Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (VIII)

Posted by on Set 7, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (VIII)

NAPOLEONE III può riconoscere il Regno d’Italia? (Pubblicato il 18 giugno 1861)

Domenica, 16 di giugno, anniversario dell’elezione di Pio IX, dovea pubblicarsi dal Moniteur di Parigi l’atto di riconoscimento per parte di Luigi Napoleone del nuovo regno d’Italia colle Romagne, le Marche, l’Umbria, e Roma capitale. In Torino si aspettava l’arrivo del conte Vimercati, latore di questo documento, e un telegramma che lo manifestasse all’Europa. Non sappiamo se il Vimercati sia giunto, né se il Bonaparte abbia riconosciuto il regno d’Italia. Il telegrafo finora ha conservato il silenzio su questo punto.

Sebbene da tre anni in qua siamo avvezzi a vederne di tutti i colori, e più d’una volta ci avvenga di disapprovare altamente la politica dell’Imperatore dei Francesi, tuttavia non abbiamo così sinistro concetto di lui da credere al riconoscimento annunziato, se prima non ne abbiamo sotto gli occhi le prove. Dov’egli riconoscesse, anche di fatto semplicemente, il nuovo regno d’Italia, certe sue dichiarazioni darebbero luogo alla più sinistra interpretazione.

Lasciamo stare ciò che scrisse il sig. Rouland, ministro dell’istruzione pubblica e dei culti sotto la data del 4 di maggio 1859: ?II Principe (Napoleone III) che dopo i tristi giorni del 1848 ricondusse il Santo Padre al Vaticano, è il più fermo sostegno dell’unità cattolica e vuole che il capo supremo della Chiesa sia rispettato in tutti i suoi diritti di sovrano temporale?. Lasciamo stare ciò che il signor Thouvenel, ministro di Napoleone II I sopra gli affari esteri, il 24 di febbraio del 1860, scriveva al signor di Talleyrand, disapprovando le annessioni della Toscana e delle Romagne: ?Io mi limito a dirvi per ordine dell’Imperatore, che noi non consentiremo per verun prezzo ad assumere la risponsabilità di una simile situazione?.

Lasciamo stare ciò che lo stesso ministro Thouvenel, il 22di agosto del 1860, scriveva al conte di Persigny, ambasciatore francese a Londra: ?La crisi che traversano gli Stati del sud dell’Italia ha questo di particolare, che essa mira non a riformarli ma a distruggerli, confondendoli in una unità che sembrano rigettare le loro tradizioni e la loro istoria,

— 46 —

e che tocca per ciò interessi che riguardano l’Europa del pari che la stessa Penisola?.

Lasciamo stare queste e molte altre citazioni, e occupiamoci soltanto del richiamo del ministro francese da Torino. Il 14 settembre del 1860 il Moniteur scriveva: ?In presenza dei fatti che sonosi or ora compiuti in Italia, l’Imperatore ha deciso che il suo ministro lascierebbe immediatamente Torino?. I fatti a cui accennava il Moniteur erano l’invasione delle Marche e dell’Umbria senza dichiarazione di guerra, e con que’ procedimenti che tutti conoscono.

Ora si tratta di rimandare a Torino il Ministro francese. Ma sono cessate forse le cause per cui venne richiamato nel settembre del 1860? Chi comanda tuttavia nelle Marche e nell’Umbria? La Patrie del 45 di giugno in un articolo riferito dal Moniteur dice: ?La ripresa delle relazioni diplomatiche con Torino non implicherebbe per parte della Francia riguardo alla politica del regno italiano alcun giudizio sul passato, né alcuna solidarietà per l’avvenire?.

Ma il giudizio sul passato venne già proferito solennemente dalla Francia. Essa richiamò per la prima il suo Ministro da Torino, e die quel giudizio di disapprovazione più grave che si conosca nel diritto internazionale. Se il Ministro francese ritorna, restando integri que’ fatti in conseguenza de’ quali venne richiamato, bisogna dire che la Francia si perite di quel richiamo, e dichiara di aver avuto torto quando disapprovò di questa guisa le invasioni delle Marche e dell’Umbria.

