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Sant’Anna de aquis vivis di Mondragone

Posted by on Apr 13, 2018

Sant’Anna de aquis vivis di Mondragone

La struttura più specificamente angioina nella nostra antica diocesi di Carinola è senza dubbio il cenobio di Sant’Anna de Aquis Vivis, stupenda e solida chiesa  oggi conosciuta come S. Anna a Monte, edificata sul monte ai cui piedi si estende Mondragone.  Su questo colle, verso il 1300, si erano stabiliti degli eremiti che avevano edificato alcune celle per loro uso e una piccola chiesa dedicata a S. Anna. Lì vivevano in povertà, elemosinando in paese ciò di cui avevano bisogno per il loro sostentamento. Padrona di quelle terre era la regina Sancia, moglie di re Roberto d’Angiò, che le aveva avute in dono dal marito nel 1308 con la promessa di non concederle mai in feudo.

Conoscendo la grande religiosità della regina Sancia e la sua disponibilità ad aiutare i religiosi, il capo di questa piccola comunità eremitica, Benvenuto da Sarzana, nel 1325 si rivolse a Sancia per avere un po’ di terreno da coltivare per i bisogni della comunità. E Sancia, dopo aver accertato le condizioni di effettiva povertà degli eremiti mediante il suo vicario sessano Roberto de Matricio, concesse loro dodici moggia di terreno sterile ed incolto, come scrive Erasmo Gattola nella suaHistoria Abbatia CasinensisSulla cima di un amenissimo monte, in un luogo prossimo alla Rocca di Mondragone, chiamato S. Anna  dalle acque vive, per le acque che vi sgorgano perenni, per concessione della regina Sancia l’eremita sarzanese aveva costruito una chiesa dedicata a S. Anna e alcune celle per i confratelli.[1]

 

La donazione di Sancia permise agli eremiti  di ingrandire il loro eremo e di coltivare quanto necessitavano per vivere, senza aver bisogno di andare elemosinando ogni giorno. Diciassette anni dopo,  alla morte di Benvenuto da Sarzana, a Sant’Anna rimasero numerosi eremiti che avvertivano il bisogno di darsi una regola e di costruire altre strutture per accogliere tutti coloro che venivano a condividere la loro esperienza eremitica. Il loro possibile superiore, fra’ Giovanni da Trupparellis di Sessa, donò il monastero al Sacro Speco di Subiaco e gli eremiti si posero sotto la Regola benedettina. Questo gesto, come dice la Torriero, potrebbe essere stato un desiderio più volte espresso dal defunto Benvenuto o anche una decisione autonoma, fatto sta che gli eremiti di S. Anna preferirono mettersi sotto la protezione e la sorveglianza del lontano Sacro Speco piuttosto che del più vicino Monastero di Montecassino.  Non se ne conosce esattamente il motivo, forse per non mettersi in competizione col vicino monastero di S. Mauro all’Oliveto, poco lontano da quello di S. Anna, e garantirsi una maggior autonomia.

 

La domanda per edificare nuove strutture fu presentata al vescovo di Carinola Bonagiunta di Perugia nel 1342 da due monaci inviati sul posto da Subiaco: fra’ Pietro da Velletri, che divenne poi il priore del nuovo monastero, e fra’ Giacomo di Sicilia. Il vescovo di Carinola diede il permesso e rilasciò l’autorizzazione a costruire il nuovo monastero in cambio di un censo annuo di un tareno d’oro e dieci di grana, più la quarta parte dei beni immobili dei donatori, in occasione della loro morte:“Nel nome del Signore Dio Eterno. Amen. Nell’anno 1342, sotto il regno del serenissimo nostro re Roberto…Noi, Bono per grazia di Dio e della sede Apostolica Vescovo Calinense…viste le [richieste] di  Frate Pietro da Velletri e di Frate Giacomo di Sicilia Monaci di Subiaco da parte del vostro  Abate  fra’ Bartolomeo di costruire il monastero nel luogo detto di S. Anna de Aquaviva, sito nel territorio di Rocca Monte Dragone della nostra Diocesi Calinense offerto al monastero Subiacense dal Fratel Giovanni de Trupparellis di Sessa allora Eremita, ora invece vostro monaco, a condizione dell’assenso diocesano… Diamo l’assenso a condizione che Frate Pietro, Priore,  e i suoi successori a noi e ai nostri successori della nostra Chiesa maggiore sopradetta, nella festa di tutti i Santi del mese di Novembre secondo il diritto del Concilio del sinodo, offrirete a titolo di censo un tareno d’oro e dieci di grana. La quarta parte dei beni mobili ed immobili dei fedeli, da lasciare, in occasione della loro morte, per la costruzione del vostro monastero, come avviene per tutte le parrocchie di detta Rocca suddite della nostra diocesi…”.[2]

