STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI VOL. V (V)

CIRCOLARE DI NAPOLEONE III CONTRO I VESCOVI (Pubblicato il 7 giugno 1863).
Il ministro dell’istruzione pubblica e dei culti ha diretto la seguente lettera agli Arcivescovi di Cambrai, di Tours e di Rermes, ed ai Vescovi di Metz, di Nantes, di Orléans e di Chartres:
Monsignore,
Voi avete pubblicato testò, d’accordo con parecchi venerabili vostri colleghi, uno scritto intitolato: «Risposta di parecchi Vescovi alle dimande, che loro vennero fatte relativamente alle prossime elezioni».
Non voglio esaminar a fondo questo scritto. Troppo mi affliggerebbe il vedere che Vescovi francesi, i quali pretendono insegnar al paese i suoi doveri elettorali, affettino di non nominar l’Imperatore, non parlare di quanto è dovuto al Sovrano eletto dalla nazione e non conoscere altra fedeltà che quella, la quale guarda il passato. Permettetemi adunque, Monsignore, di badar soltanto al carattere esterno dell’atto, a cui avete concorso e di esporre a V. E. ciò che è contrario agli obblighi dell’Episcopato.
Ciascuno di voi, Monsignore, è Vescovo d’una diocesi, i cui limiti sono fissati dalle leggi civili e canoniche. Esso dà consulti nell’estensione della sua giurisdizione ecclesiastica ai fedeli che ne chiedono, ed usa abitualmente in simili casi o lettere private o lettere pastorali o circolari. Se il Vescovo, uscendo dalla cerchia delle cose religiose per mischiarsi alle agitazioni e lotte del mondo politico, crede necessario predicare, sotto la personale sua responsabilità, il dovere elettorale, lo predica al gregge di cui è pastore, ma non si dirige alle altre diocesi, interpellando la Francia col mezzo dei giornali. Un tale atto potrebbe infatti essere considerato come una vera usurpazione sulla libertà e competenza dei Vescovi, i quali, senza abdicare alla loro direzione spirituale, non credono utile di trattenere i loro diocesani con questa forma di pubblicità universale.
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Esso costituisce inoltre un eccesso di potere verso lo Stato. Le nostre leggi, Monsignore, non permettono a sette Vescovi di mettere in deliberazione comune i consulti raccolti nelle rispettive loro diocesi e di formare così una specie di concilio particolare, che usurpa il diritto di distribuire nei giornali consulti politici a tntto l’Impero francese.
Il governo di Sua Maestà intende rispettare lealmente la libertà che appartiene a ciascun Vescovo per l’amministrazione religiosa della sua diocesi; ma deve altresì vegliare al mantenimento delle guarentigie dello Stato e dei principii del nostro diritto pubblico, il perché è fermamente risoluto a vietare da quind’innanzi la pubblicazione per mezzo della stampa d’ogni deliberazione proveniente da religiosi raunati senza autorizzazione legale.
Gradite, Monsignore, l’assicurazione dell’alta mia considerazione.
Il ministro dell’Istruzione Pubblica e dei Culti
Rouland.
LA LEGGE SUL BRIGANTAGGIO
(Pubblicato il 31 lugUo 1863).
Pubblichiamo la prima parte della relazione che il deputato Conforti scrisse sulla legge proposta contro il brigantaggio, e crediamo che a confutarla basti qualche parentesi.
Relazione della Commissione composta dei Deputati Massari, Giorgini, Lazzaro, Mancini, Reali, Poerio, De Franchis, Conforti sul progetto di legge presentato dalla Commissione d’inchiesta parlamentare sul brigantaggio.
Signori!
Il Brigantaggio, che da qualche tempo (da quando comandate voi) infesta alcune delle provincie meridionali, non fu distrutto ancora compiutamente (anzi cresce sempre più) non ostante gli sforzi del governo, il valore e l’abnegazione delle truppe e delle guardie nazionali. Poiché il primo bisogno dei popoli è la pubblica sicurezza, la Camera grandemente se ne preoccupava, e quindi nominava una Commissione d’inchiesta composta di nove deputati scelti tra le varie gradazioni, affinché visitasse le provincie napoletane, e diligentemente investigasse le cagioni del male ed i rimedii acconci a guarirlo.
