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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI IV (VOL. II)

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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI IV (VOL. II)

PRIMA LETTERA DEL CONTE DI MONTALEMBERT AL CONTE DI CAVOUR (Pubblicata il 28 ottobre 1861).

Signor Conte,

Leggo nella relazione della tornata del Parlamento di Torino, del 12 di ottobre, queste parole dette da voi: «lo credo che la soluzione della questione romana debba essere prodotta dalla convinzione che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica, essere la libertà altamente favorevole allo sviluppo del vero sentimento religioso. Io porto ferma opinione che questa verità trionferà fra poco. Noi l’abbiamo già vista riconoscere anche dai più appassionali sostenitori delle idee cattoliche; noi abbiamo veduto un illustre scrittore, in un lucido intervallo, dimostrare all’Europa, con un libro che ha menato gran rumore, che la libertà era stata molto utile al ridestamento dello spirito religioso».

Sono assicurato che voi avete inteso di alludere a me, Se le vostre parole non contenessero che un elogio, non oserei considerarle come delle di me; ma siccome racchiudono eziandio un’ingiuria, così la mia modestia vi si può acconciare.

Voi m’interpellate davanti il pubblico, epperò mi date il diritto di rispondervi davanti a lui. Nel farlo provo una ripugnanza che duro fatica a sormontare. Il sangue francese venne sparso per ordine vostro; l’onore cattolico fu insultato dai vostri luogotenenti, il secolare asilo, l’ultimo rifugio del Padre comune dei fedeli fu minacciato dalle vostre parole. Non v’ha uno degli atti vostri che non m’offenda e rivolti. Ed ora voi recate un nuovo colpo a tutto ciò che io amo, ravvolgendo i vostri perversi disegni sotto il velo di un accordo bugiardo tra la religione e la libertà, e in appoggio do’ vostri detti invocate la mia testimonianza!

Debbo a me stesso il protestare che non sono d’accordo con voi, signor Conte, in nessun punto. Grazie a Dio la vostra politica non o la mia. Voi siete pei grandi Stati incentrali, io sono pei piccoli Stati indipendenti. Voi disprezzate in Italia ]e tradizioni locali, ed io le amo dappertutto. Voi siete per l’Italia unitaria, ed io per l’Italia confederata. Voi violate i trattali e il diritto delle genti, io li rispetto, perché sono tra gli Stati ciò che sono tra gli uomini i contratti e la probità.

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Voi sacrificate al vostro scopo le obbligazioni, le promesse, i giuramenti, io vi rispondo col generoso Manin: «Que’ mezzi che la morale riprova, sieno pure materialmente utili, uccidono moralmente. Nessuna vittoria merita d’essere messa sulla bilancia col disprezzo di se medesimo (1)».

Voi distruggete il potere temporale del Romano Pontefice, ed io lo difendo con tutta l’energia della mia ragione e della mia tenerezza. Voi riprovate la politica che ha prodotta la spedizione della Francia a Roma nel 1849, ed io mi glorio d’averla sostenuta. Malgrado le crudeli e inescusabili smentite che ha ricevute di poi, io la ringrazio ancora, perché è l’ultima e vacillante conseguenza di questa spedizione, che oggidì costringe la Francia e il Piemonte a ritrovarsi a faccia a faccia davanti il Campidoglio.

Voi date agli eroi di Garibaldi gli elogi ch’io riservo ai mercenarii dell’immortale Pimodan. Voi siete con Cialdini, io sono con Lamoricière. Voi siete col P. Gavazzi, io sono con i Vescovi d’Orléans, di Poitiers, di Tours, di Nantes, con tutte quelle voci cattoliche, che nei due mondi protestarono e protesteranno contro di voi. Io sono sopratutto con Pio IX, che fu il primo amico dell’indipendenza italiana fino al giorno, in cui questa gran causa passò nelle mani dell’ingratitudine, della violenza e dell’impostura.

Dalla nostra parte, ardisco dirlo, sta la coscienza; dalla vostra, lo credo, il trionfo. Il Piemonte osa tutto, la Francia permette tutto, l’Italia accetta tutto, l’Europa subisce tutto. Il vostro trionfo, lo ripeto, mi pare certo.

Tuttavia due ostacoli si levano contro di voi, Roma e Venezia; a Roma la Francia, a Venezia la Germania. Sono stranieri, ma son forti. A Napoli gli Italiani non vi fermarono; a Castelfidardo eravate dieci contro uno; avevate, è vero, da vincere diritti, trattati, obbligazioni, onore, giustizia, debolezza; ma sono cose astratte, che non resistono alla mitraglia. A Roma vi sono battaglioni francesi; a Venezia e a Verona cannoni rigati. Davanti il diritto passaste oltre, ed esitate davanti la forza.

Questa forza, Io riconosco, non difende cause eguali. A Venezia sostenete una causa giusta. Venezia fu odiosamente tradita da noi nel 1797, tristamente consegnata da voi nel 1849, ingiustamente abbandonata da voi e da noi nel 1859. La sua liberazione è giusta.

A Roma sostenete una causa ingiusta sotto tutti i rispetti, ed anche, voi lo sapete, rispetto all’Italia. Noi Francesi, noi cattolici del mondo intero facciamo un gran sacrifizio all’indipendenza del potere Pontificio, accettando che posto in Italia sia abitualmente servito da mani italiane. Ma, Italiani, ve l’han detto cento volte, che sarà la vostra patria senza il Papato? Che figura faranno le vostre piccole Maestà Piemontesi nel centro della cattolicità divenuto l’albergo degli uffizi de’ vostri ministri? Pensate che l’umanità sia per continuare il suo pellegrinaggio a’ piedi del trono de’ vostri Sovrani? Avete la gloria incomparabile di possedere la Capitale di ducento milioni d’anime, e ogni vostra ambizione è di ridurla ad essere il capoluogo dell’ultimo venuto dei Re della terra!

Pretendete conquistare la Venezia persuadendo l’Austria e l’Europa. Vedremo: quanto a me ve l’auguro sinceramente. Si è colla persuasione, coll’esempio della sua prosperità all’ombra delle libere istituzioni che il

(1) Documents ecc. publiès par M. Planai de la Faye, tom, II, pag. 420.

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Piemonte dal 1847 in poi avrebbe dovuto, avrebbe potato assicurare il trionfo e l’onore della sua politica. E da ciò deriva clic tra tutti i colpevoli, tra’ quali sarà divisa la risponsabilità del male che si commette in Italia, forse il pili grande colpevole siete voi. Imperocchè voi avevate tutto ciò che potea condurre a bene un’opera ammirabile colla simpatia degli onesti di tutto il mondo. Non vi mancavano né patriottismo, né eloquenza, né audacia, né perseveranza, né destrezza: non vi mancò che una cosa sola, la coscienza e il rispetto della coscienza altrui.

Voi ora pretendete di sciogliere la questione romana provando al mondo i benefizi dell’alleanza tra la libertà e la religione. Clic cosa volete dire? lo servo da trent’anni questa nobile alleanza, e ne credo il trionfo indispensabile alla salvezza della società, o si è perciò che vi combatto, imperocchè nessuna politica ha mai reso difficile questo trionfo come la vostra. Le vostre parole che io accetto sono assolutamente smentite dagli atti vostri che riprovo.

