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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI VOL. V (IV)

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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI VOL. V (IV)

CIRCOLARE CONTRO I GIORNALI CHE MENOMANO LA FEDE NELL’UNITA’ D’ITALIA

(Pubblicato il 4 febbraio 1863).

Ecco il testo originale di questa circolare, che noi regaliamo al conte John Russel, il quale, tempo fa, discorse nel Paramento inglese della libertà che la stampa godeva in Italia. Ah se fossimo liberi veramente! Ah se potessimo dire ciò che sentiamo nel cuore!

Ai signori Prefetti del Regno,

(Riservata).

Torino, 24 gennaio 1863.

Per molti riscontri comparisce evidente il concerto degli avversari dell’unità d’Italia, e specialmente di quelli stranieri al paese nostro, per attivare con insolito ardore una propaganda nel senso federativo, col solleticare i sentimenti municipali ed usufruire le cagioni dì passeggero malcontento, che sono naturale conseguenza delle trasformazioni politiche, e del difetto di quell’ordinamento nazionale nei varii rami della pubblica amministrazione, cui il ministero e il Parlamento intendono porre un pronto riparo.

Questa propaganda, iniziata ed energicamente favorita dal partilo che ba per organo in Parigi il giornale la France ha stabilito a Napoli ed a Firenze dei giornali aventi appunto i nomi di queste due ex capitali; questi ed altri giornali convengono nelle parti essenziali della loro polemica coi giornali clericali, e con alcuni organi del partito d’azione nel combattere l’unità, che questi ultimi, p. e., la Nuova Europa di Firenze, apertamente dicono inconseguibile colla monarchia costituzionale.

Queste intemperanze non potrebbero essere tollerate senza discapito dell’autorità morale del governo, il quale deve mostrarsi sempre energico e costante avversario di qualsivoglia idea contraria all’unità, senza generare diffidenze nel gran partito nazionale, e senza esporre ad intemperanze intollerabili, del genere di quelle, delle quali fu fatto recentemente segno il giornale Napoli.

Egli è perciò che il sottoscritto, mentre stima conveniente di lasciare la più ampia libertà di discussione, ravvisa però, in quanto all’argomento sovraccennato, indispensabile un’attiva sorveglianza ed un’energica e costante repressione, a termini di legge, contro quella stampa che intende a combattere l’unità d’Italia sotto la monarchia costituzionale della dinastia di Savoia, ed a menomare la fede nel compimento dei destini della nazione, in conformità dei voti del Parlamento; ed è convinto che così operando contro i giornali di qualsia voglia colore avrà il consentimento della pubblica opinione.

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Sebbene il compilo di questa sorveglianza e di questa repressione sia dalla legge particolarmente commesso all’autorità giudiziaria, tuttavia l’autorità politica non deve rimanersi del lutto inoperosa, ed importa invece che si l’una che l’altra si prestino uno scambievole appoggio nella sfera delle rispettive attribuzioni.

Con questo intendimento il sottoscritto invita i signori Prefetti a rivolgere essi pure la loro attenzione sulle intemperanze della stampa, di cui si tratta, e ad essere solleciti di fare officiose comunicazioni ai rappresentanti del pubblico Ministero ogniqualvolta ravviseranno in esso gli elementi necessari per un procedimento.

Mercé queste disposizioni, che saranno dal Guardasigilli partecipate anche ai Magistrati del pubblico Ministero, confida lo scrivente che la sorveglianza e la repressione ricuciranno pronte, costanti ed efficaci, e starà frattanto in attesa di un cenno di ricevuta della presente.

Il ministro U. Peruzzi

DOCUMENTI
SULLA SOTTOSCRIZIONE CONTRO I BRIGANTI
(Pubblicato il 7 febbraio 1863).
Foggia, li 27 gennaio 1863.

(Corrispondenza particolare dell’ Armonia). Non credo vorrà dispiacerle se le fo tenere copia di due circolari, una del prefetto di questa provincia di Capitanata, l’altra del sottoprefetto del circondario di Sansevero, dirette ad animare i loro amministrati a concorrere alla solenne questua intimata all’universo popolo italiano da frate Peruzzi. – La circolare del prefetto porta con sé un altro foglio, che è l’invito che ogni Commissione collettrice di tutti i municipii deve faro per l’oggetto di rispettivi cittadini; e di questa pure le do copia. – Questi tre scritti sono una pruova di più di quella pienissima libertà che anche nelle opere di carità sanno regalare ai popoli i soli governanti rivoluzionar!. E che bella libertà, ti danno a fare questo solenne plebiscito della carità, per dirla alla berrettiana!!! Assai più che la libertà del memorabile primo plebiscito… Trattasi nientemenoche il prefetto De Ferrari vuole segnati i nomi dei sottoscritti e le rispettive somme (e ti manda egli stesso gli elenchi a stampa), affinchè poi egli e possa avere da tali elementi cognizioni per giudicare de’ giusti titoli di benemerenza che verrà ad acquistare oiascun cittadino offerente». — Ed a coloro che non avranno sottoscritto, ovvero avranno contribuito poca somma, impedendo così di rendere splendido il successo di tanta opera umanitaria», come si esprime l’invito, che dirà il signor prefetto?

