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Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco (seconda edizione) VII

Posted by on Ott 3, 2021

Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco (seconda edizione) VII

Io mi arresto; la mia mente inorridisce alla memoria di tanti orrori. Ma donde mai è nato tanto furore negli animi de’ sovrani d’Europa contro la rivoluzione francese? Molte altre nazioni aveano cangiata forma di governo; non vi è quasi secolo che non conti un cangiamento: ma né quei cangiamenti aveano mai interessati altri che le corti direttamente offese, né aveano prodotto nelle altre nazioni alcun sospetto ed alcuna persecuzione. Pochi anni prima, i saggi americani avean fatta una rivoluzione poco diversa dalla francese, e la corte di Napoli vi avea pubblicamente applaudito: nessuno avea temuto allora che i napolitani volessero imitare i rivoluzionari della Virginia. Il pericolo de’ sovrani è forse cresciuto in proporzione de’ loro timori?

I francesi illusero loro stessi sulla natura della loro rivoluzione, e credettero effetto della filosofia quello che era effetto delle circostanze politiche nelle quali trovavasi la loro nazione.

Quella Francia, che ci si presentava come un modello di governo monarchico, era una monarchia che conteneva più abusi, più contraddizioni: la rivoluzione non aspettava che una causa occasionale per iscoppiare. Grandi cause occasionali furono la debolezza del re, l’alterigia, or prepotente or debole anch’essa, della regina e di Artois, l’ambizione dello scellerato ed inetto Orléans, il debito delle finanze, Necker, l’Assemblea de’ notabili e, molto più, gli Stati generali. Ma, prima che queste cagioni esistessero, eravi già antica infinita materia di rivoluzione accumulata da molti secoli: la Francia riposava sopra una cenere fallace, che copriva un incendio devastatore.

Tra tanti che hanno scritta la storia della rivoluzione francese, è credibile che niuno ci abbia esposte le cagioni di tale avvenimento, ricercandole, non già ne’ fatti degli uomini, i quali possono modificare solo le apparenze, ma nel corso eterno delle cose istesse, in quel corso che solo ne determina la natura? La leggenda delle mosse popolari, degli eccidi, delle ruine, delle varie opinioni, de’ vari partiti, forma la storia di tutte le rivoluzioni, e non già di quella di Francia, perché nulla ci dice di quello per cui la rivoluzione di Francia differisce da tutte le altre. Nessuno ci ha descritto una monarchia assoluta, creata da Richelieu e rinforzata da Luigi decimoquarto in un momento; una monarchia surta, al pari di tutte le altre di Europa, dall’anarchia feudale, senza però averla distrutta, talché, mentre tutti gli altri sovrani si erano elevati proteggendo i popoli contro i baroni, quello di Francia avea nel tempo istesso nemici ed i feudatari, ivi più potenti che altrove, ed il popolo ancora oppresso; le tante diverse costituzioni che ogni provincia avea; la guerra sorda ma continua tra i diversi ceti del regno; una nobiltà singolare, la quale, senza esser meno oppressiva di quella delle altre nazioni, era più numerosa, ed a cui apparteneva chiunque voleva, talché ogni uomo, appena che fosse ricco, diventava nobile, ed il popolo perdea così financo la ricchezza; un clero, che si credeva essere indipendente dal papa e che non credeva dipendere dal re, onde era in continua lotta e col re e col papa; i gradi militari di privativa de’ nobili, i civili venali ed ereditari, in modo che all’uomo non nobile e non ricco nulla rimaneva a sperare; le dispute che tutti questi contrasti facevano nascere; la smania di scrivere, che indi nasceva e che era divenuta in Francia un mezzo di sussistenza per coloro i quali non ne avevano altro, e che erano moltissimi; la discussione delle opinioni a cui le dispute davan luogo ed il pericolo che dalle stesse opinioni nasceva, poiché su di esse eran fondati gl’interessi reali de’ ceti; quindi la massima persecuzione e la massima intolleranza per parte del clero e della corte, nell’atto che si predicava la massima tolleranza dai filosofi; quindi la massima contraddizione tra il governo e le leggi, tra le leggi e le idee, tra le idee e li costumi, tra una parte della nazione ed un’altra; contraddizione che dovea produrre l’urto vicendevole di tutte le parti, uno stato di violenza nella nazione intera, ed in séguito o il languore della distruzione o lo scoppio di una rivoluzione. Questa sarebbe stata la storia degna di Polibio9.

La Francia avea nel tempo istesso infiniti abusi da riformare. Quanto maggiore è il numero degli abusi, tanto più astratti debbono essere i princìpi della riforma ai quali si deve rimontare, come quelli che debbono comprendere maggior numero di idee speciali. I francesi furono costretti a dedurre i princìpi loro dalla più astrusa metafisica, e caddero nell’errore nel qual cadono per l’ordinario gli uomini che seguono idee soverchiamente astratte, che è quello di confonder le proprie idee colle leggi della natura. Tutto ciò che avean fatto o volean fare credettero esser dovere e diritto di tutti gli uomini.