Non dissimuleremo che fin dal 14 di settembre del 1860 certi nostri periodici dicevano che Napoleone III avea richiamato per burla il suo Ministro da Torino. Il Diritto di quel giorno scriveva che il nostro Gabinetto rispondeva alla Nota della Francia, con cui richiamava il suo Ministro da Torino ?invocando a suo favore gl’incoraggiamenti avuti nella visita del ministro Farini all’Imperatore in Ciamberì?.

E la Gazzetta di Torino, N° 258 del 16 di settembre 1860, pubblicava il seguente pungentissimo epigramma: ?Cavour e il ministro di Francia Talleyrand in palchetti distinti assistevano ieri sera allo spettacolo del Carignano?. E si capiva che cosa volesse significare la presenza in teatro di questi due signori il giorno dopo la rottura tra il Piemonte e la Francia!

E finalmente l’Unità Italiana del 16 di settembre 1860 aveva l’audacia, la sfrontatezza di scrivere: ?II richiamo dell’ambasciatore (di Francia) entra sì o no nella commedia diplomatica, e deve considerarsi come un atto serio o Uh atto per ridere? Noi non pretendiamo scendere nell’abisso di questa tortuosa diplomazia bonapartista senza franchezza e senza principii, che ieri ancora avea vanto di allo concetto, ed oggi ridotta all’isolamento, e, non trovando più fede in anima viva, si chiama semplicemente miserabile intrigo?.

Ma i giornali che parlavano cosi erano e sono avversi a Napoleone III. Noi che gli siamo amici, e ben lo sanno i nostri lettori, possiamo credere a queste commedie, a queste versatilità, a questi raggiri? No certamente, epperò non possiamo credere nemmeno al riconoscimento del regno d’Italia da parte della Francia.

— 47 —

è vero che il sig. Plicon, il 12 di marzo del 1861, ha detto al corpo legislativo, e fu riferito dal Moniteur: e Le nom de Napolèon est pour l’Europe aujourd’hui une source de défiance?. Ma appunto per ciò Napoleone HI non vorrà aggiungere agli antichi, nuovi argomenti di diffidenza. è vero che il marchese di Boissy, senatore dell’Impero, ba ricordato al Senato ciò che del terzo Bonaparte dicono gli Inglesi: ?Cet nomine ne parle jamais, mais il ment toujours?. Ma appunto perciò gli Inglesi si avranno da Napoleone una solenne smentita, e mostrerà loro ch’egli pensa nel giugno del 1861 come pensava nel settembre del 1860.

è vero che il duca d’Aumale nella sua famosa Lettera sulla Storia di Francia scrisse: ?L’exécution rigoureuse des engagements pris ne péut compter parmi les vertus doni la t’ami Ile Bonaparte doit nous presenterà touchant faisceau?. Ma il duca d’Aumale questa volta sarà smentito dalla fermezza del terzo Bonaparte sulle cose d’Italia.

Noi non abbiamo dimenticato una lettera, che Luigi Napoleone scriveva al suo Caro Persigny, sotto la data di St-Cloud, 29 di luglio 1860; un mese e mezzo prima del richiamo da Torino del ministro francese, e Mio caro Persigny, diceva la lettera: le cose mi sembrano così imbrogliate, grazie alla diffidenza seminata dappertutto dopo la guerra d’Italia, che vi scrivo sperando che una conversazione a cuore aperto con lord Palmerston rimedierà al male presente. Lord Palmerston mi conosce, e quando affermo una cosa mi crederà… Intendiamoci lealmente come onesta gente che noi siamo, e non come ladroni che vogliono ingannarsi a vicenda??. Ecco il vero programma di Napoleone III lealtà, onestà, fedeltà, sincerità, veracità.

Alcuni, è vero, fanno su questo punto qualche obbiezione e si compiacciono di ricordare, esempligrazia, il giuramento prestato da Luigi Napoleone il 20 di dicembre del 1848 davanti l’Assemblea Nazionale: ?Alla presenza di Dio, e davanti il popolo francese rappresentato dall’Assemblea Nazionale, giuro di rimanere fedele alla repubblica democratica una e indivisibile?. Ma scia repubblica una e indivisibile fu poi distrutta dal Bonaparte, egli ci fu tratto pei capelli, e chi sa quanto costasse all’animo suo!