Resto più che mai fedele alla convinzione che avete notata ne’ miei scritti. Tutte le libertà civili e politiche che costituiscono il reggime normale d’una società incivilita ben lungi dal nuocere alla Chiesa aiutano i suoi progressi e la sua gloria. Essa vi trova bensì delle rivalità, ma anche dei diritti; delle lotte, ma anche delle armi, e quelle che le vengono per eccellenza, la parola, l’associazione, la carità. Ma la libertà non conviene alla Chiesa che sotto una principale condizione, cioè ch’essa stessa goda dulia libertà. Parlo qui in mio nome, senza missione, senza autorità, appoggiato solamente su di un’esperienza già lunga e singolarmente rischiarata dallo stato della Francia dopo dieci anni. Ma dico senza esitare: — La Chiesa libera in seno d’uno Stato libero, ecco per me l’ideale. —

Soggiungo che nella società moderna la Chiesa non può essere libera che dove tutti lo sono. Agli occhi miei è un gran bene e un gran progresso; in ogni caso è un fatto.

Non si rimproveri alla Chiesa di non accettare tutte le libertà che gli Stati si danno. In tutti i paesi essa le accetta, e ciò che è più essa se ne serve, in Inghilterra come negli Stati Uniti, in Prussia come in Olanda, dappertutto insomma quando non le mettono il bavaglio, o degli incagli specialmente inventati per lei.

L’accordo sarebbe completo se, alla loro volta, gli Stati accettassero tutte le libertà, di cui la Chiesa ha bisogno, invece di mercanteggiarle con leggi stantie come in Francia; di confiscarle con odiose vessazioni, come in Russia; o di calpestarle con brutali iniquità, come in Italia.

Ora l’indipendenza della Chiesa riposa, anzitutto, sulla libertà assoluta del suo Capo, datore e custode della fede, e questa libertà da dieci secoli ha per iscudo una sovranità temporale indipendente da tutti gli Stati. Essa riposa inoltre nell’interno di ciascuno Stato, sulla libertà d’associazione, sulla libertà d’insegnamento, sulla libertà della carità, diritti che ogni uomo sensato non pretende riservare alla Chiesa sola, ma che non sono diritti se vengono impediti da ostacoli preventivi, invece d’essere semplicemente sommessi alla repressione nei casi definiti dulie leggi e giudicati dai tribunali indipendenti con pubblicità e con appello.

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Ecco le guarentigie e le condizioni della libertà della Chiesa. Ora voi le violate tutte insieme; la prima sopprimendo il potere temporale del Papa; la seconda disperdendo i religiosi; la terza violentando i Vescovi; la fjuarta confiscando il loro patrimonio.

Come volete dunque che la religione vada di accordo con una libertà, che comincia dal sopprimere la sua?

Siete voi pronto a rendere al Sommo Pontefice la sua sovranità temporale, quella sovranità che gli assicura tale potenza e tali mezzi, affinché, libero da ogni pressione e da ogni obbligazione, non abbia a tendere le mani che verso Dio?

Siete pronto a ricevere l’intiera libertà della Chiesa ne’ vostri Stati ingranditi?

Siete pronto ne’ sei mesi che ci volete concedere, a dimandare ai Sovrani dell’Europa di assicurare questa libertà nei loro Stati, in Francia, in Russia, in Prussia, in Austria, in Inghilterra? — Allora potrete parlare di riconciliare la religione colla libertà.

Ma, in luogo di tutto ciò, da dieci anni avete violato con nessun altro pretesto, fuorchè col diritto del più forte, tutti i trattati, tutte le obbligazioni, solennemente stipulate tra il Piemonte e la Santa Sede. Di più avete denunziato il Sommo Pontefice al Congresso di Parigi, avete calunniate le sue intenzioni, avete svisati i suoi atti, avete esiliato i suoi Vescovi avete derise le sue sentenze, avete violato i suoi confini, avete invaso i suoi Stati, avete imprigionato i suoi difensori, avete insultati, schiacciati, bombardati i suoi soldati, e date a Garibaldi l’appuntamento di trovarsi fra sei mesi sulle tombe degli Apostoli! Poi dite ai cattolici:» Io sono la libertà, e vi porgo la mano».

No, no, non siete la libertà, non siete altro che la violenza! Non condannateci ad aggiungere che siete la menzogna! Noi siamo le vostro vittime, sia pure-, ma non saremo il vostro zimbello. Potete annettere al Piemonte regni ed imperi, ma vi sfido di annettere ai vostri atti una sola coscienza onesta. Il fortunato e necessario accordo della religione colla libertà verrà a suo tempo; ma se per isventura fosse per lungo tempo ritardato, sarà vostra colpa e vostro eterno disonore.

La Roche en Breny, 22 ottobre 1860.

CB. DE MONTALEMBERT.

SECONDA LETTERA DEL CONTE DI MONTALEMBERT AL SIG. CONTE DI CAVUOR (Pubblicata il 23 aprile 1861)

Signor Conte

Nel vostro discorso del 27 di marzo e del 9 di aprile voi mi mettete in causa. Nel primo annunziate che giunto a Roma voi proclamerete questo grande principio: La Chiesa libera in libero Stato; e cosi mi fate l’onore inaspettato di adoperare la formola onde mi sono servito scrivendovi, è qualche mese, o con questa compendiate quello che voi promettete al mondo cattolico ed al Papato, invece della loro capitale profanata e del loro patrimonio conquistato.

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Nel secondo mi citate tra i precursori del liberalismo che voi augurate ai cattolici. Laonde voi mi conferite il diritto di rispondervi, anzi m’imponete il dovere di strapparvi di mano un’arma che mi avete tolta, e di non lasciarvi a basare d’una dottrina che io amo, per fini che io detesto. Vedendovi spiegare questa bandiera così nuova nelle vostre mani, riconosco la mia, e me ne sento commosso. Ma considerando chi la porta e la tattica che rìcuopre, mi sento ingannato e me ne sdegno. Tuttavia vi so grado d’aver portato la questione su di un nuovo terreno

Voi dite: Se noi arriviamo a persuadere ai cattolici che la riunione di Roma al resto d’Italia non può essere per la Chiosa una causa di dipendenza, la questione avrà fatto un gran passo (1)». E soggiungete: «Si è persuadendo i cattolici di buona fede di questa verità, che Roma imita all’Italia non sarà una causa d’oppressione per la Chiesa; si è persuadendo loro che l’indipendenza di questa ne sarà per contrario accresciuta, si è cosi dico, che noi finiremo per arrivare ad un accordo colla Francia rappresentante naturale della società cattolica in questo grande dibattimento (2). Arrivati a Roma noi proclameremo

la separazione della Chiesa dallo Stato. Ciò fatto la gran maggioranza dei

cattolici d’Europa ci approverà e farà ricadere su chi di diritto la risponsabilità della lotta che la Corte di Roma avrà voluto ingaggiare colla nazione (3)».

Voi sentite adunque che trattasi innanzi tuttodì quella risponsabìlità morale, onde Iddio, e dopo di lui il genere umano sono i soli giudici. Voi scendete su di un campo in cui non tocca solo al cannone il decidere, in cui i congressi medesimi sono incompetenti. Riconoscete d’aver bisogno del consenso dei cattolici, e anticipatamente vi calcolale.

Ebbene, sono io uno di questi cattolici di buona fede che voi invocate. Io difendo da trent’anni questa indipendenza della Chiesa, di cui voi parlate per la prima volta. E sotto questo duplice titolo, in nome di tutti i milioni di cattolici, dei quali reclamate il suffragio, non temo di rispondervi: — La nostra adesione voi non l’avrete. — Voi ci dite: — Abbiate confidenza in me. — Io Vi rispondo arditamente: No. Voi vi vantate di ottenere tardi o tosto il concorso dell’opinione dominante presso i fedeli, ed io vi dichiaro che voi non lo avrete giammai. — Voi ne appellate alla maggioranza de’ cattolici, ed io sostengo, che tra i veri cattolici, i soli che valgano qualche cosa, i soli la cui adesione abbia una forza in materia religiosa, sieno preti, sieno laici, voi non ne avrete nessuno. Vi rispondo adunque in tre parole: No! Giammai! Nessuno!

