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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI VOL. VI (III)

Posted by on Feb 1, 2025

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI VOL. VI (III)

BONAPARTE E IL CONGRESSO (Pubblicato il 10 novembre 1863).

Sul finire del 1859 levava gran rumore in Europa un libretto, o libello, o libricciatolo che vogliate chiamarlo, intitolato: Le Pape et le Congrès. E lo dicevano scritto da Napoleone IH, o certamente ispirato da lui; e c’era dentro tutto il suo genio, e tutta quella lealtà e franchezza di cui l’Imperatore parlava nel suo discorso del 5 di novembre.

Il Giornale di Roma del 30 dicembre 1859 portava in capo alle sue colonne alcune linee sul libello il Papa e il Congresso, e definivalo «un vero omaggio reso alla rivoluzione, un’insidia tesa a que’ deboli, i quali mancano di giusto criterio per ben conoscere il veleno che nasconde, ed un soggetto di dolore per tutti i buoni Cattolici. Gli argomenti che si contengono nello scritto sono una riproduzione di errori e d’insulti già tante volte vomitati contro la S. Sede, e tante volte confutati trionfalmente, qualunque sia del resto la pervicacia degli ostinati contraddittori della verità. Se per avventura lo scopo propostosi dall’Autore dell’opuscolo tendesse ad intimidire Colui contro il quale si minacciano tanti disastri, può l’Autore stesso essere certo, che chi ha in favor suo il diritto, ed interamente si appoggia sulle basi solide ed incrollabili della giustizio, e sopratutto è sostenuto dalla protezione del Re dei Re, non ha certamente di che temere delle insidie degli uomini».

E dopo il giornale ufficiale romano parlava lo stesso Pio IX e il primo del 1860 diceva al conte di Goyon che l’opuscolo II Papa e il Congresso poteva chiamarsi «un monumento insigne d’ipocrisia, ed un ignobile quadro di contraddizioni» (Giornale di Roma del 3 gennaio 4860).

Le quali proteste e dichiarazioni abbiamo voluto ricordare a que’ Potenti i quali, in Europa, temessero oggidì delle nuove spampanate imperiali. Se essi si appoggiano sulle basi solide ed incrollabili della giustizia, si ridano di tutte le proposte, di tutti gli articoli, di tutti i discorsi, di tutte le circolari. Le insidie degli uomini non valgono nulla contro la protezione del Re dei Re.

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II

Ma come nasceva il libello intitolato Il Papa e il Congresso? I due Imperatori, l’Austriaco e il Francese, s’erano abbracciati e baciati a Villafranca, e il 10 novembre del 1859 avevano stretto il trattato di pace di Zurigo, quando l’11 dello stesso mese ed anno uscì fuori una nota del Monìteur in cui parlavasi di un Congresso che verrebbe proposto dalla Francia e dall’Austria. «I lavori della conferenza di Zurigo, diceva il Moniteur, sono compiuti, i trattati vennero sottoscritti iersera. 1 governi di Francia ed Austria si sono messi d’accordo affine di promuovere la riunione di un Congresso, che piglierà comunicazione dei trattati di Zurigo, e delibererà circa ai mezzi più atti a fondare la pacificazione dell’Italia sovra basi solide e durevoli».

La proposta di questo Congresso pareva leale. Il nostro S. Padre Pio IX accettavala di gran cuore, e il suo fedele ministro il Cardinale Antonelli stava in sulle mosse per intervenire al Congresso. Ma la rivoluzione noi vedeva di buon occhio e lo temeva moltissimo. Lo stesso Moniteur di Parigi nel suo n° del 12 novembre pubblicava: «Le assemblee dell’Italia centrale hanno offerto la reggenza al Principe di Carignano. Tale risoluzione è rincrescevole in presenza della prossima riunione di un Congresso europeo chiamato a deliberare sugli affari d’Italia, poiché essa tende a pregiudicare le questioni che ci saranno trattate.

Però mentre il Bonaparte dolevasi così amaramente delle assemblee rivoluzionarie, egli stesso, coll’opuscolo Il Papa e il Congresso, ne secondava le opere. Imperocché non solo pregiudicava le questioni da definirsi, ma francamente diceva che doveansi togliere al Papa le Romagne, e attribuiva al Congresso una autorità superiore ad ogni principio, ad ogni diritto, ad ogni giustizia. Insomma manifestava tali idee, ed emetteva tali pretese che il Congresso andò bravamente in fumo, e il Conte Russell ebbe pili tardi a scrivere che l’opuscolo Il Papa e il Congresso aveva fatto perdere a Pio IX le sue migliori provincie.

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III

Dunque non è oggidì la prima volta che parlasi di un Congresso europeo? No, non è la prima volta. Dopo il Congresso di Parigi nel 1856 che Lamartine bellamente e giustamente definì una dichiarazione di guerra sotto una segnatura di pace – l’origine del caos Europeo – la morte del diritto pubblico in Europa; dopo quei famosi protocolli è già la terza volta che si parla di radunare un nuovo Congresso.

Se ne parlò nel 1859 prima della guerra di Lombardia, e cominciarono a discorrerne gli opuscoli parigini e principalmente quello intitolato Un Congrès et non la guerre, Paris 1859. Poi ne fece la proposta formale, addì 18 di marzo, il principe di Gortshakoff ministro in Russia sopra gli affari esteri.

Il Moniteur francese scrisse a que’ dì: «La Russia propose la riunione di un Congresso per prevenire le complicazioni che lo stato dell’Italia poteva far nascere e che sarebbero capaci di turbare il riposo dell’Europa».

Napoleone III nel suo discorso del 5 di novembre 1863, confessava d’aver avuto, durante la guerra del 1859, il leale appoggio della Russia. Forse la Russia lo spalleggiava colla proposta del Congresso, come oggidì il Bonaparte intende, colla stessa proposta, di recare aiuto e riamicarsi la Russia. L’Austria se ne accorse, e stanca di essere palleggiata, ruppe gl’indugii, e dichiarò guerra al Piemonte. E il Congresso andò a monte per opera dell’Austria.

L’Invalido Russo, dopo la pace di Villafranca, chiedeva un Congresso Europeo, non solo per gli affari d’Italia, ma per quelli di tutta Europa. Proposta che più tardi venne fatta, come abbiamo detto più sopra, dalla Francia e dall’Austria.