La Commissione parlamentare d’inchiesta eseguì la difficile missione [correndo rischio perfino di essere acchiappata), interrogò magistrati, impiegati, proprietarii, militari e cittadini di ogni ordine; esaminò processi e documenti; insomma fece tutte le possibili ricerche per ottenere una oculata contezza delle cagioni del brigantaggio e dei mezzi addatti a distruggerlo (ma non volle lasciar vedere i documenti neppure ai deputali!
Ritornata nel seno della Camera, la Commissione d’inchiesta per mezzo dell’onor. Massari, suo relatore, fece una esposizione particolareggiata de’ fatti che aveva raccolti, delle impressioni che aveva ricevute durante il suo giro nelle provincie meridionali, narrò distesamente la storia, le cagioni del brigantaggio, e propose i mezzi atti a domarlo.
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A questo fine presentò un ordine del giorno ed un progetto di legge, che lo stesso onorevole Massari, dietro invito della Camera, accompagnò con una sua relazione (letta in seduta segreta).
La Commissione nominata dagli uffizii per riferire intorno al precitato progetto di legge, non crede che torni utile il riandare la storia e le cagioni del brigantaggio, ma non può passare sotto silenzio la precipua cagione del flagello, che percuote l’Italia del Mezzogiorno.
Nel centro della Penisola, o signori, in Roma, capitale d’Italia fin pretendente (e voi non pretendete Roma?) circondato dai suoi satelliti e sorretto dalla reazione europea fa raccolta di gente perduta, la fornisce di armi di mezzi di ogni maniera (come fa se fu spogliato di tutto?) e la spinge nelle contigue provincie meridionali, mantiene relazioni coi malcontenti e coi capi delle bande armate, le quali mettono a ruba ed a sangue quelle infelici contrade. Avrebbe l’ Italia per sua legittima difesa (sic) diritto di occupare quel lembo di terra ( badate alle conseguenze di questa teoria!) ove si accampano gli scherani del pretendente e della reazione, snidarli e punirli de’ loro misfatti. E pure dovette finora rimanersi spettatrice di tanti orrori, perché la capitale d’Italia è occupata dalle armi francesi.
La Commissione, prima di discutere gli articoli del progetto di legge, volle farsi le seguenti questioni:
1° È necessaria una legge speciale sul brigantaggio?
2° È compatibile una legge eccezionale con le libere istituzioni?
Esaminando la prima questione, la Commissione ha facilmente riconosciuto la necessità di una legge speciale. Ed in vero, osservando che sinora fu combattuto il brigantaggio con tutto il vigore e con misure non meno severe di quelle che si riscontrano nel progetto di legge, è stato forse il riconoscere ohe il metodo usato non fu abbastanza efficace (Dopo tante fucilazioni!). Questa inefficacia, secondo il parere della Commissione, deriva non già dalla mollezza onde furono combattuti i briganti, né dalla mitezza delle pene (Pene miti!), che tennero dietro ai loro misfatti, ma sibbene dalla mancanza di un concetto unico, dal difetto di sistema e di ordine (Ottimamente!). Per la qual cosa è necessaria una legge informata da un concetto chiaro e preciso.
Si conferma vieppiù pel suo divisamento la Commissione per la considerazione seguente. La Camera nominava una Commissione parlamentare d’inchiesta. Degli uomini che la composero alcuni appartengono alla maggioranza, altri alla minoranza, e quindi rappresentano i varii partiti della Camera elettiva. Questi uomini, liberali quant’altri mai, naturalmente abborrenti da una legge eccezionale, non dubitarono di proporla al Parlamento, allorché furono profondamente convinti della sua necessità. Ora pare alla Commissione che nessuno sia più competente di coloro, che, dietro mandato della Camera, visitarono le provincie infestate dal brigantaggio, e quindi l’opinione da essi manifestata pare che abbia un’autorità incontestabile.