II.

Mi domanderete con quale diritto io parli in nome di tutti. Forse voi confidaste sulle nostre dissensioni. Sì, noi siamo e noi resteremo discordi su molte questioni. Ma la Francia ed il Piemonte sembrano essersi accordati per ravvicinarci. Non vi hanno più che i ciechi ed i complici che possano,

(1) Moniteur del 88 di marzo 1861.

(2) Moniteur M 30 marzo 1861.

(3) Moniteur del 28 marzo 1861.

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davanti la politica francese, negare i vantaggi della libertà, e davanti la politica piemontese imporre silenzio ai richiami della coscienza.

Voi speculaste sugli impicci di noi cattolici liberali. Altri burlossi del fatto nostro supponendoci singolarmente imbrogliati tra il conte di Cavour che finge d’invocarci, e il Sovrano Pontefice a cui si fa dire che ci condanna. Confusione puerile! Per me sono sì altiero da credere, ed ho la coscienza d’aver provato che il vostro liberalismo non ha nulla di comune col mio, e per conseguenza ho la dolcezza di credere e la confidenza di affermare che il mio liberalismo piti perseverante e più convinto che mai, non ha nulla di comune con quello sì giustamente condannato dal Romano Pontefice.

Abbiamo noi dunque perduto ogni abitudine delle discussioni per dimenticare il processo oratorio che consiste nel prevalersi delle idee che si combattono? In nome della giustizia si viola la giustizia, in nome della libertà si soffoca la libertà; si è per ristabilire l’ordine morale che Cialdini fu mandato nelle Marche; si è per rispetto verso la religione che il sig. Billault durante tre mesi proibisce la pubblicazione dei mandamenti vescovili; si è pel bene della Chiesa che il Piemonte toglie alla Chiesa i suoi beni; si è nell’interesse dell’umanità che gli Stati del Sud dell’Unione conservano la schiavitù; si è per amore dell’ordine che a Varsavia si pigliano le donne a sciabolate; si è per salvare i Martini ti che la Turchia esige l’allontanamento dei Francesi dalla Siria! Impariamo adunque ad investigare sotto le parole, per iscoprirci le intenzioni; leviamo la pelle dell’agnello per mettere a nudo il lupo. Smascheriamo il procedere vulgato che copre coi colori della libertà le intraprese della violenza. Questo procedere ha un nome nella lingua marittima: esso consiste nel coprire la mercanzia illecita con una falsa bandiera, e si chiama pirateria.

Per guadagnarci voi ci promettete con un ordine del giorno «la piena ed assoluta libertà della Chiesa», e voi vi vantate di «segnare la pace tra lo spirito religioso e i grandi principii della libertà». Ma questa promessa voi non la manterrete. Io non parlo della vostra buona fede, e solo dichiaro la vostra impotenza. E questa impotenza la dimostrano i vostri antenati, i vostri ausiliarii, i vostri antecedenti.

III.

Chi siete dunque voi? E quali sono i vostri antenati? Così io chiamo coloro di cui invocate il nome e l’autorità, di cui vi costituite l’erede, di cui pretendete di continuare l’opera. Voi volete, avete detto, la riforma della Chiesa, come Arnaldo da Brescia, come Dante, come Savonarola, come Sarpi, come Giannone. Lasciamo, in grazia, da parte Savonarola; permettetemi di credere che non l’avete mai letto; perché egli amava tutto ciò che voi distruggete, e abbominava tutto ciò che voi servite. Lasciamo Dante [che forse avete letto, ma che non avete capito; Dante che, sovente e giustamente severo verso certi Papi, non lasciò tuttavia di bollare in Filippo il Bello un delitto simile a quello che voi ed i vostri alleati avete commesso o state per commettere; Dante che fu il primo a riconoscere tra la Passione di Cristo e la Passione del suo Vicario Bonifazio VIII quella rassomiglianza, che sembra una profanazione ai puritani della democrazia imperiale:

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Veggio in Magna entrar lo fiordaliso

E nel Vicario suo Cristo esser catto.

Veggiol un’altra votta esser deriso,

Veggio rinnovcllar l’aceto e ‘l fele,

E tra vivi ladroni esser anciso.

Veggio ‘l nuovo Pilato si crudele,

Che ciò noi sazia, ma senza decreto

Porta nel tempio le cupide vele

Ma pigliamo gli altri. Arnaldo da Brescia, il quale contestava ai successori degli Apostoli il potere di legare e di sciogliere; che negava al Clero il diritto di possedere, sola guarentigia in quei tempi del diritto di vivere e di agire (1); che predicava specialmente la sommissione assoluta dei preti e dei laici alla tirannia dello Stato:

Omnia principibus terrenis subdita sunto!

Fra Paolo Sarpi, eretico e servile, il cortigiano di Filippo II, il panegirista assoldato del dispotismo oligarchico di Venezia, il bestemmiatore del Concilio di Trento, della grande assemblea riformatrice, delle ultime grandi assise della cristianità! Giannone, l’apologista dei viceré spagnuoli a Napoli, il tipo e l’oracolo di quei giureconsulti oppressori, i quali non sognano e non predicano che una Chiesa imbavagliata, incatenata, assoldata. Ecco belle autorità in fatto di libertà, di giustizia, di coscienza!

Ma andiamo innanzi: di tutti i Sovrani che regnarono sui popoli cristiani, voi non ne citate che un solo, Carlo V, di cui fate il vostro precursore, e il cui esempio vi incoraggisce, perché, voi dite: «La storia ci mostra che Roma invasa dagli Spagnuoli di Carlo V, vide il Papa, qualche tempo dopo, consacrare Carlo e collegarsi con esso lui (2)». La storia, scritta questa volta da un Bonaparte (3), non dice già Roma invasa, essa dice Roma presa d’assalto, saccheggiata, incendiata; i Romani scannati e torturati, i Romani abbandonati ad inenarrabili oltraggi. Questa schifosa rimembranza dovreste seppellirla in una notte profonda. Ma no, voi l’invocate, ne fate un’arma contro il Papato, a cui voi divisate altresì di chiedere che consacri i vostri sacrilegi. Voi dimenticate del resto, che se Clemente VII perdonò a Carlo V, non fu che dopo la restituzione di Roma e di tutto lo Stato Pontificio. Vorreste voi riconciliarvi a questa condizione?

Il vostro avvocato, Giulio Favre, completò la serie dei vostri precursori facendo il panegirico della opera vostra e proponendo al Corpo legislativo di votare l’abbandono di Roma alla vostra politica. Ha citato, evocato, vantato da prima Filippo il Bello, che fece abbruciare per mano del carnefice le Bolle del Vicario di Gesù Cristo, poi Napoleone, come già aveva fatto in Senato suo nipote, il quale vi chiama suo amico (4). E qual è il Napoleone che i vostri panegirici

Nil proprium cleri, fundos et praedio nullo — Iure sequi monacos (GUNTHER, De rebus gestis Federici I, lib. m, ap. Muratori).

Moniteur del 28 marzo 1861.

Sac de Rome écrit en 1557 par Jaques Bonaparte, tèmoin oculaire. Traduzione dall’italiano di Napoleone Luigi Bonaparte. Firenze, tipografia granducale, 1830.