Napoleone III non volea essere Imperatore. ?Je suis citoyen avant d’étre Bonaparte? scriveva a Ham nel 1841 (Vedi Fragments historiques). ?Non ho mai creduto e non crederò giammai che la Francia sia l’appannaggio d’un uomo e d’una famiglia?: dichiarava in un giornale intitolato; Progrès du Pas-de-Calais, N. del 28 ottobre 1843, in un articolo intitolato: Profession de fois démocratique du prince Napoléon-Lows Bonaparte. E il 28 agosto del 1848, in una lettera al gen. Fiat scriveva: ?non veggo il momento di rientrare in Francia e di sedermi in mezzo ai rappresentanti del popolo che vogliono ordinare la repubblica su basi larghe e solide?. E il 26 di settembre del 1848 diceva all’Assemblea Nazionale: ?nessuno qui è più di me risoluto alla difesa dell’ordine e al rassodamento della repubblica?. E perfino il 2 dicembre 1851 parlava così al popolo francese: ?oggi che gli nomini, i quali hanno perduto due monarchie vogliono legarmi le mani per rovesciare la repubblica, è mio dovere di sventare i loro perfidi disegni e mantenere la repubblica?.

— 48 —

Che se ciò non ostante la repubblica cadde, fu effetto delle circostanze e volontà del popolo francese, a cui Napoleone III dovette cedere. Ma egli Don cederà in faccia ai Ricasoli e compagnia. Ma condannato l’invasione delle Marche e dell’Umbria, ha sottoscritto i trattati di Villafranca e di Zurigo, e l’Imperatore non verrà meno alla sua parola. Egli ha scritto fin dal 1832 all’indirizzo di Luigi Filippo: ?Il mal essere generale che si nota in Europa viene dalla poca confidenza che i popoli hanno nei loro Sovrani. Tutti hanno promesso, nessuno ha mantenuto la promessa?. è vero che il Bonaparte scriveva questo in un libro intitolato: Reveries politiques; ma i sogni questa volta saranno realtà; e Napoleone III farà in guisa che Pio IX. sia rispettato in tutti i suoi diritti di Sovrano temporale, come ha promesso nel 1859.

IL DANARO D’ITALIA

(Pubblicato il 9 giugno 1861).

Il deputato Ricciardi ha proposto alla Camera un disegno di legge per aprire una sottoscrizione nazionale sotto il nome di Danaro d’Italia, alfine di coadiuvare all’armamento nazionale, soccorrere i feriti, e pagare tutto ciò che e necessario per la fabbrica… italiana. Ecco il suo disegno follo dagli. Atti uff. della Camera, N° 460, pag. 601.

Art. 1. Una sottoscrizione nazionale, col titolo Danaro d’Italia, sarà aperta, dal giorno della promulgazione della presente legge, in tutti i comuni del regno, coll’unico scopo di aiutare il Governo nel compimento dell’impresa Italiana.

art. 2. 1 nomi de’ sottoscrittori saranno registrati nella Gazzetta ufficiale del Regno.

Art. 3. Alla fine di ciascun mese il Danaro d’Italia raccolto nella cassa di ogni comune, sotto la responsabilità dei magistrati municipali, sarà versato in quella della ricevitoria generate d’ogni provincia.

Art. 4. Meta delle somme raccolte sarà posta ad esclusiva disposizione dei ministri di guerra e marineria militare.

Art. 5. Coll’altra meta sarà costituita una cassa o tontina a beneficio di quanti furono o saranno feriti nelle patrie battaglie e delle famiglie di morti in guerra; cassa o tontina, il cui regolamento sarà sempre compilato per cura della potestà esecutrice.

Art. 6., La sottoscrizione del Danaro d’Italia non sarà chiusa che un anno dopo la liberazione ed unificazione intiera dell’italiana Penisola? cioè il dopo pranzo del giudizio universale!?

