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Sedevacantismo e neo-sedevacantismo

Posted by on Giu 18, 2025

Sedevacantismo e neo-sedevacantismo

Gianandrea de Antonellis

 Al sedevacantismo “classico”, sorto in opposizione ad alcune derive del Concilio Ecumenico Vaticano II, si è negli ultimi anni affiancato il cosiddetto “neo-sedevacantismo”, composto da quei sacerdoti e fedeli che, delusi da Bergoglio, non lo considerano più papa. Ma il problema della crisi della Chiesa non nasce nel 2013…

Il “neo-sedevacantismo” (termine brillantemente coniato dall’esimio studioso Gaetano Masciullo) indica quei sacerdoti e fedeli che, delusi dal comportamento di Bergoglio, considerare la sede papale come vacante in seguito alla morte di Ratzinger, che hanno considerato come ultimo papa, ritenendo conseguentemente nulle le nomine effettuate dall’Argentino (il che, per coerenza, avrebbe dovuto portarli a considerare nullo anche il conclave del 2025, in cui la maggioranza degli elettori era costituito da cardinali nominati da Bergoglio).

Al di là delle questioni sulla validità o meno delle dimissioni di Ratzinger, rimane il fatto che i problemi della Chiesa non sono certo iniziati con il conclave del 2013 e nemmeno con la chiusura del Vaticano II nel 1968: i problemi della attuale Chiesa cattolica possono essere compendiati nel modernismo, giustamente definito da San Pio X come «sentina di tutte le eresie» («omnium haereseon conlectum») nella enciclica Pascendi (1907). Ma esiste il precedente dell’enciclica Testem benevolentiae nostrae (1899) di Leone XIII ed il Sillabo (1864) di Pio IX. Tre passaggi che indicano un malessere presente – e crescente – nella Chiesa.

Il Sillabo enumerava80 proposizioni di condanna nei confronti del liberalismo, vecchie eresie che si riaffacciavano nelle idee dell’epoca, l’ateismo, il comunismo, il socialismo, l’indifferentismo, il nazionalismo, il razionalismo e proposizioni relative alla Chiesa e alla società civile (tra cui il matrimonio civile). Si trattava di mali presenti nella società civile, ma che venivano guardati (e scambiati per positivi) dai membri della Chiesa.

L’enciclica Testem benevolentiae nostrae condannava l’americanismo, questa volta un male già interno alla Chiesa, ma limitato a quella statunitense, “assediata” in un territorio a stragrande maggioranza composto da protestanti, che tendeva pericolosamente ad adattarsi al mondo circostante.

Infine la Pascendi denuncia un male già penetrato all’interno della Chiesa, particolarmente pericoloso perché meno riconoscibile (le precedenti eresie si ponevano espressamente come esterne alla Chiesa) e quindi capace di corroderla come un cancro.

San Pio X denunciava il problema ed indicava le soluzioni per estirpare il cancro del modernismo. Perché esso dunque continuò a proliferare? In una prossima barbajada vedremo una delle concause, l’infiltrazione dei comunisti nei seminari.

Una chiarificazione: il Vaticano II è stato definito “la rivoluzione francese nella Chiesa”, perché ha seguito il concetto di rivoluzione: ovvero distruggere tutto e ricominciare da capo, contrapponendosi alla Tradizione, che invece consiste nel migliorare costantemente ciò che esisteva già (cioè, progresso, ben diverso dal progressismo, che è invece innovare al solo scopo di cambiare, anche senza senso).

E ricordiamoci sempre che la Rivoluzione è come una lancia, una punta di ferro su un’asta di legno. La punta rappresenta il presente, ma è in grado di ferire solo e soltanto perché è attaccata all’asta, che rappresenta il passato – o, più esattamente, la concrezione degli errori del passato – altrimenti sarebbe ben poco pericolosa, perché meno lunga di una spada e molto meno maneggevole di un pugnale. Fuor di metafora, non si può criticare Bergoglio dopo aver esaltato i predecessori, perché sarebbe, come diceva Juan Vázquez de Mella, «impiccare e conseguenze dopo aver incoronato le cause».

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La “Barbajada” è una bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato, caffè e latte, per stimolare, irrobustire e addolcire. La presente rubrica intende rivolgersi al lettore stimolandolo con il caffè delle considerazioni, irrobustendolo con il cacao delle dimostrazioni e, possibilmente, addolcire il tutto, rasserenandolo con lo zucchero dell’ironia o la panna della leggerezza.

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