La Gazzetta di Vienna l’8 agosto del 1859 scriveva: È a stupirsi che alcuni giornali abbiano potuto dubitare dell’esecuzione delle basi di pace stipulate a Villafranca. Sottoscritte da due Imperatori esse contengono, nella parola data, la guarentigia, e nella potenza dei due imperatori la possibilità della loro esecuzione» .

Ma vatti a fidare della potenza e della guarentigia! Il trattato di Zurigo restò lettera morta e il Congresso proposto andò in fumo per opera di Napoleone III.

Oggidì costui propone un nuovo Congresso, la terza proposta dal 1859 iu qua. La proposta sarà accettata? Può essere accettata? Se fosse accettata non uscirebbe taluno per mandarla in fumo? Questo taluno non potrebbe essere il Bonaparte medesimo? Diciamone qualche parola e come il Bonaparte sul cadere del 1859 scriveva l’opuscolo II papa e il Congresso, proviamoci noi, sul cadere del 1863, a scrivere Il Congresso e il Bonaparte.

IV.

L’Imperatore dei Francesi è negli imbrogli per colpa propria. Trovasi isolato e in sospetto presso tutti. Le Potenze non l’amano, e i suoi popoli nemmeno. Doveva fare un discorso per inaugurare la nuova Sessione legislativa, e non sapea che cosa dire. Pensò, meditò, decise di favellare della proposta di un Congresso e sarà un pascolo pei miei Francesi. Parleranno del Congresso, e taceranno delle finanze; li baloccherò col Congresso, e non penseranno alle passate elezioni. La scappatoia del Congresso sarà pei miei ministri un buon mezzo per difendersi dalle noiose interpellanze.

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Detto fatto, propose il Congresso prima al potere legislativo, per poter di poi favellare, notò il Bonaparte, in nome della Francia. In nome della Francia? Vuoi dire che finora avete parlato in nome vostro? E questo nome della Francia racchiude forse una minaccia? E per radunare un Congresso pacifico esordite minacciando? E questo minacciare non impedisce già da sé l’accettazione della proposta?

Un Congresso! Che cosa farà il Congresso? Sarà onnipotente? Da quali principii verrà mosso? La libertà dei popoli, risponde \&France. Va bene. Ma come s’intende questa libertà? E se, per cagione d’esempio, il nuovo Congresso risolvesse che Napoleone 111 debba andarsene per lasciar libero il popolo francese, l’Imperatore si adagerebbe a questa risoluzione? E perché vi si dovrebbe acconciare l’Austria se il Congresso proclamasse la libertà della Venezia?

La libertà dei popoli! Chi decide di questa libertà? I popoli dovrebbero intervenire al Congresso, e il Bonaparte non ci chiama che i governanti 1 E poi i popoli stessi non si accordano nell’intendere la loro libertà. A Napoli gli UdÌ dicono che son liberi sotto il Piemonte, e gli altri affermano ch’erano liberi sotto Francesco 11! Deciderà il Congresso. Sia pure. Ma quando avrà deciso ci sarà allora l’intervento, o seguiterà il grande principio del non intervento? Se i popoli si ribelleranno alle risoluzioni del nuovo Congresso, dovranno esservi obbligati colla forza? Oppure si lascieranno fare a loro talento? Nel primo caso dov’è la libertà? Nel secondo dov’è la pacificazione?

Il 4 febbraio del 1861 Napoleone III non era pel Congresso. In quel giorno diceva ai legislatori: «Avvenimenti difficili a prevedere sono venuti a complicare in Italia una situazione di già imbrogliata. Il mio governo, d’accordo coi suoi alleati, ha creduto che il miglior mezzo di scongiurare i più grandi pericoli fosse di ricorrere al principio del non intervento, che lascia ciascun paese padrone de’ suoi destini, localizza le questioni e impedisce che degenerino in conflitti europei».

11 discorso del 5 di novembre 1863 non è che la confutazione di queste parole. Il Bonaparte proponendo un Congresso combatte se stesso. Ila proclamalo il principio del non intervento, ed ora invita l’Europa ad intervenire. Ha voluto localizzare le questioni ed ora le generalizza. Ha cercato di evitare i conflitti europei, ed ora li promuove. Ha detto che i popoli erano padroni dei loro destini, ed ora mette nelle mani dei governi i destini dei popoli I

Noi crediamo che il Congresso non avrà luogo, perché non può aver luogo, perché non vi sono gli elementi necessari! per un Congresso, perché il Congresso viene troppo tardi, perché il Congresso è proposto da una persona sospetta, in tempi sospetti, perché nessuno vuole o può volere il Congresso, nemmeno il Bonaparte che lo propone, perché lutti sono persuasi che un Congresso in questi giorni riuscirebbe uno scandalo di più. Il Signore prepara un altro Congresso, molto più bello e più solenne di quello del Bonaparte; e tutti ci stanno lavorando senza saperlo; il Congresso dell’Unità Cattolica, la Congregazione cioè di tutti gli uomini in un solo ovile, e sotto un solo pastore.

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IL GRAN LIBRO DEI DIRITTI DEL POPOLO (Pubblicalo l’11 novembre 1863).

Dicono i cortigiani che Napoleone III vuoi convocare un Congresso generale per mettere innanzi agli occhi dei rappresentanti delle Potenze europee Il gran libro dei diritti del popola. E con questa frase altosonante pretendono di trarci tutti appiedi dell’Imperatore dei Francesi per rendergli umilissime grazie del gran libro che si è degnato di aprire e che fra breve, se riesce ne’ suoi disegni, darà a leggere ai governi d’Europa!

Ornai dovrebbe essere passato il tempo in cui si gabbavano i poveri di spirito con questa frase dei diritti del popolo; dovrebbe essere passato, e dalla parte de’ miccini, che hanno avuto agio di vedere, conoscere, sperimentare; e dalla parte dei ciarlatani politici, che dopo tante promesse ed un sì corto attendere avrebbero ben donde vergognarsi e tacere.

Il gran libro dei diritti del popolo! Oh sì le povere popolazioni leggono da settanta e più anni questo gran libro! Fu inventato, scritto, stampato, aperto in Francia nel 1789. Durand de Maillane diceva all’Assemblea costituente: «lo sono incaricato di domandare una dichiarazione dei diritti dell’uomo. Questa dichiarazione, che dovrebbe venire affissa nelle città, nei tribunali, nelle chiese medesime, sarà la prima porta, per la quale dovrassi entrare nell’edifizio della Costituente nazionale. Un popolo, che ha perduto i suoi diritti e li richiama, dee conoscere i principii sui quali sono fondati» (Moniteur N° 31).

