STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI VOL. V (III)
IL BRIGANTAGGIO nel Regno di Napoli nato dopo la rivoluzione, non ancora estinto è un argomento su cui si fermerà lo storico dei nostri tempi. Registriamone qualche memoria.
LA QUESTUA DI PERUZZI
CONTRO IL BRIGANTAGGIO
(Pubblicato l’8 e 9 gennaio 1863)
Fa…te… un… po’… di… carità
per l’unità d’Italia!
(Il ministro Peruzzi, frate cercatore).
Dopo tanto gridare contro i frati questuanti, il conte Camillo di Cavour, venuto a termini di vita, mandò pel P. Giacomo, e il ministro dell’interno, cav. Ubaldino Peruzzi, converrò in frati questuanti tutti i prefetti del regno d’Italia! Abbiamo già dato un cenno nella nostra Armonia della circolare che il Sig. Peruzzi scriveva ai prefetti, sotto la data del 1° gennaio 1863, circolare pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale del medesimo giorno, ma gioverà ora discorrerne più lungamente, tanto più che la questua è già incominciata in Torino, dove i frati della prefettura vanno a battere alle porte, e chiedono un po’ di carità contro i briganti per amore dell’unità d’Italia.
Il Peruzzi dice adunque nella sua circolare, che il brigantaggio travaglia da sub inni le popolazioni napoletane. Notate bene questo: da due anni! Soggiunge che il brigantaggio è danno generale d’Italia e leva vigore a tutto il corpo. Ripiglia che il brigantaggio macula la purezza del moto nazionale che ha messo l’Italia nella via d’un infinito avvenire di prosperità e di grandezza.
Poi il Peruzzi si dimentica di questo, e protesta che l’unità d’Italia non teme dal brigantaggio, perché splende della luce sua, e perché è nata dalla unanime volontà dei popoli. Eppure non ostante l’unanime volontà dei popoli, scrive il signor Peruzzi, «la mala erba del brigantaggio tutto isterilisce il suolo di tante Provincie».
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Fermiamoci un momento su queste affermazioni del ministro Peruzzi. Il brigantaggio travaglia da due anni le popolazioni napoletane. Dunque sotto i Borboni le popolazioni napoletane non erano travagliate dal brigantaggio. Dunque il brigantaggio nacque dopo le belle imprese di Garibaldi e de’ successori. Dunque in due anni il forte governo del regno d’Italia non bastò ad estirpare né co’ suoi denari, né co’ suoi soldati la mala erba del brigantaggio. Queste conseguenze derivano a filo di logica dalla dichiarazione del Peruzzi.
Il quale non esita ad aggiungere che il brigantaggio isterilisce tutto il suolo di tante provincie. Dunque lutto il suolo di tante provincie dee essere coperto dai briganti, se no tutto quel suolo non potrebbe essere isterilito. Dunque i briganti non sono un pugno, non sono trecento o quattrocento, come pretende il generale Lamarmora, ma sono tanti da isterilire tutto il suolo di tante provincie. Dunque dopo il risorgimento. d’Italia, ossia da due anni, tutto il suolo di tante provincie trovasi isterilito. Chi oserà negare la legittimità di queste altre conseguenze?
Il signor Peruzzi asserisce che il brigantaggio è una sciagura prodotta dal governo caduto, il quale reggendo i Napoletani «di proposito trascurò di diffondere, tra le loro classi più infime, quei lumi di coltura, quei semi di civiltà, quei principii fecondi di libertà, che infondono nei popoli il sentimento di se medesimi e della dignità del lavoro». Dunque il brigantaggio è proprio opera dei Napoletani, non di forestieri. Dunque è proprio delle classi infime, ossia di quelle classi che si sogliono chiamar popolo, ed a cui si attribuisce la sovranità. Dunque la sciagura del brigantaggio, nata da due anni non esisteva sotto il governo borbonico che l’ha prodotta, e nacque, e cresce, e si allarga sotto il governo che diffonde i lumi di coltura, che sparge i semi di civiltà, che spande i principii fecondi di libertà. E dopo due anni di questi principii, di questi semi, di questi lumi, il brigantaggio non che cessare richiede novantatremila soldati per fargli testa e le circolari del signor Peruzzi 1
II barone Bettino Ricasoli dicea a1 suoi tempi, che il brigantaggio non era cosa politica. Ma pare che Ubaldino Peruzzi sia d’opinione affatto contraria*, vuoi perché lo fa nascere solo da due anni, vuoi perché lo attribuisce alla mancanza dei lumi di coltura e dei semi di civiltà. Ora ci sono due punti che noi non sappiamo in verun modo capire, e il sig. Ubaldino Peruzzi farebbe un’opera santa a spiegarceli. Udite, signor Ubaldino.
Voi dite dapprima che le popolazioni napoletane concorrono non ad ingrossare, ma a combattere le bande dei briganti. Spiegateci dunque come avviene che le bande dei briganti combattute da novantatremila soldati e più dalle popolazioni napoletane, tuttavia in due anni non si sieno potute estirpare? Spiegateci come le popolazioni napoletane, non ostante che l’antico governo abbia trascurato di diffondere tra le loro classi i lumi di coltura e i semi di civiltà, pure concorrano a combattere i briganti? Se attribuite all’educazione dell’antico governo la nascita del brigantaggio, perché non attribuirgli egualmente il merito delle popolazioni che lo combattono, se por lo combattono davvero?
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Spiegateci inoltre, signor Ubaldino, come mai l’unità d’Italia, nata dall’unanime volontà dei popoli, possa essere da due anni oppugnata dai briganti nati dalle classi più infime. Forse che le classi più infime non appartengono al popolo? E se gli appartengono, eppur combattono l’unità d’Italia, questa non pub dirsi nata dalla loro volontà. E se questa volontà ci manca, non possono dirsi unanimi i voleri.
Il cumulo di contraddizioni e di assurdità, in cui cadde il ministro Peruzzi fin dalle prime linee della sua circolare, mostra quanto sia grave questa questione del brigantaggio. Volendo il ministro mendicare qualche scusa, non fe’ che imbrogliarsi e imbrogliare, senza saper neppur egli che cosa si dicesse. Poi finì col ricorrere al solito ripiego di tutti i ministri del regno d’Italia, che quando non sanno più dove dare del capo in questa questione del brigantaggio, tolgono a calunniar Roma. Il Peruzzi trova che il brigantaggio si alimenta «per loro venuto di dove si sarebbe aspettata una parola cristiana di benedizione e di pace», E più innanzi ripete che il fuoco brigantesco è avvalorato dal fomite di Roma.
Sciocche ed assurde calunnie sono queste. Pio IX spogliato ha bisogno dell’elemosina dei figli per vivere, e voi l’accusate di mandar l’ oto ai briganti? E quando pur lo volesse dove prenderebbe quest’oro? E non dite voi che Roma è in mano dei Francesi, e non pretendete che costoro vi sieno amici? E questi vostri amici non impedirebbero che da Roma partisse l’oro per sostenere i briganti? E se poco oro di Roma basta a sostenere il brigantaggio, perché non bastò a sopirlo il molto oro che in due anni voi avete sparnazzato? Son due bilioni che avete speso in ventiquattro mesi, e se è l’oro che fa nascere il brigantaggio, ne aveste in mano abbastanza per soffocarlo!
Ma coteste villane menzogne non meritano neppur l’onore della confutazione (1). Il Peruzzi ha già corso tutte le provincie napoletane, e sa bene d’onde e come nacque il brigantaggio. Egli non potè ritrovare un documento solo per dimostrare che Roma lo fomentasse. Ripete sempre le solite gratuite asserzioni che non hanno nessun peso e ricadono sul suo capo. Dall’altra parte noi potremmo citare a iosa testimonianze di deputati, i quali attribuirono l’origine del brigantaggio non a Roma, bensì allo sgoverno delle provincie napoletane ed al generale malcontento.
Ci contenteremo di arrecare al signor Peruzzi l’autorità non sospetta di due deputati. L’uno è il deputato Musolino, che il 3 dicembre 1861 disse alla Camera: «II brigantaggio a Roma non è sostenuto da Pio IX. Certo Pio IX è amico di Francesco II, e dovrebbero sostenersi a vicenda; ma nello stato attuale delle cose, il Papa non ha interesse immediato, assoluto, necessario di mantenere il brigantaggio, perché egli ne raccoglie innanzi tutto lo svantaggio (1).
(1) Bettino Ricasoli nella circolare che scrisse il 24 agosto 1861, osò dire che il Papa carpiva il Danaro di San Pietro e ne assoldava i briganti. Il Constitutionnel del 6 di settembre dichiarò che la circolare Ricasoli a péché contre l’exactitude. Il Giornale di Roma, il 7 settembre, sbugiardava il ministro; e la Patrie del 9 settembre ci disse che tutte le Potenze che hanno rappresentanti presso la Santa Sede bollarono la circolare Ricasoli come calunniatrice. Ed ora Peruzzi osa ripetere le stesse calunnie!
(1) Atti Uff. della Camera, N. 339, pag. 4344.
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E il deputato Ferrari parlando dei briganti avea già detto che «tanto nel 1799, quanto nel 1814 i padri degli attuali combattenti ricondocevano i Borboni sul trono di Napoli». E l’oratore rincalzava: «Sono briganti, ma hanno una bandiera; sono briganti, ma il partito borbonico sussiste; la sua astensione è visibile in ogni elezione»; sono briganti «ma sono figli delle montagne, inaccessibili nelle ritirate, formidabili nelle sorprese». Sono briganti «ma infine prevalenti contro i militi (2)».
Il ministro Peruzzi non credeva certamente nel settembre del 1860, che nel gennaio del 1863 sarebbe stato obbligato a scrivere una circolare contro i briganti come quella che uscì dalla sua penna! Il dep. Massari sul finire del 1861 aveva osato affermare che il brigantaggio andava diminuendo. «Dal mese di maggio in poi, dicea il Massari il 2 dicembre 1661, il flagello del brigantaggio è scemato (3)». Ora ecco il signor Massari, membro segretario d’una Commissione, che nel 1863 va a Napoli per trovare rimedi contro i briganti! Il Peruzzi nella sua circolare parla degli studi di questa Commissione, che partì appunto la sera del 5 di gennaio, accompagnata dal cav. Pellati, redattore in capo dei verbali e da due uscieri.
