Salviamo la chiesetta di S. Maria della Misericordia
Pochi la conoscono e le principali guide turistiche e le autorità in materia sembrano ignorarla. Perfino le centinaia di conducenti, che, con i loro automezzi, la sfiorano, quasi non la degnano di uno sguardo. E le continue vibrazioni di quel traffico ne aggravano, ogni giorno, le condizioni statiche, già precarie.
Stiamo parlando della chiesetta di S. Maria della Misericordia, che si incontra in contrada Santa Lucia, chiusa al culto dalla fine dell’ultimo conflitto bellico mondiale, per il suo stato miserrimo, priva com’è del tetto. Le intemperie degli ultimi anni stanno sgretolando le strutture murarie riducendo ad un vero e proprio colabrodo la chiesetta in oggetto.
Essa, nonostante il progressivo, rapido disfacimento, è ancora salvabile, se gli itrani sapranno scuotersi da quella apatìa che li rende inattivi dinanzi alla rovina delle vestigia del loro passato.
Si tratta di realizzare una modesta opera di copertura, di circa m. 12×6, e di rinforzare le strutture murarie: lavori che non richiedono certamente fondi considerevoli, traibili dalle casse comunali.
Questo restauro di così modesta entità tecnica ed economica potrebbe rappresentare un gesto dimostrativo della buona volontà del popolo e dell’amministrazione civica, sensibilizzati alla difesa del patrimonio artistico-religioso itrano, costantemente minacciato, oltre che dall’usura del tempo, dall’incuria e dall’indifferenza generale.
Non possediamo l’atto di nascita della cappella di S. Maria della Misericordia. Però tutto ci fa credere che fosse molto antica, mancando la bolla della sua fondazione.
Di certo sappiamo che essa già esisteva ai tempi di D. Marcello Burali d’Arezzo, germano del Beato teatino Paolo, morto Cardinale Arcivescovo di Napoli, che, da una sua abitazione poco distante, vi si recava per officiare la S. Messa. La chiesetta era di juspatronato della famiglia Burali d’Arezzo, come si rileva dal testamento, aperto il 18 febbraio 1558 dal notaio Tommaso Aniello Ferretta di Napoli, dello stesso D. Marcello, in cui il primogenito dell’illustre casata dona al luogo sacro una sua vigna, posta in località “Lago”, e da molti altri rogiti, secenteschi e settecenteschi.