STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (XII) (VOL. III)
GREGORIO XVI E L’IMPUDENZA DEL SIGNOR BETTINO RICASOLI
(Pubblicato il 23 novembre 1861).
Nella lettera al Papa, che il barone Ricasoli presentò alla Camera insieme cogli altri documenti troviamo citate le seguenti parole del Papa Gregorio XVI, nella sua opera: Il Trionfo della Santa Sede, discorso preliminare:, i Un ingiusto conquistatore con tutta la sua potenza non può mai spogliare la nazione, ingiustamente conquistata dei suqi diritti. Potrà colla forza renderla schiava, rovesciare i suoi tribunali e i suoi magistrati, uccidere i suoi rappresentanti; ma non potrà giammai, indipendentemente dal suo consenso, o tacito, o espresso, privarla dei suoi originarii diritti relativamente a quei magistrati, a quei tribunali, a quella forma cioè che la costituiva imperante».
Qui finisce la citazione fatta dal signor Ricasoli. Ma il sentimento dell’autore è troncato, echi non vede altro potrebbe essere tratto in inganno. Quindi noi completeremo la sentenza. Immediatamente dopo le citate parole Gregorio XVI scrive: «Così una rivoluzione, un delirio del popolo potrà precipitare dal trono il monarca e sostituirvi uno spurio nuovo governo; ma spogliare la persona del monarca, e, se il regno è ereditario, quella stirpe del diritto alla sovranità, non potranno giammai, quando dal suo lungo silenzio arguire non si possa una spontanea cessione». Loc. cit. § XXII.
Ora che lealtà è questa, per cui da un passo di un autore si piglia ciò che sembra in nostro vantaggio, tralasciando quello che ci è manifestamente contrario? E Pio IX potrà arrendersi a chi nel promettergli tante cose dà prove manifeste di mala fede, adducendo testi tronchi, nei quali si travisano i sentimenti dell’autore citato? O Ricasoli! O Bettino! Voi non avete mai letto l’opera del Cappellari. Leggetela, e vedrete che essa non è per voi, ma contro di voi; e che il trionfo della Santa Sede pronunziato nel 1799 durante la schiavitù di Pio VI sia per avverarsi nuovamente oggidì a danno di coloro che insidiano il Papa colle più spudorate ipocrisie. Sì, noi ripetiamo fiduciosamente oggidì quanto Gregorio XVI scriveva nel 1799:
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«Sembrerà forse a taluno cosa strana, anzi fuor di consiglio, che, mentre piangono i buoni la desolazione del santuario, il disprezzo, lo spoglio, la dispersione de’ sacri pastori, l’esilio, la prigionia, gli insulti del sommo sacerdote, lasciato dalla stessa divinità in balia de’ suoi spietati nemici; che mentre insomma l’Apostolica Sede par che vacilli, e gema la Chiesa sotto il peso di sua cattività, io intraprenda a mostrare e la Chiesa e la Sede Apostolica come trionfanti dei loro nemici.
