STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (III) (VOL. III)
CURIOSO COMMERCIO
DEI MEMBRI DEL PARLAMENTO ITALIANO
Troviamo nella Gazzetta del Popolo del 27 luglio 1861 seguenti particolari, a cui potremo fare di molte e curiose aggiunte, se avessimo la libertà che gode la Gazzetta del Popolo:
«Il sig. ministro Jacini avea fatta il primo la proposta di accordare ai rappresentanti della nazione il trasporto gratuito sulle ferrovie. — E c’era dell’equità. Servono il paese gratuitamente; si faccia dunque il possibile, perché possano almeno essere esenti da spese per condili-si da lontane località alla sede del Parlamento. — E così fu fatto; e mono qualche rarissima eccezione, non sappiamo che alcuno siasi fatto lecito di offendere con bassi abusi la propria dignità. Allora erano rappresentate in Parlamento le antiche provincie, la Lombardia, l’Emilia e la Toscana.
«Ora vi abbiamo anche le provincie meridionali, e quindi anche ai Rappresentanti di queste è applicatoli diritto del gratuito trasporto, che già Fruivano gli altri. Ma noi non abbiamo mai saputo che questo diritto fosse trasfusibile in altri, e che i signori Deputati di questo loro diritto tutto personale potessero far bottega, vendendo il loro biglietto o cedendolo ad amici e parenti, o vestendo fin anco da uomini le donne, per volerle far passare come deputate.
«Eppure queste cose avvennero, queste cose avvengono continuamente. — Si parla perfino di un ministro, il quale, presentatosi al capo convoglio col figlio, si pose a questionare perché volle ad ogni costo aver diritto a farlo viaggiare gratuitamente. — E al doveroso rifiuto del capo-convoglio, il signor ministro tirò fuori questa bella argomentazione: «lo sono ministro, e come ministro (?) ho diritto di viaggiare gratis; il mio diritto di senatore lo delego a mio figlio». Ah, non c’è mica male! Quel signor ministro non c’è più, e speriamo non torni più, perché questa sarebbe una poco lieta caparra della dignità che si trasfonderebbe nel suo ministero.
«Un altro allo funzionario, che c’è ancora, e che si pappa un buon stipendio, e ch’è anche deputato, quando si presenta alla stazione, ha sempre qualche amico o parente da presentare, e crede che basti il dire — il tale è con me — perché le si debba abbassare le corna e lasciar passare tutti i suoi protetti. Questo signore faccia la gentilezza di viaggiare col suo biglietto, ma lasci stare di abusare dei danari della nazione pegli altri.
«Pare già che debbano i signori onorevoli essere abbastanza contenti di poter trottare su e giù per solo sollazzo, senza spender un soldo, senzachè vogliano pretendere di condur con loro gratis anche la caterva dei proprii conoscenti, amici, parenti, e un po’ alla volta l’amante e la serva.
«L’altro giorno a Genova smontò un deputato a fianco d’un altro collega. Il primo esibì la medaglia; e il capo-convoglio alla estensione della medaglia non credè dubitare d’abusi. I capi-convoglio si fanno una idea come si deve della dignità dei rappresentanti. Ma l’onorevole della medaglia aveva passato il suo biglietto al proprio collega, che colla sua imberbe figura saltava troppo agli occhi per passare per un altro onorevole. Era un deputato femmina, che il deputato maschio credeva coprire colla sua autorità.
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«In giunta a tutti questi fatti, che sono abbastanza indecorosi, v’è poi la vendita che si fa da taluni del proprio viglietto. Questa poi [a è più grossa di tutte.
«E il nostro paese che, sia detto in buon punto, non seppe mai che cosa fosse mancanza di delicatezza e che s’è avvezzato a vedere l’onestà seguita dai proprii rappresentanti fino allo scrupolo, non sa adattarsi all’introduzione di questo sistema, che poteva passare sotto il regno dei Borboni, ma non sotto al regno di Vittorio Emanuele, il Re leale, che informò il suo governo al proprio galantomismo».