Qual complimento farà loro? Li designerà forse al pubblico come manutengoli e fautori de’ briganti, e come tali li tratterrà con qualche paterna carezza di arresto, o anche di peggio?…

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Oibò! Non era del decoro di un prefetto dirlo egli stesso. L’arte si conosce bene… Conveniva farlo dire da’ rispellivi munìcipii per mezzo delle Commissioni collettrici, le quali svolgendo alle popolazioni lo spirito delle circolari sulla questua, da quella del ministro a quella del sottoprefetto, ti dicono bello e chiaro che «fra la passività e l’astensione, che significano solidarietà cogli assassini e le spontanee e generose offerte, che fan testimonianza di non dubbia virtù morale e civile, voi non potete e non saprete esitare». Ed a questo oggetto un siffatto invito alle popolazioni si è spedito appositamente stampato dalla stessa prefettura. Va poi e di’ che anche questa volta ci è mancata la cara libertà nel fare il nostro plebiscito, il plebiscito della carità! Provati solo a non far comparire il tuo nomo negli elenchi, od a segnare una piccola cifra, e vedrai. – Sappia dunque il mondo intero, e lo sappia una volta dipiù, che nella sola Italia rigenerata, e specialmente in questa parte meridionale si gode la vera, perfetta e beatificante libertà. Qui poi, segnatamente in questa provincia di Capitanata, siamo gli arcibeatì, gli arcicontcnti, perché siamo arciliberi con questi arciliberissimi inviti che ci vengono fatti da nostri liberalissimi governanti, di concorrere al plebiscito della carità, al danaro dell’unità all’obolo d’Italia.

Ma io domando: a chi e perché si chiede questa soscrizione in questa disgraziatissima provincia specialmente? Si chiede a tutto il popolo; ma si sa che i ricchi ed i proprietarii sono quelli che effettivamente debbono contribuire, quelli cioè che più han sofferto e soffrono per causa del brigantaggio. Costoro dunque, mentre con una mano sono costretti a dare a forza (per esercizio di libertà) i loro be’ ducati, coll’altra si riceveranno umili e supplichevoli un qualche centesimuzzo dalla singolare, liberalissima carità de’ governanti. Oh beatitudine ineffabile d’Italia! Ma questo danaro serve pure per la distruzione dei briganti. Sì?!…. E perché non si attende anche adesso, che si fanno queste collette, alla distruzione de’ briganti, i quali ora più che mai sono i liberi padroni della campagna, che da essi è impunemente passeggiata, fino ad avvicinargi a breve distanza de’ paesi, impedendo alla gente di portarsi al lavoro de’ campi? E poi il sottoprefetto di Sansevero ha pure lo stomaco di dire «che l’obolo dell’unità deve fare il contrapposto coll’obolo di San Pietro, che suona dispotismo!!» In qual senso? Sotto quale rispetto l’obolo di San Pietro suona dispotismo, cioè Italia schiava? L’obolo di San Pietro è la più chiara espressione della vera libertà, che solo la religione cattolica sa dare. Per l’obolo di San Pietro non ci sono né circolari, né inviti di governanti, né offerte di municipii, né commissioni collettrici, né altro di simile. L’obolo di San Pietro è veramente libero e spontaneo, perché frutto della pietà e della religione di cuori cattolici, non infetti dal veleno di sella. Oh! sì: si provino i nostri governanti a darci la piena libertà di contribuire all’obolo di San Pietro, e vedranno allora come assai più di quello, che sono state finora, saranno numerose e ricche le offerte che si faranno al Padre comune de’ fedeli in questa pronuncia specialmente» Ecco i documenti:

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Documento 1°

Copia

Foggia, 13 gennaio 1863.

Prefettura delta Provincia di Capitanata – Gabinetto particolare – Circolare N . 2. – Oggetto. – Commissioni per la soscrizione nazionale.

Appena le sarà pervenuta la presente assieme alle circolari annesse, la S. V. si darà opera sollecitissima per istituire in cotesto Comune la Commissione, di cui è oggetto nelle circolari istesse.

Chiamo lei, signor Sindaco, a farne parte in primo, e come componenti integranti, i capitani di cotesta milizia cittadina, il parroco ed il conciliatore. A questi desidero che la S. V. aggiunga altri tre onesti, operosi ed influenti patrioti che vorrà prescegliere possibilmente fra le diverse classi, come un proprietario, uri capo d’arte ed un agiato popolano.

Istituita la Commissione comi nei era essa immediatamente in collettivo, o dividendosi in sezioni, come meglio si crederà opportuno, ad adempiere il suo compito questuando le offerte.

Su degli elenchi, che s’inviano per facilitare e rendere più esatta l’operazione, saranno raccolte tutte le soscrizioni a cominciare dal soldo, avvertendo di segnare ne’ medesimi i nomi degli analfabeti oblatori.

Detti elenchi, a misura che verranno riempiti, sarà speciale cura della Commissione d’inviarli a me per essere pubblicati, e perché io possa avere da tali elementi cognizione per giudicare de’ giusti titoli di benemerenza che verrà ad acquistare ciascun cittadino offerente.

Le somme che si raccolgono saranno conservate provvisoriamente a cura della Commissione istessa, fino a che nuove istruzioni non verranno dal ministero interni per determinare il modo del versamento e della distribuzione.

Il primo concorso alla soscrizione ed il primo esempio nelle offerte desidero che parta dal Municipio, come quei che rappresenta tutti i cittadini; epperò la S. V. rimane facoltata a convocarlo subito in seduta straordinaria.

Crederei superfluo raccomandare alla S. V. maggior cura e sollecitudine per il buon successo della soscrizione, il quale avverandosi, come son certo, se per me riuscirà di non poco contento e soddisfazione, per lei sarà un grande e pregevole requisito, bastante a farla dichiarare benemerita del paese,

È pregata la S. V. di dare lettura della presente a tutti i componenti la Commissione, e di accusarmene ricevuta.

Il Prefetto DE FERRARI.

Signor Sindaco di

Documento 2°

Copia dell’invito spedilo dalla Prefettura stessa alle Commissioni collettrici.