Discorreremo in un secondo articolo della Commissione e della sottoscrizione, due armi colle quali ora si vuoi vincere l’inespugnabile brigantaggio. O noi c’inganniamo, o il signor Peruzzi ha trovato che non ci sono fondi sufficienti nelle casse del regno d’Italia per pagare i deputati che vanno a studiare il brigantaggio. Quindi l’astuto ministro dell’interno ha pensato di aprire una sottoscrizione nazionale, che apparentemente si dice per le vittime dei briganti, ma che in realtà sarà per pagare i viaggi, i pranzi, le feste, le accoglienze e disturbi di quei deputati che recaronsi a studiare il brigantaggio. I quali in un certo senso sono vittime dei briganti, in quanto che senza il brigantaggio non si sarebbero mossi da Torino.
II.
Mentre scriviamo queste linee, il piroscafo Governolo corre per alla volta di Napoli carico del dolcissimo peso della Commissione d’inchiesta contro il brigantaggio. Questa Commissione fu decretata dalla Camera segretamente il 16 dicembre, ma quando si venne al punto di nominare i deputati che doveano comporta, ne nacque un solennissimo pasticcio, perché quanti onorevoli erano nominati, altrettanti presentavano la loro rinunzia. Brignone, Mosca, Finzi rinunziarono, e tu pure rinunziasti, o Bettino Ricasoli, con lettera letta dal vice-presidente Poerio nella tornata del 22 dicembre. Nomina, cerca, prega, finalmente la Commissione d’inchiesta restò composta dei seguenti membri: Aurelio Saffi di Forlì, Giuseppe Sirtori di Milano, prof. Antonio Ciccone, Argentino, medico Romeo Stefano di San Stefano in Calabria, avvocato Stefano Castagnola di Chiavari, Giuseppe Massari di Taranto, Sambiase-Sanseverino Gennaro duca di San Donato, medico Giovanni Morelli di Verona, Nino Bixio di Genova. Costoro o in mare o in terra stanno oggidì studiando il brigantaggio.
(2) Atti Uff Tornata del 2 dicembre 4864, N° 337, pag. 4302.
(3) Atti Uff., N° 338, pag. 4305.
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I così detti briganti (1) apparvero sempre a Napoli, ogni qualvolta ne vennero discacciati i Borboni. E v’erano briganti nel reame di Napoli, quando Napoleone I, esautorato il Re legittimo, ne regalava la Corona a suo fratello Giuseppe. Ma non ci ricorda che mai Giuseppe o Napoleone pensassero a combattere il brigantaggio con una Commissione d’inchiesta. Abbiano letto bensì che Napoleone I scriveva al fratello Giuseppe regnante a Napoli: «È necessario fucilare immantinente i briganti tosto che ve ne siano degli arrestati (2)». Abbiam letto che Giuseppe scriveva da Napoli a Napoleone I: «Le Commissioni militari di Salerno, Napoli e Gaeta fanno giustizia dei briganti (3)». Abbiam letto che il colonnello Lebrun faceva sparare contro i briganti, Reyner purgava i paesi e Massena incendiava lo chiese dove si erano trincerati i briganti. Ma che si mandassero deputati a studiare il brigantaggio, non ci venne né letto, né udito mai, e fu pensiero pelasgico del senno italiano raccolto in Torino.
Speriamo che il Governolo avrà fatto o farà buon viaggio, e i commissari giungeranno a salvamento. Ma in che cosa mai consisteranno i loro studi? Interrogheranno i briganti? Il medico Romeo tasterà loro il polso? 0 il chirurgo Morelli farà loro qualche salasso? 0 Massari li arringherà con qualche discorso? 0 Bixio e Sirtori li sfideranno a duello? 0 Castagnola li combatterà cogli articoli del Codice civile, penale e commerciale? O il prof. Ciccone insegnerà loro la civiltà, la libertà e la Costituzione? Noi non sappiam proprio immaginare che cosa faranno i dieci deputati incaricati di studiare il brigantaggio. Però mentre essi studiano, il ministro Ubaldino Peruzzi va a raccogliere. La Commissione d’inchiesta sul brigantaggio è un vero spettacolo che si da al popolo italiano, e con provvido consiglio fu nominato tra i commissarì Sambiase-Sanseverino, Gennaro Duca di San Donato, direttore dei teatri di Napoli. Ora quando in piazza Castello si diverte il pubblico con qualche salto, o capriola, o giuoco di bussolotto, o cose simili, v’ha sempre uno che va col piattello chiedendo i soldi agli assistenti. Quest’uffizio si ha assunto, nel caso nostro, il ministro dell’interno. La Commissione studia, e vuoi dire giuoca, scherza, salta, diverte il pubblico italiano, e Peruzzi col piattello si raccomanda alla buona grazia del pubblico.
Questo è lo scopo della circolare Peruzzi del 1° di gennaio. Alla buona grazia, grida Peruzzi, e mai ciarlatano non fu così eloquente.
(1) Il nome di briganti nel senso in cui si prende oggidì politicamente, è d’origine francese. In italiano brigante vanne da briga, contesa e significò soldato; poi fu traslato a significare uomo di bel tempo, e da ultimo fu preso per lo più in mala parte dandosi di uomo sedizioso, perturbatore dello Stato, rivoluzionario. Il Boccaccio scrive di frate Cipolla, che era il miglior brigante del mondo (Novella, 60, 3). Barrere chiamava briganti gli Inglesi che ti opponevano, in sul cadere del secolo passato, alla repubblica francese. Il 14 agosto 1794 Barrere diceva dalla tribuna francese: «Voi avete già prevenuto i supremi giudizi della posterità contro i briganti inglesi; il loro nome è scritto con infamia negli annali del genere umano e ne’ vostri decreti ».
(2) Mèmoires et correspondance politique et militaire du roi Joseph. Paria, 1853, tom. II, pag. 203.
(3) Loc. cit. tom. IV, pag. 190. Vedi l’Armonia del 24 gennaio 1864, primo articolo: Del nome di briganti.
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Cita il fatto splendido dell’Inghilterra, che soccorre gli operai senza lavoro, invoca la fratellanza italiana, ricorre alla liberalità dei privati; dice loro di dare soldi, perché questi soldi, oltre un significato sociale e morale, avranno anche un significato politico. E Peruzzi porge il piattello, e gridando alla buonagrazia! continua a parlare del dolore delle lunghe angherie sofferte dalle popolazioni napoletane, che pur combattono per coloro che le angariarono, e supplica perché non sieno derelitte dalle provincie sorelle, e invita gli Italiani «a mostrare la sollecitudine di tutta Italia, ed accorrere spontanei a medicare le piaghe che apre il brigantaggio».
Ristamperemo più innanzi nella sua integrità la circolare Peruzzi. Qui lasciando da parte le celie, osserveremo che la questua contro i briganti non recherà nessun vantaggio al regno d’Italia; non recherà nessun danno al così detto brigantaggio; e da ultimo sarà un’imposta pei poveri impiegati.
1° Nessun vantaggio al regno d’Italia. La circolare Peruzzi chiedendo una sottoscrizione per uno scopo politico , com’egli dice, confessa che l’ unità d’Italia abbisogna di una conferma. 0 la sottoscrizione non riesce, e il fiasco sarà solenne; o riesce, e i calunniatori diranno, che il governo ha dato venti lire ad ogni napoletano, perché ne versi cinque contro i briganti. Le sottoscrizioni per avere qualche importanza debbono rassomigliare a quella del Danaro di San Pietro.
2° Nessun danno al brigantaggio. Nulla poterono contro i briganti i Cialdini, i Fumel, i Pinelli, i De Virgilii, coi loro tremendi proclami, nulla le fucilazioni, nulla i villaggi incendiati, nulla Io stato d’assedio. Pensate se otterrà un miglior risultato l’ex-parroco Robecchi che da lire 15, o Nicola Indelli che da lire 10! Anzi i briganti, conoscendo l’importanza politica che si attribuisce al brigantaggio, ne trarranno argomento per sempre più briganteggiare.
3° Un’imposta pei poveri impiegali. Costoro si lagnano con molta ragiona che il capo d’uffizio va troppo spesso pungendoli con qualche nuova sottoscrizione. Ieri si obbligavano gl’impiegati a sottoscrivere pel monumento Cavour, ora si obbligano a dare contro il brigantaggio. E guai all’impiegato che non darà! Lo avranno in conto di brigante, o fautore di briganti, e lo getteranno sul lastrico.
E non abbiamo ancora toccato il lato peggiore della sottoscrizione proposta dal Peruzzi. Imperocché di che cosa trattasi in ultima analisi? L’Italia meridionale é divisa in due parti. Altri si sottomettono al nuovo ordine di cose, e si comportano in modo passivo in faccia al nuovo governo. Altri non vi si vogliono sottomettere, e impugnate le armi, fanno resistenza, e questi sono i briganti. Contro questi ultimi, che sono briganti se volete, ma briganti italiani, si mandano altri Italiani, e i cittadini si bastono coi cittadini, e la guerra civile dura da due anni, e il sangue fraterno bagna le più belle terre d’Italia.
In mezzo a tanto orrore e tanta desolazione, eccoti venir fuori un ministro che chiede danari per premiare coloro che avranno ucciso un maggior numero d’Italiani! e fa questa richiesta in nome dell’unità d’Italia, e in nome della carità cittadina! E vuole che si premii un italiano che avrà ucciso un altro italiano, come si soccorre in Inghilterra un operaio senza lavoro!
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Uno de’ segni del finimondo è gens contra gentem, e questo segno tremendo abbiamo in Italia. E mentre la buona politica, l’amor patrio, il buon cuore consiglierebbero di sedare le ire, e studiare il modo di mettere un termine alla guerra civile, il ministro Peruzzi ha il coraggio di aprire una pubblica soscrizione per renderla più lunga e più feroce da una parte e dall’altra!