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Per la qual cosa la Commissione ebbe a concludere che sia necessaria una legge speciale per la repressione del brigantaggio (Potete essere certi che i briganti aumenteranno!).
Venendo all’altra questione, se una legge eccezionale sia compatibile colle libere istituzioni, la Commissione ha osservato: che Io stato di brigantaggio rende immagine dello stato di guerra, anzi è peggiore della guerra. ( È guerra civile). Lo stato di guerra tra le nazioni civili non disconosce i diritti dell’umanità. La guerra ha le sue regole, ha le sue leggi. Coloro che ne trapassano i confini, si rendono segno di riprovazione e d’infamia; la pubblica opinione si solleva contro di loro e gli riconduce a pili miti consigli. Per l’opposto i briganti non sono infrenati né dalla religione, né dalla morale, né dalla pubblica opinione, né dalla disciplina, né dalla legge, di cui sono una Completa negazione.
Ora, siccome in tempo di guerra imperano leggi eccezionali, per qual ragione non debbono imperar altresì leggi eccezionali nello stato di brigantaggio, che è tanto peggiore della guerra? Le più civili nazioni nel corso della loro storia furono costrette a sancite temporanee leggi eccezionali. Quando il brigantaggio, avanzo della guerra civile, infestava alcuni dipartimenti della repubblica francese, i colpevoli di reato di brigantaggio furono sottoposti ai tribunali militari straordinarii. Quindi la Commissione conchiuse che il presento progetto di legge sul brigantaggio fosse compatibile colle libere istituzioni.
Non pertanto questa specie di ripugnanza contro una legge eccezionale sul brigantaggio fa onore agl’Italiani, i quali si proposero di sciogliere un problema nuovo nella storia delle nazioni, di fondare cioè la libertà per mezzo della liberta; ma i generosi sentimenti debbono cedere il luogo in vista del bisogno urgente di ristabilire in alcune provincie la pubblica sicurezza.
GLI OTTO SISTEMI
PER COMBATTERE IL BRIGANTAGGIO
(Pubblicato il 1° agosto 1863).
Dal 1860 si studia e si lavora in Torino ed in Napoli, nella Camera e nel ministero, dai ministri, dai deputati e dai prefetti per combattere quello che chiamano il brigantaggio, e la storia parlerà a lungo di questi studi e lavori, e dei pessimi effetti che sortirono. Volendo noi mettere in un quadro, ad edificazione del lettore, ciò che fu fatto fin qui per liberarsi dai briganti, ci parve di poter ridurre ad otto i sistemi che vennero abbracciati, e tutti finora inutilmente, per cessare nel reame di Napoli quello che il deputato Conforti chiama stato di guerra, anzi, peggiore della guerra. Ecco gli otto sistemi:
1° La libertà – Sistema Cavour.
2° Le fucilazioni -Sistema Cialdini.
3° Lo stato d’assedio – Sistema Rattazzi.
4° La fame-Sistema Fantoni.
5° Le ricompense-Sistema Perruzzi.
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6° Le inchieste – Sistema Ricciardi.
7° La mascalcìa-Sistema De Ferrari.
8° Le leggi eccezionali – Sistema Massari, Conforti, Mancini, Poerio e Compagnia. Scriviamo qualche cenno su questi otto diversi sistemi.
La libertà. Il conte di Cavour sperava in questo grande panacea. Sua nipote raccontò che il Conte, presso a morire, disse de’ Napoletani: «lo li governerò colla libertà, e mostrerò ciò che possono fare di quelle belle regioni dieci anni di libertà. Fra venti anni saranno le provincie più ricche dell’Italia. Non mai stato d’assedio, ve lo raccomando (1)». Erano parole d’un moribondo! La libertà fu accordata ai Napoletani, ma libertà di bestemmiare, di maledire Pio IX
«Francesco II, la libertà di negare la fede, di deridere i miracoli, di cacciare i Vescovi, d’invadere i conventi, di predicare l’eresia, di profanare le chiese. E questa libertà, ben lungi dal risanare, inciprignì sempre più la piaga del brigantaggio. Ancora pochi anni d’una simile licenza, e le provincie napoletane saranno un deserto.
