STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (IX) (VOL. III)
LE GLORIE DI PIO IX ALL’ESPOSIZIONE DI LONDRA (Pubblicato il 6 aprile 1862)
Pio IX, in mezzo alla povertà, all’abbandono, alla persecuzione, fa continui miracoli; ed un miracolo è che da tre anni sussista e regni nella sua Roma; un miracolo che col suo semplice sguardo fermi ed intimorisca gli audacissimi cospiratori; un miracolo che spogliato d’ogni cosa sopperisca alla pubblica amministrazione e paghi fedelmente e puntualmente i creditori dello Stato; un miracolo la sua confidenza, la sua serenità, la sua vita in mezzo a tanti dolori; un miracolo la carità sua, che fra gravi ed urgentissimi bisogni largheggia a favore dei sudditi e degli estranei, degli amici e dei nemici, dei cattolici e dei protestanti; un miracolo la quiete che si gode intorno al Vaticano, e l’ordine che regna sul Tevere, nonostante tanti sobillatori; un miracolo le industrie e le belle arti che continuano a fiorire nell’eterna Città; un miracolo i Vescovi dell’orbe cattolico che si dispongono a recarsi attorno al Romano Pontefice per festeggiare i Santi che sanno morire con pazienza nel centro di una nazione, dove non si glorifica che la forza, e non si studia altro che la maniera di uccidere.
Ma non è ultima di queste meraviglie il vedere Pio IX, in mezzo a tanti pericoli, a tante incertezze, a tanti bisogni provvedere, perché i sudditi che gli restano possano concorrere all’esposizione di Londra che si aprirà il primo maggio del 1862, e far mostra del progresso delle industrie e delle belle arti nelle terre dove comanda il Santo padre. Ed è ammirabile sopratutto la speditezza e la generosità, con cui Pio IX in questi momenti seppe favorire i suoi sudditi; imperocchè gli oggetti che debbono figurare nell’esposizione di Londra già partirono in numero di duecentotredici casse; e giunsero in Inghilterra, come ci scrisse il nostro corrispondente, e non solo il Santo Padre sostenne tutte le spese della spedizione, ma assicura anche agli esponenti i loro oggetti, che oltrepassano il valore di ducentomila scudi.
Abbiamo ricevuto da Roma l’elenco generale degli oggetti spediti dal Governo Pontificio all’esposizione internazionale di Londra pel 1° maggio 1862, e possiamo annunziare che molti inglesi avranno assai da ricredersi sul conto dell’amministrazione papale e dello stato delle industrie nelle città Pontificie.
(1) Circolare Persigny, 16 ottobre 1861.
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Vedranno come già innanzi in Roma l’arte tipografica, e ammireranno il Breviario impresso nella tipografia Camerale, i libri corali stampati dal Bertinelli e l’illustrazione del Museo Lateranense uscita dalla tipografia di Propaganda. Cinquantatré fra statue, gruppi, busti e bassorilievi scolpiti in marmo o modellati in gesso, mostreranno al mondo a qual punto sia giunta in Roma sotto Pio IX l’arte nobilissima della scoltura, e lo stato della pittura verrà indicato da sessanta circa dipinti di Valenti maestri. Vedranno gl’Inglesi come i Romani lavorino in mosaico, che è un’arte tutta propria della città di Roma; e avranno sotto gli occhi le incisioni, i disegni, le opere della calcografia Camerale, le litografie, le cromolitografie, i cammei, gl’intagli, le intarsiature, le medaglie, i lavori in oro, i candelabri, i gruppi in argento usciti dagli opifizi di quella città che credono nelle tenebre.
Si preparino gli Inglesi e quanti andranno a visitare l’esposizione di Londra a considerarvi ed ammirarvi i lavori in marmo, che si fanno in Roma, le tavole intarsiate di lapislazuli e malachite, i vasi e le grandi coppe d’alabastro, e i nuovi ritrovati per iscolpire le tavole, e le imitazioni dei marmi, e il lavorio dei merletti eseguito dalle detenute, e quelli dei tappeti arazzi dell’ospizio di S. Michele, e i progressi in Roma dell’arte dell’armaiuolo e del coltellinaio, e le leggiadre stoffe di seta misto d’oro, e i fiori, le perle artefatte, le candele di cera e di stearina, gli smalti di pili tinte, e i vasi d’argilla, e alcune macchine di nuova invenzione. E siccome dicono agli Inglesi, ed essi credono che i Romani siano indolenti e non si giovino dei prodotti della natura, così vedranno quali materiali da costruzione, ossiano calci, argille, gessi, quali pietre da taglio, sabbie, materie refrattarie, asfalto e marmi da decorazioni possano trarsi dalle vicinanze di Roma; e l’allume, il sale marino, il kaolino, il cemento romano, e minerali, cereali, campioni di vino ed olio, e via via.