Nella tornata del 17 di giugno il Ricciardi svolse il suo disegno. La ragione principale che egli addusse fu questa. Abbiamo il Danaro di S. Pietro: dunque vi dee essere il Danaro d’Italia. Guai all’Italia, esclamò l’oratore, se fossero necessarie molte parole per sostenere la mia proposta. Guai se il Danaro d’Italia non fruttasse maggiori somme che il Danaro di S. Pietro!

La proposta del Ricciardi venne combattuta dal deputato La Farina e rigettata dalla Camera; e questo per due motivi; perché non sarebbe onorevole per un Parlamento il promuovere una pubblica sottoscrizione, e perché l’Europa resterebbe altamente scandalizzata qualora una sottoscrizione promossa dalla Camera non corrispondesse all’aspettativa.

— 49 —

E la Camera operò prudentemente, laddove il Ricciardi fu salutato da un giornale libertino come uomo di un’ingenuità antidiluviana, anzi preadamitica, E fu ingenuo davvero, perché suppose che una Camera di Deputati potesse mettersi a confronto del Papa; che la rivoluzione potesse operare quei miracoli di carità e di disinteresse prodotti dal cattolicismo; che i popoli italiani fossero contenti di questo stato di cose e volessero sostenerlo con ispontanee oblazioni. II 20 di maggio il deputato Ricciardi parlava alla Camera, e diceva che, essendo ritornato in Napoli dopo poche settimane di assenza, più non la riconobbe ?tanto la trovo squallida e mesta?, che vide cola ?grandi mali, malcontento generale, malcontento profondo, lamento perenne, stato di miseria profonda, penuria estrema?. E poi il 17 di giugno il Ricciardi chiedeva a Napoli il Danaro d’Italia! Oh ingenuità antidiluviana!

Il 20 di maggio il Ricciardi vedeva nel regno di Napoli miseria, ingiustizia malversazione, uno stato di cose intollerabile; le finanze assai bistrattate e un esercito di ladri (1). E ventisette giorni dopo il Ricciardi traeva fuori colla sua proposta del Danaro d’Italia! 0 ingenuità preadamitica!

Il Danaro di S. Pietro venne da se, e non ebbe bisogno di nessun Deputato che lo sostenesse, né di nessun Parlamento che lo sancisse. Appena il Pontefice, di tutti i fedeli il Padre, come Io definì il Concilio Lateranense IV, appena la Chiesa Romana, di tutte le Chiese Madre e Maestra, come la chiamò il Concilio di Trento, furono nei più stretti bisogni, e tosto i cattolici senza tante casse e tante tontine si affrettarono a soccorrere il Padre e la Madre comune. La legge che ordino questi soccorsi fu scritta nel cuore di tutti i credenti; gli articoli erano la fede, la pietà, la carità. Noi stessi abbiamo incominciato a raccogliere il Danaro di S. Pietro senza quasi addarcene. Venne una prima sottoscrizione, poi una seconda, una terza, una quarta, ed oggidì non passa giorno che molte oblazioni non ci giungano per metterle a’ piedi del S. Padre.

Il deputato La Farina e i suoi colleghi temono che il Danaro d’Italia non riesca, e la poverina n’abbia il danno e le beffe. Ma questo noi non abbiamo temuto mai pel Danaro di S. Pietro. Sarebbe stato un far torto alla religione ed al buon cuore degli Italiani, e un bestemmiare la Provvidenza di Dio. Si, tutte le volte che il Papa avrà bisogno troverà sempre de’ figli che metteranno a’ suoi piedi le loro ricchezze.

Il Ricciardi nel promuovere il Danaro d’Italia dimentico che la povera Italia già pagò, paga e pagherà questo danaro. Non lo paga e vero, volontariamente come il Danaro di S. Pietro, non lo paga con eguale consolazione dell’animo; lo paga costrettavi dall’esattore, Io paga al fisco che la munge, lo paga sotto il timore dell’oppignorazione e del carcere, ma lo paga pur troppo e dovrà anche pagarlo per l’avvenire.