Le fucilazioni. Cialdini cominciò a fucilare, e le fucilazioni furono il suo programma mandato a stampare proprio nel foglio ufficiale di Napoli. Con Cialdini fucilarono De Virgilii, Curci, Pinelli, Fumel. Matteucci approvava il sistema, e scrìveva a Massimo d’Azeglio nel luglio del 1861: «Per ora la cura è chirurgica, e pur troppo anche questa è divenuta una necessità». D’Azeglio rispondeva il 2 di agosto: «A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il Sovrano per istabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno sessanta battaglioni; ed è notorio che briganti e non briganti niuno vuole sapere di noi (1)». E il D’Azeglio condannava il sistema delle fucilazioni e la cura chirurgica del Matteucci: «Agl’Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi con noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate». Ma non per questo le archibugiate cessarono; il sangue fu sparso, e chiamò nuovo sangue, e dalla terra impastata di sangue fraterno germogliarono nuovi briganti. Il sistema di sangue fu in permanenza a Napoli, e, cominciato con Cialdini, continua con Fumel. Il deputato Ricciardi diceva alla Camera il 18 di aprile 1863: «Questo colonnello Fumel si vanta d’aver fatto fucilare circa trecento briganti e non briganti». E continuava: «Da un giornale ministeriale ricavo il numero dei briganti fucilati, perché presi colle armi alla mano, essere ammontato a 1,038, e questi oltre quelli uccisi negli scontri, oltre quelli costituitisi o fatti prigionieri. Il totale è di 7151 (2)».
Lo stato d’assedio. Dal 1860 in poi le provincie napoletane vivono sotto lo stato d’assedio, ma Urbano Rattazzi ebbe il coraggio civile di proclamarlo legalmente tanto nel reame di Napoli, quanto nella Sicilia.
(1) Vedi il racconto della nipote di Cavour nei numeri 173, 174 dell’Armonia, 27 – 29 luglio 1862.
(1) Questa lettera del D’Azeglio leggasi nel numero 189 dell’Armonia , 43 agosto 1861, Direte D’Azeglio amico e fratello dei briganti, perché scrisse quella lettori? Dicendo il vero, non fu che amico della verità.
(2) Atti Uff., N» U93, pag. 4643
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E questo stato d’assedio durò dal 17 e 20 del mese d’agosto 1862 6no al 20 di novembre dello stesso anno. Fu un atto pienamente arbitrario. Carlo Bon-Compagni scriveva: e La costituzione promulgata da Luigi Napoleone dopo il colpo di Stato prescrive (Art. 12) che il Presidente della repubblica, oggi Imperatore, dichiara lo stato d’assedio, ma ne riferisce tosto al Senato. Nel regno d’Italia lo Statuto non assicurerà a’ popoli nemmeno la libertà del 2 Dicembre? (3)». Ma quali vantaggi produsse il sistema Rattazzi? Bon-Compagni ne parlò nelle seguenti linee: «Gli effetti dello staro d’assedio corrisposero alle speranze di coloro che ve lo mantennero, di coloro che se ne rallegrarono? L’imperversare del brigantaggio nelle provincie napoletane, la stampa clandestina e la società di pugnalatori in Sicilia fanno pur troppo dubitare che la cosa sia così (4)». Mette orrore la lista dei fucilati pubblicata nel Giornale Ufficiale di Napoli, dal 6 di settembre al 14 di novembre del 1862 (1). Questo giornale annunziava con piacere che « si è già cominciato a fucilare i ladri occulti e i corrispondenti de’ briganti (2)». Si sarebbe dovuto terminare, e si cominciava! Si cominciava non a fucilare i ladri, ma i ladri occulti, non i briganti, ma i corrispondenti dei briganti!