Tra i primi espositori volle essere il Santo Padre Pio IX, che espose un crocifisso e un breviario, cioè il codice diplomatico del Papa, che è il Vangelo, e il suo aiuto, il suo conforto, la sua speranza, che è il Redentore del mondo. E il Cardinale Antonelli espose un bassorilievo in avorio rappresentante lo spasimo di Sicilia, o varii intagli, e il ministro delle finanze espose di molte incisioni, disegni, medaglie; e il ministro del commercio, materiali da costruzione; e poi vennero in gran numero i sudditi, e seguendo sì belli esempi mandarono a Londra i loro lavori e le loro scoperte per secondare i desiderii del Pontefice, onorare Roma e l’Italia, confondere la calunnia, e imporre una volta silenzio all’eresia collegata colla rivoluzione.
Noi vorremmo però che i visitatori dell’esposizione di Londra esaminassero e meditassero di preferenza una collezione di cinquanta medaglie in bronzo battute nella zecca pontificia di Roma sotto la direzione del commendatore Giuseppe Mazio, e ricavate da coni incisi da varii artisti durante i Pontificati di Clemente XIV e Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio Vili, Gregorio XVI e Pio IX. In queste medaglie v’è la storia del Pontificato negli ultimi tempi, vi sono i fondamenti delle speranze, o, per dir meglio, delle sicurezze di noi cattolici, v’è il documento di quanto ha fatto Pio IX per il suo popolo e per l’Italia.
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Voi vedete qui la liberalità di Clemente XIV, che nel 1771 fonda il nuovo Museo Clementino; Pio VI che rompe le catene dei pedaggi, erige la nuova sagrestia vaticana, e cinge di mura Civitavecchia; e Pio VII, che nel 1800 arriva in Roma, e il popolo romano lo accoglie sotto l’arco trionfale in piazza del popolo; e lo stesso Pontefice, che dopo la prigionia e la spogliazione del primo Bonaparte, entra in Roma, populo christiano plaudente pontificio solio restitutus. In questa medaglia vedesi l’Angiolo che libera S. Pietro dal carcere, e leggesi Renoratum prodigium! E un’altra medaglia di Pio VII mostra le sei provincie ritornate sotto il pontificio dominio indicato dal padiglione con le chiavi, e sono le legazioni di Bologna, di Ferrara e della Romagna da un lato; dall’altro il Piceno, Benevento e Pontecorvo. E una nuova medaglia allusiva alla stessa restituzione rappresenta la Chiesa che riceve dalla Pace la carta topografica delle indicate provincie ritornate al dominio pontificio. Vi è un’iscrizione che dice molto anche ai tempi nostri. Eccola: Constantia Principis provinciae receptae, MDCCCXV.
Noi saremmo troppo lunghi se volessimo percorrere tutte le cinquanta medaglie spedite da Roma all’esposizione universale di Londra. Diremo una parola di quelle coniate sotto il Pontificato di Pio IX. La prima è del 1847 e ricorda le statue colossali dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo fatte erigere dal Pontefice nella piazza del Vaticano. Una seconda medaglia venne coniata nello stesso anno d’ordine di Pio IX per incoraggiare la Società di S. Giuseppe in Edimburgo istituita affine di promuovere il bene religioso, morale e fisico degli artigiani. Segue una terza medaglia allusiva all’istituzione del Municipio Romano concessa dal Pontefice, medaglia rappresentante Mosè in atto di consegnare ai capi delle tribù le leggi municipali.