«Eppur così è. Se mai fu tempo, dopo la barbarie dei primi secoli, in cui jfiù gloriosi apparissero dell’una e dell’altra i trionfi, egli è certamente questo, predefinito dall’increata sapienza ai più perigliosi cimenti, acciò invano esaurite contro ad ambedue le proprie forze l’inferno, nulla più rimanga all’empietà, con che avvalorare i suoi colpi, né alla irreligione d’onde sperare vittoria; e dall’evidenza de’ fatti apprendano a loro conforto i cattolici, facìlius esse solem exlingui, quam Ecclesiam deleri (S. Gio. Crisostomo in cap. 7 Isaiae). Né a ciò comprovare è mestieri di qui presentare l’orribile quadro dell’odierna persecuzione, e gli splendidi monumenti raccorrò di quell’immobile fermezza, che in sì ferale combattimento conserva, a scorno dell’incredulità e a gloria della Chiesa il supremo suo Capo, l’immortale PIO SESTO, il quale non cessa, benché semivivo, dal letto dove lo trasse e lo guarda la tirannia de’ suoi fieri nemici, e fra le catene di sua schiavitù, di erger cattedra di verità, e di animare alla costanza lutti gli altri Pastori: né tampoco è necessario descrivere di questi il sovrumano eroismo, con cui docili ubbidiscono alla sua vote, fedeli seguono i suoi esempi. Imperciocché, essendone attonito spettatore l’universo intero, da mille e mille eccellenti penne ne verrà già tramandata alla più tarda posterità la veridica storia la quale ricorderà che la Chiesa, anche in lanta scandalorum mullitudine, in suis firmissimis eminebat (S. Agost. Ep. 93, alias 48), e che sebbene periclitabatur naviculit Apostolorum, urgebant venti, fluctibus latera tundebantur, nihil supererai spei, pur finalmente excitatus est Dominvs, imperavit tempestati, tranquillilas rediit, cioè Episcopi, qui de propriis sedibus fueranl exterminati… ad Ecclesias redienint, come riferisce avvenuto ai tempi degli Ariani San Girolamo; e come la speciale prodigiosa assistenza, con cui Iddio visibilmente protegge contro tutti questi sforzi infernali la Chiesa, e segnatamente il sovrano Gerarca, c’instilla la dolce speranza, che avverrà in breve ancor ai giorni nostri».
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ROMA E RICASOLI
DAVANTI I DEPUTATI E I SENATORI
(Pubblicato il 23 novembre 1861).
Povero Bettino! Egli avea promesso Roma e toma, è non potè dare né toma né Roma. Il 20 di novembre 1861 si recò, per iscusarsene, davanti i Deputati ed i Senatori. Una gran giornata fu pel povero Ricasoli, quella del 20 di novembre! Figaro qua. Figaro là; Ricasoli al palazzo Carignano, Ricasoli al palazzo Madama; dovea farsi in due quel tapinello! Avea ben cercato un ministro dell’interno che gli desse, come suoi dirsi, un colpo di mano; ma non avea potuto trovare un cane che abbaiasse per lui. Non avendo ancora ottenuto il dono della bilocazione, Ricasoli die’ la precedenza ai Deputati, e dalla Camera elettiva scrisse al vice-presidente del Senato la seguente lettera:
«Ho il dovere di prevenirla che io sono alla Camera dei Deputati, e appena data comunicazione dei documenti su Roma, è mia intenzione passare a fare altrettanto al Senato; ma ignoro l’ora nella quale ciò sarà.
«Mi pregio segnarmi con profondo ossequio.
«Sottoscritto RICASOLI
Incominciò intanto a parlare ai Deputati, e noi leveremo il suo discorso dagli Atti Uff. N. 324, pag. 1250.
«Il governo del Re è lieto di trovarsi di nuovo in mezzo ai rappresentanti della nazione, e di buon animo sottopone al loro giudizio il suo operato intorno la questione che più vivamente delle altre sollecita gli affetti della nazione intera. Il grande uomo di Stato, di cui noi mai abbastanza deploriamo la perdita, ed io più di tutti, poichè dovei con forze minori sobbarcarmi all’ardua impresa da lui sì bene incominciata e condotta, quel grande uomo di Stato proclamò in ordine alla questione romana un principio fecondissimo, il principio della Chiesa libera in Stato libero. Raccogliendo la grave eredità dell’illustre statista, considerai come dovere sacro il condurre questo semplice quanto vasto concetto dall’enunciazione astratta alla pratica applicazione».
Il vostro grande uomo di Stato non proclamò un principio, ma rubò una frase a Carlo di Montalembert. E perché la Chiesa sia libera in Istato libero sapete che cosa bisogna fare? Bisogna incominciare dal rispettare i possedimenti della Chiesa. Ma dire: noi vogliamo spogliare la Chiesa per renderla libera è un’assurdità, un insulto, un’ipocrisia. Ricasoli proseguì:
«Mi studiai pertamo di ridurre in brèvi articoli le guarentigie reciproche della libertà della Chiesa e dello Stato, e pensai d’indirizzarmi ancora una volta in nome ancora dei miei colleghi e per ordine espresso di S. M. il Re alla rettitudine della mente ed alla bontà del cuore del Sommo Pontefice. Ma poichè sventuratamente ci era preclusa ogni via per trattare direttamente con esso, invocammo i buoni uffici del magnanimo Imperatore e del governo francese, della cui benevolenza per l’Italia sono sì molteplici e sì splendide le testimonianze, quanto sono luminose le prove di riverenza e di affetto alla Santa Sede».
