e indirette, come quelle di grascina, degli allogati, del tabacco, de’ pedaggi, ed in alcune province quella della seta.

Provvedimenti civili, sociali e di carità:
popolò le isole di Ustica e Lampedusa, cacciando i barbareschi e costruendo fortezze;
fondò la Cassa per gli orfani militari provvedendola di una rendita di 30.000 ducati annui, per educare i figli dei militari defunti e per la dote delle figlie;
gli albanesi e i greci del Regno furono riuniti in colonie, e fondò seminari e scuole per loro, dando loro anche un luogo per il commercio in Brindisi; inoltre istituì un vescovado di rito greco cattolico;
quando vi fu una colletta popolare in Napoli per il matrimonio del Principe ereditario egli ne accettò solo una piccola parte (70.000 ducati) che versò interamente ai poveri della città;
fece la colonia di San Leucio per la lavorazione della seta seguendo criteri di uguaglianza sociale;
prima della Rivoluzione Francese fu fermo nella difesa delle prerogative statali contro la Chiesa; dopo il 1815 fu più generoso, anche se mantenne sempre la scelta dei vescovi con il Concordato del 1818;
nel 1818 salpò da Napoli la prima nave a vapore italiana, che attraversò il Mediterraneo;
introdusse per magistrati l’obbligo di motivare le sentenze.

Questo è il Re che la “vulgata” storiografica nazionale ha sempre presentato come volgare, ignorante, fanatico e reazionario. Un Re “Lazzarone”, “popolano”; ed infatti il popolo vero fu sempre con lui.

Il Cardinale Ruffo e le insorgenze filoborboniche

Real Casa di Borbone delle Due Sicilie

Patrizia Stabile

fonte https://www.pontelandolfonews.com/cultura/s-m-ferdinando-iv/

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