Son Danaro d’Italia le terribili imposte che pesano sul povero Piemonte. Nel 1848 noi pagavamo meno di ottanta milioni all’anno per contribuzioni, e nel 1858 abbiamo pagato 137 milioni di lire; nel 1859 ne abbiamo pagato 148 milioni, e pagammo 150 milioni di lire nel 1860, Questi ottanta milioni di più, che pesano sull’esausto Piemonte, sono Danaro d’Italia.

(1) Vedi Atti Uff. della Camera, N° 140, pag. 526, 527, 528.

— 50 —

E Danaro d’Italia furono la Savoia, Nizza, Mentone e Roccabruna, dati alle straniero; e altro Danaro d’Italia sarà pagato tardi o tosto son nuove provincie, affinché la rivoluzione possa ottenere nuove concessioni.

Già pagano e pagheranno ancor più largamente il Danaro d’Italia i Lombardi, i Parmigiani, i Modenesi, i Toscani, i Romagnoli, gli Umbri e i Marchigiani, le cui imposte saranno triplicate, perché possono sedersi al banchetto delle libere nazioni.

Napoli incomincia già a pagare il Danaro d’Italia, e il cavaliere Nigra ce né die un saggio nello specchietto che chiude la sua relazione. Nei quattro, mesi del 1861 Napoli ha visto aumentarsi le sue spese di cinque milioni e mezzo di lire, e aumenta di spese vuol dire sempre aumento di contribuzioni.

La Sicilia paga il suo Danaro d’Italia con un aumento di cinque milioni di spese su quelle che pagava sotto la tirannia dei Borboni. E nella stessa tornata del 17 di giugno il ministro Bastogi annunziava che fra giorni presenterebbe cinque leggi d’impesta! Invece dei sei articoli del Danaro d’Italia avremo cinque brave leggi d’imposta, e sentirete che belli e grandi cordiali evviva alla libertà?

Vi sono però alcuni che non pagano il Danaro d’Italia, ma lo riscuotono, e sono, per esempio, in Sicilia i nuovi impiegati, che consumano lire 899, 750 50 più degli antichi; sono coloro ohe aumentarono il debito pubblico dell’isola di una rendita annua di lire 2, 550, 600, cioè d’un quaranta milioni di capitale; sono coloro che a Napoli nel primo quadrimestre del 1861 si fecero pagare tanti assegni straordinari per 5, 740, 813 ducati, e questo in linea provvisoria, come attesta il cav. Nigra.

Ed anzi poiché il deputato Riociardi e cosi tenera pel Danaro d’Italia, vorremmo che chiedesse notizia al ministero di quel tale scandaloso processo girato al Popolo d’Italia di Napoli, che aveva accusato certi onorevoli d’avere riscosso un po’ troppo largamente per se il Danaro degli Italiani. Con nostra grande sorpresa quel processo, che a quest’ora dovrebbe essere finito, ci sembra invece sepolto.

Del resto le cifre dal Danaro d’Italia sono ben numerose. e Danaro d’Italia il prestito di settecento milioni ohe sta per contrarsi; e Danaro d’Italia il sangue che fu sparso in Crimea ed in Lombardia per passare dalla preponderanza austriaca Botto il predominio francese, e Danaro d’Italia quel numero senza numero d’Italiani che a Capua, a Gaeta, a Messina ed altrove restarono vittime della loro fedeltà. E’ Danaro d’Italia quel cumulo di fucilazioni che incominciale col liberalismo non cesseranno se non quando cessi questa dolorosa parodia della libertà.

E dopo tutto questo il deputato Ricciardi vuole istituire il Danaro d1 Italia, come se noi non avessimo pagato nulla, come se l’Italia dovesse incominciare domani a pagare!

Lode alla Camera che ha rigettato prudentemente la proposta! Il Danaro d Italia sarebbe stato un secondo plebiscito, ma molto più solenne del primo-

Nessuno avrebbe osato accusare i liberali d’aver moltiplicato i danArt. Essi sono sempre innocenti di simili delitti!