E sulla favola classica dello stato della natura, e del contralto sociale primitivo, sul circolo vizioso che fa derivare dall’uomo la potenza sull’uomo, si fabbricò il nuovo codice dei diritti del popolo. Degno fondamento di tale fabbrica: la favola ed il sofisma!

«In una notte (la famosa rotte del 4 agosto 1789) la Francia venne salvata e rigenerata» esclamava il Moniteur con entusiasmo ufficiale, e pubblicava i famosi diritti dell’uomo. Ah! popolo, popolo, i tuoi pretesi diritti nacquero di notte e furono l’opera delle tenebre, frutto di una nera congiura contro Iddio, contro i Re, contro te stesso. Dovresti saperlo a quest’ora!

I famosi diritti proclamati dall’Assemblea francese, scientificamente considerati, sono una specie di falsità. L’uomo nasce libero. No, l’uomo nasce in famiglia, epperciò soggetto al dominio paterno. Il diritto di famiglia fu per prima cosa conculcato dalla rivoluzione.

Gli uomini nascono eguali in diritti. Sarebbe vero, se nascessero in un bosco; ma nascendo in famiglia, il figlio non è eguale ai genitori, ed una famiglia ha diritti acquisiti che un’altra non ha.

Gli uomini rimangono liberi ed eguali nei diritti. Sì, pei connaturali; no per gli acquisiti.

Il principio d’ogni sovranità risiede nella nazione. È una petizione di principio, perché suppone un popolo ordinato a nazione, e nel quale perciò sia già costituita la sovranità.

La legge ha il diritto di proibire le sole azioni nocive alla società. E qui si impone legge alla legge. Or chi gliela impone?

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Ciò che non è proibito dalla legge non può essere impedito, né comandato quello che essa non ordina. Ed ecco distratta pienamente l’autorità dei padri e dei padroni, ed abrogalo il diritto familiare ed il signorile.

Potrebbe estendersi questa critica a tutta quanta la famosa dichiarazione. I rivoluzionar! discussero la morale evangelica e la politica cristiana, per regalare ai popoli una serie d’inganni, di cavilli, di contraddizioni.

Ma lasciamo l’esame teorico, per venire al pratico. Che cosa la storia ha scritto nel gran libro dei diritti del popolo?

Ci ha scritto dapprima una guerra a morte contro il cristianesimo, la spogliazione della Chiesa, la soppressione dei voti e degli ordini religiosi, un appello all’insurrezione contro Dio, e la proclamazione dell’ateismo.

Ci ha scritto di poi un assalto indegno, e una guerra parricida contro la Monarchia, l’avvilimento ed il disprezzo dei Re, la deificazione di Bruto, e il regicidio dell’infelice Luigi XVI.

Nel Gran Libro, dopo la pagina dei diritti dei popoli, viene subito la Storia del terrore. II primo numero del Bullettino delle leggi contiene il decreto che istituisce il Tribunale rivoluzionario, e stabilisce che l’unica pena da esso portata è la morte. L’articolo nono permette ad ogni cittadino di arrestare e condurre innanzi ai Magistrati i cospiratori ed i contro-rivoluzionari. L’articolo 13 dispensa dalla prova testimoniale; ed il 16 priva di difensore i cospiratori. Da questo tribunale non davasi appello. Ecco la prima applicazione dei diritti dell’uomo!

Segue la ghigliottina. Tra i decapitati troviamo 18,613 vittime, 1135 sacerdoti, 350 monache, 1467 donne di operai, 15,000 donne uccise in Vandea, 22, 000 fanciulli, 90,000 uomini; 32, 000 vittime sotto il proconsolato di Carrier a Nantes, 31, 000 vittime a Lione. Le cifre sono tolte da Chateaubriand che le tolse da fonti autentiche. Ed ecco la seconda applicazione dei diritti dell’uomo!

dopo la ghigliottina vengono le guerre del primo impero, e Napoleone I che avendo in mano il Gran Libro dei diritti considera i popoli come carne da cannone, e se ne serve di sgabello per salirvi sopra ed innalzarvi la sua gloria.

E dopo Napoleone, le interne rivoluzioni della Francia, che ha bensì guadagnato la dichiarazione dei diritti dell’uomo, ma ha perduto la pace e l’interna sicurezza; e vede nelle sue contrade regnare il regicidio, le imposte crescere immensamente, tutto incentrarsi nelle mani del Governo, toccare l’impero al più audace, sorgere un despotismo fino allora inedito, aprirsi nelle statistiche un registro pei morti di fame, pericolare la proprietà e ingrossarsi spaventosamente di costa al Gran libro dei diritti, il Gran libro del debito pubblico. Lasciamo da banda le frasi sonore e veniamo a’ falli. In sostanza che cosa sono questi diritti dei popoli che vogliono proclamarsi nel futuro Congresso? Sono che Napoleone ili resti sempre Imperatore con tutta la sua lista civile, che i parenti di Napoleone III continuino a godere il loro appannaggio, che tutti coloro che ingrassarono al banchetto dell’impero continuino ad ingrassare; ecco il Gran libro dei diritti del popolo.

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Il Gran libro è che i Senatori imperialisti tocchino sempre uno stipendio annuo di trentamila lire; che i giornalisti officiosi godano grasse propine; che si spendano nei palazzi del Louvre e delle Tuileries sessantadue milioni, e ventidue milioni nel teatro dei Neuvel-Opéra. Ecco i diritti del popolo!

Tra i diritti del popolo francese è di pagare 25 milioni a Napoleone III; 15,000 per dotazione della Corona, un milione e mezzo ai Principi ed alle Principesse imperiali, un milione ai ministri, sei milioni al Senato, due milioni al Consiglio di Stato, insieme oltre a sessanta milioni per la dotazione dell’Impero!

In Roma il Gran libro non esiste, epperciò il popolo noi può leggere. Là si mostra il libro dei doveri; ma il primo dovere è la carità, l’assistenza ai poveri. «Roma moderna, confessava Voltaire, ha quasi tante case di carità, quanti Roma antica avea archi di trionfo». E il Papa-Re è il primo ad osservare il dovere della carità e l’osserva fino al punto di cedere al povero il suo palazzo e la sua mensa.

