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Sapevate che Garibaldi era uno ‘scafista’? Trasportava cinesi che poi venivano venduti come schiavi!

Posted by on Apr 5, 2017

Sapevate che Garibaldi era uno ‘scafista’? Trasportava cinesi che poi venivano venduti come schiavi!

Continua il ‘viaggio’ del nostro Ignazio Coppola nella mirabolante vita di Giuseppe Garibaldi. Oltre ad avere svenduto il Sud Italia ai Savoia, oltre ad essersi messo d’accordo con mafiosi e camorristi (rispettivamente nell’impresa dei mille in Sicilia e poi a Napoli), oltre che aver provato – lui massone – ad offrire i propri servigi alla Chiesa di Roma, l’eroe dei due mondi faceva anche il negriero. Se fosse vissuto oggi sarebbe un giorno sì e l’altro pure ospite fisso Sicilia tra Augusta, Pozzallo e Porto Empedocle

Tutto quello che avreste voluto sapere  su Giuseppe Garibaldi e non avete mai osato chiedere. Vi hanno mai raccontato i libri di storia che il nostro ‘eroe’, oltre che avventuriero, corsaro e predone, quando era esule in America fu scafista ante litteram e anche negriero? Altro che heroe de ambos mundos!

Un po’ di tempo fa, sul giornale la Repubblica, nella rubrica della cultura, in un articolo di Guido Rampolli, campeggiava un titolo a tutta pagina:

“Garibaldi fu negriero? Un mistero non chiarito” .

E, più avanti, sempre sulla pagina culturale, ma nell’edizione siciliana dello stesso quotidiano, su un articolo a firma di Tano Gullo, a proposito della spedizione dei Mille, campeggiava il titolo:

“Garibaldi, l’effimera rivoluzione dei generale gattopardo”.

L’articolo tendeva a dimostrare quanto mai la spedizione fosse una grande mistificazione storica con conseguenze deleterie che poi si ripercossero sui siciliani.

Una volta si diceva che era impossibile e quasi un reato parlare male di Garibaldi. Oggi i tempi sono cambiati, anche se da parte di alcuni – che per fortuna sono sempre molti di meno – stoicamente, si è tenta ancora di stendere un pietoso velo di complice omertà su verità, altro che gossip!, che riguardano questo equivoco personaggio, verità sconosciute ai più.

Ma torniamo al buco nero e infamante dell’attività di negriero del predicatore della “fratellanza universale”. Siamo nel 1850. Garibaldi, dopo la caduta della Repubblica Romana e la morte di Anita, è di nuovo in fuga e costretto a un secondo esilio. Va in Africa, prima a Tunisi poi a Tangeri; infine si imbarca sul veliero americano Waterloo alla volta di New York ove giunge la mattina del 30 luglio.

Al suo arrivo, anziché scendere dalle scalette come tutti gli altri passeggeri è calato dalla nave, poiché immobilizzato dall’artrite, con un paranco assieme ai bauli dei passeggeri. Per qualche tempo lavorerà nella fabbrica di candele di Antonio Meucci; poi, stanco di un lavoro a lui per niente congeniale, nell’ottobre del 1851, raggiunge il Perù.

A Lima ottiene da un suo connazionale, l’armatore Pietro Denegri, il comando di una nave, la Carmen, con un equipaggio di quindici uomini. Scopo dell’ingaggio era il trasporto di un carico di guano (sterco di uccelli e ottimo fertilizzante) in Cina.

Il 10 gennaio 1852, la Carmen, battente bandiera peruviana, al comando di Garibaldi, carica di guano, parte da Lima per raggiungere Canton tre mesi dopo, il 10 aprile. Dalla Cina, dopo aver venduto il fertilizzante, ripartirà per il Sudamerica con un carico di differenti generi: seta e “cineserie”.

(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({}); “Pronto il carico, lasciammo Canton per Lima”, riporta Garibaldi nelle sue memorie. Ma di quale carico si trattasse non viene precisato dal nostro ‘eroe’, al contrario di altri casi dove nei suoi ricordi è pieno di dovizie di particolari. Chi, invece, è nella fattispecie prodigo di notizie e di lodi nei confronti del nizzardo è il suo armatore, Giuseppe Denegri, il quale mai si stancava di ripetere che “Garibaldi mi ha sempre portato cinesi (‘coolies’) grassi e in buona salute”.

L’armatore era contento perché, normalmente, avveniva che l’indice di mortalità fosse altissimo: tra il 15 e il 20% degli schiavi trasportati. Quindi, Garibaldi nel suo lavoretto da negriero era, in buona sostanza, a detta di Denegri, abbastanza umanitario, perché, durante il viaggio, trattava i ‘coolies’ più come uomini che come bestie. Praticamente, con queste affermazioni l’armatore intendeva ringraziare Garibaldi, schiavista buono, che non gli aveva deteriorato il “carico”, consentendogli così più lauti guadagni.

Ovviamente, il Denegri ometteva di dire quale fine facessero poi i coolies trasportati in genere dalle navi negriere, secondo gli usi e gli abusi di quei tempi e di quelle terre. I cinesi sbarcati a Cuba erano venduti in un apposito mercato e trattati come cani e maiali!