IL DEPUTATO GAZZOLETTI
E LA QUESTIONE DEL TRENTINO
(Pubblicato il 19 gennaio 1861).
Chi sa quando l’Italia sarà fatta! Roma e Venezia non bastano ancora. Lorenzo Valerio vuole Trieste, e Antonio Gazzoletti, deputato, vuole il Trentino. A tal fine quest’ultimo pubblicò a Milano un libretto intitolato: La Questione del Trentino dove prova che Trento appartiene all’Italia.
«La storia di Trento, dice il Gazzoletti, e del suo territorio comincia dal secolo d’Augusto, allorchè i figliastri di lui, Druso e Tiberio, lo conquistarono all’Impero, o, come ancora dicevasi, alla Repubblica di Roma. Venne aggregato alla decima regione italica, e ascritto alla tribù Papiria o alla Papia: innalzata la città all’importanza di colonia romana.
«In appresso il Trentino formò parte del regno dei Goti (a. 476-557) (1), poi di quello dei Longobardi (a. 569-773), durante il quale ultimo reggimento, la nostra città fu sede di uno dei trentasei duchi, fra cui venne diviso il territorio del reame, e non certo del meno potente tra loro (2).
«Rovesciato dalla spada di Carlo Magno il trono dei Longobardi (a. 774), sotto il dominio de’ re ed imperatori franchi, italiani e germani, Trento formò costantemente parte del regno d’Italia come ducato. marchesato o contea di confine, governata da duchi, marchesi, o conti, ai quali sembra che i re l’accordassero a titolo di beneficio, ossia feudo rivocabile ad arbitrio del concedente.
«Nel 1027 Corrado II, il Salico, in virtù di diploma, actum feliciter brixiae pridie kalendas junias, lo raffermò in Udalrico Vescovo e suoi successori in perpetuo, i quali lo tennero con titolo prima di duchi o marchesi, poi di principi.
«Tale origine ebbe il principato ecclesiastico di Trento, il quale da Udalrico, primo concessionario, fino a Pietro Vigilio dei Thun o Tono, ultimo principe vescovo (a. 1802, durò quasi otto secoli; se non sempre di fatto, sempre almeno di diritto, autonomo ed indipendente».
Tutto bene, signor Gazzoletti; ma diteci un po’, che il ciel vi salvi! la storia di Nizza non attesta che quella contea appartenne sempre ed appartiene all’Italia?
In una lettera di Cassiodoro, ministro di re Teodorico, si parla di fortificazioni da costruirsi nella città o nel contado di Trento.
Vedi Paolo Diacono, lib. IV, cap. 1 e 2, e Denina, Riv. d’Italia, lib. VII, cap. 4.
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In Nizza non furono pubblicati parecchi libri, i quali dimostravano con ogni maniera di documenti che Nizza è terra italiana?
Eppure Nizza oggidì appartiene alla Francia. E chi glie l’ha ceduta? Voi, signor Gazzoletti, proprio voi glie l’avete ceduta, votando in favore della cessione. Ed ora ostante venir fuori con quegli argomenti in favore di Trento, che avete disprezzato in favore di Nizza? Un po’ di logica, signor Gazzoletti. Né voi, né nessun altro dei 229, che cedettero Nizza alla Francia, hanno il diritto di dire una parola in favore dell’unità d’Italia. La ragione politica, per cui cedettero Nizza, distrugge ogni ragione storica che possa venire arrecata a favore di Trento, di Venezia e di Trieste.
LA STELLA D’ITALIA
ED I TRE ARCIVESCOVI DELLE MARCHE E DELL’UMBRIA
(Pubblicato il 20 novembre 1863).