Però poteva avvenire che dove i voti furono unanimi, quando si trattò di minuzzoli di carta, trattandosi poi di scudi e di lire, il risultato dovesse esser zero. La Farina che se ne intende scongiurò il periodo oppugnando la proposta del Ricciardi, e quando si venne alla votazione sorsero in favore quattro Deputati, e compreso Ricciardi, cinque!

— 51 —

LA PAPPA AL NEONATO REGNO D’ITALIA

(Pubblicato il 28 giugno 1861)

II Regno d’Italia, figliato da Luigi Bonaparte e dal conte di Cavour coll’assistenza di Garibaldi, Nunziante e Liborio Romano, appena venne alla luce pronunziò questa prima parola: Fame. E la fame dei regni, e massime, dei regni come il nuovo Regno, non si sazia che col danaro. Il regno neonato divorava quando era ancora nascituro, e prima di esistere aveva già ingoiato un millecinquecento milioni. Pensate che cosa doveva mangiare questo pappacchione dopo di essere nato!

Il signor Bastogi incaricato, nella sua qualità di ministro delle finanze, di dare la pappa al nuovo Regno d’Italia, chiese per primo boccone cinquecento milioni effettivi. ?Non si crede, dice il Journal des Economistes di Parigi, che il signor Bastogi possa ottenere un imprestito al disopra del 70 per una rendita del 5 per cento. Ed affine di ottenere una somma effettiva di 500 milioni occorrerà di scrivere nel Gran Libro circa 750 milioni di lire?. Sicchè, per dare al neonato Regno d’Italia un primo boccone di 500 milioni, noi c’indebiteremo di 750 milioni, perdendone subito 250!

Tuttavia è presto detto colla parola, e presto scritto colla penna 750 milioni! Ma nelle nostre casse non c’erano fondi, il bambino Regno d’Italia gridava; Fame, Fame, e il povero Bastogi corse l’Europa per trovar danArt. Andò in Francia, piccino alle porte di tutti i banchieri, e disse : — C’è un bimbo nato or ora con una fame da gigante. Imprestatemi 750 milioni per dargli la pappa.

E i banchieri risposero: — Come si chiama questo bimbo? — E me lo domandate? Soggiunse scandolezzato il sig. Bastogi: Si chiama il Regno d’Italia.

Il Regno d’Italia! conchiusero i banchieri; Non conosciamo questo Regno, e non vogliamo avere da fare né col bimbo, né colla balia. Andate in pace. —

E il povero Bastogi col bimbo in braccio che strillava per la fame, andò in Inghilterra, e disse ai banchieri di Londra: ?Muovetevi a pietà di questo povero bimbo che, nato or ora, già sta per morire, imprestatemi 750 milioni da mettergli in bocca per primo boccone. Pensate che gli Inglesi ebbero parte alla nascita del bambino Regno d’Italia!? I banchieri Inglesi al sentirsi parlare di pietà, trasognarono, e dissero che se il neonato poteva vivere con parole, n’avrebbe avuto a fusone dall’Inghilterra, ma danari no. Gli Inglesi ne pigliano, e non ne danno.

E Bastogi andò nel Belgio, andò in Olanda, andò dappertutto, e fe’ vedere il bambino battezzato col nome del Regno d’Italia, e fe’ sentire i suoi lai, ed imitando ira verso di Francesco Petrarca, gli scrisse sulla fascia: I’ vo gridando: Fame, fante, fame. E i banchieri dell’universo volsero le spalle a Bastogi ed al suo bimbo, dichiarando di non conoscere né l’uno, né l’altro.

— 52 —

I nostri ministri, vista la mal riuscita dell’infelice Bastogi, furono a consiglio, ed assordati sempre più di giorno in giorno dalle strida del bimbo che gridava fame, deliberarono di mandarlo a vedere a Napoleone III, Imperatore dei Francesi affinché egli lo riconoscesse per legittimo, e cosi potesse venir conosciuto dal banchieri che prima non né volevano sapere. E venne incaricato di tale missione il conte Vimercati. Il quale, ricevuto il bimbo dalle mani del ministro Bastogi, lo reco prima a Parigi, e poi a Fontainebleau.