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Cittadini,

Una soscrizione nazionale è aperta per l’estirpazione del brigantaggio. A rendere splendido il successo dì tanta opera umanitaria non verrà meno al certo il vostro generale concorso, che, se per gli altri figli d’Italia costituisce un alto di patriottismo, per noi è un dovere di riparazione, e sarà nobile prova di virtù civile, di fede e di sacrificio.

Dimostriamo alla patria Comune ed all’Europa che, bisognando una volta finirla co’ ladroni, il paese unanime concorre per mezzi e per opere a compierne la distruzione.

Se ne offre oggi una venturosa e solenne occasione: – Fra la passività e l’astensione che significano solidarietà cogli assassini – e le spontanee «e generose offerte che fan testimonianza di non dubbia virtù morale e civile, voi non potrete, né saprete esitare. Gennaio, 1863.

La Commissione Collettrice.

Documento 3°

Sansevero, 22 gennaio 1863.

Sotto-Prefettura del Circondario di Sansevero in Capitanata. – N. 1,4. – Oggetto. – Riservata.

L’Italia intera offre danaro per sollevare le vittime del brigantaggio, i Municipii concorrono all’opera filantropica, e questa raccolta si è nominata ben a ragione l’obolo dell’Unita, facendo così contrapposto coll’obolo di San Pietro, che suona dispotismo, cioè Italia schiava e divisa.

Sono convinto che i signori sindaci di questo Circondario non vogliano che i loro Municipii si mostrino inferiori agli altri, riflettendo pure che le somme raccolte saranno devolute a benefizio dei proprii amministrati.

Il signor sindaco cercherà di preparare la pubblica opinione, quindi radunerà il Consiglio municipale per deliberare in proposito.

Si attende dallo zelo e patriottismo, che tanto distingue V. S., il più brillante risultalo. Le somme saranno impiegate a sollevare le miserie procurate dai briganti1, ed a premiare gli atti di valore che si compiranno dai cittadini nella guerra che si combatte contro i nemici degli uomini e di Dio.

Voglia accusare ricevimento della presente, ed a suo tempo trasmettere le deliberazioni consigliari in triplo esemplare, uno da ritornarsi munito di visto, l’altro ad uso di questo ufficio, ed il terzo da trasmettersi al superiore ministero.

In esecuzione poi delle istruzioni che cotesto ufficio debbe avere ricevute direttamente dalla regia prefettura, le fo viva preghiera, perché solleciti la nomina della Commissione collettrice delle offerte, scegliendo invece fra coloro che nelle diverse classi diedero già prove di patriottismo, operosità ed onesti.

Ai signori Sindaci del Circondario di

II Sotto-Prefetto Righetti

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IMPOSTE ALLE OPERE PIE

PER IL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato il 1° aprile 1863).

La Gazzetta Ufficiale va pubblicando le offerte pel brigantaggio. Ma fra queste offerte rare sono quelle che provengano dai privali che non sieno impiegati del governo. Anche le Opere Pie contribuiscono a questa soscrizione. Se però altri vuoi sapere con quali mezzi il governo costringa le amministrazioni di questi istituti a partecipare alla soscrizione, legga questa circolare:

PREFETTURA
DELLA PROVINCIA
DI TERRA DI LAVORO GABINETTO

Caserta, 30 gennaio 1863.

Num. 393. Circolare, num. 19.

Oggetto

Soscrizione Nazionale pei danni del brigantaggio

Signori,

II brigantaggio, che da sì lungo tempo travaglia alcune di queste eletta pròvincie, con i suoi atti selvaggi di crudeltà e distruzione, ha sparso il lutto e la miseria in tante famiglie, e ognuno che abbia vera carità di Patria non può non esserne profondamente commosso e addolorato, e non sentire il sacro dovere di concorrere con ogni mezzo a far cessare una tanta sventura, a render meno gravi le sofferenze e la desolazione di tante infelici vittime, asciugandone le lagrime, alleviandone i dolori e i danni.

11 Governo del Re ha già spiegata tutta la sollecitudine richiesta dalla gravita del male, e mentre col concorso di una Commissione Parlamentare aU studiando i mezzi per estirparlo, ha fatto appello alla carità privata, prendendo l’iniziativa di una soscrizione nazionale che ha destato ovunque non solo favore, ma entusiasmo, ed alla quale con pietoso slancio, oltre ogni ordine di cittadini, concorrono da ogni parte d’Italia Municipii e Provincie.

La pubblica beneficenza, che nel suo nobile mandato ha l’obbligo di consolare la sventura, assumere la tutela dell’orfano, e rendersi sostegno all’indigenza ne1 suoi patimenti, non dovrà che seguire le proprie ispirazioni, e le sue nobili simpatie per esercitare un atto tutto proprio del suo santo ufficio e rispondere con affetto all’appello fatto al paese, emulando i sentimenti di pietà e di patriottismo, ohe in molte provincie offrirono Congregazioni di Carità e Amministrazioni di Opere Pie, votando generoso concorso alla nazionale sottoscrizione.

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Epperò le SS. LL. proposte in cotesto Comune all’Amministrazione delle Opere Pie, nella pienezza delle facoltà che concede la legge del 3 agosto 1862 e nella latitudine dei mezzi di cui possono disporre, faranno opera di pietà e di vero patriottismo prestando con nobile gara il loro concorso ad un atto che Terrà’ non solo a sollevare l’infortunio e consolare una sventura domestica, ma sarà in pari tempo un novello attestato di fraterno solidale affetto delle provincie italiane, e di fede inconcussa nei gloriosi destini della patria.