Dite un po’ ai poveri parigini di togliersi in mano la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e tentare se con questa possono mettere il piede nel palazzo dell’Imperatore, o raccogliere soltanto le bricciole che cadono dalla sua mensa? A Caienna ed a Lambessa verranno tosto spediti per istudiarvi Il diritto imperiale!

Poveri Romani, senza il Gran libro dei diritti! Il Congresso di Napoleone III ve lo darebbe se potesse radunarsi, e ve lo darebbe come la sua protezione l’ha già dato ai Toscani, ai Romagnoli, agli Umbri, ai Marchigiani, ai Napoletani ed ai Siculi. Oh che Gran libro fu aperto da alcuni anni principalmente a Napoli! Leggete le lugubri pagine dei fucilati, degli abbruciati, dei tagliati a pezzi dai briganti, e vedrete il bel commento ai dei diritti dei popoli!

Il preteso diritto del popolo dal 1789 in poi non è altro che un pretesto degli ambiziosi per dominare ed ingrassare. La servitù delle popolazioni data appunto dal giorno in cui ne venne proclamata la sovranità; e i veri diritti popolari non furono mai così postergati e conculcati come dopo il giorno in cui ai scrissero nel Gran libro.

E possiamo con piena sicurtà vaticinare che se avesse luogo il Congresso promesso dal Bonaparte, e i congregati sottoscrivessero il Gran libro dei diritti del popolo, una nuova èra di miseria, di sconvolgimenti, di debiti, d’imposte, di fame e d’ogni maniera di dolore sorgerebbe per le povere popolazioni.

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IL DUE DICEMBRE E IL CINQUE NOVEMBRE DI NAPOLEONE III (Pubblicato il 12 novembre 1863).

L’Impero Napoleonico si stende dal 2 dicembre del 1851 al 5 novembre del 1863, cioè dal suo colpo di Stato nell’interno della Francia, al suo colpo di Stato all’estero. Imperocché il discorso del cinque di novembre può a buon diritto chiamarsi un colpo di Stato diplomatico.

E chi ha mai udito un Imperatore proclamare dall’alto del trono imperiale che i trattati sottoscritti dalle grandi Potenze europee sono morti? Chi ha mai visto un Congresso di plenipotenziari, la cui prossima adunanza si fosse annunziata ad un Parlamento prima che ai Sovrani invitati ad intervenirvi? Chi si sarebbe mai aspettato da Napoleone III ch’egli smaschererebbe la politica russa, rivelando che, mentre fingevasi amica dei Re di Napoli e richiamava i suoi legati da Torino, dava un leale appoggio alle operazioni franco-italianissime?

Sotto molti rispetti adunque il 5 novembre rassomiglia al 2 dicembre. Ma per un altro verso gli atti del 2 dicembre possono servire di risposta al discorso del 5 di novembre. Nel quale Napoleone III per pacificare la Polonia, l’Italia, la Germania e forse anche l’America, esce a proporre l’adunanza d’un Congresso europeo! Che cosa avrebbe risposto il Bonaparte a chi avesse detto nel novembre del 1851 d’intervenire ad un Congresso per pacificare la Francia?

A que’ di (e chi l’ha dimenticato?) i tempi erano burrascosi, come al presente, e forse più. Lo spettro rosso rizzavasi in Parigi audace e terribile. Tutti si aspettavano ad una tremenda catastrofe; tutti paventavano un gran rovescio prima in Francia, poi in Europa e nel mondo. Che fece allora Luigi Napoleone? Pensò ad un Congresso? Ciancio 1 Raccontiamo quello che fece, e raccontiamolo tanto più liberamente, perché il Bonaparte nelle lettere d’invito spedite testé per il Congresso, a detta della Nation, ricorda con una certa modestia i suoi antecedenti personali.

Nel 1 Sol adunque, quando la Francia e l’Europa stavano per andare in fiamme, Luigi Napoleone, ben lungi dal convocare un Congresso, segretamente, nella notte de) 1° al 2 dicembre fece arrestare molti deputati dell’Assemblea legislativa, tra i quali Thiérs, Baze, Roger; ed i generali Lamoricière, Bedeau, Changarnier. E poi (altro che Gran libro dei diritti dei popoli!J di buon mattino ordinò che si occupasse con forte nerbo di truppe il palazzo legislativo, e pubblicò un decreto che scioglieva l’Assemblea nazionale, e metteva in istato di assedio la prima Divisione militare.

Allora Luigi Napoleone, invece di fare discorsi, proporre Congressi, scrivere lettere d’invito, pubblicava un Appello al popolo, e diceva: «L’Assemblea che doveva essere il più fermo appoggio dell’ordine è divenuta un focolare di congiure Invece di far leggi per l’interesse generale, fabbrica armi per la guerra civile». Dunque abbasso l’Assemblea!

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Seguiva di poi un proclama all’esercito. «Soldati, dicea Napoleone, andate superbi della vostra missione; voi salverete la patria, perché io fo assegnamento sopra di voi… L’Assemblea ha tentato di scalzare l’autorità che io tengo dalla nazione intera, e perciò ha cessato di esistere». Nei momenti pericolosi Napoleone non ricorreva agli avvocati, ma all’esercito; non alle penne della diplomazia, ma alla sciabola del soldato.

Un Congresso era bensì radunato a Parigi in quel giorno memorando del due dicembre. Era un Congresso di ducenlo quattordici rappresentanti del popolo, che riuniti nel palazzo del Comune (Mairie) del decimo circondario, decretavano: «Luigi Napoleone è destituito dalle sue funzioni di presidente». Ma i soldati piombarono addosso ai Congregati, e li trassero a continuare il Congresso tra le segrete della prigione.

Allora si combatte per le vie di Parigi il 3 e 4 dicembre. Il rappresentante Baudin viene ucciso sulle barricate; e il giorno dopo tocca la stessa sorte al rappresentante Dussoubs, che con tutti i loro diritti del popolo vengono spediti all’altro mondo. Il 5 Parigi è tranquilla, ma vi si continuano gli arresti per precauzione.

Cominciano a scoppiare tumulti negli Spartimenti. lnsorgono l’ Allier e Saóntet-Loire. Credete che Luigi Napoleone proponga un Congresso? No; proclama lo Stato d’assedio. Il 7 dicembre, stato d’assedio negli Spartimenti dell’Herault e del Gard. L’8 dicembre stato d’assedio nello Spartimento delle Basse-Alpi

Il 10 dicembre stato d’assedio negli Spartimenti del Gers, del Var, del Lot. del Lot-et-Garonne. Il 15 dicembre, stato d’assedio negli Spartimenti dell’ Aveyrm e di Vaueluse. Il 17 dicembre stato d’assedio nello Spartimento del Jura ed in Algeri. Ecco il Congresso!