Moniteur del 2 mano 1864

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francesi evocano in tal modo parlando di voi? Il Napoleone del concordato? No, mille volte no; ma si il Napoleone di Tolentino, il quale nello stesso giorno e colla stessa penna il 19 febbraio 1797 scriveva a Pio VI: «La Repubblica francese sarà, spero, una delle più vere amiche del Papa»; e al Direttorio: «Roma privata delle Legazioni non può più sussistere; questa vecchia macchina si sfascierà da sola (1)». Quindi il Napoleone del 1809, cioè colui che spogliò ed incarcerò il Papa, da cui aveva ricevuto la sacra unzione; e finalmente il Napoleone del 1813, quello che a Fontainebleau costrinse con odiosa violenza Pio VII prigioniero a sottoscrivere un Concordato disdetto il giorno dopo, e gli fece accettare (è il sig. Giulio Favre che lo dice) la qualità di funzionario dell’Impero francese (2).

A sì, son ben questi i vostri precursori; i vostri avvocati francesi hanno mille ragioni di citarli a vantaggio della vostra causa. Lo schiaffo del signor di Nogaret, il pugno di ferro di Napoleone, che serra la mano disarmata di Pio VII per fargli sottoscrivere la sua umiliazione e la sua abdicazione, sono proprio gli atti che servono di precedenti agli atti vostri. Ma che siate voi il successore naturale e legittimo di questi uomini nefasti, che siate stato scelto da Dio per dare alla sua Chiesa la completa libertà che essa non ha mai ottenuto, ah certamente nessuno lo crederà, nessuno lo vedrà, nessuno!

IV.

Passiamo ai vostri ausiliArt. Questi sono dapertutto i nemici implicabili della libertà dei cattolici. In Alemagna è il sig. di Vincke ed il suo partito sempre in prima schiera per soffocare i più giusti richiami delle minoranze cattoliche, come quelle dei Polacchi annessi alla Prussia, per il solo motivo che sono cattolici. Sono tutti quei piccoli falsi liberali che fanno violenza ai Sovrani per costringerli a rompere tutti i contratti e violare tutti i trattati quando per essi sono stipulati o guarentiti i diritti della Chiesa. È l’Inghilterra, non più ahimè, quella gloriosa Inghilterra liberale e conservatrice che noi abbiamo vantata, amata, ammirata, imitata; ma una Inghilterra degenerata, da non potersi più riconoscere almeno per ora, infedele a’ suoi veri interessi, al suo buon senso, alla sua equità naturale, alle sue migliori tradizioni, alle sue più pure glorie; un’Inghilterra ove l’intolleranza è spinta a segno che il primo ministro dichiara altamente che un cattolico sincero è incapace di compiere le funzioni di semplice archivista (3); un’Inghilterra che a Suez sacrifica al suo egoismo mercantile gli interessi del genere umano; che in Siria sacrifica alla sua gelosia contro la Francia l’umanità, la compassione, la giustizia, ed «ama meglio di vedere scannati trentamila cristiani che di lasciarli salvare da noi»; che in Italia sacrifica alla recrudescenza del suo vecchio fanatismo protestante il diritto delle genti e tutto ciò che essa medesima ha guarentito o fondato; che loda e provoca in casa nostra tutte le oppressioni che le sue leggi le proibiscono in casa sua; che fomenta e incoraggisee contro il Papa ed i Principi cattolici gli atti e le idee

(1) Correspondance de Napoléon publiée par ordre de Napolèvn III, tom. II, pag, 342 e seguenti.

(2) Moniteur M 22 roano 1861.

(3) Vedi la risposta di lord Palmerston a lord Normanby nell’affare del sig. Tumbay.

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che essa ha affogato nel sangue degli Irlandesi, degli Indiani e degli Jonii; il quale, dacché si tratta di nuocere alla Chiesa, ha danaro per tutti i filibustieri, connivenza per tutte le invasioni, simpatia per lutti i delitti; un Palmerslon per fare le esequie, ridendosene, del diritto europeo, come dell’antico onor britannico; e lo constato col più doloroso disinganno, un Gladstone per insultare al pudor filiale di tutti i cattolici, chiamando il loro Pontefice e Padre col nome di mendicante sanguinario (1).

I vostri ausiliari in Francia sono tutti gli scrittori della stampa democratica, che vi approvano, che vi ammirano, vi difendono, vi eccitano e vi ripetono, o di cui piuttosto voi ripetete e praticate le lezioni. Essi hanno detto prima di voi che t l’autorità spirituale del Papa si aumenterà a misura che egli si sbrigherà delle miserabili cure temporali, e che il Capo della Religione cattolica guadagnerà in rispetto quanto perderà in territorio (2)». Tutti i giorni essi protestano il loro profondo rispetto per la religione e perla persona del Pepa. Ma tutti i giorni altresì denunziano al potere tutti gli atti e tutte le parole del Pontefici e dei difensori della Chiesa. Tutti i giorni essi diseppelliscono penalità obbliate, tutti i giorni reclamano misure di esclusione e di proscrizione contro le istituzioni cattoliche, contro le associazioni monastiche. Tutti i giorni essi sollecitano la distruzione di questa libertà d’insegnamento conquistata a gran fatica sotto il reggime parlamentare. Tutti i giorni essi invocano Io scioglimento di queste comunità religiose e di carità, figlie del sacrifizio e della libertà, e la cui moltiplicazione è il segno più generoso e più consolante del nostro tempo (3). Tutti i giorni essi si lagnano che la mano della polizia non chiuda la bocca dei Vescovi che non si sottomettano alle forbici della censura le Encicliche e le Allocuzioni. Dietro la preghiera e la carità essi con un gesto servile mostrano al potere congiure e rivolte. Essi denunziano le conferenze di S. Vincenzo de Paoli alla vendetta delle leggi ad un tempo e ai furori popolArt. Essi paragonano le Piccole suore dei Poveri, questa creazione maravigliosa della povertà medesima, essi le paragonano, dovrò io dirlo? a schifosi animali (vermine infecto), a un immondo formicolaio di pidocchi (4).

Aprite a caso uno dei loro fogli, voi ci vedrete sempre delle mani e delle penne tese verso Cesare per offrirgli museruole ed impacci da usare contro i cattolici. Sorveglianza, autorizzazione, proibizione, repressione, compressione, soppressione, questa è l’eco perpetua che esce da queste officine di servitù. Essi mendicano, come il più prezioso dei favori, la persecuzione dei loro avversari.

(1) Discorso sulla mozione di Lord Elche alla fine della sessione del 1859. Qual contrasto e qual decadimento dopo il tempo in cui il gran ministro Pitt diceva, parlando dei primi assalti mussi alla Sovranità Pontificia dal generale Bonaparte: È uno dei più atroci delitti che abbiano mai disonorato una rivoluzione. Questo insulto fatto a un pio e venerabile Pontefice sembra a me protestante presso che un sacrilegio» (Hansard, Parlamentary history, tom. XXXIV, pag. 1316 e 1338).

(2) Siede del 13 settembre e del 1° ottobre 1860.

(3) «Noi domandiamo instantemente, nell’interesse del principio sacro della famiglia, che ogni corporazione od associazione non autorizzata sia disciolta, e che la sorveglianza dell’amministrazione si eserciti sulla durata e la gestione d’ogni stabilimento clericale». Siede del 10 marzo 1861. Si sa come queste provocazioni sortirono puscia il loro effetto.

(4) Opinion Nationale 9 marzo 1861.