Vorranno quindi le SS. LL. tenere, con la sollecitudine che potranno maggiore, una apposita riunione per deliberare sul concorso delle Opere Pie da esse amministrate nella sottoscrizione suddetta, tenendomi ragguagliato, nel perentorio termine di giorni dieci9 della deliberazione che sarà resa.

Il Prefetto Matr.

Alle Congregazioni di Carità,

alle Amministrazioni di Luoghi Pii di Opere Pie.

IL CONTO DELLA COMMISSIONE BRIGANTICIDA
(Pubblicato il 4 aprile 1863).

L’Opinione ci dice che le spese della Commissione d’inchiesta sul brigantaggio non ascescero che alla meschinissima somma di L. 44,788 e 62 centesimi. Vedete precisione di conti! Furono notati persino i duecentesimi. Oh quando si tratta dei danari del popolo, i nostri onorevoli si guardano bene dal mandare in malora il becco d’un quattrino 1 Sono sessantadue centesimi, che essi spesero per inquirere sul brigantaggio, e si guardarono ben bene dal dire che ne spesero sessantacinque! Ne’ tempi dell’assolutismo si sarebbe detto: che cosa sono tre centesimi di più? Facciamo il conto rotondo, e scriviamo sessantacinque. Ha nei tempi presenti, con coscienze tanto delicate, con un’economia politica così raffinala, i conti si danno colla massima precisione. Epperò siate pure sicuri, che la Commissione del brigantaggio non costò che L. 14,788 e 62 centesimi. Se queste Commissioni si hanno così a buon prezzo, i commissari potrebbero ripartire. La spesa è nulla, e il vantaggio, ah il vantaggio è immenso!

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LE TORNATE SEGRETE DI TORINO
SUI BRIGANTI DI NAPOLI

(Pubblicato il 6 maggio 1863).

Il 4 e 5 di maggio i profani tennero espulsi dalla Camera dei deputati. Gli uscieri gridavano: Procul, procul, e barravano le porte, e tappavano le fessure degli usci, e sopravegliavano gli approcci, mentre gli onorevoli, stretti a consiglio, faceano un po’ di bucato in famiglia, parlando sotto voce, e raccontando le comuni miserie. In quelle due segretissime tornate il dep. Massari lesse la relazione della Commissione, che fu spedita dalla Camera sul cominciare dell’anno per attingere sui luoghi notizie precise dei briganti e del brigantaggio. E’ pare che notizie n’abbia attinte assai, giacché la semplice lettura della relazione doveva durare otto ore. E’ pare eziandio che le notizie fossero pessime, se no ce le avrebbero dette anche a noi. Buone o cattive, la legge ci proibisce di parlare delle tornate segrete della Camera, e noi ce ne laviamo le mani.

Però, pensandoci bene, non ci dovrebbe essere oggidì neppur più un capello di briganti nel regno di Napoli, e il deputato Massari trova ancora materia da discorrerne per otto ore? Imperocché noi ragioniamo e calcoliamo cosi. 1 briganti sono i nemici del regno d’Italia, non é vero? Verìssimo. 1 nemici del regno d’Italia in Napoli sono quelli che votarono pel no nel famoso plebiscito. Non è vero? Vero anche questo. Dunque tanti doveano essere i briganti nel regno di Napoli, quanti furono i no del plebiscito. La conseguenza è giusta? Giustissima. Di fatto il brigantaggio nasceva in Napoli, compiuto appena il plebiscito. Nove giorni dopo la famosa votazione il governatore rivoluzionario di Teramo, De Virgilii, il 2 novembre 1860 pubblicava: e Tutti i comuni della provincia, dove si sono manifestati, o si manifesteranno movimenti reazionari, sono dichiarati in istato d’assedio i reazionari, presi colle armi alla mano, saran fucilati».

Ora, le cifre del plebiscito furono queste: 1,313,376 sì e 10,312 no. Dunque i briganti non potevano essere che 10,312. I quali, da bel principio, si presero a fucilare bravamente. Il Pinelli, da Ascoli, adì 3 febbraio 1861, diceva ai soldati: «Siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto». E Cialdini scriveva per telegrafo al governatore di Molise: «Faccia pubblicare, che fucilo tutti i paesani armati che piglio. Oggi ho già cominciato». E si fucilò nel 1860, si fucilò nel 1861, si fucilò nel 1862, si fucilò nei primi mesi del 1863. Di guisa che il 18 di aprile, a detta del deputato Riociardi, il totale dei briganti fucilati era di settemila cento cinquantuno (Atti Ufficiali, N° 1193, pag. 4643).

Abbiamo adunque le seguenti cifre:

Cifra totale dei briganti 10,312

Fucilati all’aprile del 1863 7,151

Restano briganti 3,171

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Or quanti altri briganti sono in prigione? Lo stesso deputato Ricciardi, nella tornata del 18 di aprile 1863, ci dava la statistica di tre sole prigioni [Atti Uff., N° 1192, pag. 4642). E risultava che v’erano:

Nel carcere di S Maria, prigionieri 1,191

In Campobasso, prigionieri ,043

In Avellino, prigionieri 1,836

Insieme prigionieri 4,040

Dunque restavano vivi 3,171 briganti, ne abbiamo rinchiusi dentro tre sole prigioni del Napoletano 4,040, epperò voi ben capite che a quest’ora briganti non ce ne possono essere più, salvo che si volesse pretendere una cosa impossibile, che cioè fucilati o imprigionati tutti coloro che nel plebiscito dissero no, si mettesse mano a fucilare o imprigionare quegli altri che dissero sì .

Come dunque la Camera il 4 e il 5 di maggio potè spendere ancora due tornate segrete sui briganti e Sul brigantaggio?