Agli «Italiani delle Marche» Lorenzo Valerio rivolgeva la parola il 15 settembre 1860, e dopo averli compianti perché il potere del Papa nonne tutelava né le persone, né le cose, li avvertiva che egli, Lorenzo Valerio, era stato spedito ai Marchegiani da chi «vuole la vostra salvezza, e vuole perciò un ordine di cose, che sia stabile e degno dell’Italia e di lui».
E Luigi Tanari il 10 settembre 1860 diceva ai «Cittadini della provincia di Urbino e Pesaro» le seguenti bellissime parole: «Ormai il tempo dell’oppressione è finito; la Stella d’Italia fa splendido il suo corso. Voi avrete finalmente una patria (1)».
Or veggiamo i fatti. Quattro Arcivescovi sono nelle Marche e nell’Umbria, gli Arcivescovi di Fermo, di Urbino, di Spoleto e di Camerino. Arcivescovo di Fermo è l’eminentissimo cardinale Filippo De Angelis, Arcivescovo di Urbino è monsignor Alessandro Angeloni, Arcivescovo di Spoleto è monsignor Giovanni Battista Arnaldi, ed Arcivescovo di Camerino è monsignor Felicissimo Salvini.
La Stella d’Italia che cosa ha fatto dei primi tre? Finì per loro, o non piuttosto incominciò nel 1860 il tempo dell’oppressione? Ebbero una patria, o per contrario da quel momento la perdettero? Videro tutelate le loro persone e le loro cose, o invece lasciate all’arbitrio dei proconsoli e dei rivoluzionari?
Risponda la storia, e la storia raccontata da Lorenzo Valerio! Il quale nel 1861 pubblicò in Milano una sua relazione sulle Marche dal 15 settembre 1860 al 18 gennaio 1861, dove a pag. 41 parla dei suoi rapporti (sic) col Clero e principalmente coi Vescovi.
«Uno di essi, dice il Valerio, meritò che il governo del Re si assicurasse della sua persona, e lo tenesse lontano dalla sua diocesi. E questi fu l’eminentissimo Cardinale Vescovo (sic) di Fermo, del quale non vorrei, ma debbo parlare (VI scotta, n’è vero, signor Valerio!). S. E. il generale Fanti appena entrato nelle Marche Io fece condurre a Torino, ma quando voci non delle Marche (2) si levarono a favore di quel prelato, e si fecero
(1) Anche Filippo Gualtiero il 12 settembre dicea ai Perugini «che ai giorni di lutto quelli di gioia successero!».
(2) Lorenzo Valerio può vedere nei documenti conservati negli archivi ministeriali se quelle voci non erano delle Marche!
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ufficii presso il governo del Re, acciocchè lo lasciasse tornare a Fermo, io tenni che fosse del mio dovere pronunciarmi in contrario. I suoi antecedenti m’imponevano il convincimento che la tranquillità pubblica non sarebbe stata sicura se egli fosse tornato ad una sede così vicina al campo della reazione abruzzese».
E a questo modo fini il tempo dell’oppressione pel cardinale De Angelis, il primo Arcivescovo delle Marche! Appena la Stella d’Italia comparve a Fermo, un generale l’imprigionò e lo fe’ tradurre a Torino dove è chiuso da tre anni e più. E perché? Questo perché fu domandato dal Cardinale al conte di Cavour, che si strinse nelle spalle e non rispose. Lorenzo Valerio invece ha risposto che l’Arcivescovo di Fermo fu imprigionato dal generale Fanti appena entrato nelle Marche, cioè prima che il Cardinale potesse dire una parola o muovere una paglia, e che poi fu, sostenuto in. prigione pel convincimento di Lorenzo Valerio! (1)
Oh, questi sono governi che tutelano le persone e le cose! Pel semplice convincimento d’un Valerio fu tolta la libertà e la patria, e vennero sequestrati i beni di un Cardinale di 8. Chieda, il quale da tre anni aspetta inutilmente un giudizio, un processo, un’accusa! E poi gridano: Ormai il tempo dell’oppressione è finito!