Una medaglia coniata nel 1850 ricorda la distruzione in Roma del governo mazziniano. Il profeta Daniele in abito babilonese mostra il drago, che qual Dio veneravano que’ pagani, giacente morto a’ suoi piedi e dice: Ecce quem colebatis. Un’altra medaglia vi presenta l’altare Papale della Basilica Lateranense e la nuova fabbrica in stile gotico fatta erigere da Pio IX col suo privato peculio. Una terza medaglia è quella destinata a premiate gli alunni del Seminario Pio eretto dal Sommo Pontefice presso S. Apollinare. Una quarta allude agli asili infantili che Pio IX istituì indirizzandoli all’educazione cristiana e civile. Una quinta vi offre la veduta prospettica del grandiosissimo ponte a triplice ordine d’archi, fatto erigere da Pio IX attraverso la profonda gola che divide la città d’Albano dalla vicina Aricia.
E poi vedi in altre medaglie Pio IX che l’8 dicembre del 1854 proclama il decreto sul dogma dell’Immacolata; nel 1856 ordina e fa mettere mano ai lavori delle strade ferrate; nel 1857 intraprende un viaggio per visitare le provincie dei suoi Stati fermandosi per ben due mesi a Bologna. Lo vedi in altre medaglie ordinare grandiosi lavori a lustro della sua Roma, e riparare alla Porta San Pancrazio i guasti della rivoluzione. E lo vedi finalmente, come è oggidì, nuovo Daniele in mezzo ai leoni pregare: Deus meus concludat ora leonum.
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Savio consiglio fu quello d’inviare a Londra questa collezione di medaglie, le quali dicono qualche cosa di più della perfezione a cui è giunta l’industria nella città dei Pontefici. Esse dicono le vicende e le battaglie della Chiesa in questi ultimi tempi, e ne ricordano contemporaneamente gli splendidi trionfi. Dicono quanto grande, quanto generoso, quanto benefico, quanto provvido fosse Pio IX che pure è perseguitato in Italia con tanta ingratitudine.
Dicono che come nel 1815 e nel 1849 si coniò una medaglia per tramandare ai posteri un portentoso intervento della Provvidenza a favore del Papa-Re, cosi forse non tarderemo molto a vedere all’ultima medaglia, che ricorda i pericoli di Pio IX, aggiunta quella che illustri il miracolo della sua liberazione.
PROMESSE UFFICIALI DI NAPOLEONE III A PIO IX
(Pubblicato il 16 settembre 1862).
La questione romana, la quale poche settimane fa pareva lasciata dormire, è oggidì più che mai caldamente discussa. I giornalisti del di qua e del di là dell’Alpi si sbracciano per persuadere al mondo ciascuno la sua soluzione del grande ed intricatissimo problema. Ma i giornalisti non hanno guari il dono di persuadere se non ciò di che tutti sono persuasi; e mentre essi credono di condurre i governi, non ne sono che gli umilissimi servitori.
Dalla diplomazia, che ebbe principio i andata a finire nel chiaccherio del giornalismo. La quistione romana nacque nel Congresso di Parigi del 1856, quando i diplomatici francesi ed inglesi cominciarono a bandire solennemente la croce contro il governo pontificio. E vero che non tutti i rappresentanti delle Potenze parteciparono a quella dichiarazione di guerra alla Santa Sede della diplomazia di Mazzini. Ma sgraziatamente l’opposizione dei gabinetti, che non approvarono quello scandalo, fu assai rimessa e debole in proporzione della violenza dell’attacco.
La questione romana passò dalla diplomazia al campo di battaglia. Il protocollo di Parigi doveva condurre a Solferino. Sui piani lombardi in apparenza si combatteva per cacciar l’Austria dall’Italia. In fatto però si combatteva per cacciare il Papa. Fu allora un grido universale, che i Francesi discendevano in Italia per dar mano alla rivoluzione, la quale voleva cacciare il Papa da Roma. Tutte le proteste del Moniteur, dei ministri francesi, di Napoleone stesso non bastavano per tranquillare gli animi.
Il fatto dimostrò che le inquietudini dei cattolici non erano senza fondamento. Dalla guerra regolare si passò alla guerra rivoluzionaria. Era la terza stazione sulla via sacra che mette a Roma. Dalla guerra la questione romana è passata nelle mani della rivoluzione per la cui opera si vide l’invasione delle Romagne, delle Marche, dell’Umbria e l’eccidio di Castelfidardo.