Ben lungi dal pensare ai protocolli, Luigi Napoleone il 26 dicembre del 1851 stabilisce in Francia 21 divisioni militari ed 86 suddivisioni, una suddivisione cioè per ciascun Spartimento. De Morny, ministro del Bonaparte, invece di aprire il Gran libro dei diritti del popolo, il 6 gennaio del 1852 ordina di togliere dalle piazze, strade, monumenti pubblici le parole: Liberté, Fraternité, Egalité; e il 9 di gennaio, Luigi Napoleone, non si occupa mica di processi verbali, ma fa un decreto, in virtù del quale sono espulsi dal territorio francese sessantasette antichi rappresentanti; diciotto altri, fra cui Changarnier, Lamoricière, Bédau, Emile de Girardin, Thicrs, vengono momentaneamente allontanati dalla Francia e dall’Algeria. Infine si ordina che i rappresentanti Marc-Dufraisse, Greppo, Miot, Malhé e Richardet vengano trasportati alla Guyanna francese, e vadano là a radunare il Congresso!

E come se tuttociò non bastasse ancora, una circolare del 20 di gennaio interdice i Comitati elettorali; un decreto del 22 confisca i beni appartenenti ai membri della famiglia Orleans; e una nota del 24 chiede alla Svizzera di mandar via què rifugiati, de’ quali il governo francese reputa necessaria l’espulsione. Con questi ed altri mezzi simili sono scongiurati i pericoli, e vien pacificata la Francia.

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Il 28 di giugno 1852 Napoleone dice ai Francesi: «In Francia esiste un Governo animato dalla fede e dall’amore del bene; che riposa sul popolo, fonte d’ogni potere (?); sull’esercito, fonte d’ogni l’orza; sulla religione, fonte d’ogni giustizia».

Questi precedenti di Napoleone III provano com’egli stesso sia persuaso che ne’ tempi grossi, ne’ giorni del pericolo i Congressi sono impossibili, e il solo farne la proposta riesce altamente ridicolo; giacché un Congresso, qualora potesse radunarsi, non farebbe che sempre più imbrogliar la matassa, crescere le difficoltà e mettere a repentaglio le sorti dei Governi.

precedenti di Napoleone dimostrano come egli abbia capito e capisca che, quando trattasi di salvare un paese caduto in preda della rivoluzione, la prima cosa sia, chiudere i Congressi aperti, imprigionare i congregati, bandire i chiacchieroni, ottenere un po’ di quel silenzio fecondo elic è condizione necessaria per operare le grandi cose e farle bene.

precedenti di Napoleone insegnano che dopo il regno dei sofisti e de’ parolai viene quello della spada, e il soldato deve togliere a viva forza la società che geme sull’orlo del precipizio. Che protocolli, che processi verbali, che interpellanze, che note diplomatiche! Sono pittime che rincrudiscono la piaga, non la risanano.

precedenti di Napoleone chiariscono che uno dei primi diritti del popolo è quello di godere un po’ di pace e d’essere salvato dai rivoltosi. E a chi lo salva davvero, il popolo perdona l’occupazione militare dell’Assemblea parigina, il bando dei rappresentanti, lo stato d’assedio, la soppressione dei giornali, gli arbitrii e perfino il momentaneo dispotismo.

precedenti di Napoleone avvertono da ultimo che un buon governo si deve fondare sulla religione, fonte d’ogni giustizia. Notate questa frase napoleonica. Non sono i Congressi, per quanto numerosi e solenni, che abbiano in sé la giustizia. Questi Congressi possono essere anche ingiusti, dimenticando e conculcando i diritti altrui. Allora essi diventano peggiori d’ogni rivoluzione, perché un Congresso rivoluzionario reca un danno immensamente maggiore d’una rivoluzione di piazza, e potremmo addurne ad esempio il Congresso di Parigi.

La giustizia è la sola che possa dar pace alle nazioni, giustizia verso i sovrani e giustizia verso i popoli. Dalla sola religione emana la giustizia; il cattolicismo è la sola vera religione, e il Papa, il Papa solo può insegnare la vera religione cattolica. Sicché dalla bocca medesima di Napoleone III noi possiamo ricavare quale sia il grande e l’unico bisogno dell’Europa sconvolta, la giustizia, la religione, il cattolicismo, il Papa.

– 274 –

GLI INVITI AL CONGRESSO DI S. M. I. NAPOLEONE III (Pubblicato il 13 novembre 1863).

Gli imbrogli dell’Imperatore dei Francesi hanno dovuto incominciare dall’indirizzo della lettera che invitava i Sovrani a radunarsi in un Congresso per pacificare l’Europa «provvedendo ai diritti de’ Sovrani legittimi, ed alle aspirazioni dei popoli».

Ha egli l’Imperatore indirizzato questa lettera al Duca di Modena ed al Gran Duca di Toscana? Se sì, come poi ha avuto il coraggio d’indirizzarla al Re d’Italia? Se no, come gli bastò l’animo di spedirla all’Imperatore d’Austria?

Imperocché, agli il di luglio del 1859, Napoleone 111 sottoscriveva i preliminari di Villafranca, dove è detto solennemente: «II Gran Duca di Toscana e il Duca di Modena rientrano nei loro Stati, dando una generale amnistia». E volete che dopo di ciò l’Imperatore dei Francesi non inviti al Congresso il Duca e l’Arciduca?

Ma il 27 di gennaio 1862 Napoleone III diceva al Senato ed al Corpo legislativo francese: «Ilo riconosciuto il Regno d’Italia». E come potrebbe oggidì invitare al Congresso il Duca e l’Arciduca, senza rinnegare quel regno che ha riconosciuto? Oh che pasticcio!

Napoleone III ha stretto a Zurigo un solenne Trattato, che porta la data del 10 di novembre 1859 e dice all’articolo 19″: «Le circoscrizioni territoriali degli Stati indipendenti d’Italia, che non parteciparono all’ultima guerra, non potendo essere mutale che col consenso delle Potenze che presiedettero alla loro formazione, e riconobbero la loro esistenza, i diritti del Gran Duca di Toscana, del Duca di Modena, del Duca di Parma, sono espressamente riservati tra le altre parti contraenti».