DEL NOME DI BRIGANTI
NELLA PRIMAVERA DEL 1860
(Pubblicato l’8 maggio 1863).

La Camera dei deputati ha speso tre lunghe tornate di sei ore ciascuna per udire la relazione sul brigantaggio; e durante queste diciott’ore il presidio raddoppiato della guardia nazionale vegliava per impedire che gli estranei si avvicinassero alla sala. Delle,precedenti tornate segrete venne sempre a subodorarsi alcunché, ma delle ultime finora non si seppe nulla, e quest’alto mistero da luogo a più gravi sospetti a quell’infallibile criterio, che si tace ciò che fa contro di noi. Soltanto i giornali annunziano quest’oggi, e crediamo di poterlo ripetere nell’Armonia, che nell’ultima tornata segreta i deputati discussero se convenisse pubblicare la relazione sul brigantaggio letta dal Massari in nome della Commissione. E gli onorevoli concordemente decisero di no, perché non si potevano far sapere al popolo sovrano certe cose, che l’avrebbero alquanto spaventato, e che dall’Italia poi sarebbero passate a notizia dell’Europa e di tutto il mondo civile. Tuttavia, siccome la Commissione d’inchiesta sul brigantaggio avea proposto alcuni articoli di legge quale rimedio alla formidabile malattia, così dicono che alcune parti della relazione verranno pubblicate come schiarimento di questi medesimi articoli.

Lasciando adunque a’ deputali seppellire segretamente i loro morti, noi pure ci occuperemo di briganti e di brigantaggio , studiando l’origine di questo nome nella primavera del 1860, ossia cercando chi dopo la pace di Villa- franca fosse il primo in Italia a parlare di briganti, e quali uomini si accusarono di brigantaggio.

E in questo studio ci aiuterà il signor Nicomede Bianchi, che nella Rivista Contemporanea del mese di aprile, fascicolo CXIII, parlando del conte

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Camillo di Cavour, e pubblicando sul suo eroe documenti editi ed inediti, ci mise sotto gli occhi le curiose primizie dell’accusa di brigantaggio.

Questa parola incomincia a proferirsi in Italia nel maggio di tre anni fa, dopo la spedizione di Garibaldi in Sicilia, e i primi a scriverla sono il rappresentante di Francesco II, re di Napoli, presso la Corte di Pietroburgo, e il commendatore Carafa, ministro sopra gli affari esteri del re delle Due Sicilie. L’ambasciatore napoletano in Russia, il signor Regina, scriveva da Pietroburgo il 14 di maggio 1860 un dispaccio, dove era detto: «L’indignazione che ha provato l’Imperatore e il principe di Gorciakoff, allorché gli diedi conoscenza del telegramma di V. E., con cui m’informa dello sbarco a Marsala dei BRIGANTI partiti da Genova, è stata proporzionata alle enormità commesse tanto dal gabinetto sardo, che dagli uffiziali inglesi ohe hanno favorito lo sbarco. La postilla dell’Imperatore sul dispaccio in parola che rimandò al ministro degli affari esteri è: c’est infame, et de la part des Anglais aussi» .

E questo dispaccio era una risposta ad un altro che il ministro Carafa avea spedito per le vie telegrafiche agli agenti diplomatici della Corte di Napoli all’estero, per dar avviso dello sbarco de’ Garibaldini a Marsala. Il ministro Carafa si esprimeva così:

«Malgrado avvisi dati da Torino, e promesse di quel Governo d’impedire SPEDIZIONE DI BRIGANTI organizzati ed armati pubblicamente, essi sono e partiti sotto gli occhi della squadra sarda; sbarcati ieri a Marsala. Dica a e cotesto ministero tale atto di selvaggia pirateria promosso da Stato amico».

CARAFA.

Vedete un po’ che orrore! Chiamar briganti coloro che difendevano la libertà, l’Indipendenza, la patria comune! E l’orrore è tanto maggiore, perché l’accusa di brigantaggio non rovesciavasi solamente sui Garibaldini, ma sul conte di Cavour, sul Governo sardo e su tutti coloro che aveano aiutato la spedizioni! di Sicilia. Intorno a ciò troviamo nell’articolo del signor Nicomede Bianchi preziose rivelazioni, e ne faremo tesoro per dimostrare quanta estensione avessero l’accusa di brigantaggio e il nome di briganti scritto dai ministri napoletani nel maggio del 1860.

Il Bianchi prova trionfalmente che Garibaldi conquistò la Sicilia coll’efficace cooperazione del Governo di Torino. E per dimostrare questa tesi, che, quanto a noi non avea bisogno di veruna dimostrazione, il signor Nicomede Bianchi esce ne’ più minati particolari, e racconta cosi:

«Francesco Crispi, che fu uno de’ preparatori pili animosi e operosi di quella rivoluzione siciliana del 1860, poco tempo prima che essa scoppiasse, erasi clandestinamente introdotto nella sua terra materna, e l’avea percorsa per conoscere tostato reale delle cose e portarvi una fraterna parola di incoronamento e di speranza. Ora trovo scritto con abbastanza d’autenticità: che Luigi Farini, dittatore allora dell’Emilia, gli era sfato largo de’ migliori mezzi per condurre a termine tanta difficile impresa, per la quale non bastava il coraggio personale.