La sottoscrizione fu già cominciata a Milano dalla Perseveranza e dal Lombardo. Tra i sottoscrittori nel Lombardo dell’8 gennaio vfè il cavaliere D. Giùseppe Calvi, preposto alla Metropolitana, che da lire 10, e nella Perseveranza dello stesso giorno sono – Prevosti Monsignor Luigi, canonico ordinario della Metropolitana, che da lire 10 – Proposto, parroco e coadiutori di Santa Maria della Scala in S. Fedele, che danno L. 50 – Maestri Monsignor Luigi, canonico ordinario della Metropolitana, che da lire 10 – Carcano Monsignor Filippo, canonico ordinario della Metropolitana, che da lire 10 – Bertoglio sacerdote Cesare, prevosto parroco di S. Tommaso, che da lire 10 come i precedenti. – Costoro non hanno ancor dato un soldo per sostenere il padre comune dei fedeli, il Vicario di Gesù Cristo, ed offrono danari per ricompensare quelli che uccidono i briganti!
Nelle guerre civili il Sacerdote di Dio non dovrebbe entrare che come pacificatore, non mai come istigatore, e i suddetti sacerdoti e Monsignori di Milano non hanno pensato che forse si sono resi irregolari colla loro soscrizione. Noi li invitiamo a studiare le irregolarità ex defectu lenitatìs, e il cap. 1 Distinti. 51, cap. 24 de Homicid. Combattere, o semplicemente animare gli altri a combattere, anche in una guerra giusta, è azione proibita ai sacerdoti, e per cui s’incorre l’irregolarità (cap. 9 Ne Cleric. vel Monach.). Ora che cosa è mai la sottoscrizione contro i briganti, se non un eccitamento ai soldati di ucciderli? Alla coscienza dei Monsignori del duomo di Milano sottomettiamo questo quesito. Veggano e provvedano.
Quanto a noi, in mezzo a tante ire feroci e a tanto sangue, non faremo che udire una voce, la bella e cara voce di Padre, e ripeteremo agl’Italiani quei versi del Manzoni: «Tutti fatti a sembianza d’un solo — Figli tutti d’un solo riscatto – In qual ora, in qual parte del suolo – Trascorriamo quest’aura vital – Siam fratelli; siam stretti ad un patto – Maledetto colui che lo infrange – Che s’innalza sul fiacco che piange – Che contrista uno spirto immortal». – Terribile è questa maledizione del Manzoni! Ma noi non vogliamo essere maledetti contristando il nostro Santo Padre Pio IX. A lui il nostro affetto, la nostra obbedienza, e le nostre sottoscrizioni!
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CIRCOLARE
PER UNA SOTTOSCRIZIONE CONTRO IL BRIGANTAGGIO
(Pubblicato il 9 gennaio 1863).
Non avendo noi riferito che qualche periodo delia circolare Peruzzi, giudichiamo conveniente di qui ristamparla nella sua integrità, come documento per la storia de’ nostri tempi, e come simbolo della presente unità d’Italia, che richiede dal ministro dell’interno simili provvedimenti.
MINISTERO DELL’INTERNO
Circolare ai signori Prefetti.
Torino, 1° gennaio 1863.
Il brigantaggio che travaglia parecchie delle provincie napoletane è danno generale d’Italia. Esso leva vigore a tutto il corpo, se ne ammala principalmente sole alcune membra: e macula la purezza di questo moto nazionale, che ha messa l’Italia dalle umili condizioni, in cui ella era, nella via di un cosi infinito avvenire di prosperità e di grandezza.
il brigantaggio non accusa però le popolazioni dei paesi che esso desola; senza essere loro colpa è una loro nuova sciagura: una sciagura che è come la somma ed il risultalo di tutte quelle che aggravò sopra esse il governo caduto, di proposito trascurando di diffondere tra le loro classi più infime quei lumi di coltura, quei semi di civiltà, quei principii fecondi di libertà, che infondono nei popoli il sentimento di se medesimi e della dignità del lavoro.
Nel disordine che per una qualunque mutazione di stato si sarebbe dovuto in tali condizioni di cose generare, il governo caduto non vedeva nell’avvenire se non quello che vi aveva trovato nel passato, un mezzo di restaurazione.
Di questa speranza le popolazioni napoletane hanno già a quest’ora disilluso quelli che la nutrivano, concorrendo non ad ingrossare, ma a combattere le bande dei briganti che, per la dissoluzione della forza pubblica e per loro venuto di dove si sarebbe aspettata una parola cristiana di benedizione e di pace, si sono formate nel loro grembo.
Pure, quelle bande così sparse e sole, attendate o scorrenti a modo di nemici in terreno nemico, servono agli avversarii dell’unità d’Italia di pretesto a combatterla, preferendo di lasciar credere che abbiano sul suolo d’Italia trovato un alleato che li disonora, che di dichiarare di non trovarne punto.
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L’unità d’Italia splende per la luce sua; è nata dall’unanime volontà dei popoli, né ha bisogno di conferma. Pure il governo si deve preoccupare, perché dove mancano le ragioui, manchino anche i pretesti; perché il fuoco sia spento, quand’ancbe, e prima che il fomite di Roma non sia rimosso; ed è risoluto a pigliare ogni pi ti pronto ed efficace provvedimento, perché la mala erba del brigantaggio, che tutto isterilisce il suolo di tante provincie, sia recisa e svelta tutta.
Quali mezzi a ciò il governo debba da se e sin d’ora adoperare, mentre che gli studii della Commissione d’inchiesta continuano. Ella ne è già stata in parte e ne sarà poi vieppiù particolarmente istruita: ma vi ha alcuna cosa che il governo sente di non poter compiere tutta da se solo, e per la quale provoca per mezzo dei signori Prefetti il concorso della Razione.
Le popolazioni napoletane, che da due anni sentono un flagello, del quale le altre provincie sono libere, hanno pur bisogno di sapere con un segno evidente ohe questo lor male privato è tenuto, quello che è diffatti, male di tutti. – Un fatto nuovo nelle società presenti, un fatto di cui l’Inghilterra, in tutte le parti del suo immenso dominio, da prova oggi così splendida, nel concorrere ai soccorsi degli operai nel Lancashire rimasti per cagione della guerra d’America senza lavoro, un fatto nuovo è questo: che tutte le parti che costituiscono uno Stato, tutte le provincie che lo compongono, tutte le classi nelle quali è distinto, tutti i cittadini che esso numera, sentono ora molto più intimamente che non facessero per il passato di formare un tutto solo, collegato da un vincolo interno di affetto, da un vincolo comune d’interessi per cui e male di ognuno ciò che è male di ciascuno: e la liberalità dei privati,supplisce dove lo Stato, senza allargare di soverchio le sue attribuzioni, od accettare principii sinora riconosciuti funesti, non potrebbe supplire appieno da sé.
In Italia questo concorso del paese avrebbe, oltre questo significato sociale e morale, un significato politico. Il dolore delle lunghe angherie, dei ripetuti danni, delle continue sofferenze ha potuto far entrare in parecchie delle popolazioni napoletane un pregiudizio funesto alla riputazione di stabilità che è il primo fondamento d’ogni Stato, e il primo principio d’ogni Stato nuovo: si sono potute credere derelitte dalle provincie sorelle, ed amate meno delle altre. Qual miglior mezzo a dissipare un così dannoso pregiudizio che quello di mostrare la sollecitudine di tutta Italia accorrere spontanea a medicare le piaghe che il brigantaggio apre nelle famiglie, e premiare il coraggio di coloro, i quali affrontando i briganti difendono sé, le lor famiglie, la lor patria, e purgano il nome napoletano da ogni ingiusta taccia?
Il governo non intende neanche in questa parte restare nel giro della sua azione legittima inoperoso.
Anche ora gli atti di coraggio hanno da esso quelle ricompense che nei confini dei fondi, dei quali dispone e nei modi dalle leggi consentiti può assegnare. Ed esso intende formulare un progetto di legge da presentare nella prossima sessione al Parlamento a fine d’essere a ciò con maggior larghezza abilitato.
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Ha mentre il governo nutre questo disegno, non si può nascondere due cose: primo, che richiederà tempo così, il formulare come il deliberare questa proposta di legge; secondo, che essa non potrà venire al sussidio di quelle sventure domestiche, che meritano dalla pietà dei concittadini un compianto non isterile, né attagliarsi così bene a tutte quelle opere d’amor patrio e di coraggio, che sarebbe debito ricompensare, come la carità privata saprebbe così mirabilmente fare da se.
D’altra parte il governo sente quanto il conforto scenderebbe più dolce nel seno delle famiglie desolate, o all’animo di chi ha ben meritato del paese, se apparisse venire dalla spontanea volontà dei concittadini, anziché dalla forzata imposizione dello Stato.
Il governo sente come pel primo modo produrrebbe molti effetti morali, che nel secondo non può raggiungere; esso sente quanto meglio convenga, che mentr’esso chiede come dovere la virtù del sacrificio, la riconoscenza e la sollecitudine del paese, appresti a premiarla.
Senza quindi rinunziare alla parte che può ad esso spettare, il governo crede bene d’invitare la Signoria Vostra-a promuovere, appena ricevuta questa circolare, una sottoscrizione in tutti i comuni della provincia commessa alle sue cure, in quei modi che le parranno più acconci a far che corrisponda allo scopo, che le son venuto indicando. A questa sottoscrizione il ricco porgerà il suo scudo, il povero il suo obolo: e sarà la somma raccolta applicata al doppio fine di consolare le sventure domestiche da una parte, di premiare gli atti di coraggio dall’altra, dei quali il brigantaggio sia occasione od origine.
li ministero indicherà a sud tempo i modi di far pervenire i fondi raccolti nelle mani delle autorità delle provincie, nelle quali debbano essere distribuiti.