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Dovevate, signor Ricasoli, studiare dapprima il modo di rendere serie le vostre guarentigie. I vostri predecessori calpestarono un Concordato giurato in fede e parola di Re; voi stesso stracciaste un Concordato in Toscana; sotto il vostro governo si viola la parola data al Capo della Chiesa in Napoli, in Modena, in Lombardia, dappertutto, e voi vi presentate a lui offerendogli guarentigie! Ma da voi stesso capiste quale accoglienza potea venir fatta alle vostre proteste, sentiste nella vostra coscienza l’insulto che contenevano, e quindi non osaste di rivolgervi direttamente al Papa, invocando invece la mediazione dell’Imperatore dei Francesi. Oh povera Italia che, per trattare col Santo Padre, ha bisogno di Luigi Bonaparte! Ricasoli continui):
«Già in altra occasione io ebbi a dichiarare solennemente innanzi a voi con quali modi e per quali vie il governo del Re volesse andare a Roma: non per impeti disordinati, non per moli violenti, non per via di distruzione, ma di edificazione, porgendo occasione alla Chiesa di conseguire uno splendore nuovo ed una dignità nuova, emancipandola dai vincoli mondani che la fanno servii, sotto apparenza di mantenerle dominio».
«Ad ogni procedimento verso Roma, io posi per condizione che si sarebbe fatto d’accordo colla Francia, alla quale l’Italia non dimenticherà mai qual gratitudine debba pei potenti aiuti che n’ebbe a condursi nelle sue condizioni presenti onde le sarà agevole, persistendo nella via di senno, di vigore, di fermi propositi fin qui nobilmente percorsa, salire al grado che le spetta fra le nazioni».
«Era dunque il governo del Re consentaneo alle sue dichiarazioni, ai suoi sentimenti, a tutte le convenienze, quando si studiava di sciogliere la questione romana per via di accordi col Santo Padre, sulle basi della libertà rispettiva della Chiesa e dello Stato, e quando si volgeva al governo imperiale di Francia, perché de’ suoi sentimenti e delle sue proposte volesse farsi mediatore presso la Santa Sede».
Ricasoli vuole andare a Roma per via di edificazione! Bella edificazione che egli ha fatto già in tutte le altre parti d’Italia! Bella edificazione ch’egli sta facendo nel regno delle Due Sicilie! E in Roma vuoi edificare distruggendo il dominio temporale dei Papi, opera di dodici secoli! Vuole edificare emancipando la Chiesa dai vincoli mondani. E che cosa direste a chi vi togliesse il castello di Broglio per emanciparvi dai vincoli mondani? Che cosa rispondereste al furfante che si scusasse di avere svaligiato una famiglia col pretesto d’averla voluta emancipare dai vincoli mondani? Ricasoli tirava innanzi così:
«In quel tempo disgraziatamente non parve che l’animo del Santo Padre fosse disposto a porgere orecchio a proposta di sorta alcuna; e il governo imperiale nella sua saviezza giudicò che in tale stato di cose non sarebbe opportuno di prendersi l’incarico di presentare quel progetto che il governo del Re, nella rettitudine delle sue intenzioni verso la Chiesa, avea con sommo studio compilato».
L’Imperatore Napoleone III non volle rendersi ridicolo al pari di voi. Egli comprese tutta l’assurdità e lutto l’insulto contenuto nella vostra proposta; e quindi non la volle presentare. Non venite a dirci perciò che il S. Padre Pio IX ha rigettato le vostre offerte.