Or potete credere che il leale Imperatore dei Francesi, dopo di aver giurato questo articolo in nome della Santissima ed indivisibile Trinità, non rivolga nemmeno una lettera d’invito ai due Duchi ed al Gran Duca? Noi possiamo supporre per verun conto.

Ma dall’altra parte essendo Napoleone stretto in buona amicizia col Regno d’Italia, il quale esclude i Ducati e i Granducati, non gli recherebbe gran torto, e quanto è da sé, non lo distruggerebbe, quantunque invitasse al Congresso i Duchi di Parma e di Modena, e il Granduca di Toscana?

Oh che imbroglio! Se Napoleone si presenta al Congresso senza i Duchi e il Granduca, le Potenze gli diranno: -Messere, voi che venite qui per conchiudere un nuovo Trattato, dite su come osservaste il Trattato di Zurigo? – Se si presenta col Granduca e coi Duchi, le stesse Potenze gli possono chiedere: – Compare, voi che ci avete radunati per rifare la Carta d’Europa, mostrateci che valore hanno i vostri riconoscimenti?

La cosa si fa ancor più seria trattandosi del Re di Napoli Francesco II. Volete dire che l’Imperatore Napoleone gli avrà mandato o gli manderà la lettera per invitarlo al Congresso?

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Leggendo il suo discorso del 4 febbraio 1861, in cui parla del reale infortunio così nobilmente sopportato, parrebbe di sì. Ma leggendo poi il suo discorso del 27 di gennaio i862, in cui riconosce il regno d’Italia, parrebbe di no.

Dovendosi radunare un Congresso, i così detti fatti compiuti non servono a nulla, giacché se servissero a qualche cosa, il Congresso stesso sarebbe una derisione, e l’opera sua tornerebbe doppiamente inutile, Inutile pel passato, essendo costretto il Congresso a riconoscere i fatti compiuti; ed inutile per l’avvenire, aprendosi la via alla violazione de’ nuovi accordi coll’ammettere la dottrina, che possano venir ben presto lacerati dai fatti compiuti.

Peggio poi se parliamo del Papa! Napoleone III il 31 dicembre 1859 scriveva una lettera a Pio IX, pubblicata dal Moniteur dell’11 di gennaio 1860. A quei dì era imminente l’adunanza d’un Congresso Europeo, e il divoto figlio del Papa gli diceva: «Oggidì il Congresso sta per riunirsi. Le Potenze non saprebbero misconoscere i DIRITTI INCONTESTABILI della Santa Sede sulle Legazioni».

E qui ritorna sempre la solita alternativa. O Napoleone III invita il Papa ad intervenire al Congresso come re delle Legazioni, e in questo caso distrugge il Regno d’Italia. O non manda al Papa quest’invito, ed allora conculca quei diritti che egli ha dichiarato incontestabili, ed ha promesso che verrebbero riconosciuti come tali dalle stesse Potenze.

Che se ciò è vero riguardo alle Legazioni, che dovrà dirsi delle Marche, dell’Umbria, e di Roma medesima? Roma è del Papa secondo Napoleone III. Roma è del Regno d’Italia secondo i Ministri di Torino. O dunque Napoleone IH chiama al Congresso il Re di Roma, e toglie la capitale al Regno d’Italia; o dimentica d’invitare il Papa, e indirettamente toglie Roma alla S. Sede ed al Cattolicismo.

Le cose sono siffattamente intralciate che l’Imperatore dei Francesi dee proferire la sua sentenza sulla maggior parte delle questioni che fervono oggidì, col solo indirizzare agli uni, o non indirizzare agli altri le sue lettere d’invito. Ma questo giudizio preventivo del Bonaparte non può a meno di mandare a monte il Congresso, coll’indispettire quelle Potenze, contro le quali l’Imperatore s’è dovuto pronunziare.

Per trarsi da tale imbarazzo potrebbe Napoleone HI restringersi ad invitare al Congresso le sole cinque Grandi Potenze. Ma qui si presenta un’altra difficoltà, anzi un monte di difficoltà. Le cinque Grandi Potenze furono costituite dai Trattali di Vienna. Ora se questi Trattati sono morti come disse il Bonaparte, non si darebbe della zappa sui piedi, se ne tenesse il menomo conto?

E poi, come Napoleone potrebbe non invitare l’Italia, dopo avervi speso tanto sangue e tanto danaro? Come potrebbe non invitare la Spagna, mentre il Bonaparte ha proposto che entrasse nel numero delle grandi Potenze? Come potrebbe non invitare que’ governi, de’ quali nel Congresso si discuterebbero le ragioni e determinerebbero le sorti?

Resta adunque che Napoleone II I inviti tutti ad intervenire al Congresso; e di fatto il Morning-Post ci dice che, oltre le otto Potenze che sottoscrissero i capitoli del 1815, saranno chiamati al Congresso il Re d’Italia, il Re dei Belgi, il Re d’Olanda, il Gran Sultano (per decidere la questione cattolica di Roma papale!) e i presidenti della Dieta Germanica e della Confederazione Elvetica; insieme quattordici Potenze!

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Il Morning-Post osserva che due o tre Potenze oggidì durerebbero fatica a mettersi d’accordo, e teme che se il Congresso si radunasse, riuscirebbe ad una vera torre di Babele. E noi siamo dello stesso parere.

Napoleone II I nel suo discorso del 27 di gennaio 1862 venne fuori promettendo d’intervenire in Italia «colla ferma intenzione di contribuire con consigli benevoli e disinteressati a conciliare due cause, l’antagonismo delle quali turba dappertutto le menti e le coscienze».

Il dabben Imperatore voleva conciliare la rivoluzione col Papato, l’incredulità colla Fede, la menzogna col vero, le tenebre colla luce, Renan che nega la divinità di Gesù con S. Pietro che proclama Cristo figliuolo di Dio vivo.

È passato il 1862 e sta per finire il 1863. E Napoleone III che cosa ha fatto? Che cosa ha riconciliato? Le menti non sono più turbate, né le coscienze sconvolte? Quali furono i consigli benevoli e disinteressati, e quali effetti produssero?

Mentre il Bonaparte avrebbe dovuto ricredersi, e confessare la sua utopia, eccolo invece abbracciarne una più estesa ancora, la riconciliazione di tutte le questioni europee. Ci vuoi altro! Queste questioni sono tali e tante che nou possono sciogliersi senza dispiacere ad una parte od all’altra.