Passiamo al secondo Arcivescovo, cioè a Monsignor Alessandro Angeloni, Arcivescovo d’Urbino. Egli pure fu chiuso in carcere fin dai 1860, quando la Stella d’Italia incominciò lo splendida suo corso. Cel racconta Lorenzo Valerio, il quale aggiunge che poi fece grazia a Monsignor Angeloni 1 leggete.
«Tacerò d’un altro Vescovo (è l’Arcivescovo d’Urbino), che io stesso dovetti far sostenere per alcuni giorni in un convento; ne taccio, perché ad intercessione del suo Clero lo graziai, e fui ben contento di poterlo graziare, quando rii i accorsi che la sua intemperanza. non era stata che frutto d’ira momentanea».
Capite? La liberazione delle Marche e dell’Umbria fu metterle nelle mani di un Lorenzo Valerio, che imprigionava e graziava a suo talento; introducendo un nuovo crimine politico, il crimine della intemperanza. E chi giudicava dell’intemperanza? Valerio temperantissimo! Chi condannava? Valerio. Chi graziava? Valerio. Oh Stella d’Italia, salve!
Ma la grazia Valeriana non impedì che l’Arcivescovo d’Urbino fosse due volte tormentato, e lo è presentemente per avere, dice il giudice istruttore, con discorsi tenuti nell’esercizio delle sue funzioni «censurato le libere istituzioni governative, provocato reati di ribellione e di renitenza alla leva, ed eccitato lo sprezzo e il malcontento sulla sacra persona del Re d’Italia».
Quanti orribili delitti! E dove li ha commessi l’Arcivescovo d’Urbino? Li ha commessi, risponde il giudice istruttore, visitando la sua Diocesi, e fra gli altri luoghi a San Giovanni d’Auditore. Or bene, credereste? S. Giovanni d’Auditore non è nell’Archidiocesi di Urbino, e l’Arcivescovo non vi pose mai piede. E gli fanno un processo per discorsi detti in un luogo dove non andò, né potca andare nella sua visita pastorale?,
Ah! Stella d’Italia, è a questo modo che tu dovevi portar la salvezza, introdurre la civiltà, la libertà, il progresso, tutelare le persone e le cose?
(1) Car tel est notre bon plaisir, dicevano una volta i Re nelle lettere di cancelleria. Tale è ii mio convincimento, dice Lorenzo Valerio ora che è sorta la Stella d’Italia!
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Ah, Stella d’Italia, o piuttosto lugubre cometa, che avesti alla coda un Lorenzo Valerio ed un Giuseppe del Sante, così dunque fai cessare il tempo dell’oppressione, dello arbitrio e del dispotismo?
Ed eccoci innanzi il terzo Arcivescovo che è Monsignor Giambattista Arnaldi, Arcivescovo di Spoleto. Il quale per la quaresima del 1863 pubblicava un indulto quaresimale, e sei vide posto sotto sequestro. Citato poi a comparire con Decreto del 23 febbraio davanti il Giudice Istruttore signor Lamedica, rispose una bellissima lettera nella quale, con petto apostolico, difendeva i diritti della Chiesa e la dignità episcopale. Allora, sul cominciare di giugno, venne imprigionato, e sono ormai cinque mesi che geme nella Rocca di Spoleto.
Non gli fanno processo, noi giudicano, non ne dicono le colpe, non ne sentono le difese; ma lo tengono in carcere, e gli fanno soffrire un carcere che. potrebbe essere ingiusto, s’egli fosse, come noi lo crediamo, innocentissimo. E proclamata la sua innocenza, chi lo compenserà dei suoi patimenti? Chi potrà fare in guisa che egli non abbia indegnamente e crudelmente patito?
