SPICCHIO DI STORIA RISORGIMENTALE. IL 1800 E LA RIVOLUZIONE AGRARIA IN ITALIA
Agostino Magliani
Questo illustre economista originario di Melfi è ricordato anche per il suo grande impegno nel supporto sociale dello Stato. Fu lui a riprendere il sistema della previdenza sociale in auge nel Regno di Napoli dei Borbone, adottandolo per le pensioni dei lavoratori dipendenti nel Regno d’Italia. Da citare anche il suo impegno di sottrarre ai grandi affaristi la salute pubblica e, tra l’altro, affidando ai Monopoli di Stato il compito della distribuzione del “Chinino di Stato”, all’epoca indispensabile per la cura della malaria e come antipiretico.
Negli anni tra il 1835 e il 1870, nelle terre del Sud italiano avvenne ciò che l’economista Manlio Rossi-Doria definì “una grande rivoluzione agraria”. Fu una vera rivoluzione per l’alto valore della produzione ottenuto, realizzato solo grazie alla diffusa riconversione delle colture e dalle tante nuove estensioni di terre coltivabili ricavate dalle bonifiche volute dei sovrani di Borbone, terre poi distribuite ai contadini e poste a reddito con innovativi metodi di coltivazione, diffusi anche da attività istruzionali. Al posto delle feudali mono coltivazioni granarie, si diffuse ovunque l’ulivo, la vite, l’agrume e furono enfatizzate anche colture di nicchia, come il bergamotto calabrese, tutte innovazioni ottenute grazie a nuove tecniche di coltivazione, nuovi sistemi di cura e nuovi mezzi (come i nuovi aratri e le canalizzazioni irrigue), mezzi e sistemi anticipati o forniti spesso dai sovrintendenti del Regno, per volontà del sovrano stesso (come nella piana della Capitanata o nelle bonifiche delle piane del Volturno). Addirittura alle contadine non maritate si forniva persino una dote per aiutarle a fare famiglia e curare la terra assegnata.Le attività di produzione agricola e quelle connesse con gli sviluppi commerciali esplosero ovunque, traffici, flotte di navi nei porti e fiere periodiche in ogni provincia, con enormi flussi di esportazioni mai visti prima. Si trattò di un evento straordinario e duraturo, di valore fondante per l’Italia tutta. Per tal motivo si smentisce l’assioma secondo cui la questione meridionale sia stata un’eredità del passato regno dei Borbone. Nel Regno d’Italia appena fondato infatti le esportazioni del meridione contribuirono per oltre il 40% delle entrate valutarie, mentre è da registrare in quegli anni il crollò l’apporto in valuta delle esportazioni della seta greggia prodotta in Lombardia, Piemonte e Veneto, a causa del crollo del prezzo della seta, per l’arrivo delle sete giapponesi più a buon mercato.Negli stessi anni, proprio grazie all’esplosione dell’esportazione dei prodotti agricoli del meridione, il grande incasso di valuta estera pregiata divenne davvero vitale per il nuovo Regno italiano e questo consentì grandi investimenti in industrie, strade, ponti e strutture pubbliche, realizzate per il 90% nelle terre del settentrione ed a Roma dopo il 1870. Senza queste entrate di valuta pregiata, gli investimenti realizzati sarebbero stati impossibili perchè il Regno l’Italia appena nato poggiava le basi sull’enorme debito ereditato dal regno sardo, con i Savoia che rischiavano bancarotta a causa del peso dei debiti contratti durante decenni di guerre. Tale rivoluzione agricola nel Sud subì un forte rallentamento subito dopo l’unità d’Italia, fino ad interrompersi progressivamente a causa degli enormi flussi migratori dei cittadini meridionali, costretti a fuggire dalla guerra e dalla fame ed a tentare la sorte all’estero, specie nelle Americhe (si calcola che nei successivi decenni all’unità, emigrarono oltre 20 milioni di meridionali). A riguardo di questa rivoluzione agraria il ministro delle finanze del regno d’Italia Agostino Magliani asserì che: “Solo le esportazioni meridionali salvarono l’Italia”.
PS. purtroppo i libri di storia hanno dimenticato queste analisi socio-economiche del tempo, compreso la famosa relazione parlamentare “LA QUESTIONE MERIDIONALE” elaborata con cura e discussa al parlamento italiano all’inizio del 1900 dall’economista e ministro Francesco Saverio Nitti. (estratto dal saggio storico NAPOLI, FINE DI UN REGNO ANTICO).
Enzo Musard