E tenerissimo fu il discorso che il conte Vimercati tenne alla Maestà di Napoleone III: ?Sire, gli disse, voi conoscete questo bimbo, voi ben sapete che fu concepito a Plombieres. E se non né siete il padre, certo né foste il padrino. Or vedetelo, Sire, come e mingherlino, dilaniato dai vermini, divorato dalla fame. Uditelo come piange, e chiama merce. Ha fame, povero bimbo, e noi non ci troviamo un centesimo da mettergli in corpo. Sire, non disprezzate l’opera delle vostre mani: aiutateci a dar la pappa al nuovo Regno d’Italia, non permettete ai nostri e vostri nemici di dire che appena nato mori d’inedia?. E il bimbo piangeva, e Vimercati piangeva, e Napoleone III pensava.

In fine dopo di aver ben pensato conchiuse, ch’egli riconoscerebbe il nuovo Regno d’Italia; cercherebbe qualche gherminella per ischermirsi dall’Austria, interpreterebbe lato sensu il trattato di Zurigo, e quanto a Roma ed al Papa, la provincia di Nizza abbonda d’olio, e il mondo e popolato di gonzi. Due proteste, quattro riserve, dieci genuflessioni, ed e fatto il becco all’oca. Napoleone III fe’ una carezza al bimbo che continuava a gridar fame, e il conte Vimercati lo ricondusse a Torino.

Intanto si aspettava questo riconoscimento, e non compariva. Il bimbo avea viaggiato di qua, di la; di su, di giù; e se avea udito di buone parole, nessuno pero gli avea dato un soldo. Si che continuava a gridar fame; e Bastogi a dichiarare che non sapea come dargli la pappa. Cominciò la Patrie di Parigi a dire che la Francia riconoscerebbe il neonato Regno d’Italia, e il bimbo gridava fame. Il Moniteur ripetè l’articolo della Patrie, ed il bimbo: fame. E i giorni passavano, e l’appetito cresceva. Laonde il barone Bettino Ricasoli chiamò a se il conte Vimercati, e gli disse: — Tornate a Parigi, e pregate l’Imperatore di riconoscere presto questo bimbo, se no possiamo seppellirlo. Avvertitelo che e questione di fame, e che periculum est in mora. —

E Vimercati galoppò di nuovo a Parigi, e da Parigi a Fontaineblau, e gettatosi in ginocchio davanti a Napoleone III, gli baciò il piede, l’assicuro che il nuovo Regno d’Italia pericolava, gli domando in nome della battaglia di Solferino di riconoscerlo il più presto possibile, e gli fe’ promessa che il Regno d’Italia riconosciuto dal Bonaparte, sarebbe stato cosa tutta sua, pronto a tagliarsi anche una mano ed un braccio per darglielo in segno di riconoscenza. E l’Imperatore confermò le fatte promesse, pigliò nota delle cortesi esibizioni, e non andò guari che il riconoscimento del Regno d’Italia apparve sul Moniteur del 25 di giugno.

Ma gli articoli del Moniteur sono belli e buoni, però empiono il venire di vento e non di pane; e il bimbo non puo campar d’aria. Sicché il ministro Bastogi si accinse a tentare una seconda volta la prova, e vedere se i banchieri vogliono dar danaro al neonato Regno d’Italia, riconosciuto dalla Francia come figlio legittimo.

— 53 —

Per la qual cosa presentassi alla Camera dei Deputati, chiedendo la facoltà di contrarre un prestito di 750 milioni, e il 26 di giugno, cioè un giorno dopo il riconoscimento, ebbe principio la discussione.

Di questa noi parleremo pili diffusamente secondo la relazione ufficiale, e divisammo di mandare innanzi a’ nostri articoli la detta storiella che serva loro come di proemio. e uno scherzo, mai nostri Ministri scherzano sempre quando Bi tratta di finanza. Il liberalissimo deputato Saracco diceva il 14 di maggio del 1858: • Noi scherziamo allegramente sopra un vulcano?. E soggiungeva: ? La pubblica coscienza si rivolta contro questo sistema altrettanto facile che rovinoso di colmare nuovi disavanzi che non hanno mai termine con nuove gravezze che non hanno confine?.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_01_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#Senato

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.