E come chiede il concorso dei privati nel dare, cosi il governo intende chiedere quello dei privati nel distribuire. Perciò i prefetti delle provincie, nelle quali occorrerà o distribuire i soccorsi, o conferire i premii indicati, avranno dal ministero apposite istruzioni, coir? nominare nel capoluogo di provincia una Commissione di cittadini probi e reputati, e nei comuni delle Commissioni che corrispondano con essa; acciocché veri fica ti gli atti a premiare, o le sventure a sollevare, sia, in proporzione delle somme raccolte, dato misurato premio agli uni, e possibile conforto alle altre.
Il Ministra: U. Peruzzi
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SETTEMILA FUCILATI A NAPOLI
( Pubblicato il 21 gennaio 1863 )
Ci scrivono: «la prima risultanza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio fu l’accertare che SETTEMILA sono i fucilati finora. M’intendete? i fucilati, oltre gli uccisi combattendo; i fucilati, cioè, quelli soli che furono legalmente, cioè militarmente uccisi e constatati; constatati, cioè veramente uccisi, neppur uno più del vero, ma forse molti meno del vero».
Questa notizia del nostro corrispondente ci parve gravissima; ma ricercando nel Giornale Ufficiale di Napoli, ricercando negli altri giornali della rivoluzione, ricercando nella stessa Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, e sommando tutti i fucilati che ci annunziarono da due anni in poi, abbiamo trovato che superano i settemila fucilati constatati dalla Commissione d’inchiesta!
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure i Napoletani votarono all’unanimità il plebiscito, vollero all’unanimità sottrarsi all’antico governo dei Borboni, e rinunziata la loro autonomia, nient* altro sospirano che di annetterti al Piemonte! Come tutte queste ufficiali affermazioni si possano conciliare con settemila ufficiali fucilazioni?
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure di questi giorni il governo promuove una sottoscrizione per tutta l’Italia, affine d’incoraggiare la guerra fratricida, e i municipii soscrivono migliaia e migliaia di lire perché non si cessi dal fucilare, ma si fucili ancora, e si fucili di più!
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure l’Imperatore de’ Francesi fa pubblicare documenti, da cui risulta che egli ha domandato riforme al Santo Padre Pio IX, documenti che mostrano come Napoleone III inducesse la Russia e la Prussia a riconoscere il regno d’Italia, documenti, in cui esclude il ricorso alla forza per indurre le città a ritornare sotto gli antichi sovrani; ma nel libro giallo non trovasi un documento solo, da cui risulti che la Francia ha protestato una volta contro tante fucilazioni.
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure Napoleone III, che fece dire già al re Francesco II: Maestà, date la Costituzione, non fece mai dire ai ministri di Torino: Eccellenze, non fucilate più! –
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure sir Guglielmo Gladstone, che già tanto dolevasi e tanto scriveva contro i pretesi patimenti di Poerio, di quel Poerio che ci rappresentava come semivivo, mentre oggidì «mangia, e beve, e dorme, e veste panni»; sir Gladstone, amico e traduttore di Farini, sir Gladstone, così umano, così compassionevole, non ha ancora detto, né scritto una parola sola in favore dei fucilati!
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure, l’8 di aprile del 1856, il conte Walewski nel Congresso di Parigi invocava atti di clemenza dal governo delle Due Sicilie, e consigliandoli al re di Napoli, credeva di rendergli un segnalato servizio; ma finora, né il Walewski né i suoi successori (ingrati!) pensarono di dare questo consiglio e di rendere questo servizio al governo del regno d’Italia.
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Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure si dice, si scrive, si canta che il risorgimento italiano non fu macchiato da una sola goccia di sangue; ma è un puro, nobile, e sublime slancio delle popolazioni!
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure il brigantaggio ben lungi dall’essere spento, continua sempre, ed anzi ringagliardisce, sicché la Camera dei deputati stimò di spedire in quelle contrade una Commissione per ricercare dove e come nascono i briganti, e studiare i rimedi per estirparli!
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure Odo Russel, agente dell’Inghilterra a Roma, calunnia la Santa Sede sognando i cinque o seicento soldati spagnuoli partiti per rinforzare il brigantaggio; ma non dice una parola di coloro che tanti fucilarono, tanti fucilano, e sono tuttavia pronti a fucilare!
Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure Dronyn de Lhuys, il 20 dicembre 1862, scrivea all’ambasciatore francese a Roma, che il territorio protetto dalle armi francesi non doveva servire a preparativi per alimentare la guerra civile; ma non iscrisse ancora al conte di Sartiges, che un governo cosi amato a Napoli dovea una volta fermarsi dal fucilare.
Le fucilazioni a Napoli incominciarono nell’ottobre del 1860. Nel supplimmo al N° 38 del Giornale Ufficiale di Napoli del 20 ottobre 1860 &i leggeva il seguente ordine di Cialdini; «Faccia pubblicare che fucilo tutti i paesani armati che piglio, e do quartiere soltanto alle truppe. Oggi ho già incominciato.
Firmato il generale CIALDINI».
Cialdini incominciava a fucilare. Sono più di due anni, e non s’è finito ancora! Fucilava De Virgilii, e il 2 novembre 1860 pubblicava a Teramo: «I reazionarii presi colle armi alla mano saranno fucilati». Fucilava Curci, fucilava Fumel, fucilava Pinelli, fucilava Galateri, ed ora fucila Lamarmora! E la Commissione d’inchiesta sul brigantaggio scrive in capo a’ suoi studii: SETTEMILA FUCILATI!
I DOCUMENTI FRANCESI
PROVANO CIHE IL GOVERNO PONTIFICIO NON HA NESSUNA PARTE NEL BRIGANTAGGIO.
(Pubblicato il 21 gennaio 1863).
Parigi, 20 dicembre.
Il ministro degli esteri annunzia all’ambasciatore in Roma, avere dall’ambasciatore d’Inghilterra saputo che una banda di cinque o seicento briganti, la più parte spagnuoli o bavaresi, in assisa di soldati francesi, era ordinata in Roma e mandata negli Stati Napoletani.» Vi prego, soggiunge il signor Drouyn de Lhuys, di nulla trascurare per verificare questa informatone, e, ov’essa vi sembri fondata, di chiamare sopra un fatto così grave la più seria attenzione dell’autorità pontificia.
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Il Ministro all’Ambasciatore di Francia a Roma.
Parigi, 1° gennaio i863.
Il ministra informa l’ambasciatore di una pratica fatta presso di lui dal gabinetto inglese per denunciargli «l’estensione che avrebbe preso il brigantaggio nelle provincie napoletane vicine allo Stato Pontificio». Il gabinetto inglese, dopo aver segnalato questo fatto come certo, l’attribuisce alla tolleranza volontaria, se non alla connivenza del governo pontificio. Il gabinetto inglese menziona inoltre il fatto segnalato nel dispaccio precedente di una banda di briganti travestiti da soldati francesi, che sarebbe stata diretta sugli Stati Napoletani. – Il ministro fa nota la sua risposta a lord Cowley, che gli avea comunicato il dispaccio del conte Russi1i. Egli crede i fatti esageratissimi. Per quel che ci riguarda. egli dice, noi abbiamo preso tutte le misure, che la presenza delle nostre truppe poteva permetterci. La sorveglianza delle nostre truppe sulla frontiera non potrebbe essere più attiva. Quanto al fatto dei seicento uomini, non è credibile. Il Cardinale Segretario di Stato e il Papa stesso sanno il valore che noi annettiamo a questo fatto, che cioè il governo pontificio si occupi per parte sua, come noi lo facciamo dalla nostra, a impedire gli armamenti sul suo territorio, e le assicurazioni che abbiamo ricevuto a questo riguardo dal Papa e dal suo ministro erano esplicite quanto potevamo desiderare.
L’ambasciator di Francia al ministro degli esteri.
Roma, 27 dicembre.
«Mi affretto di annunciare a V. E. che dalle ricerche, a cui mi sono dato, risulta che il fatto dei cinque o seicento soldati spagnuoli o bavaresi, è ignorato da tutti coloro che sarebbero in grado di averne contezza, la qual cosa mi autorizza a contestarne l’esattezza. Come ammettere seriamente che una spedizione così importante abbia potuto organizzarsi in un territorio occupato da 18, 000 nostri soldati, all’insaputa della polizia e della gendarmeria francese, e senza che il generale che comanda queste truppe e l’ambasciatore dell’Imperatore abbiano potuto concepirne il menomo sospetto? li, supposto che questa spedizione avesse potuto essere organizzata, come ammettere ancora che essa sia pervenuta a varcare la frontiera, severissimamente sorvegliata dalle nostre truppe precisamente dal lato di Napoli? Simili fatti non potrebbero prodursi senza una intiera complicità da parte delle autorità pontificie; ora, dal mio arrivo in Roma, io mi sono già trovato nel caso di spiegarmi chiarissimamente a questo riguardo, tanto col Santo Padre e il Cardinale Antonelli, quanto collo stesso Monsignor Merode. Mi affretto di soggiungere che, nel momento attuale, l’attitudine del governo pontificio è sotto questo rapporto così pura, come abbiamo il diritto di esigerla».
Il ministro all’ambasciatore a Roma.
Parigi, 3 gennaio 1863.
Il ministro accusa ricevimento delle informazioni contenute nella lettera precedente, e soggiunge: «Il generale di Montebello ne scrisse da parte sua al signor ministro della guerra, e smentisce in termini energici un fatto, che la vigilanza delle nostre truppe non avrebbe mancato d’impedire, supponendo che altri, fuori di noi, avessero potuto tollerarlo!
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DOCUMENTI
IN DIFESA DEL GOVERNO PONTIFICIO
(Pubblicati nellArmonia il 31 gennaio 1863).
La seguente Memoria sui catasti dello Stato Pontificio, non che sui lavori desunti dal materiale censuario, e pubblicati per cura della Presidenza del censo, è stata presentata alla Santità di Nostro Signore Papa Pio IX dall’Eminentissimo e Reverendissimo signor Cardinale Bofondi, presidente del censo.