La fame. Non riuscendo né le fucilazioni, né lo stato d’assedio a cessare il brigantaggio, si ricorse al ripiego di affamare i briganti. Il tenente colonnello Fantoni, addì 9 febbraio 1862 «in seguito ad ordine ricevuto dal signor Prefetto di Lucera» e collo scopo e di addivenire con ogni mezzo il più efficace alla pronta distruzione del brigantaggio», proibì a qualsiasi persona di por piede nei boschi di Dragonaro, di Sant’Agata, di Selvanera, del Gargano, di Santa Maria, di Pietra, di Motta, di Vulturara, di Volturino, di Sammarco la Catola, di Celenza, di Carlantino, nel Macchione di Biccari, nel bosco di Vetruscelle e Case rotte. «Ciascun proprietario agente o massaro dovrà far ritirare dai detti boschi tutti i lavoratori, pastori, caprari, ecc., e tutto il bestiame esistentevi, abbattendo le pagliaio e le capanne, da questo e dalle persone addette alla loro sorveglianza occupate». E il bando proseguiva: «Nessuno d’ora innanzi potrà asportare dai paesi generi di commestibili ad uso delle masserie, né queste potranno possederne più del quanto è strettamente necessario al sostentamento d’una giornata pel numero delle persone addette alle masserie medesime». E poi veniva la pena, e che pena! «I contravventori del presente ordine (che avrà pieno effetto due giorni dopo la sua pubblicazione) verranno trattati, senza eccezione di tempo, luogo o persona, come briganti, e come tali fucilati» . E si avvertiva che non si transigerà minimamente nell’applicazione delle misure stesse (3)». Ma la fame non servì a cessare il brigantaggio, sicché un ingegnere scriveva da Ortona, il 21 di luglio 1862 al ministero di Torino:
(3) Bon-Compagni, il Ministero Rattazzi e il Parlament, Milano presso Gaetano Brigola, 1861, pag. 29
(4) Bon-Compagnl, opuscolo cit. pag. 88
(1) Leggila nell’Armonia, N. 284, del 7 dicembre 1862, pag. 1322.
(2) Giornale Ufficiale di Napoli, del 12 di novembre 1862.
(3) Questo proclama fa stampato in Lacera dalla tipografia di Salvatore Scepi, 1862, e ristampato nell’Armonia, N° 41, del 19 febbraio 1862.
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«A mali estremi, estremi rimedi. Bisogna gettare in sito un’imponente massa di truppe, disarmare il paese, pena la fucilazione, giudizio statario, multe ai Comuni dove si commettono delitti, fuoco ai recidivi, ed alla testa una Commissione militare con pieni poteri. Scrivo senza esagerare da uomo onesto e buon patriota (4)».
Le ricompense. Venne Peruzzi, e sperò di far meglio col raccogliere danari e dare ricompense a tutti coloro che combattessero i briganti. Il 1° gennaio del 1863, pubblicò una circolare, dove lamentava il brigantaggio che travaglia da due anni le popolazioni napoletane, e leva vigore a tutto il corpo, e macula la purezza del moto nazionale, e isterilisce il suolo di tante provincia Propose per ciò una questua per premiare il coraggio di coloro che affrontano i briganti (5). Si raccolsero alcune centinaia di migliaia di lire, pagate dagli impiegati, o da coloro che sospiravano un impiego, e tolte in gran parte dalle casse municipali, e da quelle delle opere pie; ma come finissero quei danari, finora non si sa, ciò che si sa certissimamente si è che il brigantaggio, ben lungi dal diminuire, crebbe a dismisura.
Le inchieste. Già da qualche tempo il deputato Ricciardi aveva proposto che la Camera ordinasse un’inchiesta parlamentare per conoscere le vere cagioni del brigantaggio. Sulle prime si rispose al Ricciardi con una solenne risata, ma sul finire del 1863 l’inchiesta fu proposta da altri, e venne deliberata dalla Camera, nella tornata del 16 dicembre. I deputati, che mossero da Torino per recarsi nel reame di Napoli a studiare i briganti, furono Saffi, Sirtori, Ciccone, Argentino, Castagnola, Massari, San Donato, Morelli, Bixio. Partirono da Genova sul Governolo, il 7 di gennaio del 1863, giunsero a Napoli, si sparsero per le provincie, interrogarono, diluviarono, se la sciallarono, ma più di una volta corsero rischio di cadere vittima degli stessi briganti. Di che affrettarono il loro ritorno a Torino, carichi di documenti e di prove. Ma ogni cosa tennero segretissima, ed un fatto solo non è segreto, il fatto doloroso, che dopo l’inchiesta parlamentare il brigantaggio cresce ed infierisce sempre più.