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Ieri ancora essi salutavano col trasporto d’una gioia codarda la risurrezione d’una penalità infamante contro la semplice critica degli atti del potere. L’ultima loro parola si trova in quegli scritti, appena disapprovati, i quali reclamano apertamente che l’Imperatore si faccia Papa «in nome dei principii umanitarii inaugurati nel 1789». La libertà della parola è loro così odiosa come la libertà della preghiera e della carità. Se un Vescovo generoso raccoglie di passaggio il guanto che essi gettano ogni mattino all’Episcopato, questi diffamatori quotidiani gli rispondono con un processo di diffamazione. Se la porta semiaperta delle Assemblee lascia risuonar nel cuore della Francia assopita gli accenti di un’eloquenza inusitata, e rivela l’esistenza di un’opposizione sì coscienziosa come imprevista, questi fieri patrioti provocano all’istante la dissoluzione immediata d’un corpo così colpevole da dire ciò che pensa, così ardito da ascoltare e ammirare i difensori della Santa Sede. Ogni resistenza come ogni indipendenza è loro insopportabile. La Chiesa che resiste sempre e che non dipende da alcuno, inspira loro un’antipatia pari all’orrore.

E a questo proposito, lasciate che io vel dica, signor Conte; voi avete ben torto a credere che siano questi cattolici coloro che han bisogno di essere convertiti alla vostra nuova teoria sulle relazioni della Chiesa e dello Stato. Chi dunque fra di loro non sarebbe fortunatissimo di ricevere la libertà della Chiesa? Pel corso di vent’anni, dal 1830 al 1850, noi tutti l’abbiamo desiderata e domandata come una naturale conseguenza della libertà gonfiale. D’allora in poi parecchi hanno follemente stimato di ottenerla dal potere come un favore e un privilegio; tristo errore che ha posto contro essi il loro passato, i loro antichi ausiliari e l’opinione pubblica, senza strappare un solo articolo a una sola legge ristrettiva, e senza raggiunger altro che l’evocazione di una penalità eccezionale. Ma in sostanza, essi volevano come noi la libertà della Chiesa. I cattolici adunque sono tutti convertiti. Sono i liberali che bisogna oggidì convenire alla libertà; sono i ministri, i quali riservano a tulii i sermoni dei curati il commentario di un processo verbale dello sbirro; sono i procuratori generali, che pretendono di registrare le bolle e rassicurare le coscienze; sono i prefetti, che credono di salvar lo Stato, disciogliendo società così poco secreta, che i loro membri portano le proprie opinioni scritte nel colore del loro abito; sono i giornalisti, i quali vogliono bensì che alcune religiose abbiano il diritto di dare, purché si neghi loro quello di ricevere; sono gli scrittori, che detestano i monaci, perché non sono laici, e perseguitano i laici caritatevoli, quantunque non siano monaci.

E voi credete che questi scrittori vi lascieranno adottare e compiere il vostro nuovo programma? Se vi credessero sincero, voi cessereste di essere il loro eroe, e perdereste il loro appoggio che vi e indispensabile. Uditeli a dichiarar già che essi non accetteranno mai una sovranità spirituale che non fosse mitigata dalle leggi civili e dai concordati», e protestare «che vi ha una certa libertà della Chiesa assolutamente incompatibile colla civiltà (i)». Timori vani, vani come le vostre promesse, degni entrambi di eccitare i vostri reciproci sorrisi. E che? Voi che siete il braccio armato dal loro pensiero, vi rivolgereste contro di esso? No, uo; essi ben sanno, e lo sappiamo noi pure, che voi tentereste invano di contraddirli o di disgustarli.

(1) Siecle del 6 aprile 1861.

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Loro mercé, voi avete ottenuto il soccorso della Francia, senza di cui nulla potevate; vostra mercé, essi hanno trionfato dei nostri dolori e dei nostri diritti. Voi siete solidari}, o porterete persin nella storia il peso di questa indelebile solidarietà.

V.

ficco i vostri ausiliari. Ma voi direte senza dubbio che avete il diritto di essere giudicato da voi stesso. Vediamo adunque quai sono i vostri antecedenti. Voi pretendete di provare sino all’evidenza ai più increduli «la sincerità delle vostre proposizioni». Voi dite che il vostro sistema vuole «la libertà in tutto la libertà completa nelle relazioni della Chiosa e dello Stato (1)».

Voi promettete al Papa, al Vescovo dei Vescovi, il rispetto e la libertà, alla sola condizione di spogliarlo prima del suo temporale. Ma come avete voi trattati i Vescovi suoi fratelli, che non hanno temporale, e che sono già vostri sudditi, come voi pretendete che egli divenga? Voi avevate un Arcivescovo a Torino; che ne avete fatto? Voi l’avete strappato dalla sua sede, e deportato con misure estralegali in Francia. Voi ne avevate uno a Cagliari, dov’è egli? Deportato a Roma. Voi avevate un Cardinale Arcivescovo a Pisa; io lo cerco e lo trovo deportato in Piemonte. Voi avevate un Cardinale Arcivescovo a Napoli; qual rispetto, qual libertà egli gode? (2) Noi lo vediamo ogni giorno oltraggiato impunemente nel suo palazzo da orde di ammutinati, e quando egli interdice la parola a preti che giudica indegni, la vostra autorità civile li fa risalire in pulpito. Sono questi i pegni che debbono rassicurare i fedeli del mondo intiero sulla sorte avvenire del loro Padre, e il Papa medesimo sulla futura libertà del suo ministero? Voi avevate dei monasteri che erano sopravvissuti alla bufera rivoluzionaria; che sono essi divenuti? Io li vedo ovunque spopolati, profanati, confiscali. Le vostre religiose non furono esse espulse violentemente dal loro verginale santuario e gettate sulla strada? Voi che agognale la tomba di San Pietro, che cosa avete fatto della tomba dei vostri antichi Re? La loro spoglia dormiva in Altacomba sotto la guardia dei figli di San Bernardo che voi avete secolarizzati, cioè compresi nella spogliazione universale. Nelle Marche, nell’Umbria, nelle Due Sicilie la soppressione della vita religiosa, la confisca dei beni monastici non seguì dappertutto, come una conseguenza necessaria ed immediata, la comparsa della bandiera piemontese?…

Voi avete dei giornali cattolici; che cosa ne fate? Ogni corriere ci reca la nuova d’una persecuzione, d’un sequestro, d’un promesso, d’una condanna alla prigione e alla multa, e contro chi? contro i cattolici, contro di loro unicamente. Eppure voi avete scritto nelle vostre leggi la libertà della stampa: tutti appo voi possono usarne e abusarne impunemente, eccetto i cattolici. Voi ben vedete che siete d’accordo co’ vostri ausiliari di Francia e di altrove, e che praticate com’essi la libertà per tutti, eccello per la Chiesa. In tutti i paesi del vostro dominio, la Chiesa impastoiala, insultata e spogliata, i Vescovi esigliati, gli scrittori incarcerati, i giornali cattolici rovinati, i preti oltraggiati e inseguiti, i monasteri chiusi e profanati,

(1) Moniteur del 30 marzo 1861.

(2) II Cardinale Arcivescovo di Fermo, ed il Vescovo d’Avellino, e il Vescovo di Piacenza, ecc. ecc! (Nota dell’Armonia).

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le religiose strappate dalle loro celle violate: ecco i vostri titoli alla nostra fiducia e alla nostra riconoscenza. Da dieci anni voi siete l’autore o l’agente della persecuzione, della spogliazione, dell’incarceramento, dell’usurpazione e della violenza, e così grondante di oppressione e d’iniquità, voi osate mirarci in viso e tenderci la mano gridando: Ecco la libertà!