Beatissimo Padre,
«Allorquando in sullo scorcio del passato secolo decimottavo le condizioni della società andavano gradatamente cangiandosi, ed obbligavano, ove più, ore meno, i varii governi d’Europa a cercare nelle imposizioni quelle risorse che si rendevano indispensabili a sostenere i nuovi dispendi richiesti dalle moderne esigenze del pubblico servigio, i venerandi predecessori della Santità Vostra, per quanto rifuggissero dalla idea di aggravare d’insoliti pesi i dilettissimi sudditi, alla cui felicità erano stati mai sempre esclusivamente intenti, non poterono ciò non ostante non entrare anch’essi nella via delle tasse, sebbene assai più lentamente che gli altri Sovrani non facevano.
«Giusto però mai sempre ed integerrimo nelle sue deliberazioni, il governo Pontificio non appena ebbe concepita la quanto penosa altrettanto inevitabile idea delle imposizioni, rivolse immantinente l’animo ad un equo ripartimento delle medesime, al quale effetto prima doveva offrirsi l’immagine di un bel regolato catasto delle terre.
«Come di ogni altro buon elemento di governo, così di questo non era nel nostro Stato assoluto difetto, anzi aveanvi già antichi censimenti delle rustiche proprietà in pressochè tutti i Comuni che lo compongono, e se ne conta taluuo che avea il suo catasto fin dall’anno 1361, e, per non dir d’altri, quello di Perugia ne possedeva quattro anteriori a quello, di cui si va a tener parola.
«La vita però tutta municipale di quei secoli erasi trasfusa eziandio in questa importante parte della pubblica amministrazione, a cui i Comuni aveano di per se stessi dato opera, senza la generale direzione del governo centrale. Vi si desiderava perciò invano quell’uniformità di concetto, senza di cui la perequazione delle imposte non può ottenersi.
«Ben vide la sapientissima mente dell’immortale Pio VI questo bisogno, ed in principio del suo difficile Pontificato pose l’animo a soddisfarlo. Le leggi sulla generale alligazione delle terre che dal suo governo negli anni 1777 e seguenti furono emanate, benché lasciassero una certa latitudine all’azione municipale nelle relative operazioni, le dirigevano però con generali regolamenti, ed alla superiore dipendenza le sottoponevano della S. Congregazione del Buon Governo. Più uniforme adunque degli anteriori riusciva quel censimento; ma non immune anch’esso da molti difetti. – Né poteva essere altrimenti, dacché in operazione di tanta mole ed importanza il sistema allor prevalente delle assegne non poteva non arrecare i suoi inevitabili inconvenienti per l’arbitrio dei censiti, al quale se era di freno l’azione governativa
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moderatrice delle assegne e direttrice della parte estimativa, non lo era però a tal segno da far sparire ogni ommissione, sia derivante da incuria, sia originata da dolo dei possidenti, né a pareggiare ogni difformità.
«Questi diletti ebbero maggiormente a risentirsi nel principio del corrente secolo, quando i nuovi introdotti sistemi amministrativi suggerirono una centralizzazione governativa, ed imposero quindi la necessità di mettere maggiormente a contributo le forze della proprietà fondiaria, la quale, a dir vero, anche indipendentemente da tali diletti non poteva più trovarsi rispondente in fatto alla descrizione censuaria, dopo le notevoli trasformazioni che i rivolgimenti sociali di quel tempo avevano fatto subire alla coltura delle terre.
«Non appena pertanto la S. M. di Pio VII venne rimessa nel Seggio Pontificale, d’onde era stata per taluni anni iniquamente allontanata, fra le altre cure alle quali intese l’animo provvidentissimo, ebbe eziandio rivolti i suoi pensieri ad un grandioso ordinamento censuario, pel quale col sapientissimo Motu-Proprio del giorno 6 luglio dell’anno 1816 statuì le basi principali e le massime direttive.
«L’Europa sino a quel tempo non avea veduto in questo genere opera più perfetta di quella del censimento milanese, come quella che avea chiamato in suo sussidio la scienza geodetica e le teorie agronomiche. Il programma Pontificio con quel sapiente accorgimento che non isdegna di prendere ad imprestanza il buono da chi ne abbia fatto esperimento, prese il meglio dagli ordinamenti lombardi, lo adattò alla diversa condizione dei luoghi, lo modificò, il corresse, ne formò un tutto assieme, che allo scopo così ben corrispose, da non potersi ideare in questa materia nulla di più provvido e di più giusto.
«Quanto all’esecuzione di un così vasto disegno, non è a dissimularsi alla Santità Vostra che essa non è andata immune da quei difetti, che sono inseparabili da una operazione che non può essere affidata ad una ristretta ed eletta schiera di esperti. È forza però riconoscere che la parte più laboriosa di questo censimento, cioè il rilievo topografico di tutti i territorii soggetti alla Santa Sede, raggiunse se non tutta almeno quella perfezione che solo è sperabile in opere dell’umano ingegno, singolarmente allora che sia soggetta a così svariate indagini e minute specificazioni. Né questo è rìsultamento di poca importanza, imperocché basta una leggiera nozione delle norme seguite nella grafica minuziosa! rappresentazione di tutte le terre, colla divisione non solo delle loro proprietà, ma delle loro coltivazioni pur anco, con tutti gli andamenti delle frequenti comunicazioni e degl’infiniti corsi di acqua, e cori l’esatta rappresentazione d’ogni più piccolo caseggiato, per farsi un’idea del pregio inestimabile di un così ricca materiale, di cui, per questa operazione, l’archivio topografico presidenziale è stato messo in possesso.
Ebbesi già più d’una fiata ad esperimentare la dovizia di questi documenti, ai quali non disdegnarono di ricorrere illustri istituti esteri geografici, allorché ebbero a pubblicare accurate carte rappresentanti questa eletta parte della Penisola. Oltre a ciò niuno ignora di quanto sussidio sia riuscita la topografia cenciaie nell’apertura delle varie linee di strade l’errate, sia per guida degli studi preparatorii, sia pel tracciamento degli adottati
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andamenti, sia per le conseguenti operazioni tanto topografiche, quanto descrittive (1).
«Questo felice risultamento era dovuto singolarmente al provvido regolamento sullo misure, che, dopo mature discussioni tenute nel seno della S. Congregazione del Censo, e dopo accurati studi praticati nella sua direzione generale, era stato pubblicato nel giorno 22 febbraio dell’anno 1817.
«Che se sapiente potè essere riputato questo primo ramo delle discipline censuali, il quale si riferisce alla parte positiva dell’operazione, come positiva è la scienza geodetica, sapientissima ebbe a chiamarsi l’altra ben più ardua serie dei regolamenti, che alla parte estimativa si riferiscono. Si trattava con queste norme di sciogliere spinose questioni di economia pubblica: si avevano a combattere invecchiati pregiudizi, aveasi ad attuare la massima statuita provvidamente nel Sovrano Motu-Proprio, clic la nuova esumazione dei terreni, mentre dove» allontanarsi dal prendere solamente a calcolo la potenza del suolo, conveniva che egualmente schivasse dall’avere unicamente riguardo all’attualità; mentre era mestieri che l’eccessiva industria risparmiasse, a punizione della soverchia trascuratezza, non poteva d’altronde fondarsi su coltivazioni non reali, ma possibili. Conveniva porre in armonia gli usi differenti nelle coltivazioni, le varie combinazioni di produzione dipendenti dal clima e dalla feracità del suolo, onde ottenere tale unità censnale da poter servire di base alla uniforme cifra d’imposizione, che doveva regolare tutte le pubbliche tasse: conveniva basare principii, che servissero di norma a ragionati ed analitici criteri di stima, tanto per ciò che concerne l’estimo catastale, che non può separarsi dall’idea di una lunga durata, quanto per ciò che riguarda le stime private, che hanno in una certa considerazione le attualità e le speciali condizioni, nelle quali si trova il fondo da valutarsi; conveniva infine mantenere quella equità, che è propria di un ben ordinato censimento, su cui basano le pubbliche imposte, e che non può essere mutabile ad ogni sorgere o cadere di albero.
«Come abbia ben soddisfatto a tali esigenze il regolamento per le stime analogo al Motu-Proprio del 3 marzo 1819, e come ancor meglio abbiano giovato all’intento le istruzioni generali per le stime del giorno 11 luglio 1823, nessuno può ignorarlo, sol che mediocremente sia istrutto della materia censuale, perciò che alla parte estimativa si attiene. E tanto ben ordinato corredo di norme analitiche, cui la più severa critica non ha sin qui trovato di che appuntare, e che anzi ha riscosso la universale approvazione
(1) Dalla operazione geodetica, su cui basa il nuovo censimento, risultano le eseguenti notizie riassuntive. Tutto lo Stato Pontificio costituito da 21 provincie, ripartite in 1292 territorii, delineate in 4100 mappe o sezioni, si estende sopra una superficie, che, misurata a così detti quadrati (eguali agli ettari francesi ed alle tornature lombardo-venete) ognuno dei quali è di 10 tavole di mille metri quadrati per ciascuno, si riparto come appresso:
Superficie rust. quad. 3,990,397 pari a chil. quad. 39,904 ed a miglia quad. 47,966
Id. urbana 5,155 52 23
Id. occup. dalle acque 98, 302 983 443
Id. occup. dalle strade 40,609 496 224
Complessivamente quad. 4,113,463 pari a chil. quad. 41,435 ed a miglia quad. 18, 676
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degl’intelligenti, è dovuto a reiterale discussioni di apposite Congregazioni, ove, articolo per articolo, ebbe ad essere cribrato, non senza le opportune consultazioni degli esperti, ai quali per la parte tecnica si ebbe costantemente ricorso.
«Qui però o debito richiamare al pensiero della Santità Vostra una dolorosa verità. Malgrado così sapienti ordinamenti, non ostante le più assidue cure impiegate nella loro attuazione, l’estimo rustico di liuto lo Stato non venne accolto con quella soddisfazione, colla quale erasi fatto plauso alla pubblicazione della alligazione topografica. Nè giovò che ai reclami elevatisi da molte parti sì rispondesse col più ampio sfogo. Il diletti) onde asserivasi viziato sì il concetto graduatorie, sì l’analitica determinazione dei valori dell’unità superficiale, non dipendeva solo, a quanto veniva rappresentato dai deputati delle provincia, da sproporzioni individuali fra ceusito e censilo entro uno stesso territorio, ma si manifestava con maggior evidenza un disaccordo fra Comune e Comune, fra provincia e provincia, fra ispezione ed ispezione. Ben si ebbe ad accorgersi che per quanto unico fosse il regolamento, unica la direzione, potenti i mezzi, coi quali i dieci ispettori, che alla testa di altrettante colonne di periti guidavano sui luoghi l’operazione, erano posti in comunicazione per intendersi fra loro, ed eliminare ogni divergenza: restava sempre una certa latitudine d’interpretazione alle leggi censuarie, qualche arbitrio era inevitabile, qualche varietà di trattamento non poteva non essere occorsa, da giustificare le ripugnanze alla definitiva attuazione.