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Trovo parimente autenticato dalle migliori testimonianze, che il conia di Cavour, come venne informato del lavoro in corso della Società nazionale ondo portare aiuto alla rivoluzione siciliana per mezzo di una spedizione marittima di volontari, si mostrò tutt’altro che avverso alla medesima» Sono pertanto scritti di sua roano i seguenti avvisi, inviati a chi dirigeva que’ preparativi:

«Villamarina annunzia che si combatte in Palermo, e che l’insurrezione si estende. Carafa invece telegrafa a Canofari tutto essere tranquillo iu Sicilia. Molta agitazione in Napoli, le serva…

«Ho notizia da Napoli del 29, da Messina del 26. Il dispaccio dice: – Qu’on rencontre resistance énergique et qu’il faut gagner le terrain pas à pas. – «Addì 6 aprile 1860, la notizia della rivoluzione di Palermo giunse a Genova per le vie telegrafiche. In quella città l’attendevano Nino Bixio, Crispi, Rosolino Pilo, i quali fino dal mese di febbraio avevano la promessa del generalo Garibaldi, che nel caso di un serio sollevamento in Sicilia egli si porterebbe a prenderne la direzione. Abbisognavano uomini, armi, navi e danari. Italiani di ogni classe, volenti Italia e Vittorio Emanuele, accorsero da ogni parte all’animoso appello del generale Garibaldi. Il quale giudiziosamente vedendo la convenevolezza di raggruppare sotto la sola sua direzione gli apparecchi per le progettate spedizioni, stando egli a Quarto nella villa Spinola, fece chiedere a Giuseppe La Farina se voleva assentire a ciò. L’intendersi fu pronto, e per tal modo vennero posti a disposizione del generale Garibaldi gli efficacissimi mezzi di che disponeva la Società nazionale, fra i quali certamente non doveva calcolarsi per ultimo la segreta cooperazione del Governo di Torino. Garibaldi ben comprese l’utilità grande di siffatto concorso, laonde al La Farina, insistente per accompagnarlo in Sicilia, persuase di rimanere a servire d’intermediario tra lui ed il conte di Cavour.

«La direzione dell’ordinamento e degli apparecchi della prima spedizione vennero affidati a Nino Bixio. Con quella indomabile energia di volontà di mente ed operosità instancabile, che a lui sono proprie, egli giunse a superare moltissime difficoltà. Ma all’imbarco delle armi non potè provvedere da solo; gli venne in aiuto la mano del Governo. L’avvocato Fasella che allora era uno degl’ispettori della questura di Genova, aiutò con due suoi agenti il trasporto dei fucili sul mare. Se in tanto e sì manifesto tramestio d’uomini e di cose nel porto di Genova, di barche cariche d’armi e di munizioni dirette verso la Foce e a Quarto, le autorità governative locali non videro nò seppero nulla, benché fosse appariscente il vigilare severo allo sbocco della Polcevera e al lido di Cornigliano, torna ridicolo il pensarlo e dirlo, non fu per paura o per impotenza ad agire contrariamente, ma sì perché Giuseppe La Farina erasi portato a Genova, munito d’alcune parole iscritte dal conte di Cavour all’Intendente di quella città.

Compiuta felicemente la prima spedizione, divenne urgente il bisogno d’aver armi in pronto per fornire le altre spedizioni che si stavano apparecchiando.

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Per ordine espresso del governo di Torino dall’arsenale di Modena vennero estratti fucili e consegnati a Genova a coloro che oc difettavano. Armi e munizioni da guerra ebbero dal conte di Cavour le due spedizioni capitanate da Medici e da Cosenz. Non potendo 11 Governo di Torino riconsegnare al generale Garibaldi i fucili allogati negli arsenali dello Stato per sequestro anteriore senza incorrere in qualche responsabilità troppo grave, comperò quelle medesime armi e consegnò il danaro ai signori Finzi e Bazzana, che così poterono provvederne altre per condurre innalzi l’impresa siciliana. Se la flotta partì da Genova con l’incarico apparente di tagliare la via allo sbarco dei volontarii sulle costiere siciliane, il conte Persano teneva un biglietto di mano del conte di Cavour, nel quale stava scritto: Signor Conte, vegga di navigare fra Garibaldi e glì incrocicchiatori napoletani; spero che mi avrà capilo» .

Da questa preziosa relazione, che noi confermiamo di tutto punto come verissima, risulta, che nel maggio del 1860 il sig. Carata e il signor Regina, ministri del re di Napoli, osavano chiamare briganti, chi mai? Il conte di Cavour, il generale Garibaldi, e Francesco Crispi, e Nino Bixio, e Giuseppe La Farina, e l’avvocato Fascila, e simili. Ma «Vedi giudizio uman, come spess’erra!» Nel maggio del 1863, ossia tre anni dopo, Nino Bixio è reduce in Torino da un viaggio parlamentare fatto in Napoli per esaminare il brigantaggio, e Crispi e La Farina ed altri studiano rimedi contro i briganti, briganti sono coloro che stanno con Francesco II, ed egli stesso vien chiamato il re dei briganti, e l’autore del brigantaggio. Come mutano le cose e i giudizi in soli due anni!

Quanto a noi, ognuno capisce che diciamo e dobbiamo dire essere briganti coloro che vogliono rovesciare nell’Italia meridionale il presente Governo, non gli altri che atterrarono l’antico. Ci auguriamo però che la storia, raccolti i latti ed esaminate le relazioni d’una parte e dall’altra, possa ripeterò questo nostro giudizio.

IL BRIGANTAGGIO, LORD PALMERSTON
E IL PADRE CURCI
(Pubblicato il 20 maggio 1863).

Chi non conosce il P. Carlo Maria Curci della Compagnia di Gesù? Chi non ha udito lodare in lui l’oratore eloquente, l’ecclesiastico zelantissimo, lo scrittore forbito, il formidabile contro versista? Chi non ricorda come nel 1846 desse fico per dattero al procace Gioberti? Chi non ha letto la sua Divinazione, che fin dal 1849 tesseva la storia degli odierni attentati? Ebbene questo valoroso Gesuita, che fondava nel 1850 la Civiltà Cattolica, che la dirige tuttavia in Roma con coraggio pari all’ingegno, e con ingegno non superato che dall’amore alla Chiesa, il 15 di maggio del 1863 veniva citato da lord Palmerston nella Camera de’ Comuni, come un documento in suo favore!