Ma da chi adunque sperate d’essere creduto? Dove adunque avete voi trovata una» credulità tanto robusta da essere sciocca a tal segno? Non certo tra i vostri fidi della stampa francese: come l’ho già detto poc’anzi, essi non vi perdonerebbero se vi credessero sincero. Ma quel che voi faceste fin qui li assicura abbastanza che voi non farete altrimenti in avvenire. Or ciò che li rassicura c’illumina; ciò che vi stringe con essi ci separa per sempre da voi. Nessuno, sappiatelo, nessuno di quelli che hanno autorità o missione di parlare al mondo cattolico non contesterà il sommo disprezzo che c’inspirano tali promesse dopo tali oltraggi. Ma ciò è forse tutto? Basta egli per giudicarvi considerare solo i fatti e le gesta della vostra amministrazione civile? Non bisogna pur ricordare la buona fede e l’equità che presiedono alle vostre relazioni internazionali? Eccone il quadro assai moderato dipinto dal Times, dal più potente, cioè, e pili appassionato de’ vostri ammiratori. «La Sardegna ha preso parte alla guerra contro la Russia senza essere parte dei trattati relativi alla Porta. La Sardegna ha provocato l’Austria di proposito deliberato, e l’Austria è caduta nel laccio. La Sardegna si valse delle commozioni popolari per annettersi la Toscana e le Legazioni, quantunque il Granduca e il Papa non avessero preso alcuna parte alla guerra del 1859. La Sardegna ha invaso gli Stati del Papa senza dichiarazione di guerra e sotto un futile pretesto. La Sardegna è stata di connivenza con Garibaldi ed ha profittato dei frutti della sua audace intrapresa (I)».

E per mostrare il valore di certe parole e di certe promesse nella vostra bocca, è egli necessario, dopo tante voci più eloquenti e più autorevoli della mia ricordarvi ancora una volta l’attentato, con cui non potendo riuscire a far ribellare le popolazioni dello Stato Pontificio, voi avete fatto violare il suo territorio in piena pace, senza dichiarazione di guerra «senza alcuno di quei riguardi, che sono l’ultimo riparo dell’onore (2)», contro tutte le regole del diritto delle genti e della lealtà militare? Bisogna egli riporvi sotto gli occhi il proclama controsegnato da voi, il quale nel momento in cui le truppe si gettavano dieci contro uno sulla nobile armata di Lamoricière, diceva, che -calca rispettare sempre la sede del Capo della Chiesa e dargli tutte le guarentigie d’indipendenza e di sicurezza? (3).

Anche questo proclama prometteva al Papa l’indipendenza! Nel punto stesso che si compieva il vostro divisamente, voi dichiaravate di non aver altra ambizione che quella di ristaurare i principii dell’ordine morate in Italia. Ed alcuni giorni dopo quando il fatto è compiuto, quando Ancona è caduta voi pigliate atto innanzi alienazioni che Dio ricompensa coloro che combattono per Ivi (4)! Quando i terroristi francesi mettevano a soqquadro e spogliavano

(1) Times del 2 marze i 861.

(2) Monsignor Dupanloup, Oraison funébre des martyrs de Castelfidardo.

(3) Proclama dell’11 di settembre 1860, controsegnato Cavour e Farini.

(4) Ordine del giorno del 4 ottobre 1860.

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l’Europa, avevano almeno il merito di non contaminare il nome di Dio facendogli fare a mezzo nelle loro imprese. Per trovare una profanazione ed un’ipocrisia di questa risma, bisogna risalito fino ai manifesti, in cui gli spogliatoti della Polonia proclamavano lo spirito filantropico e liberalo che doveva presiedere alla divisione d’un regno secolare ed all’assassinio d’una grande nazione cristiana.

Ecco le vostre opere, ecco Io vostre parole. Ma per poco dimenticava il vostro capolavoro. Non è forse vero che alla vigilia della grande impresa mandaste i vostri degni luogotenenti Cialdini e Farmi incontro all’Imperatore dei Francesi, per assicurarlo che voi entravate nelle Marche e nell’Umbria per ristabilirvi l’ordine senta toccare l’autorità del Papa, e per dare battaglia, se facesse bisogno, alla rivoluzione sul territorio napoletano? (1) voi dite oggi che da dodici anni cospirate per conquistare l’unità dell’Italia, e che l’occupazione di Roma per farne la splendida capitale della vostra Italia fu la stella della politica piemontese. E sono appunto dodici anni che il vostro predecessore Gioberti riprovava come un’infamia, sono sue parole, il solo pensiero d’annettere le Legazioni. E con questo sangue nelle mani, con queste menzogne sulla fronte, voi venite ad offrirvi al mondo cattolico per «riconciliare il Papato coll’autorità civile, la religione colla libertà!».

Ma il Papa vi aveva già risposto nell’Allocuzione del 18 mezzo, miseramente tradotta nello stesso numero del Moniteur che pubblica il vostro discorso, e più miseramente travisata in tanti altri giornali. «A certi uomini che gli chieggono di riconciliarsi col progresso, col liberalismo e colla civiltà moderna dicendosi i veri o sinceri amici della religione a, risponde: «Noi vorremmo prestar fede alle loro parole se i tristissimi fatti che sono ogni giorno Rotto gli occhi di tutti, non provassero evidentemente il contrario (2)». Quindi enumera, come ho fatto io, alcuni de’ vostri misfatti; nota la violazione del tutto recente del concordato di Napoli che è l’ultima delle vostre valenterio in questo genere; constata che da per tutto gli uomini del vostro calibro non si sono occupati che di spogliare la Chiesa de’ suoi beni e della sua autorità, e non accordano la libertà a nemici di lei, che per negarla a lei stessa. «A siffatta civiltà, dice con ragione, huius modi igitur civilitate, a quello che ha per sistema premeditato di indebolire e forse anche distruggere la Chiesa (3), chi può pretendere che la Santa Sede, madre e nutrice d’ogni vera civiltà, tenda la mano e faccia con esso alleanza?»

Ricorda quindi senza né biasimare, né disdirle le istituzioni liberali che erano desiderate e che egli avea accordate (4) fino a quel dì che la rivoluzione si è messa in luogo della riforma, e quando il pugnale surrogò Io scrutinio.

Circolare del sig, Thouvenel, ministro degli affari esteri, del 18 ottobre 1860, libro giallo, pag. 163.

Ac no fldem eis adhibere vellemus, nisi tristissima sane facta, quae ante oninium oculos quotidie versantur contrarium prorsum ostenderent.

At cum clvilìtatis nomine velit intelligi systema apposite comparatimi ad debititandum e fortaasc etitm delendam Curiati Ecclesiam. Egli avee già detto: QUADAM moderna, ut appellam rivintatis piacita.

Liberiorera ailmimstratimiem liberiorea institutionem. Nos filiorum parlem pontificiae nostrae ditionis in civilem administrationem cooptavimus.

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Ricorda ancora i consigli clic gli hanno dato, e che ha tutti messi in pratica, eccetto quelli che gli imponevano la sanzione della spogliazione (1). Egli si sente autorizzato a infliggere il marchio d’infamia «all’ipocrisia di coloro che, dopo aver insultato ed oppresso la religione, l’invitano a riconciliarsi colla civiltà come lo invitano a riconciliarsi coll’Italia». Dice con nobile confidenza che colui, il quale non fece mai torto a nessuno, non ha motivo alcuno di conciliarsi con chicchessia. Ed aggiunge con un magnifico linguaggio che voi non potrete mai adoprare: «Come mai il Romano Pontefice, che attinge tutta la sua forza dai principii dell’eterna giustizia, potrebbe tradirla? Come si osa chiedere a questa Sede Apostolica, che fu sempre e che sempre sarà il propugnacolo della giustizia e della verità, di proclamare che una cosa ingiustamente e violentemente rapita può essere tranquillamente e onestamente posseduta da un ingiusto oppressore, e di erigere così in principio che un’iniquità fortunata non porta alcuna lesione alla santità del diritto? (2)». Dopo ciò egli ha ben diritto di ricordare, dopo averla corroborata con questa nuova prova, la bella sentenza del signor Barthe al Senato francese: «Che il Papa è il principale rappresentante della forza morale, nel mondo».