«Fu allora che per raccogliere, se non in tutto, almeno in parte, il fruito di tanti dispendii, di tante fatiche, di tante sollecitudini, venne nell’anno 1835 attivato provvisoriamente il nuovo estimo, procurando di compensare in qualche parie le reclamale sue sproporzioni, nei ribassi ed aumenti a confronto del preesistente, con una varietà di cifra d’imposta per ogni Comune, cifra però da rendersi unica per lutto lo Stato al compiersi della generale revisione, che fin da allora si statuiva.
«Intanto al catasto piano, di cui fino a quel tempo crasi lamentata l’insufficienza per l’imperfezione del suo sistema descrittivo, puramente e misto di assegna veniva sostituito un altro catasto più ordinato, e che se non raggiungeva la bramata perfezione nell’estimo, rappresentava però un metodo analitico, da cui i possidenti traevano sempre una tranquillante dimostrazione delle loro partite, classificava cori maggior sicurezza le singole proprietà, o riferendosi ad una descrizione topografica, adduceva nelle cancellerie censuali un benefico rivolgimento, donde i censiti traevano ben singolari vantaggi, non solo per la storia dei movimenti delle proprietà, ma pel sussidio che alle reciproche relazioni delle parti interessate è destinata ad arrecare la topografia, che dietro leggiera retribuzione è messa eziandio a profitto degli usi privati.
Chi non vede di quanto gravi dispendii sia destinata ad alleggerire i possessori dei fondi rustici una topografia, che sta sempre a loro disposizione, nelle molteplici occorrenze, nelle quali essa è necessaria, o di divisioni, o di permutazioni, o di verifiche di alterati confini, o di rettifiche di irregolari limitazioni, o di aperture di nuovi mezzi di comunicazioni, o di deviazioni degli antichi?
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L’esperimento che se ne sta facendo da un buon quarto di secolo, dimostra ad evidenza questi vantaggi, fra i quali non ultimo è quello di potersi riconoscere, dopo lungo volgere d’anni, gli smarriti limiti della proprietà (1).
«Sarebbe stato invero desiderabile, che a raccogliere completamente il frutto di tante operazioni la revisione pur anco fosse stata condotta a termine sollecitamente per una definitiva e stabile sistemazione del nuovo estimo. Molte ragioni però si opposero all’adempimento di un simile desiderio. Ed in prima un malaugurato disaccordo fra i primi membri di quella Giunta, che non prima si fu riunita, non sì tosto dovè essere sciolta, ritardò sino al 1842 il vero effettivo inizio di quest’operazione di rettifica. D’altro canto erasi ben veduto quale era stata la causa, per cui il primitivo lavoro non era escito, si potrebbe dir quasi tutto d’un getto dalle mani di troppi periti operanti indipendentemente l’uno dall’altro. Quest’inconveniente consigliava ad affidare la revisione ad una Giunta di periti, che di conserva collegialmente ispezionassero tutti i territorii componenti le varie provincie dello Stato. statuendo ovunque le rettificazioni da introdurre. Questo sistema che d’altronde ebbe ad essere riconosciuto come il più conducente a conseguire l’unità di concetto negli estimi, era naturalmente lungo per se stesso: e tanto maggiormente si protrassero le operazioni della revisione, quando le molte sproporzioni, riconosciute evidentemente nella rivista, obbligarono ad una totale rinnovazione, sì della parte graduatoria, sì del processo analitico degli estimi. Ciò nonostante le perlustrazioni dei periti revisori e le susseguenti visite graduatorie per l’applicazione ai singoli appezzamenti dei giudizi della Giunta sarebbero già da qualche tempo condotte interamente a termine, se la defezione della provincia bolognese non avesse obbligato i principali e subalterni agenti della revisione, che completavano le loro operazioni in quella sol non ispezionata parte dello Stato, a desistere dai loro lavori, ed a ritirarsi nella Capitale poco dopo la metà dell’anno 1859.
(1) L’estimo attivato provvisoriamente nell’anno 1835 offre i seguenti risultamenti:
Superficie rustica quad. 3,990,397 diviso in appezz. 4,029,888 censita scudi 164,426,124
Id. urbana 5,155 in Comuni 1,292 id. 58,529,261
Complessivamente qu. 3,995,552 censiti scudi 222,955,385
Dal che risulta che in quanto al solo rustico
per ogni miglio romano quadrato si ha un estimo medio di scudi 9, 142 –
per ogni chilometro quadrato id. 3, 124 –
per ogni quadrato censuario id. 41 21
per ogni tavola censuaria id. 412
per ogni appezzamento id. 40 90
Che se voglia dividersi t’estimo complessivo rustico ed urbano per la complessiva superficie, si avrà che
ad ogni miglio romano quadrato compete l’estimo di scudi 11, 938 –
ad ogni chilometro quadrato id. 5, 381 –
ad ogni quadrato censuario id. 53 81
ad ogni tavola censuaria id. 5 38
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«Due però delle quattro grandi sezioni, in cui sono ripartiti i dominii della Santa Sede, cioè la sezione delle Marche comprendente cinque provincie, complessivamente censite se. 35, 057, 416, e la sezione Umbro-Sabina costituita da altre cinque provincie del complessivo estimo di scudi 28, 202, 886 hanno avuto la loro definitiva sistemazione degli estimi rettificati, e nella prima si è dato ancora sfogo ai pochi reclami (1). Gran parte della terza sezione, comprendente le provincie adiacenti alla Capitale, è già pressoché in pronto per essere attivata, non mancando che qualche materiale applicazione di calcolo. Solo la sezione che comprende le Legazioni Superiori non potrebbe ultimarsi, senza che la Giunta di revisione ritornasse in campagna, e senza che intavolasse qualche discussione per la definitiva determinazione di taluni non per anco concordati elementi tariffali.
«Che se il nuovo estimo delle provincie attornianti questa Capitale ha patito e patisce tuttora qualche ritardo nella definitiva sua sistemazione, di questo ritardo è da accagionarsi precipuamente la condizione speciale delle possidenze rustiche di questi paesi, ove le servitù di pascolo ed i vincoli enfiteutici rendono così complicato l’allibramento delle partite censuali, ed ove la possidenza soverchiamente frazionata in gran parte dei territorii è tanto soggetta a poco regolari mutazioni fra’ suoi poveri possessori, che lunghe e dispendiose operazioni si rendono necessarie prima di pervenire ad un’esatta sistemazione delle intestazioni, da farsi necessariamente precedere all’applicazione degli estimi riformati. A queste cause, che hanno reso più difficile la sistemazione degli estimi nelle provincie della sezione romana, oda aggiungersi quella riguardante particolarmente la parte topografica delle provincie di Marittima e Campagna, ove i geometri ebbero a condurre in mezzo a grandi impedimenti le loro operazioni geodetiche, sempre sotto l’impressione dello spavento, causato dalle continue escursioni di quelle bande che, nei primi anni dopo la ristaurazione, disgraziatamente le infestarono. Ma più di tutto si oppone alla speditezza delle operazioni l’inerzia poco scusabile nei grandi, e pressoché inseparabile dai piccoli possidenti, le di cui proprietà mancano spesso di sicurezza nella demarcazione dei loro naturali confini.
(1) Nella sezione delle Marche estesa su di una superficie rustica di tavole 8,845,679 divise in appezzamenti 1,282,71 intestati a 93, 924 possidenti, ed importanti un complessivo estimo di scudi 35,057,416 i reclami per male applicata coltivazione, e per aggravio di estimo furono solamente in numero di 298 riferibili ad appezzamenti 1,937 della superficie di tavole 54, 782 censite se. 398, 991: onde è che in questa sezione i reclami sull’estimo riveduto furono sopra una 162ma parte delle sue superficie, ed una 662ma parte degli appezzamenti, in cui è frazionata per un 88ma parte del suo estimo promossi da una 315ma parte dei suoi possessori.
Nella sezione Umbro-Sabina che comprende tavole 9,762,023 divise in appezzamenti 1, 105,095, intestati a 96,334 possidenti ed importanti un complessivo estimo di scudi 28, 2o2,887 non può darsi giusto ragguaglio dei reclami per la ragione che le sopravvenute circostanze di quei paesi impedirono di prendere i reclami stessi in quella considerazione, che avrebbero richiesto, quando si fosse potuto dar loro un conveniente sfogo. Pei titoli però surriferiti non oltrepassarono il numero di 187.
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«Tutto questo tempo però non è inutilmente trascorso. Alle operazioni della revisione sonosi di mano in mano associati, mercé le cure di questa presidenza sussidiata dall’opera dei periti addetti alla revisione, e più d’ogni altro dalla Commissione consultiva, altri importanti lavori, la cui utilità è stata generalmente riconosciuta od apprezzata da ehi era in grado di portarne un giudizio.
«Non incresca alla Santità Vostra che io mi faccia qui a rammentarle le varie opere che il censo ha fatto di pubblica ragione, dopo che i varii materiali del nuovo estimo accumulatisi in questa presidenza, l’hanno messa in grado di farne profittevoli applicazioni.
«E per cominciare da ciò che si attiene al materiale descrittivo, analitico e tariffale, è degno di particolare menzione un volume in foglio di – Documenti statistici pubblicati dalla presidenza generale del censimeuto, onde illustrare le questioni relative alle strade ferrate dello Stato Pontificio -venuto in luce pei tipi Cherubini Sartori d’Ancona fin dall’anno 1847.