Allora la diplomazia cominciò ad aprire gli occhi, e s’avvide che avea fatto la zampa del gatto a Mazzini. Protestò, gridò, tempestò contro quella violazione del diritto delle genti. E i rappresentanti delle grandi Potenze abbandonarono la capitale provvisoria del regno d’Italia.
È vero che, o per un motivo, o per un altro, la maggior parte delle Potenze riconobbero il fatto del Regno d’Italia. Ma protestarono che non volevano più servire la rivoluzione nella questione romana.
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Quindi ora i diplomatici non vogliono più saperne. Di guerra per sostenere le pretese della rivoluzione è inutile parlare. Napoleone 1Il non discende più in Italia a compiere l’opera di Solferino. Ma per poco minaccia di rifar Solferino a danno della rivoluzione, come scrisse testè il signor de la Gueronnière. La rivoluzione avrebbe volentieri continuata l’opera di Solferino; ma essa cadde sulle insanguinate cime di Aspromonte.
Quindi tutto il peso della quistione romana cade sui poveri giornalisti, i quali sudano, trafelano e si disperano di non poterne venir a capo. Ciò significa che quella benedetta quistione è ridotta al lumicino ed è lì lì per finire. E tutti oggidì sono d’accordo in dire che lo sta«a quo non può durare. Dal protocollo di Parigi agli articoli della Gazzetta del Popolo ed alle caricature del Fischietto la questione romana di Mazzini fece un lungo giro, però la distanza tra i due punti non è così grande come sembra.
I rivoluzionari per quanto si sforzino a dimostrarsi fidenti nella protezione e nella buona volontà di Napoleone III, lasciano però intravedere la loro sfiducia. E come avviene quasi sempre nei casi avversi, i rivoluzionari ora che sono Rconfitti su tutta la linea, sono in guerra tra loro, accagionandosi a vicenda della comune sventura.
I mazziniani imprecano ai moderati, perché questi non li lasciarono andare a Roma con Garibaldi. I moderati sono arrabbiati contro i mazziniani, perché colle loro improntitudini guastarono le uova nel paniere, e se non era della loro avventataggine a quest’ora Napoleone III ci avrebbe dato licenza di andare a Roma.
I ministeriali fanno causa di tutti i malanni, l’opposizione che non fa altro che crear incagli inutili e dannosi all’andamento del governo. L’opposizione accusa d’inettezza e d’imbecillità il ministero che non è capace di trarre un ragno dal buco: e colle sue interminabili esitanze rovina ogni cosa.
Per togliere poi ai rivoluzionari Ogni speranza Napoleone III fa pubblicare per mezzo della France tutti gli atti ufficiali, con cui il governo francese promise di difendere il potere temporale della Santa Sede contro qualsiasi attacco. L’idea non è cattiva, e crediamo non senza interesse il vedere raccolti insieme questi varii documenti. Eccoli:
L’IMPERATORE
(Discorso d’apertura della sezione legislativa 1859).
I fatti parlano altamente da sè. Da undici anni sostengo a Roma il potere del Santo Padre, ed il passato deve essere una guarentigia dell’avvenire.
(Proclama del 3 maggio 1859).
Noi non andiamo il Italia a fomentare il disordine, né scuotere il potere del Santo Padre, che abbiamo ricollocato sul suo trono.
Lettera al re Vittorio Emanuele, 12 luglio 1861, letta al Corpo legislativo
dal signor Billault nella seduta del 12 marzo 1862.
Un governo è sempre legato da’suoi fatti antecedenti. Son undici anni che io sostengo a Roma il polene del Santo Padre. Malgrado il mio desiderio di non occupare militarmente una parte della terra italiana, le circostanze furono sempre tali, che mi riuscì impossibile evacuare Roma.
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Facendolo senza gravi guarentigie, avrei mancato alla confidenza, che il Capo della Chiesa aveva posta nella protezione della Francia.
La condizione sarebbe sempre la stessa. (Il Moniteur mette qui: Viva approvazione). Devo dunque apertamente dichiarare a Vostra Maestà, che anche riconoscendo il regno d’Italia: lascerò le mie truppe a Roma, finché essa non si sarà riconciliata col Papa, e il Santo Padre sarà minacciato di vedersi invasi da una forza regolare ed irregolare gli Stati che ancor gli rimangono (Nuova approvazione).