Chi paragona la Dichiarazione de’ diritti dell’uomo fatta in America a quella fatta in Francia, troverà che la prima parla ai sensi, la seconda vuol parlare alla ragione: la francese è la formola algebraica dell’americana. Forse quell’altra Dichiarazione che avea progettata Lafayette era molto migliore.

Idee tanto astratte portano seco loro due inconvenienti: sono più facili ad eludersi dai scellerati, sono più facili ad adattarsi a tutt’i capricci de’ potenti; i turbolenti e faziosi vi trovano sempre di che sostenere le loro pretensioni le più strane, e gli uomini dabbene non ne ricevono veruna protezione. Chi guarda il corso della rivoluzione francese ne sarà convinto.

I sovrani credettero, come i francesi, che la loro rivoluzione fosse un affare di opinione, un’opera di ragione, e la perseguitarono. Ignorarono le cagioni vere della rivoluzione francese e ne temettero gli effetti per quello stesso motivo per il quale non avrebbero dovuto temerli. Quando e dove mai la ragione ha avuto una setta? Quanto più astratte sono le idee della riforma, quanto più rimote dalla fantasia e da’ sensi, tanto meno sono atte a muovere un popolo. Non l’abbiamo noi veduto in Italia, in Francia istessa? Nel modo in cui i francesi aveano esposti i santi princìpi dell’umanità, tanto era sperabile che gli altri popoli si rivoluzionassero, quanto sarebbe credibile che le nostre pitture di ruote di carozze si perfezionino per i princìpi di prospettiva dimostrati col calcolo differenziale ed integrale.

Se il re di Napoli avesse conosciuto lo stato della sua nazione, avrebbe capito che non mai avrebbe essa né potuto né voluto imitar gli esempi della Francia. La rivoluzione di Francia s’intendeva da pochi, da pochissimi si approvava, quasi nessuno la desiderava; e, se vi era taluno che la desiderasse, la desiderava invano, perché una rivoluzione non si può fare senza il popolo, ed il popolo non si move per raziocinio, ma per bisogno. I bisogni della nazione napolitana eran diversi da quelli della francese: i raziocini de’ rivoluzionari eran divenuti tanto astrusi e tanto furenti, che non li potea più comprendere. Questo pel popolo. Per quella classe poi che era superiore al popolo, io credo, e fermamente credo, che il maggior numero de’ medesimi non avrebbe mai approvate le teorie dei rivoluzionari di Francia. La scuola delle scienze morali e politiche italiane seguiva altri princìpi. Chiunque avea ripiena la sua mente delle idee di Machiavelli, di Gravina, di Vico, non poteva né prestar fede alle promesse né applaudire alle operazioni de’ rivoluzionari di Francia, tostoché abbandonarono le idee della monarchia costituzionale. Allo stesso modo la scuola antica di Francia, quella per esempio di Montesquieu, non avrebbe applaudito mai alla rivoluzione. Essa rassomigliava all’italiana, perché ambedue rassomigliavan molto alla greca e latina.

In una rivoluzione è necessità distinguere le operazioni dalle massime. Quelle sono figlie delle circostanze, le quali non sono mai simili presso due popoli; queste sono sempre più diverse di quelle, perché il numero delle idee è sempre molto maggiore di quello delle operazioni ed, in conseguenza, più facile la diversità, più difficile la rassomiglianza. Non vi è popolo il quale non conti nella sua storia molte rivoluzioni: quando se ne paragonano le operazioni, esse si trovan somiglianti: paragonate le idee e le massime, si trovano sempre diversissime.

Chiunque vede una rivoluzione in uno Stato vicino deve temere o delle operazioni o delle idee. I mezzi per opporsi alle operazioni sono tutti militari: qualunque sieno le idee che due popoli seguono, vincerà quello che saprà meglio far la guerra; e quello la farà meglio, che avrà migliori ordini, più amor di patria, più valore e più disciplina. Il mezzo per opporsi al contagio delle idee (lo dirò io?) non è che un solo: lasciarle conoscere e discutere quanto più sia possibile. La discussione farà nascere le idee contrarie: è effetto dell’amor proprio: due uomini sono sempre più concordi al principio della discussione che alla fine. Nate una volta queste massime contrarie, prenderanno il carattere di massime nazionali; accresceranno l’amor della patria, perché quelle nazioni più ne hanno che più differiscono dalle altre: accresceranno l’odio contro le nazioni straniere, la fiducia nelle proprie forze, l’energia nazionale; non solamente si eviterà il contagio delle opinioni, ma si riparerà anche alla forza delle operazioni. Mi si dice che il marchese del Gallo, quando ebbe letto l’elenco di coloro che trovavansi arrestati per cospiratori, ridendone al pari di tutti i buoni, propose al re di mandarli viaggiando. – Se son giacobini – egli diceva, – mandateli in Francia: ne ritorneranno realisti.- Questo consiglio è pieno di ragione e di buon senso, e fa onore al cuore ed alla mente del marchese del Gallo. Vince una rivoluzione colui che meno la teme. I sovrani colla persecuzione fanno diventar sentimenti le idee, ed i sentimenti si cangiano in sètte: il loro timore li tradisce, e cadono talora vittime delle stesse loro precauzioni eccessive. Si proibirono in Napoli tutti i fogli periodici: si voleva che il popolo non avesse neanche novella de’ francesi. Così un oggetto, che, osservato da vicino, avrebbe destato pietà o riso, fu come il fascio di sarmenti di Esopo, che dall’alto mare sembrava un vascello. Un’indomabile curiosità ne spinge a voler conoscere ciò che ci si nasconde, e l’uomo suppone sempre più belle e più buone quelle cose che sono coperte da un velo.