Al nuovo monastero cominciarono ad affluire molte donazioni che ci permettono di seguirne la crescita. Le donazioni erano principalmente fatte da privati cittadini che lasciavano offerte o proprietà immobiliari in cambio di messe per i loro defunti o per la salvezza della loro anima. Ma anche i reali angioini ebbero a cuore le sorti del monastero mondragonese. La regina Giovanna I decretò che il Monastero di S. Anna de Aquis Vivis avesse annualmente la somma di 12 once d’oro, che più tardi diventarono 14, somma confermata anche dal re Carlo III d’Angiò-Durazzo, successore di Giovanna I, e da Giovanna II nel 1415, sulle rendite fiscali di Fondi e quelle della Dogana di Gaeta.

Nel 1386 la regina Margherita di Durazzo, moglie di Carlo III d’Angiò, concesse ai monaci di S. Anna de Aquis Vivis la costruzione di un mulino per loro uso e per la gente del luogo che però ne doveva pagare l’uso, dando ai monaci la possibilità di avere delle entrate.

I monaci di S. Anna rimasero sotto la giurisdizione del monastero benedettino di Subiaco fino al 1467, anno in cui il cardinale Giovanni de Torquemada, commendatario del monastero, nella sua azione di riorganizzazione, staccò S. Anna da Subiaco e l’affidò a Montecassino.

Da quel momento, per il monastero di S. Anna cominciò un lento regresso. Tra abbandoni e ritorni, restauri e ristrutturazioni, si arrivò fino ai primi del 1700, quando gli abati Gregorio Galisio (1704-1717) e  Nicola da Salerno (1717-1722) giocarono l’ultima carta per salvare il monastero dall’abbandono e lo arricchirono di nuove decorazioni, ma ormai l’interesse dei fedeli era rivolto altrove, verso le chiese della pianura più vicine e comode da raggiungere.

A quel che ci riferisce Luca Menna nel suo libro Saggio Istorico della Città di Carinola, pubblicato nel 1848, l’intera collina fu comprata dal ricco signorotto don Alfonso Gambati che ne fece edificare nuove strutture e ne fece piantare vigneti.

Il monastero di S. Anna è rimasto in mano ai privati fino agli anni ’80 del secolo scorso, poi fu donato alla Diocesi di Sessa Aurunca che ne ha curato il restauro.

 

Testi consultati

AA: Terra di Lavoro – Napoli, 2003

Amato Brodella: Il monastero di S. Anna – Sessa Aurunca, 2002

Corrado Valente: Mondragone Sacra – Marina di Minnturno, 2005

Erasmo Gattola: Ad Historiam Abbatiae Cassinensis accessiones – Venezia, 1733

Giuseppina Torriero; L’ Architettura Religiosa,  in G. Cuadagno (a cura di): Storia economica ed archittettura nell’Ager Falernus – Minturno, 1987

Il monastero di Sant’Anna de Aquis Vivis in Terra Laboris vol. 18 . Minturno, 2014

  1. Menna: Saggio Istorico della città di Carinola, a cura di A. Marini Ceraldi – Scauri, 1980

Mario Pagano: Il Patrimonio disperso  in Rivista Pompeiana II – Roma, 1988

Paul Guillaume: Description historique et artistique du Mont –  Cassino, 1874

Tommaso Leccisotti: Montecassino: I regesti dell’archivio: Aula II,capsule XXVIII-XLI. 1972   

fonte testo e foto

http://carinolastoria.blogspot.it/search?updated-max=2016-04-25T08:19:00-07:00&max-results=7&start=6&by-date=false

 

 

 

 

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