Ed è per questo che alcuni commentatori infedeli tra voi, e sventuratamente anche tra noi, dando alle parole di Pio IX un senso che è disdetto da tutti gli atti e da tutti i giorni della sua vita, non si peritarono a rappresentarle come una dichiarazione di guerra allo spirito moderno. È finita! gridano ogni giorno costoro: il Papa ha condannato la società moderna, il progresso, la libertà; tra queste grandi cose di divorzio è completo.

Bella scoperta e bel profitto davvero! Fatemi dunque, dirò a’ vostri amici, fatemi la confidenza dei mezzi che tenete in serbo per fondare la civiltà, il progresso, la libertà senza la religione. Ignorate voi che a dispetto di tanti sforzi per distruggerla, la religione dei popoli è tutta la loro morale; che il cristianesimo fa tutta la superiorità dell’Occidente, che questo gran fiume diviso non ha che una sorgente pura od un serbatoio inesauribile, il Cattolicismo? Qual religione avete voi da sostituire al cristianesimo? E dove troverete voi il cristianesimo puro, immacolato, completo fuori del Cattolicismo? Lo chieggo a tutti gli uomini di buona fede, che hanno qualche nozione della vita morale delle società sparse oggidì sulla terra; senza la Chiesa i protestanti stessi avrebbero mai conservato l’idea della divinità di Gesù Cristo? Che dico? Senza la Chiesa i filosofi avrebbero stabilito l’idea pratica di un Dio vivente? Coprite d’una nube di più questa gran fede, oscurate col vostro soffio, rimovete dalla vostra mano la face principale che rischiara le profonde tenebre onde i poveri mortali vivono avviluppati, e poi parlate ancor loro di civiltà, di progresso, di libertà! Ah voi avete scoperto che la nostra Chiesa e la vostra libertà si separano; piangete adunque sulla

(1) Cum usurpationum moderatos atta voce profiterentur se non quidem reformationes, scd absolutam rebellionem, omnemque a legitimo principe sunjunctionem omnino velle.

(2) Hic ehim, qui suam omnem visu haurit ex aeternae justitiae principiis. Ut ab hac Apostolica Sede, quae semper fuit et crii veritatis justitiaeque propognacuhim, sanciretur rem injuste violenterque direptam posse tranquille honesteque possideri ab iniquo aggressore; atque ita falsum constitueretur principùm, fortunatam nempe facti injustitiam nullum juris sanctitati detrimentum afferre.

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vostra civiltà, perché essa non sopravvivrà certamente a sua madre, che è la Chiesa cattolica. O piuttosto non ischerzate con queste grandi cose, e nemmeno colle parole che le esprimono. Non ve ne servite per coprire disegni, che perciò solo che ripugnano alla giustizia ed alla buona fede, non hanno nulla di comune colla vera civiltà, col vero progresso, colla vera libertà.

Sì, ripetiamolo col R. Pontefice: «Bisogna restituire alle parole il loro significato». Non è la Chiesa solamente, si è l’onestà medesima che ha orrore di veder chiedere alla lingua umana le sue più alte espressioni per coprire le azioni più basse. La lingua degli uomini è senza difesa; ben si vede che anch’essa non è che una potenza spirituale; perciò si saccheggiano i suoi tesori, si rubano i suoi più nobili ornamenti, e, con un travestimento quasi sacrilego, comei pagani chiamavano le furie angeli di pace, si chiama civiltà la menzogna, e la violenza libertà.

Quanto a noi ammiriamo l’opportunità della risposta che vi indirizzava, otto giorni prima del vostro primo discorso, il Pontefice che voi andate a spogliare, e che di più vi giudicava e vi condannava non solo in nome della Chiesa, di cui è Capo, ma ancora e sopratutto in nome del principio dell’eterna giustizia (1). Noi siamo altieri d’aver per capo un vecchio Sacerdote che tiene pel diritto, e che non vuole mentire in un tempo, nel quale la menzogna è divenuta il primo elemento della politica e la prima condizione del successo. E poiché voi citate Dante, permettetemi d’invitarvi a riconoscere in Pio IX il modello del giusto, tal quale il poeta l’ha inciso in un verso immortalo.

E il giusto Mardocheo

Che fu al dire ed al far cosi’ntero.

Ecco come conchiude il conte di Montalembert: Tutto è possibile oggidì, io lo so, e voi lo sapete meglio di me, perché tutto, fin l’impossibile vi riuscì bene. Ma voi non riuscirete già nel vostro nuovo disegno. Voi potrete spogliare il Papa di tutto ciò che non gli avete ancor tolto, ma non già strappargli la sanzione della vostra ingiustizia. Voi potrete prendergli tutto, tutto, fuorché il suo diritto. Voi non lo indurrete giammai a dirvi che avete ragione. E senza di questo, voi avete nulla. No, il vostro disegno non si colorirà. Non sarà dato ai pigmei del secolo decimonono di riuscir là dove han fallito tutti i giganti del passato. Dopoché cessarono le persecuzioni dei Cesari pagani, nessuno fra i padroni del mondo, nessuno fra i Sovrani d’Italia ebbe l’ardire di coabitare a Roma col Papa. Nessuno, intendetelo bene; Costantino indietreggiò davanti a questa maestà inerme che avea appena riconosciuta, e trasportò a Costantinopoli la sua potenza eclissata. Carlomagno, padrone di tutto l’Occidente, benefattore della Sede Apostolica, Carlomagno chiamato dallo stesso Papato a prendere il posto degl’imperatori romani, Carlomagno appena coronato a San Pietro, tornò verso il Nord come allontanato da una forza invincibile e secreta dai luoghi, in cui s’innalzava il solo trono che fosse più sublime del suo. Dopo di esso, nell’epoca triste e confusa, in cui il Papato fu avvilito e disistimato più che in qualsiasi altro tempo, nell’epoca in cui per la prima volta furonvi re d’Italia, Guido, Ugo, Berengario, nessuno osò stabilirsi a Roma.

(1) Hint moralis disciplinae, cuius veluti prima forma et imago dignoscitur.

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Più tardi, e attraverso dei secoli, accadde il medesimo. Gli Ottoni, i Barbarossa, Carlo l’e Napoleone non ci pensarono nemmeno. E voi credete che sarà dato a voi di mettervi sotto i piedi questa legge provvidenziale davanti a cui s’inchinarono silenziosamente tutte queste grandezze e queste forze?

No, voi potrete essere padrone di Roma come lo furono tutti i barbari e tutti i persecutori da Alarico sino a Napoleone; ma voi non sarete il Sovrano, né il collega del Papa. Pio IX sarà forse vostro prigioniero, vostra vittima, ma non mai vostro complice. Egli non capitolerà né coll’intrigo, né colla spogliazione. . . Prigioniero, egli sarà per voi il più crudele impiccio, il più spietato castigo; esiliato, egli sarà contro di voi, senza nemmeno aprir bocca, il più formidabile accusatore ohe mai popolo libero abbia incontrato sulla terra.