SIG. BAROCHE
(Discorso al Corpo legislativo, 30 aprile 1859).
Il governo piglierà tutte le deliberazioni necessarie, perché la sicurezza dell’indipendenza della Sanla Sede siano assicurate; non vi può essere dubbio alcuno su tal riguardo.
(Discorso del 12 aprile 1860)
II governo francese considera il poter temporale come una condizione essenziale dell’indipendenza della Santa Sede Il potere temporale non può essere distrutto. Ei deve esercitarsi in gravi condizioni di cose. Per mantenere questo potere fu fatta la spedizione di Roma nel 1849; per mantenere questo stesso potere da undici anni le truppe francesi occupano Roma: la loro missione è di difendere ad un tempo il potere temporale, l’indipendenza e la sicurezza del Santo Padre.
SIGNOR ROULAND
(Circolare ai Vescovi del 4 maggio 1859).
Il Principe che diede alla religione cotanti attestati di affetto e di devozione, che dopo i cattivi giorni del 1848 ricondusse il Santo Padre al Vaticano… vuole che il Capo supremo della Chiesa in tutti i suoi diritti di Sovrano temporale venga rispettato.
COME WALEWSKI
(Circolare diplomatica del 5 novembre 1859).
Persuaso che niente potrebbe contribuire al maggior vantaggio dell’Italia, che l’istituzione d’una confederazione destinata a far concorrere al bene generale le fatiche e le ricchezze di ciascuno de’ suoi membri, il governo dell’imperatore si propone di usar tutta la sua influenza per favorirne l’istituzione. Egli è ugualmente convinto, che le basi annunciate nei preliminari e riprodotte nel trattato di Zurigo sono conformi ai veri interessi dell’Italia.
SIGNOR THOUVENEL
(Dispaccio del 15 giugno 1861).
Il gabinetto di Torino si renderà ragione dei doveri, che la condizione nostra ci crea verso la Santa Sede -Non più di noi il governo del re Vittorio Emanuele potrebbe negare il valore delle considerazioni d’ogni natura, che si riferiscono alla quistione romana, e regolano necessariamente lo nostre
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deliberazioni, e capirà come riconoscendo il Re d’Italia, dobbiamo continuare ad occupar Roma, finché sufficienti guarentigie non proteggeranno gl’interessi, che vi ci condussero.
CONTE DI PERSIGNT
(Dispaccio del 30 giugno 1860).
Io, come ben dovete pensarvelo, vivamente approvato quest’idea (l’idea di troncare le ostilità tra il Re di Napoli e il Re di Piemonte), e, come io me lo prometteva, lord John mi ha risposto, che dopo ogni cosa tornerebbe molto più vantaggioso per tutti, che l’Italia formasse due parti amiche ed unite fra loro da un comune interesse, che correre dietro ad un’unità forse impossibile ad effettuarsi, e la cui immediata conseguenza sarebbe di ricondurre infallibilmente una nuova guerra coll’Austria. Nuovamente mi congratulai con lord John delle savie sue disposizioni, e gli feci osservare in favore di tal opinione il vantaggio d’evitare, con una riconciliazione dei due Sovrani, le complicazioni che possono risultare dal malcontento delle Potenze del Nord, di fronte ai fatti contrari al diritto delle genti, che vanno producendosi ora in Italia.
SIGNOR BILLAULLT
(Discorso al Corpo legislativo, 12 marzo 1862).