Diffatto se dichiarate indipendente la Polonia, avete contro la Russia; o viceversa combattete i Polacchi se favorite i Russi. Date la Venezia all’Italia, e sentirete l’Austria! Lasciatela all’Austria e sentirete l’Italia! Se Roma è del Papa, la rivoluzione imperversa; se si accorda alla rivoluzione, il mondo cattolico fremendo protesta. Se nella questione dei Ducati favorite i Tedeschi, udrete le strida dei Danesi; se favorite i Danesi, vedrete i Tedeschi mostrarvi i” pugni. Promuovete in Germania la preponderanza austriaca e vi si leveranno contro i Prussiani, o se farete buon viso ai Prussiani, avrete contro gli Austriaci.

Napoleone III vuole adunque procacciarsi col suo Congresso una riputazione di utopista e il suo discorso rassomiglia un po’ all’utopia di Tommaso Moro, ed alla città del Sole del Campanella. Ma nelle utopie c’è d’ordinario nascosto qualche segreto intendimento, e Napoleone non si fa ridere alle spalle senza le sue ragioni.

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LE SETTE VIRTÙ CARDINALI DI NAPOLEONE III (Pubblicato il 14 novembre 1863).

Abbiamo sotto gli occhi il lesto della lettera che l’Imperatore Napoleone III spedì ai Governi europei per invitarli ad intervenire ad un Congresso, e supplicarli di aprire in Parigi il Congresso medesimo. La lettera porta la data di Parigi novembre dell’anno di grazia 1863; è stampata nel Moniteur dell’11 dello stesso mese, N° 315; e può chiamarsi, a nostro avviso, un autopanegirico dell’Imperiale Maestà del Bonaparte.

Difatto la lettera d’invito al Congresso celebrale sette virtù cardinali dell’Imperatore dei Francesi; e sono: 1° la sua grande pazienza; 2° la sua sublime saggezza; 3° la sua esemplare moderazione; 4° la sua ammirabile giustizia; 5° la sua profonda umiltà; 6° la sua proverbiale franchezza; 7° e finalmente l’eroica lealtà del suo cuore. Veggiamolo.

La pazienza. «Educato alla scuola dell’avversità, dice Napoleone III, m’è forse meno permesso che a qualsiasi altro d’ignorare i diritti dei Sovrani, e le legittime aspirazioni dei popoli. Colle quali parole-l’Imperatore ricorda quanto egli dovesse patire per conquistare un trono ch’era follia sperare. E come, nel i 830, cospirasse in Roma ed in Romagna dove il Papa avevalo accolto; di poi esulasse in (svizzera o vi scrivesse i suoi sogni politici (1); il 25 ottobre del 1836 andasse a Strasburgo, e d’accordo col colonnello Vaudrey, cercasse di fare un colpo contro il Re Luigi Filippo (2); confinalo nelle segrete, fosse poi condono a Parigi e trasportato in America; fuggisse, e riparatosi in Inghilterra, nel 1839 vi pubblicasse le sue Idèes Napolconiennes; il 6 agosto del 1840 sbarcasse a Boulogne parodiando lo sbarco dello zio a Cannes, coperto di un piccolo cappello (3) con un’aquila dorata in cima ad una bandiera, un’aquila viva dentro una gabbia, ed un fascio di proclami; fosse arrestato, fatto prigioniero, condannalo dalla Corte dei Pari, non ostante la magnifica difesa di Berrver (4); il 26 maggio 1846 riuscisse a fuggire dal suo carcere di Ham vestito da operaio, con un asse sulle spalle (5); rientrasse liberamente in Parigi nel 1848 e il 10 dicembre fosse fallo Presidente della repubblica, e poi, nel 1852, creasse se stesso Imperatore.

(1) Luigi Napoleone pubblicò in Isvizzera le sue Réreries politiques, e ne mando1 una copia a Chateaubriand.

(2) Louis Blanc, Histoire de dix ans (1830-40) Chap. XLVIII.

(3) Cour des Pairs, testimonio GeofFroy Granatière.

(4) La Guerronnière, Portraits politiques contemporaines, pag. 21,

(5) Vie et Histoire impartiales de Louis Napoléon, pag. 24.

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Quanta pazienza ha dovuto esercitare Bonaparte in tutte queste dolorose tasi della sua vita! Egli due volte davanti i tribunali, due volte in prigione, quattro volte in esilio, proverbiato, deriso, insultato, perseguitate, un Conte di Montebello, parente di colui che serviva testè a Roma Napoleone III, chiese perfino al Direttorio federale che venisse espulso dalla Repubblica Elvetica! E già crasi allestito un esercito di ventimila uomini per muovere contro la Svizzera rea d’ospitare il Bonaparte -, ma egli pazientemente se, ne allontanò.

La saggezza. A questa scuola dell’avversità l’Imperatore dei Francesi ha imparato a conoscere, com’egli dice, i diritti dei Sovrani e le legittime aspirazioni dei popoli. In tali e tanti sconvolgimenti, in cui tutto si nega, tutto si mette in dubbio, è difficile avere un’idea netta e precisa dei diritti sovrani e delle aspirazioni popolari. Ma il Bonaparte non li può ignorare, non gli è permesso d’ignorarli; glieli ha insegnati la sventura.

Ora, quale fu questo insegnamento? Dalla vita di Napoleone III risulta che, quando egli non era sul trono, cercava tutte le vie per salirvi. «Col nome del porto, egli disse, m’è necessaria l’ombra d’una prigione, o la luce del potere».

E tanto si adoperò, che s’ebbe l’Impero sì ardentemente sospirato. Dunque i diritti dei Sovrani, secondo l’Imperatore dei Francesi, sono, che chi è sul trono, cerchi di rimanervi, e chi ne venne sbalzato, procuri di risalirvi.

E le legittime aspirazioni dei popoli? Secondo Napoleone II I sono di lasciare in pace chi comanda, e di aspettarsi da lui ogni ben di Dio. Mutare governo e dinastia, non è legittima aspirazione. Il 22 di luglio del 1849 inaugurando la strada ferrata di S. Quintino, Luigi Napoleone recatosi al villaggio di Ham vi pronunziò queste solenni parole:

«Ora che eletto dalla Francia intera io divenni il capo legittimo di questa grande Nazione, non saprei glorificarmi d’una prigionia che aveva per causa l’assalto contro un governo regolare. Quando s’è visto quanti mali traggano seco le rivoluzioni, si comprende a mala pena l’audacia d’aver voluto assumete la terribile risponsabìlità d’un cambiamento; per lo che io non mi lagno d’aver qui espiato con un carcere di sei anni la mia temerità contro le leggi della mia patria (1)».