In Perù la situazione di quei poveretti era altrettanto tragica, in particolare per quelli impiegati nelle cave di guano (le guaneras) dove venivano sfruttati e giorno e notte sorvegliati da guardie armate per evitare che si suicidassero.

Gli estimatori e gli agiografi di Garibaldi, su questa infamante parentesi della sua vita, si prodigarono nel dire che non c’era niente di vero e che era tutta una montatura. Ma al di sopra di tutto vi è la disinteressata e anche, per quanto detto, per certi versi interessata, testimonianza del Denegri che, suo malgrado, getta un’ombra di infamante sospetto su questo “apostolo” della libertà delle razze e della fratellanza universale e mai come in questo caso il sospetto fu l’anticamera della verità.

Come se son bastasse, in una intervista del 20 gennaio 1982 (sempre sul giornale la Repubblica), nel centenario della morte del plurieroe, anche Giorgio Candeloro, storico del cosiddetto risorgimento, alla giornalista Laura Lilli che gli chiedeva una “valutazione su un Garibaldi vero, fuori retorica”, lo storico confidava:

“Comunque Garibaldi, un po’ avventuriero, un po’ uomo d’azione, non era tipo da lavorare troppo a lungo in una fabbrica di candele. Va in Perú; e, come capitano di mare, prende un ‘comando’ per dei viaggi in Cina. All’andata trasportava guano (depositi di escrementi di uccelli che si trovano nelle isole al largo del Perú), al ritorno trasportava cinesi per lavorare il guano: la schiavitú in Perú era stata abolita e il guano non voleva lavorarlo più nessuno”.

Insomma – afferma Candeloro – un lavoretto un po’ da negriero. E così lo storico conclude l’intervista a proposito di Garibaldi:

“Era un avventuriero, un uomo contraddittorio, fantasioso, un personaggio da romanzo“.

In sostanza il risorgimentalista Candeloro dà per scontato che la Carmen avesse trasportato ‘coolies’. Quei cinesi, come già detto, venivano venduti come bestiame, per l’esattezza “come cani e maiali”, sui mercati di carne umana di Cuba, Stati Uniti e Perú, e in quest’ultimo Paese, guarda un po’, venivano dirottati nelle cave di guano dove il manico del mestolo lo manovrava anche quel Don Pedro Denegri armatore della Carmen la nave di Garibaldi che gli trasportava i ‘coolies’.

L’Italia è il Paese dove, qualche tempo fa, qualcuno ha definito lo stalliere di Arcore un eroe ed a questo punto non c’è tanto da meravigliarsi se, per 160 anni a questa parte, un negriero, un avventuriero, un corsaro e un predone è stato, a sua volta, dalla storiografia ufficiale e di regime, definito parimenti un eroe. Sic transit gloria mundi.

Ignazio Coppola

fonte inuovivespri.it

 

1 Comment

  1. Con fiuto da investigatore, l’articolista scopre particolari nascosti addirittura nella biografia di Garibaldi scritta da Garibaldi.
    Garibaldi fu dunque uno schiavista, commerciante di cinesi: lo confidò una volta (a chi Coppola, che alle citazioni è allergico, non dice: ma è un’annotazione di Jack La Bolina, alias A. V. Vecchi, La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi, Bologna, Zanichelli, 1882, p. 97) l’armatore Pietro De Negri, proprietario della nave usata per questo traffico. Garibaldi avrebbe dunque strappato a forza dei cinesi dai loro villaggi, li avrebbe trasportati a Canton, incatenati sulla nave – che schiavista sarebbe altrimenti? – e infine consegnati al De Negri, dopo un viaggio tremendo, “tutti grassi e in buona salute”. E li avrebbe consegnati “sempre”, dice De Negri, avverbio che lascia intendere una molteplicità di viaggi che sommano, secondo quanto dice lo stesso articolo, addirittura ad uno: numero che, a rigor di logica, col “sempre” fa un po’ a pugni. Ma non vorremo smontare una acuta investigazione per qualche incongruenza grammaticale, no ?
    È vero che gli storici hanno dimostrato falsa questa affermazione sulla base della documentazione disponibile, come il manifesto di carico della “Carmen” dal quale risulta che di schiavi a bordo proprio non ce n’erano: ma, come è noto, sono tutti loschi figuri prezzolati dalla Massoneria, e forse da Garibaldi in persona. Comunque, se proprio qualcuno volesse informazioni sull’argomento, le cerchi in un saggio di Francesco Capece Galeotta, Il “secondo esilio” di Giuseppe Garibaldi, apparso sulla rivista storica Mediterranea, anno V, dicembre 2008, e segnatamente alle pp. 663-664, con l’indicazione di fonti e bibliografia. La si trova on line e dunque non costa nessuna fatica.
    P.S. Il giornalista di “Repubblica” si chiama Rampoldi, non “Rampolli” e a leggerlo non pare affatto che creda alla storiella dello schiavista, e che Denegri “non si stancasse di ripetere” è una graziosa aggiunta dell’investigatore.

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