Lo spettacolo di questo vegliardo spogliato di un patrimonio quindici volte secolare, vittima della più nera perfidia, errante pel mondo, in cerca di un asilo che gli tenga luogo degli splendori del Vaticano, in cerca di un tetto, sotto cui possa suggellare coll’anello del pescatore leggi obbedite in tutte le nazioni della terra, questo spettacolo solleverà contro di voi e de’ vostri complici nell’anima del mondo una tempesta che vi inghiottirà dopo avervi per sempre disonorato. Badate che gli Italiani non diventino gli ebrei della cristianità futura! Badate che, dagli estremi d’Irlanda sino a quelli dell’Australia, i nostri figli non apprendano fin dalla culla a maledirli, e che la tiara oltraggiata non divenga come il crocifisso un simbolo di dolore e d’amore pei fedeli, ma altresì una rimembranza incancellabile della libertà o dell’ingratitudine italiana.

Il quale ragguaglio non sia a’ vostri occhi un oltraggio gratuito. È cosa ridicola, il so, secondo i nostri usi moderni, citare in una discussione pubblica la Santa Scrittura. Tuttavia i vostri amici, gli Inglesi, tutti occupati in questo momento a inondare delle loro Bibbie mutilate le provincie da voi conquistate, v’impegneranno forse a perdonarmelo. lo vi domando adunque se in queste parole che Dio indirizzava ai Giudei colla penna del Profeta, voi non troviate qualche tratto acconcio a farvi riflettere su ciò che penserà il mondo cattolico quando avrete messa in trono a Roma la rivoluzione italiana.

«Ecco avete confidato nella menzogna, la quale non vi servì a nulla. Voi sapeste uccidere, rubare, spergiurare, sacrificare a Baal ed agli Dei stranieri che vi erano sconosciuti. Poi siete venuti, e ritti innanzi a me, nella casa in cui il mio nome era invocato, avete detto: Perché noi abbiamo fatto tutte quoste abbonii nazioni, eccoci liberi. Ma io, dice il Signore, son qui: Ego, ego sum: ego vidi, dicit Dominus Et nunc qui fecistis omnìa opera haec proficiam vos a facie meo. (Jeremias VII, 8 seg.)». Non lasciatevi illudere. Vi pare di toccar la meta: non ne foste mai tanto lontano. Voi accendete ogni dì più l’attenzione, l’afflizione, lo sdegno dei cristiani cattolici, cioè della comunità più numerosa, pili radicata, più tenace che esista sotto il sole. Il Papa darà conto della sua indipendenza, della sua dignità, del suo onore a noi, capite bene, a noi suoi figli sommessi e fedeli. A voi che l’avete oltraggiato, tradito, spogliato non deve null’altro chela compassione ed il perdono quando ne sarete degni.

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Né vi offenda, o vi sorprenda questa parola perdono. Prima di conoscere le vostre ultime decisioni, l’augusto e sventurato Pontefice, che voi invitate a discendere dal trono per cedere a voi il posto, ve lo aveva riserbato. «So ci viene chiesto, dice egli terminando la sua allocuzione, ciò che è ingiusto, non possiamo accordarlo; ma, se si vuole il perdono, noi l’accordiamo volentieri e di gran cuore. Noi preghiamo con tutto il cuore per coloro che ci odiano, e siamo pronti, se si pentiranno, a perdonarli e benedirli»

Signor Conte, voi siete un grande trionfatore. Voi avete l’esito felice, avete la popolarità, avete l’ingegno, avete la potenza. Che vi manca dunque? Non avete bisogno né di aiuto, né di consiglio; ma l’istoria dirà come Pio IX, che voi avete bisogno di perdono. Finché voi non abbiate meritato e sollecitato questo perdono, che vi attende, la storia vi assegnerà un posto particolare nella riprovazione dei cristiani. Dirà che, qualunque sia la vostra riuscita, i vostri mezzi hanno disonorato lo scopo a cui tendete. Ve lo dico semplicemente con molto maggior dolore, che collera: siete un gran colpevole. Voi lo siete più che Mazzini, che fa il suo mestiere di cospiratore e di regicida, laddove voi non fate il vostro di uomo di. Stato, di grande cittadino, di gran ministro. Lo siete più che Garibaldi, la cui stessa inimicizia non potrebbe giustificarvi. Garibaldi est un forbon, ce n’est pas un fourbe: dice schiettamente che il Papato è un cancro, e che l’Italia, tale quale egli la sogna, deve essere protestante; non pretende di «servire agli interessi veri e più duraturi del Cattolicismo (1). Investito per il vostro ingegno, per la vostra audacia, per la vostra posizione della gloriosa missione d’iniziare l’Italia alla vita pubblica, e d’esercitare, coll’esempio d’un Governo libero e regolare, un’invincibile attrazione sulla Penisola, conquistando la rispettosa simpatia dell’Europa, voi amaste meglio di precipitarvi verso uno scopo equivoco e forse chimerico, violando il diritto naturale, il diritto pubblico e il diritto cristiano.

L’Europa, lasciandovi impunemente percorrere questa carriera, non vi ha dato l’amnistia. Non sono solamente i cattolici, né i liberali conservatori di Francia che vi hanno negato il loro assenso: il più imparziale dei protestanti, il signor Guizot, additò in voi la risurrezione dello spirilo d’usurpazione e di conquista che aveva sollevato tutto il mondo contro il primo Napoleone (i). Il decano dei liberali della Spagna e dell’Europa, il signor Martinez de la Rosa, ha bollato la vostra politica con non minore energia che il giovane ed eloquente oratore, le cui prime prove hanno illustrato il nostro Corpo legislativo (Keller). Né gli applausi di 20 milioni d’Italiani, supponendoli tutti conquistati alla vostra causa, né le simpatie appassionate dei rivoluzionari di tutto il mondo che vi acclamano come loro capo, non basteranno a spegnere la voce della giustizia. La coscienza del genere umano vi rimprovererà fino alla fine dei secoli il sangue innocente che avete versato, i trattati che avete violato, le rovine che avete ammonticchiate.

Quanto a me, ve lo giuro, è meno il cattolico che l’onest’uomo in me che vi teme e vi condanna. Il mio animo è pieno d’una calma ed imperturbabile confidenza nell’avvenire di quella Chiesa, di cui voi rovesciate la cittadella e di cui confiscate il patrimonio.

(1) Discorso del conte di Cavour, il 20 ottobre 1860.

(2) Risposta al discorso del P. Lacordairc all’Accademia francese.

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Grazie a voi ed a’ vostri alleati, la Chiesa sta per passare nel crogiuolo in cui si purifica sempre di tutti gli accasciamenti effimeri, di tutte le solidarietà pericolose, di tutte le debolezze apparenti.

Credo alle promesse eterne; ma quand’anche non vi credessi, e credessi al trionfo definitivo di Machiavelli ed al vostro, non perciò cesserei di protestare, e sempre, ed anche solo. No, non sono i pericoli della Chiesa che mi fanno panra, o sdegno. Ciò che mi fa sdegno si è lo spettacolo che oggidì presenta l’Italia al genere umano; si è ciò che havvi di nobile, d’integro, di delicato, sacrificato a grossolani istinti della folla; si è la debolezza vilmente oppressa dalla forza: si è la verità vilmente soffocata dalla menzogna; si è il diritto schiacciato dal numero; si è il libero arbitrio delle popolazioni confiscato dai cospiratori; si è la libertà delle anime annegata nel tumulto della piazza; si è l’onore annegato nel tradimento. Fossi anche, non già cattolico e francese, ma inglese, cinese, pagano, mi basterebbe il levar gli occhi verso quei principii d’eterna giustizia generosamente invocati da Pio IX, audacemente violati da voi, per sentirmi sdegnato contro di voi e invincibilmente incredulo alle vostre promesse.

Il conte di Montalembert.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_02_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#Dilecte

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