Conoscendo adunque Napoleone III che un sovrano deve essere, restare o ritornare sovrano, e che un popolo non può mutare il suo imperatore, propone ai governi europei «di regolare il presente, e di rassicurare l’avvenire in un Congresso».

La moderazione e la giustizia. E l’Imperatore dei Francesi fa l’elogio della sua moderazione, e segue a dire: a Io sono pronto, senza sistema preconcetto, a recare in un Consiglio internazionale lo spirito di moderazione e di giustizia, retaggio ordinario di coloro che hanno subito tante prove diverse». La moderazione e la giustizia sono dunque le due doti caratteristiche di Napoleone IIl, e le promette amendue al Congresso futuro.

E saviamente accompagna la moderazione colla giustizia, ben sapendo come in questi tempi nascesse un certo vizio, che usurpa il nome di virtù, creando i moderati, peste dei governi, rovina delle società, i quali coprono le loro magagne coll’ipocrisia, e dichiarandosi avversi ai partiti estremi e proclamandosi

(1) Constitutionnel, 22 juillet, 1849.

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gli uomini del giusto mezzo, spianano la strada ai rivolgimenti, a poco a poco avvelenano i popoli, e con una benda sugli occhi li conducono al precipizio.

lo sono moderalo, dice Napoleone ili, ma la mia moderazione ha per regola la giustizia . E volesse Iddio che la giustizia imperasse una volta nei consigli europei! Imperocché tutti i Congressi, tutti i protocolli, tutti i trattati saranno inutili, finché non regnerà la giustizia. Questa è quella che aedificat gentes, epperò uno dei Reali di Savoia lasciava a’ suoi un breve ma compiuto trattato di buona politica in queste semplici parole: fate giustizia. Napoleone III dovrebbe prendere per testo dell’allocuzione che dirà al futuro Congresso: facile iustìtiam!

L’umiltà. L’Imperatore dei Francesi nella sua lettera d’invito mostra abbastanza quanto egli sia umile, e dice: «Se io prendo l’iniziativa di una simile apertura, non cedo già ad un movimento di vanità» . Dininguardi! Confessa il Bonaparte che gli sono ascritti disegni ambiziosi; anzi scrive che egli è il Sovrano « auquel on prète le plus de projets ambitieux» . Ma sono calunnie.

E vaglia il vero. Appena Luigi Napoleone seppe gli eventi del febbraio 1848, d’Inghilterra corse a Parigi, ed offerì il suo concorso ed i suoi servigi al governo provvisorio. Egli si contentava d’essere cittadino francese. Lo fecero rappresentante dell’Assemblea. Ne fu lietissimo, ma non voleva altro. L’elessero presidente della repubblica. Accettò per amor della patria; ma dopo tre anni giurò di rimettere il potere. L’elessero presidente perpetuo. Pazienza! Però egli slava per la repubblica. Ma quando poi il popolo francese lo volle Imperatore, dovette chinare il capo e rassegnarsi.

Tuttavia egli non ebbe mai progetti ambiziosi e proclamò che l’Impero era la pace. Fece bensì la guerra d’Oriente, ma ci fu tirato pei capelli. Firmò la pace di Parigi, e poi di nuovo lo trascinarono nella guerra d’Italia. Ma combatteva per un’idea. «Coloro che mi ascrivono pensieri di conquista non conoscono i nostri tempi» diceva il Bonaparte agli Italiani. Ma Cavour gli volle dare la Savoia e Nizza, e l’Imperatore non potò rifiutarle. Ora basta. Chi dice ch’egli voglia le provincie del Reno mentisce. Egli è contento delle Tuileries e di Compiègne: parvi contentus ruris honoribus.

La franchezza e lenità. Né temano i Sovrani congregandi che sotto la proposta del Congresso gatta ci covi! « Io ho a cuore, dice l’Imperatore dei Francesi, di provare con questa proposta franca leale, che il mio unico scopo è di giungere senza scosse alla pacificazione dell’Europa». E quando lo dice l’Imperatore dei franchi, chi può dubitare della sua franchezza? Salvo qualche accidente imprevisto, tutto si farà per la pacificazione d’Europa.

Accidenti imprevisti furono quelli avvenuti in Italia. Napoleone IH non vi discese per isbalzare Sovrani, ma i Sovrani furono esautorati. Vi discese per proteggere il Papa in tutti i suoi diritti di Sovrano temporale, ma questi diritti vennero conculcali. Vi discese per liberare la Penisola dalle Alpi all’Adriatico, ma poi fece la pace a Villafranca. Vi discese per un’idea, unicamente per una idea, ma s’ebbe Nizza e Savoia. Accidenti imprevisti!

A parte questi accidenti, tutto parla della lealtà e della franchezza dell’Imperatore dei Francesi. Chi oserebbe dubitarne?

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I Sovrani d’Europa si mettano pure nelle sue mani. Francesco II s’affidò ai suoi consigli; Ferdinando IV andò a visitarlo in Parigi, e n’ebbe il ritratto e carissimi ammonimenti; Francesco Giuseppe lo abbracciò teneramente e stampogli sulla fronte un dolcissimo bacio. Perché tutti i Re non faranno altrettanto?

Avanti, o Sovrani, avanti, a Parigi! Napoleone II I con lealtà e /”rane/iessavi offre la sua cordiale ospitalità. Ma non è per ambizione ch’egli vi vuole radunati intorno al suo trono, come pianeti intorno al sole. In questo, come in tutto il resto, egli è mosso da un fine santissimo; egli vuole che «la capitale donde partì tante volte il segnale delle rivoluzioni diventi la sede delle conferenze destinate a gettare le basi di una pacificazione generale».

Santo pensiero! Fra breve dall’alto delle Tuilerie sarà annunziata la pace a tutto il mondo, ritornerà l’era d’Augusto, e Napoleone, il paziente, il savio, il moderato, il giusto, l’umile, il franco, il leale Imperatore de’ Francesi, chiuderà per sempre il tempio di Giano!

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_02_03_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#Plebiscito

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