«Se pregievole è questa raccolta d’elementi statistici pei lumi che arreca nelle questioni ferroviarie, molto più vanno apprezzate quelle relazioni, indirizzate per la maggior parte alla Santità Vostra, e pubblicate tutte con le stampe sulla compita revisione censuale di ciascheduna provincia; nelle quali è accumulato come il fiore di tutto quelle prezioso nozioni che la Giunta di revisione nelle sue perlustrazioni è andata raccogliendo, non solo in ciò che strettamente si riferisce al censimento, ma ancora per ciò che riguarda i mezzi di comunicazione, i corsi di acqua, l’elevazione sopra il livello del mare dei principali punti culminanti, ed il movimento commerciale, terrestre e marittimo. Ben sei sono i volumi già pubblicati di queste relazioni, alla formazione delle quali ha prestato il suo concorso la scienza agraria colle sue considerazioni sullo stato della agricoltura in ciascuna provincia, ed intorno alla varia influenza esercitante sugli estimi i differenti usi agronomi locali, influenza da aversi a calcolo nella perequazione degli estimi stessi, la meteorologia colle sue osservazioni, e là geologia co’ suoi profili delle roccie, e co’ suoi studi sulla formazione delle terre
« Le notizie statistiche relative alla agricoltura accuratamente raccolte in tali relazioni non saranno accusate di sterile curiosità quando dalla conoscenza dei rapporti diversi si desterà nei coltivatori il desiderio di trovar le ragioni che io tali luoghi favoriscono, in altri contrariano la produzione; e studierassi di vincere queste ultime per quanto l’umana industria può combattere le difficoltà di natura e di abitudine, che sono di ostacolo al prospero successo delle coltivazioni.
«Generalmente sentito era da lungo tempo il bisogno di una sola misura agraria per determinare la superficie dei terreni, misura che secondo le precedenti costumanze soleva esser varia al variar di ogni territorio. Il nuovo censimento non poteva non corrispondere a questo voto con la sua generale misura metrica adottata nella elevazione di tutte le mappe. Questa misura superficiale generalizzata faceva nascere la necessità di ragguagliarla alle differenti misure antiche agrarie dei differenti Comuni dello Stato.
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Altre volte si era dato opera alla pubblicazione di tavole di ragguaglio ad agevolare gli occorrenti confronti, specialmente lineari e superficiali; ma non mai in modo da soddisfare ed al risparmio della spesa, ed a tutte le indagini degli studiosi nella scienza di pubblica economia. Venne quindi in pensiero a questa presidenza di raggiungere questo scopo colla pubblicazione di un volume, che riunisse in un sol corpo gli elementi di unità che avevano costituito i diversi ragguagli lineari e superficiali, estendendoli non solo ai Comuni di Ilo. Stato, ma alle misure altresì dei principali luoghi d’Italia e d’Europa, ed alle misure agrarie degli antichi popoli, confrontale tutte colla misura metrica censuale. L’accuratezza posta dalla Commissione Consultiva in questo lavoro, frutto di lunghe indagini e di ben ponderato disquisizioni, ebbe a fruttare un’accoglienza per parte del pubblico, che superò, a dir vero, ogni aspettazione.
«Animata la presidenza da un sì grande favore che presso tutti aveva trovato questo primo lavoro di ragguagli, fu posto mano ad un secondo volume, in cui a confronto del nuovo sistema metrico di pesi e misure erano riportati tutti i pesi e tutte le misure dei differenti Comuni dello Stato Pontificio con la correlativa corrispondenza resa esatta e sicura in sequela di reiterate interpellazioni rivolle alle varie autorità municipali. Tantoché in questi due volumi si ha una completa, esatta raccolta da servire a qualunque riduzione di estensioni superficiali e lineari, eziandio itinerarie, di pesi e di misure di capacità pei liquidi e pei solidi, tanto per qualunque ancorché piccolo paese della Pontificia giurisdizione, quanto per tutte le principali città degli altri Stati Europei. Vuoisi osservare che oltre la materialità dei ragguagli delle misuro vigenti, si è trattato ancora nelle prelazioni e nelle appendici di quest’opera, con una certa scienza e precisione, del sistema metrico moderno e delle antiche misure, non che dell’antico e moderno sistema monetario.
«Un altro voto aveva pur anco manifestato, non meno di questo giusto e legittimo, la numerosa classe dei possidenti, i quali desideravano avere alle mani in un sol corpo raccolte tutte le leggi, i regolamenti, le discipline, che di mano in mano eransi andate emanando dal dicastero del censo e dalla S. Congregazione del Buon Governo, che avealo preceduto, non solo in ordine alle norme statuite per la formazione dei diversi censimenti, ma per ciò che si riferisce eziandio alla loro conservazione, ed a quelle registrazioni che li rende atti a tener dietro al movimento della proprietà. Ed a questo desiderio ancora si ebbe a dare adempimento da questa segreteria generale della presidenza, colla pubblicazione di una diligente e copiosa raccolta in cinque volumi, ove trovasi riunito o classificato quanto poteva interessare di essere portalo a cognizione del pubblico, col corredo di qualche opportuno ragionamento, che fu all’uopo approntato.
«Queste pubblicazioni, che con tanto favore sono già state accolte, e di cui non solo gli interessati, ma eziandio gli studiosi della materia hanno gustato l’utilità, non sono che un primo saggio di quel molto più esteso e generale profitto che potrà trarsi in appresso dal materiale censuario, quando al compiersi delle operazioni definitive sarà tutto raccolto negli archivi presidenziali, indipendentemente dal diretto scopo, cui esso ha servito, della sistemazione degli estimi.
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Poche sono le questioni di pubblico diritto, pochi i problemi sui mezzi di alimentazione, sul tornaconto delle varie coltivazioni, sulla divisione delle proprietà, pochissimi i quesiti sulla forza dei territorii, sulla influenza delle varie cause nella produzione agricola, cui non sia dato di poter sciogliere col sussidio delle notizie che trovansi sparse nei vari clementi della revisione. Ebbevi già ricorso in qualche straordinaria occasione chi era dalla Santità Vostra preposto a provvedere al buon reggime annonario, e ne ebbe sicuri dati per determinare le risorse alimentarie, meglio assai che non fosse concesso ottenerli per sempre incerto ed infido mezzo delle denuncio od assegno. Vi ebbero ricorso quasi sempre quelli che un qualche lavoro statistico si attentavano di produrre, ed un esempio se ne potrebbe arrecare nella statistica della popolazione pubblicata fin dall’anno 1853, alla quale tutti i dati che sono all’infuori della enumerazione e classificazione degli individui, furono forniti da questo dicastero censuale.
«Un’opera che può in qualche guisa somigliare ad una statistica di popolazione, ma che tanto più grandiosa si presenta per essere nominativa, è l’indice generale di tutti i possidenti sottoposti al paterno reggime della Santità Vostra, opera veramente ardua e colossale, cui non mancò l’animo di sobbarcarsi a questa presidenza. In tale indice si hanno raccolti per ordine alfabetico tutti e singoli i possidenti dello Stato, con a fronte te rispettive urbane e rustiche proprietà, situate nei vari Comuni e territorii, non senza i relativi estremi superficiali ed estimativi. Questa laboriosa raccolta posta insieme coi dati parziali forniti dalle singole cancellerie censuali, a tenore dei suggerimenti ad esse diramati da questo centro direttivo, ha offerto sotto un punto di vista ristretto la forza riunita di ogni ditta di possidenza, benché sparsa in differenti parti, lo che non poteva mai conseguirsi isolatamente negli uffici distrettuali. Pregio di quest’opera è di offrire interessanti nozioni sulla forza generale dello Stato, sulle di lei varie ramificazioni, più o meno ripartite e frazionate, e su quanto può interessare di conoscere in ordine alle condizioni dei possidenti. Per essa vien fatto di avere il loro numero classificato, secondo i limiti della maggiore o minore estimazione; per essa possono istituirsi utili confronti fra il numero delle popolazioni, e quello dei possidenti, fra il ripartimento delle proprietà e l’aumento o decremento del loro valore relativo. Né solo per la generalità dello Stato, ma per la specialità eziandio di ogni provincia e di ciaschedun Comune si hanno dati parziali per conoscere la forza delle proprietà sì rustiche come urbane di ogni ditta, riferibili è vero alle condizioni dell’anno 1852, ma che senza grandi difficoltà potrebbero aggiornarsi anche a qualsiasi epoca posteriore, come difatto verrà eseguito, attivato che siasi per tutto lo Stato l’estimo riveduto.
«Che se questi prospetti, sui quali mi son fatto lecito di richiamare l’attenzione della Santità Vostra, offrono estremi sempre ad estimo censuario, il quale, ove più, ove meno, si allontana però, sempre dal valore venale, anche a questo valore non ha mancato di tener d’occhio, per quanto è riuscito possibile, la presidenza. Un provvido ordinamento emanato nel 1841 prescrisse ai cancellieri di dare trimestralmente una succinta nota dei titoli di cambiamento d’intestazione, indicando i valori di contrattazione a confronto degli estimi censuali per le vendite che si andavano verificando.
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Però quello che è stato fatto somministra un assai interessante materiale, e mostra come il nostro catasto nella sua condizione di dettaglio offra tutti gli elementi per raggiungere con sicurezza quello scopo, a cui, nei paesi non forniti di un simile censimento, devesi provvedere nelle statistiche con mezzi approssimativi e incerti (1)
Nel 1855 è stato però esteso un tale confronto ad ogni specie di trasferimento di proprietà ove sia dato raccogliere l’elemento del prezzo venale o dagli atti stessi, o dalle stime che d’ordinario precedono specialmente le divisioni, o da altre speciali notizie che ai cancellieri sia possibile di procurarsi, col ricorrer talvolta anche alle denuncio, che per tassa di successione o per altri motivi possono ottenersi, classificando sempre i diversi titoli di passaggio, i quali a semplificare l’operazione sono stati divisi in otto particolari categorie. Mercé tali notizie, sulla cui regolarità qui s’invigila, e che sono convenientemente raccolte in appositi registri in questo ufficio presidenziale a territorio per territorio, si può tener dietro alle varie corrispondenze che vanno verificandosi fra i valori contrattati o assegnati e gli estimi censuali, dal che si ha un primo indizio, dopo una certa serie di anni, per promuovere studi più maturi sul maggiore o minor pregio in cui è tenuta la proprietà fondiaria; si può argomentare se l’alzamento o abbassamento del suo valore sia generale o parziale, e si ha una norma per giudicare dello spostamento cui potesse di mano in mano andar soggetto l’estimo censuale a paragone dell’attualità. Dalla ricapitolazione di tali notizie si potè constatare che il movimento delle proprietà verificatosi annualmente in tutto lo Stato per contratti, per successioni, e per altri titoli, ragguaglia approssimamente ad una quattordicesima parte del complessivo estimo tanto rustico quanto urbano (1).