La mascalcìa. Ed ecco apparire il prefetto di Poggia, il glorioso sig. De Ferrari, che inventa un nuovo sistema per cessare il brigantaggio, sottoponendo a severissime discipline l’arte della ferratura dei cavalli! Il grande prefetto considerando che i briganti si servono di cavalli; che i cavalli sono ferrati; che, se non fossero ferrati, sarebbero assai presto inservibili, e che non sarebbero ferrati, se non vi fossero gli scellerati che li ferrassero, pubblicò un manifesto, dove ordinava che nessuno potesse ferrare i cavalli senza un permesso scritto volta per volta. Si rise in Italia e fuori d’Italia di sì sublime intenzione, ed i briganti continuarono nel loro ufficio più audaci e più sicuri che mai.
(4) L’ingegnere Luigi Tatti dirigente i lavori di costruzione della ferrovia dell’Adriatico. Vedi la Perseveranza del 25 di luglio 1862, e l’Armonia del 26 di luglio, numero 172.
(5) La Gazzetta Ufficiale, del 1° gennaio 1863, e l’Armonia , del 9 gennaio, N. 7,
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Le leggi eccezionali. Questo è l’ottavo sistema, a cui si vuole presentemente ricorrere. La nostra Camera dei deputati nel mattino del 31 di luglio incominciò la discussione d’un disegno di legge presentalo dalla Commissione d’inchiesta parlamentare sul brigantaggio. Napoli avrà fra poco i suoi Comitati di pubblica salvezza, la lista dei sospetti, la costituzione di corpi franchi, prefetti con poteri eccezionali, un delitto speciale definito per suo uso, e pene straordinariamente gravi, fra le quali il sequestro dei beni, la deportazione e la fucilazione. Ma la legge draconiana servirà a sradicare il brigantaggio, o non piuttosto servirà a rinforzarlo e ad aumentarlo? Oh! chi avesse detto nel 1860, che nel luglio del 1863 si proporrebbero leggi eccezionali per governare Napoli! Eppure la cosa è così, e più eloquente del brigantaggio riesce il fatto della Camera, ché se ne occupa presentemente, e discute misure di tanta gravita per reprimerlo. Noi non aggiungeremo commenti, che l’articolo è già lungo abbastanza; solo ripeteremo le parole scritte da Massimo d’Azeglio il 2 d’agosto del 1861: «Gl’Italiani che, restando Italiani, non volessero unirsi doti noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate».
BRIGANTI NELLA CAMERA DEI DEPUTATI!
(Pubblicato il 9 agosto 1863)
Nella tornata del 31 luglio il deputato Lazzaro raccontava: «In una provincia, dei giovani generosissimi, dei giovani liberalissimi, avendo arrestato una donna, la quale portava UN PEZZO DI PANE ad un suo figlio che era 0 SI CREDEVA fra i brigami…, presa questa infelice madre, la legarono, la fecero inginocchiare, ed essi medesimi ordinarono il fuoco e la fucilarono» (Atti del Parlamento, pag. 818). Capite? un tozzo di pane era l’oro che loro inviavano Francesco II e il Papa. E il deputato Miceli soggiungeva: «Furono fucilati dei miserabili, degni di compassione e disprezzo. Uno di costoro non aveva fatto che rubare una pecora. Taluni dei fucilati erano in tale miseria, che mentre andavano al supplizio, uno si tolse le scarpe, e disse ad un AMICO: Porta queste scarpe al mio povero padre; un altro si spogliò del giaco, perché si desse ad un suo figliuolo».
Ecco l’oro di Roma! È continuava il Miceli: «Ho la nota dei briganti uccisi spietatamente e senza ombra di giudizio per colpe leggiere: ho nota delle case abbattute, delle case saccheggiate, il giorno dell’esecuzione, i paesi, e persino i nomi dei muratori che distrussero quelle case».
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