Spunta la prova a Londra: Garibaldi prese Napoli coi maneggi degli inglesi
Lo sbarco dei Mille a Marsala, l’11 maggio
1860, venne immediatamente considerato da tutte le
Potenze europee come me un fattore di grave destabilizzazione dello status quo
internazionale.
Non solo Austria, Prussia, Russia furono fermamente
contrarie a un’impresa che rischiava di creare un focolaio rivoluzionario nel
Mediterraneo .Anche l’Inghilterra nutrì forti perplessità per una vicenda dai
contorni indefiniti e dagli esiti incerti e si dichiarò disposta a collaborare
con la Francia di Napoleone III per negoziare una tregua tra il governo
napoletano e gli insorti, con l’obiettivo di arrestare l’irresistibile avanzata
delle camicie rosse.
Il 4
giugno Cavour prendeva atto che il Regno Unito
«pur dimostrandosi prodigo di simpatie platoniche per la causa italiana non è
disposto a muovere neanche un pollice per venirci in aiuto e che anzi la sua
azione è volta a conservare la Sicilia ai Borboni e a ostacolare l’annessione
del Mezzogiorno al Regno di Sardegna».
La posizione di Londra mutava radicalmente, il 12 giugno, con l’avvento del
gabinetto liberale guidato da Palmerston.
Il 26 luglio, quando Garibaldi, impadronitosi dell’isola, si preparava a passare lo stretto di Messina, il ministro degli Esteri Lord Russell inviava un dispaccio (ora conservato nei National Archives di Londra) all’ambasciatore a Parigi, comunicandogli il rifiuto di aderire alla proposta francese di attuare un blocco navale congiunto per impedire il passaggio dei volontari sul continente.
Un’azione
militare avrebbe, infatti, contraddetto
«quel principio generale del non intervento che il Governo di Sua Maestà era
deciso a non abbandonare».
Con grande ipocrisia, Russell, pur sapendo che gli alti comandi della marina
delle Due Sicilie si erano venduti agli agenti piemontesi, aggiungeva
«che se la flotta, l’esercito e il popolo napoletano fossero restati fedeli al
loro re, Garibaldi sarebbe stato sconfitto senza difficoltà, ma se al contrario
si
fossero dimostrati disposti ad accoglierlo il nostro intervento avrebbe
costituito un’interferenza negli affari interni del Regno di Francesco II».
La
linea politica decisa da Palmerston e Russell non era però condivisa dalla
Regina Vittoria animata da una personale antipatia per Garibaldi da lei
definito una specie di «gangster sudamericano».
A superare l’ostilità della sovrana, interveniva un’abile e spregiudicata
manovra di Cavour, verosimilmente concordata con il governo inglese.
Ai primi di agosto, Russell riceveva e faceva prontamente tradurre una lettera di Garibaldi inviata, il 27 luglio, a Vittorio Emanuele (anch’essa depositata negli archivi del Foreign Office).
In
quello scritto il generale, mentre ribadiva la sua intenzione di raggiungere la
Calabria, dichiarava che al termine della sua missione, egli avrebbe
abbandonato i poteri provvisoriamente assunti per deporli ai piedi del monarca
sabaudo. In realtà quel messaggio era stato personalmente dettato da Cavour, il
quale aveva ordinato ai suoi emissari di fare scrivere all’Eroe dei due Mondi
che
«egli pieno di devozione e di reverenza per il Re avrebbe voluto seguire i suoi
consigli di non abbandonare le coste siciliane ma che i suoi doveri verso
l’Italia non gli permettevano di impegnarsi a non soccorrere i napoletani».
Con queste poche parole la spedizione dei Mille perdeva i suoi connotali di avventura rivoluzionaria e rientrava nell’alveo del programma moderato, liberale, costituzionale perseguito da Cavour che era grado di dissipare i timori di Buckingham Palace.
Il 18 agosto Garibaldi poteva così approdare indisturbato nei pressi di Reggio Calabria e iniziare la sua travolgente marcia verso Napoli, grazie alle dichiarazioni di Palmerston dove si rendeva noto che un intervento ostile della squadra francese sarebbe stato considerato un attentato contro gli interessi strategici inglesi. In questo modo l’Italia compiva la sua unificazione da Torino a Palermo.
Londra si assicurava, invece, un vero e proprio protettorato sul nuovo Stato mediterraneo che, da quel momento, per l’estensione stessa delle sue coste, sarebbe restato esposto al ricatto della potenza navale britannica.
Eugenio Di Rienzo