«Ma egli è ornai tempo che questa esposizione delle utili applicazioni della parte descrittiva del eensimento ceda il posto ad un rapido tocco di ciò che ebbe a farsi di pubblica ragione, desumendolo dalla parte topografica. Sarà inutile il ricordare alla Santità Vostra come quel volume di documenti statistici dato in luce a schiarimento delle quistioni ferroviarie, di cui in prima si è fatto motto, andasse corredato di una carta illustrativa dell’Italia centrale dovuta alle cure di questa sezione topografica, e come le relazioni sulla revisione delle varie provincie fossero tulle arricchile delle corrispondenli carte corografiche provinciali, derivanti tulle da una riduzione delle mappe censuali, eseguila nella sezione slessa; e come dalle mappe catastali sia stata desunta la carta dello Stato che per disposizione della Tesoreria generale venne pubblicata fin dal 1837, onde demarcare la fascia bimiliare di divieto, e rappresentare le altre indicazioni doganali.
(1) Dal riassunto di quest’opera voluminosa si rende noto: Che il censimento rustico detto Stato Pontificio conta possidenti 308,459, dei quali 80, 850 posseggono ancora net censimento urbano, il quale è diviso in 186,150 possessori.
Che perciò in media ogni possidenza del censimento rustico si estende su tavole 129 ossia quadrati 12,9.
Che ogni possidenza rustica è divisa ragguagliatamente in 13 appezzamenti con un estimo medio di se. 533.
Che ad ogni possidente del censimento urbano tocca in media un estimo di se. 314,42.
Che in fine conoscendosi da’ ragguagli approssimativi che tutte le produzioni rustiche dello Stato ascendono alla somma di circa quaranta milioni di scudi, ogni possidenza rustica avrebbe una media quota di scudi 129,67, da ripartirsi fra il possessore ed il coltivatore.
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«È piuttosto pregio dell’opera il procurare che non cada in dimenticanza, essere il pubblico debitore agli accurati lavori topografici di questa presidenza delle due migliori piante che esistano di questa Capitale, la prima nel rapporto di uno a 4000, per la sola città, e l’altra nel rapporto di uno a 15, 000 per la città con tulio il suo Suburbio che comprende bene estesi contorni, cioè tutte le vigne suburbane, e la parte più prossima ad esse delle tenute; piante diligentemente messe sui relativi punti trigonometrici rilevati dietro profondi studi ed osservazioni del consultore matematico della presidenza.
«Né sola la città di Roma è stata così accuratamente dal censo rappresentata ed incisa, ma ebbersi la stessa sorte altre principali città dello Stato, come Ancona, Civitavecchia, Ferrara, Ascoli, Urbino, Sinigaglia, Perugia, Pesare, ledi cui piante furono pubblicate tutte nel rapporto di un quattromillesimo del vero, a meno di Sinigaglia, che è nella proporzione di un tremillesimo. Sono ancora in procinto di esser date alla luce nella stessa generale proporzione la pianta della città di Bologna, incisa in tre fogli, quella di Forlì in un sol foglio, e quella delle due città di Camerino e di Urbino in un sol foglio riunite.
«Ma l’opera che farà più onore alla sezione topografica censuale sarà senza fallo una carta topografica dei dominii della Santa Sede, alla quale è ora intento il personale addetto alla sezione stessa. Dopo un primo saggio che fu impresso, ad esperimento del sistema grafico, applicandolo ad un tratto di Comarca, sa cui le varie accidentalità di suolo avessero a vcrificarsi, come sono i Monti Albani, coi colli ed Agro Romano sottostanti, e dopo ch’esso saggio venne sottoposto al giudizio degl’intelligenti, è stata posta mano alla impressione della carta topografica di tutta la Comarca eoll’attaceo delle parti circostanti a più ampio corredo dei fogli, e questo lavoro è compito, e vedrà fra non molto la luce, decorato del nome augusto della Santità Vostra sotto i cui favorevoli auspici confida di essere bastantemente raccomandato al pobblico favore. Oltre questo patrocinio, ;’. cui un tal lavoro principalmente si affida, esso ha fiducia di non riuscire sgradito ai cultori della topografia per lo sviluppo della intera zona geografica che lo comprendesul meridiano medio, che passa. per la cupola di S. Pietro, e per l’accuratezza con cui la rete delle riduzioni censuali è stata messa sopra esatti punti trigonometrici, in parte già noti per le operazioni di valenti geografi, riconosciuti però dagli operatori censuali, e pel sistema col quale è stato rappresentato il movimento del terreno in tutta la Comarca, che a maggior chiarezza dei molteplici rilievi lineari venne limitato all’altezza di cento metri dal livello del mare. Essa è contenuta in nove fogli nel rapporto di uno ad 80 mila, ed ha il vantaggio di offrire esatte le linee di demarcazione di Provincie, di Governi, di Territorii o Comuni, di presentare distinte secondo la loro condizione o classificazione le varie strade, con di più i confini delle grandi tenute nell’Agro Romano, l’indicazione dei rispettivi casali, e delle vie che ai medesimi conducono, non che le strade ferrate e quant’altro possa essere di un qualche interesse.
(1) Vedi la Nota a pag. 167 e 168.
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«In ultimo, poiché non si sarebbe potuto così sollecitamente dar opera alla pubblicazione delle carte delle altre parti dello Stato nella medesima proporzione, e con la stessa minuzia di specificazioni della Comarca; così perché non manchi più a lungo una carta generale dello Stato desunta dalle mappe del censo, che serva principalmente alle indicazioni stradali, e rappresenti un generale movimento del suolo, una se ne sta approntando in un sol foglio nella proporzione di uno a 500 mila, valendosi degli studi geografici fatti a tal uopo in questa sezioambasciatorene topografica.
«Tali sono i lavori cui ha dato opera la sezione topografica, non intralasciando frattanto di dedicarsi al perfezionamento del suo voluminoso materiale, di mano in mano che si è andato verificando il bisogno di correggerlo, di aumentarlo, di aggiornarlo. Oltre i parziali numerosi aggiornamenti di mappe, se ne ebbero a rinnovare, perché riconosciute difettose, ben sessantanove, correggendone, come meno imperfette, diciotto, ed elevandone di nuove, nel numero di undici, per rappresentare le parti che dal Regno di Napoli passarono allo Stato Pontificio nella nuova terminazione.
«Non è questo che un cenno per sommi capi dei lavori, ai quali ha dato opera la presidenza del censo, e che avrebbe potuto ricevere un più conveniente sviluppo se dalla Santità Vostra non si fosse prescritta la brevità. Sembra però bastantemente indicato come i Sommi Pontefici siano stati sempre solleciti nel ripartire con giustizia ed equalità i dazi; come non abbiano risparmiato cure per costituire un censimento che con mappe topografiche offrisse alla perpetuità i passaggi che si verificano in ogni appezzamento dei fondi rustici, conservando a vantaggio dei proprietari la storia dei passaggi stessi, come abbiano studiato di porre in perequazione gli estimi dei fondi in modo che una sola cifra di carico possa regolare lo pubbliche imposte, assimilando coi criteri estimativi quelle differenze che derivano dalle svariate coltivazioni, dalle diversità di clima, dalle feracità dei terreni o dalle particolari costumanze agricole dei varii Comuni. Il Catasto dello Stato Pontificio è sicuramente fra i pochissimi di Europa che presentino una base ragionata sui principii della scienza e della pratica. Esso somministra a ciascun ramo di pubblica amministrazione dati statistici certi e positivi in ciò che concerne la forza di qualsiasi genere di agraria produzione e delle ricchezze delle proprietà rustiche ripartite nei singoli loro possessori; esso arreca ai privati il beneficio di un Cabreo particolare, da potersi con certezza consultare utilmente anche dopo qualche secolo, ed il mezzo di conoscere le importanze delle individuali proprietà, mediante confronti degli estimi censualij coi prezzi venali di contrattazione, e di sorvegliare le amministrazioni di fondi lontani dal proprio domicilio, e di provvedere comodamente a quei miglioramenti, di cui sono capaci. Esso offre infine il modo di procedere ad interessanti pubblicazioni di carte corografiche e topografiche sì parziali che generali; e di fornire al corpo del Genio e dei pubblici lavori elementi certi per procedere con risparmio di spesa, di fatiche e di tempo negli studi di loro istituto.
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«Spera l’umile scrivente che la Santità Vostra con la bontà, di cui è eminentemente fornita, vorrà accogliere questa breve esposizione sui lavori di uno dei più interessanti rami amministrativi del governo, al quale profonde con tanta sollecitudine le paterne sue cure e che con tanta intelligenza promuove gli utili avanzamenti che il progresso della scienza ha saputo suggerire; e con tal fiducia prostrato ai piedi di Vostra Beatitudine implora per sè e per tutti i suoi dipendenti l’Apostolica Benedizione, mentre con sentimenti del più profondo ossequio ha l’onore di confermarsi
«Della Santità Vostra
« Umil. mo Dev. mo. Otib. mo Servitore e Suddito
a Giuseppe Cardinale Bofondi, Presidente del Censo».
(1) Prospetta delle partite e dei relativi estimi che hanno subito movimento nel quartiifnnio dall’anno I8o5 a tutto il 1338 nelle 21 provincia dello Stato Pontificio.
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