II telegrafo annunciandoci questa citazione avea convertito il padre Curci nel padre Cucchi, ma oggi i diari di Londra ci recano il suo vero nome.

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Dunque è proprio l’autorità del P. Curci che fu invocata da lord Palmerston in prova delle sue bugiarde asserzioni, ed ceco come.

Giorgio Bowyer, che non da tregua a lord Palmerston e non gli mena buona una sola delle sue impudenze, nella tornata del 15 di maggio lo invitò a recare i documenti di quello che avea asserito nella tornata del 42 dello stesso mese nella Camera dei Comuni. In quella tornata tra le altre cose lord Palmerston avea accusato «il Papa d’esser risponsale degli atti che i briganti, i quali s’armano nel territorio romano, commettono poi nelle terre di Napoli». E insieme col Papa, lord Palmerston accusava i Francesi che non fanno bene la guardia. Cominciamo dal citare una parte di questa tornata della Camera dei Comuni del 12 di maggio, e ciò servirà per meglio intendere la tornata del 15.

Hennessey «muove un’interpellanza al governo per sapere se un dispaccio sia stato ricevuto dal signor Odo Russel, del quale s’era già fatta menzione nella precedente seduta, ed in cui il signor Russell contraddisse un suo primo dispaccio; e nel caso affermativo, chiede se questo dispaccio sia stato spedito al governo francese.

Palmerston. «Io non so, o signori, a che cosa gioverebbe una |diacussione intorno alle parole che scambiarono fra loro il signor Odo Russel ed il generale Montebello, eccetto che ad intorbidare le loro mutue relazioni a Roma. Il signor Russel non fece che confermare quanto egli avea udito, cioè che bande di briganti in uniforme francese avevano passato il confine, ingannando in questo modo le pattuglie italiane. Il generale Montebello negò il fatto, ed il signor Russel non avea parlato che di informazioni ricevute; ma la sola cosa importante di tutta questa faccenda si è che 260 di questi briganti passarono di fatto il confine napoletano. Intorno all’esser poi essi vestiti in uniforme francese, non si può di ciò incolparne la guarnigione francese, non potendosi supporre, che questi abiti militari fossero dati con loro consenso. Il sig. Russell disse al generale Montebello ch’egli sapeva per prova che le assise vecchie dei soldati francesi venivano per solito vendute in ghetto agli israeliti, i quali poi le spedivano ad alcuni conventi (sic) sul confine, dove erano ascose molte armi. I briganti venivano ad uno ad uno a quei conventi (sic), e quindi partivano armati di tutto punto a raggiungere i loro compagni.

«Nel suo dispaccio il signor Russell disse che il generale Montebello gli avea assicurato che questi fatti non erano a sua conoscenza , e che gli dava la sua parola d’onore che nessun uomo armato avrebbe in avvenire passato il confine napoletano. Se qualche cosa di simile genere accadde per Io passato, non si poteva tutt’al più attribuirlo che alla negligenza e noncuranza degli agenti del generale Montebello stesso.

«Io però credo, o signori,che essendo il Papa nelle mani della guarnigione francese, la quale governa di fatto tutto il suo territorio (sic), si potrebbe da questa attendersi alfine una maggiore sorveglianza su quel Comitato borbonico, che ha in Roma la sua sede stabile e permanente, lo non posso occultarvi, o signori, come sia stato detto, il che spero non sarà punto vero,

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che una grande spedizione di briganti doveva passare nel Napoletano in questo mese di maggio.

Lord Manners «domanda se il nobile lord abbia intenzione di deporre sul banco dei ministri i dispacci, sui quali si basavano queste serie accuse contro il Sovrano d’una nazione amica.

Lord Palmerston. «Sarebbe dottrina nuova del tutto, che quando un minierò fa un’asserzione fosse obbligato a provarla con documenti irrefragabili.

«I0 non ammetto questo principio [Udite, udite). Se un ministro legge una carta, è egli obbligato a deporta sul banco ministratale?»

Capite, che magnifica teoria? Un ministro non è obbligato a provare ciò che dice! Egli può calunniare impunemente, e gl’Inglesi, che non credono al Papa, debbono credere alle asserzioni di lord Palmerston. Chi dubitasse ancora della slealtà e della malafede del gabinetto inglese, potrebbe convincersene colla semplice lettura della precedente relazione. Giorgio Bowyer, destro come è, vide il bel giuoco che gli offriva lord Palmerston, e il 15 di maggio, l’incalzò nuovamente, chiedendogli i documenti delle sue asserzioni, e fu allora che il nobile lord si aggrappò al Padre Curci! Ecco la risposta di lord Palmerston a Giorgio Bowyer:

Lord Palmerston. «Se l’onorevole baronetto avesse letto pili attentamente il discorso, al quale egli allude nella sua interpellanza, avrebbe potuto accorgersi che io non fondava la mia risposta su dati positivi. Io non ho alcun documento da deporre sul banco ministeriale. Il fatto si è che io ricevetti di tempo in tempo informazioni assai interessanti intorno al brigantaggio dei Napoletano ed alle persone che vi prendevano parte, ma ove volessi accennare i nomi degli individui, dai quali attinsi simili notizie, io ne saprei così poco come l’onorevole baronetto. (Ilarità).