Ma io immagino talora, invece de’ nostri re, nelle crisi attuali dell’Europa, Filippo di Macedonia. La Grecia a’ di lui tempi era divisa tra i spartani ed ateniesi, i quali facevano la guerra per opinioni di governo ed uniti ai filosofi, che in quell’epoca discutevano le costituzioni greche, come appunto oggi li nostri filosofi discutono le nostre, stancavano i greci con guerre sanguinose e con cavillose dottrine. Così sempre suole avvenire: tra le varie rivoluzioni si obbliano le antiche idee, si perdono i costumi e, ridotte una volta le cose a tale stato, gli intriganti, tra’ quali i potenti tengono il primo luogo, guadagnano sempre, perché alla fine i popoli si riducono a seguir quelli che loro offrono maggiori beni sul momento; e così il massimo amore della libertà, producendo l’esaltazione de’ princìpi, ne accelera la distruzione e rimena una più dura servitù. Filippo con tali mezzi acquistò l’impero della Grecia.

È una disgrazia pel genere umano quando la guerra porta seco il cambiamento o della forma di governo o della religione: allora perde il suo oggetto vero, che è la difesa di una nazione, ed ai mali della guerra esterna si aggiungono i mali anche più terribili dell’interna. Allora lo spirito di partito rende la persecuzione necessaria, e la persecuzione fomenta nuovo spirito di partito; allora sono que’ tempi crudeli anche nella pace. L’alta Italia ci ha rinnovati gli stessi esempi di Sparta ed Atene, quando le sue repubbliche, invece di restringersi a difender la loro costituzione, sotto il nome or di guelfi or di ghibellini, vollero riformare l’altrui; e gli stessi errori ebbero nell’Italia gli stessi effetti. Scala, Visconti, Baglioni, ecc., rinnovarono gli esempi di Filippo.

Tali epoche politiche sono meno contrarie di quello che si crede ai sovrani che sanno regnare. Ma in tali epoche vince sempre il più umano, ed io oso dire il più giusto. Oggi i repubblicani sono più generosi e perdonano ai realisti; i re con una stolta crudeltà non dànno veruna tregua ai repubblicani: questo farà sì che essi avranno in breve freddi amici ed accaniti nemici. Quando l’armata del pretendente scese in Inghilterra, faceva impiccare tutt’i prigionieri di Hannover; Giorgio liberava tutt’i prigionieri del pretendente: questo solo fatto, dice molto bene Voltaire, basta a far decidere della giustizia de’ due partiti, pronosticare la loro sorte futura10.



9 Molti hanno predetto da queste osservazioni la rivoluzione francese. Tra questi si conta anche Rousseau. Più particolarizzata è la predizione di Mercier, nel suo Anno 2240, opera che una volta fu attribuita a Rousseau, e di cui Rousseau arrossiva quasi di cosa non degna di lui. Sembra che Mercier fosse stato a parte del segreto rivoluzionario, come lo era l’autore della Rimostranza da leggersi nel Consiglio privato di S. M., il quale volle della prossima rivoluzione avvertirne il re, come Mercier ne avea avvertito l’Europa. Tra quelli che hanno antiveduta la rivoluzione francese prima degli altri e per le cause interne che nascevano dallo stato della Francia, è il nostro Genovesi. Egli vide dove tendevano e le opinioni degli scrittori ed il corto delle cose: la sua predizione è degna di Vico… Non saprei se il re di Prussia avesse anche egli preveduta la rivoluzione: è certo però che ne previde il corso e la smania di voler tutto riformare filosoficamente. I riformatori metafisici, che ei chiama «enciclopedisti», sono da lui molto maltrattati. Vedi il suo Dialogo tra Eugenio, Malbourough e Liechtenstein.

10 Quando io considero tutto ciò che i gabinetti de’ re in questi tempi avrebbero potuto e non hanno saputo fare, desidero un libro che avesse per titolo: Storia degli errori di coloro che sono stati grandi senza esser grandi uomini. Con questa idea è stato scritto uno de’ libri più sensati dell’ultimo decennio del secolo: Tutti han torto; ma molto ancora rimarrebbe ad aggiugnere alla serie delle sue osservazioni.

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