Ogni persona di sano giudizio già rileva l’innocenza dell’Arcivescovo di Spoleto, da questo medesimo ritardo nel giudicarlo. Conciossiache se vi avesse in lui colpa, o apparenza di colpa, non indugierebbero cotanto a chiamarlo davanti i Tribunali. Ala temendo ch’egli possa essere assolto, e volendo che ad ogni costo sia gastigato del suo zelo per la fede, del suo amore al Papa, e della sua divozione a Maria SS. ma, gli fanno soffrire un carcere preventivo da cui non potrà essere scampato mai più.
È qui ritorna la nostra apostrofe alla Stella d’Italia del signor Luigi Tanari, stella che promise la libertà, la giustizia, l’inviolabilità delle persone e del domicilio, e invece reca questi bei fatti che veniamo accennando! I quali non sono così particolari alle Marche ed all’Umbria, che non si possano riscontrare anche altrove dove la Stella d’Italia ha gettato i suoi raggi! Ma noi abbiam voluto restringerci a parlare di tre soli Arcivescovi.
E sfidiamo chiunque a dire, 1° che non sia il più tristo dispotismo togliere i beni, la patria, la libertà al Cardinale De Angelis senza sapersene altra ragione che il convincimento di Lorenzo Valerio!
Sfidiamo chiunque a dire, 2° che non sia ridicolo procedimento quello che s’intentò a Monsignor Angeloni Arcivescovo d’Urbino per aver predicato in un paese dove non pose mai piede, e dove non potca recarsi in visita pastorale, perché non appartenente alla sua Diocesi,
Sfidiamo chiunque a dire, 3° che non sia un inaudito arbitrio tenere per cinque mesi in carcere l’Arcivescovo di Spoleto, senza che venga pronunziato il giudizio sul delitto che se gli attribuisce.
Sorgano pure gli uomini di qualunque pensare, e di. qualsivoglia religione, ma che abbiano un briciolo d’onestà, e rispondano se. questo è un procedere secondo i principii della civiltà, dell’equità e della giustizia?
Quanto a noi ci congratuliamo coi tre Arcivescovi fatti degni di patir contumelia pel nome di Gesù Cristo. Il Cardinale De Angelis colla sua pazienza illustra la Chiesa di Fermo, e vi continua i nobili esempii e i sublimi insegnamenti dei Santi Marone ed Apollinare, di S. ‘Alessandro e di S. Filippo!
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Monsignor Angeloni fa rivivere in Urbiné le grandi virtù degli Evandri e dei Leonzii. E Monsignor Arnaldi continua nella Chiesa Spoletana le belle tradizioni di San Brizio e di San Marziale.
APPENDICE AL MARTIROLOGIO DELL’EPISCOPATO ITALIANO.
Mentre stava per pubblicarsi questo quaderno ci giunse la notizia dolorosissima d’un altra sede resasi vacante in Lombardia per la morte del Vescovo di Como, Monsignor Giuseppe Marzorati, avvenuta il 25 di marzo 1865 alle ore 12 pomeridiane. Si aggiunga questa sede vacante nell’Elenco pubblicato. E fra i Vescovi dell’Umbria che patirono persecuzione vuoisi aggiungere l’Arcivescovo di Spoleto Monsignor Giovanni Battista Arnaldi, che imprigionato nel giugno del 1863 fu sostenuto nella Rocca di Spoleto per dieci mesi senza nessuna sua colpa, se non era quella d’aver glorificato la Vergine Immacolata, Aiuto d<f Cristiani, e difeso valorosamente i sacrosanti diritti della Chiesa e del romano Pontefice. Di sì illustre prelato abbiamo già discorso parecchie volte in queste Memorie e ne riparleremo, imperocchè il suo nome va unito nella storia de’ tempi nostri coll’augusto nome di Pio IX di cui fu successore. «Monseig. Arnaldi, ha scritto Edmondo Lafond, s’est montrè en plus d’une occasion un digne successeur de Pie IX à l’Archevéchè de Spolète». (Lorette et Castelfidardo, Paris, 1862, pag. 39).
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