«lo credo però di poter citare all’onorevole baronetto un fatto che varrà a gettare qualche luce sul Comitato che ha sede in Roma, lo seppi oggi, che il giorno 3 di questo mese il Gesuita padre Curci predicò nella cattedrale di S. Spirito in Roma, dietro ordine del Cardinale Arcivescovo di Napoli, alla presenza dell’ex-re di Napoli e della sua Corte. Nel mezzo del suo discorso, il reverendo Padre disse che egli era dolente di vedere che essi non potevano rassegnarsi ai decreti della Provvidenza. Egli gli rimproverò per avere con promesse di danaro e con iscritti sediziosi agitate continuamente le masse ignoranti dell’Italia meridionale, spingendole ai ladronecci ed agli assassinii. (Udite, udite).

«Il predicatore aggiunse che, mentre essi largivano ingenti somme di danaro per sostenere i briganti, non avevano però un baiocco per i poveri loro concittadini, che morivano in Roma di fame. (Uditet udite), lo sono certo, o signori» che l’onorevole baronetto potrà avere dal Padre Curci esatte informazioni sull’esistenza in Roma di un Comitato borbonico. (Ilarità)» .

Questa risposta di lord Palmerston ci ricorda i tempi del conte di Cavour, quando, stretto fra l’uscio e il muro, se ne usciva con un frizzo, eccitando l’ilarità della Camera.

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Ma dopo l’ilarità viene, o almeno dovrebbe venire la riflessione, e chi riflette, vede che lord Palmerston accusa senza dati positivi senza documenti. Tuttavia il 15 di maggio fu più fortunato del 12, perché il 15 avea saputo il discorso del Padre Curci. E chi l’avea detto a lord Palmerston? Un giornaletto ministeriale di Torino, la Stampa del 10 di maggio, N° 129, la quale pubblicava una pretesa corrispondenza di Roma di questo tenore:

«Per cura dell’eminentissimo Riario Sforza si è stabilito che in ogni prima domenica di tutti i mesi si esponga il Venerabile, si celebri la Messa, vi sia la predica, ed in ultimo la Benedizione nella chiesa nazionale, sotto il titolo dello Spirito Santo dei Napoletani, e che gli emigrati, specialmente la parte più colta, assistano a queste funzioni. Domenica, 3 corrente, cominciò questa pratica, ed il noto Padre Curci, Gesuita, tenne il primo discorso.

«II cennato Padre esordì dicendo che, invitato qual connazionale a parlare ai fratelli, esso, credendo di dirigere le sue parole ai veri emigrati, e non a coloro che per proprio interesse si sono volontariamente condannati all’esilio, e di questi si augurava di non riconoscere neppure uno fra gli astanti, avrebbe seguito la verità, né si sarebbe lasciato imporre dalla reale presenza (perché anche Francesco era presente) qualora il suo dire si giudicasse troppo spinto nel vero.

«Dopo questo esordio ha detto che grave peccato pesa sulla coscienza della emigrazione pel sangue che scorre nelle Due Sicilie, poiché non volendo questa riconoscere lo stato delle cose europee, non volendo ritenere che la restaurazione del loro Sovrano dipende unicamente dalle mani di Dio, il quale solo può pacificare l’Europa ed abbattere le rivoluzioni, si pasce d’illusioni, si sforza di tradurle in atto, e quindi spinge, con la parola in Roma e con gli scritti che fa giungere in Napoli, gente al macello, ecc, ecc.

«Quindi incalzando l’argomento è passato a dimostrare che più si va in alto più cresce il peccato, poiché la diplomazia napoletana e la nobiltà, che sono state la causa di far accrescere di due terzi l’emigrazione in Roma, dopo la caduta di Gaeta, si sono date ai divertimenti, alle crapule, non si mostrano avide d’altro che di onori, hanno abbandonata la classe povera della emigrazione, riducecdola al suicidio per la fame, se la carità di Roma non la soccorresse in parte: che questo procedere era detestabile anche presso la società».

Evidentemente lord Palmerston non fé che recitare alla Camera de’ Comuni la pretesa corrispondenza della Stampa e domani la Stampa convaliderà la sua corrispondenza col discorso di lord Palmerston, lo che ci richiama a memoria la storiella raccontata dal Padre Curci nella sua Divinazione, dei due fanciulli, che sorreggendosi l’un l’altro voleano volar per l’aria e dierono del capo in terra.

Noi non sappiamo se sia vera o falsa la predica del Padre Curci citata dalla Stampa e da lord Palmerston. Sq il Padre Curci ha realmente predicato, mettiamo pegno che non ha predicato nei termini riferiti dalla Stampa e da lord Palmerston, e forse l’egregio Gesuita coglierà quest’occasione per dircene qualche cosa. Ma dato pure che tutto sia vero quanto raccontarono la Stampa e lord Palmerston, che cosa no deriva?

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No derivano questi corollarii:

1° II Papa e il suo governo sono ben lungi dal favorire il brigantaggio, che anzi a Roma si predica contro le così dette spedizioni di briganti.

2° Mentre si accusano i frati di tener mano ai così detti briganti, e di nasconderli ne’ loro conventi, si finisce poi per citare un sol documento. È il documento é un supposto discorso del Padre Curci, il quale si scatena contro coloro che alimentano il brigantaggio!

3° L’emigrazione napoletana ben lungi dal passare il tempo in conventicole, o dar nome alle società segrete, se ne va in Roma ad udirò la predica, ed a ricevere la benedizione di Gesti Cristo sacramentato.

4° Il re di Napoli Francesco 11 insieme con coloro che gli restarono fedeli cospira davanti all’altare del Re dei Re, e del Signore dei dominanti, e sente le prediche del Padre Curci con molta umiltà, e senza dolersi del predicatore.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_02_02_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#pensione

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