Ci si domanda il ritiro delle nostre truppe, il ritiro della nostra bandiera; bisogna che ceda il posto alla forza rivoluzionaria, e che le si abbandoni a lei, alle sue violenze, alle sue fortune lo scioglimento di una questione fra le più gravi e fra quelle che importano più di tutte alla pace delle coscienze ed al riposo del mondo Di fronte a questa costante politica che ristabilì il Santo
Padre a Roma e che ve lo mantiene, credete che sia possibile abbassare la bandiera della Francia davanti alle eventualità rivoluzionarie? (No, no! j Tutte
le Potenze dell’Europa cattolica, o dissidenti, sono unanimi sulla protezione che devesi concedere al Santo Padre. Noi diciamo a tutte queste esorbitanze del patriottismo italiano; aspettate, non vi si abbandoni ciò che non deve essere abbandonato, ma si consolidi prima la vòstra condizione
L’onorevole oratore (M. Giulio Favre) aggiunse che l’occupazione di Roma è una violazione dei diritti dell’Italia. Non comprendo. Quando noi marciavamo in Italia contro l’Austria, bene sapeva che ciò non era per renderle Roma, né conosceva, questo preteso diritto. Il desiderio di Roma, come capitale, si riferisce ad avvenimenti posteriori, che noi non approvammo
SIGNOR TROPLONG
Presidente del Senato, Relatore delt’Indirizzo
(Indirizzo del 1801, confermato da quello del 1862).
Due interessi di primo ordine, che l’Imperatore volle conciliare, si sono urtati, e la libertà italiana è in lotta colla Corte di Roma. Per prevenire e fermare un tale conflitto, il vostro governo tentò quanto possono suggerire l’abilità politica e la lealtà…
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La vostra filiale affezione per una santa causa, che non confondete con quella degli intrighi, che ne tolgono la maschera in imprestito, si segnalò senza posa nella difesa e nella conservazione del potere temporale del Sommo Pontefice, ed il Senato non dubita punto ad aderire completamente a tutti gli atti della vostra leale, moderata e perseverante politica. D’ora innanzi continueremo a riporre la nostra confidenza nel monarca che protegge il Papato colla bandiera francese, che lo assiste nelle sue prove, e si è fatto per Roma e pel trono pontificio la più vigile e fedele sentinella.
CORPO LEGISLATIVO
(Indirizzo del 1862).
Sire, i documenti diplomatici e l’ultimo invio di truppe a Roma, in una critica circostanza, provarono a tutto il mondo che i vostri costanti sforzi guarentirono al Papato la sua sicurezza e la sua indipendenza, e difesero la sua temporale sovranità, quanto lo permisero la forza degli eventi e la resistenza a saggi consigli. Per tal guisa operando, Vostra Maestà h:i fedelmente adempito ai doveri di Tiglio primogenito della Chiesa, e risposto al sentimento religioso, come anche alle tradizioni della Francia. Por questa grave questione, il Corpo legislativo confida intieramenle nella vostra saggezza, persuaso che nelle future eventualità, Vostra Maestà sempre s’ispirerà ai medesimi principii ed ai medesimi sentimenti, senza lasciarsi disanimare dalle ingiustizie che ci affliggono.
A compimento dell’opera la Franco ricorda il famoso articolo del Monileur del 9 settembre, il quale censurava in modo assai duro la politica dei ministri piemontesi dopo il trattalo di Villafranca. L’articolo terminava dicendo che la Francia non avrebbe più fatto la guerra in Italia per far piacere al Piemonte con quelle parole: «II solo mezzo che resterebbe è la guerra; ma l’Italia non s’illuda, v’ha una sola Potenza in Europa che faccia la guerra per un’idea, questa Potenza è la Francia, e la Francia ha già terminalo il suo compito».
A questo aggiungeremo la recente nota dello stesso Monileur del 25 di agosto che diceva: «1 giornali domandano quale sarà l’attitudine del governo francese in presenza dell’agitazione dell’Italia. La questione è talmente chiara, che ogni dubbio sembrava impossibile. Dinanzi ad insolenti minaccio, dinanzi alle conseguenze possibili di una insurrezione demagogica il dovere del governo francese ed il suo onore militare lo forzano più che mai a difendere il. Santo Padre. Il mondo deve ben sapere che la Francia non abbandona nel pencolo quelli, su cui si estende la sua protezione».
Sappiamo bene che cosa si può rispondere a tutti questi documenti. Potrebbe sopraggiungere qualche impotenza, ovvero la logica inesorabile dei falli potrebbe da un fatto trascinare ad un altro. Ma ad ogni modo crediamo che non senza grave motivo Napoleone III ha fatto mettere in mostra tutto questo apparato di promesse ufficiali. Nel caso che andassero a vuoto, i documenti per il processo al governo francese sarebbero già belli e riuniti.
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