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È l’Imperatore dei Francesi che le ha rigettate; e queste offerte erano tali che voi non osaste proporle direttamente, e non trovaste in Europa chi vi volesse servire in questo tristissimo ufficio. Ricasoli conchiudeva:
«Ora il governo del Re sente il bisogno di manifestare alla rappresentanza nazionale e al mondo intero quali fossero i suoi intendimenti nel compiere i doveri del suo ufficio e i modi tenuti per corrispondere ai suoi obblighi verso di voi e verso l’Italia-, crede utile si sappia che, se la nazione italiana vuoi conseguire il compimento della sua indipendenza e della sua libertà, ciò non vuoi fare con pregiudizio della religione, né della Chiesa.
«Quando questi sentimenti siano ben conosciuti e bene apprezzati, egli spera che avrà cooperatori tutti gli onesti, e confida che siano i più, i quali, sì fra noi che fuori, pure amando la libertà e l’indipendenza delle nazioni, temono ancora che questi grandi benefizi non possano conseguirsi senza disturbo della religione, senza ridurre la Chiesa a servitù.
«Questo consenso delle coscienze rassicurate aprirà, non ne dubitiamo, quelle vie che sinora si tennero chiuse, e persuaderanno col mondò cattolico il Santo Padre che le intenzioni di S. M. il Re d’Italia e del suo governo, nonché quelle della intera nazione, sono verso la Chiesa devote ed ossequiose, quanto dei diritti della nazione gelosamente osservanti. Depongo quindi sul banco della presidenza il progetto del quale ho parlato».
Giudichi ogni onesto lettore questa schifosa maniera di favellare! Noi vogliamo spogliare la Chiesa, ma senza pregiudizio della religione; noi vogliamo rendere nostro suddito il Papa, ma senza pregiudizio della Chiesa; noi siamo devoti ed ossequiosi a Pio IX; ma ci ridiamo dei canoni, delle sue Allocuzioni e delle scomuniche.
Dalla Camera dei Deputati Bellino Ricasoli passò al Senato, e ripetè lo stesso discorso con diverse parole. Ecco ciò che disse secondo gli Atti Ufficiali del Senato, N. 125, pag. 428:
i È mio dovere di appagare una giusta ansietà di questa rispettabile parte della rappresentanza nazionale. Il governo dovea intendere a compiere quello che egli credeva suo debito e per propria coscienza e per mandato avutone dalla rappresentanza nazionale, che annuì alle dichiarazioni che ebbi l’onore di fare nella Camera dei Deputali; cioè ricuperare Roma all’Italia, congiungerla al grande corpo politico del regno. Però questa congiunzione non si poteva lare con mezzi violenti, né contro la volontà della Francia».
Una volta gl’Italiani dicevano nel Paternoster: Sia fatta la volontà di Dio. Ora dicono: Sia fatta la volontà delta Francia! «Ciò non si polca fare contro la volontà della Francia?» Dite piuttosto ciò non si polca, e non si dovea fare contro il diritto, contro la giustizia, contro il Decalogo, contro il Cattolicismo, contro la Chiesa. Di questa guisa conserverete almeno la dignità vostra e la vostra coscienza, mentre parlando come parlate fate getto dell’una e dell’altra. Ricasoli ripigliò davanti il Senato:
«Che dovea fare il governo italiano? Non istare certamente nell’inazione, ma innanzi tutto porre ogni studio intorno alla grande questione politica e religiosa che aveva sua sede a Roma; e per risolverla ispirarsi nei bisogni e nei sentimenti della nazione».
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Quando a lui parve che le conclusioni del suo studio rispondessero al principio della libertà della Chiesa in libero Stato, allora compose un progetto che egli non credette tenere sul tavolino, masi fece premura rivolgerlo all’approvazione del nostro alleato l’imperatore dei Francesi.
E questo fece non tanto, perché l’imperatore dei francesi lo esaminasse, ma ancora per pregarlo, che egli si facesse mediatore presso il Saulo Padre della presentazione del progetto, e con ciò n’aiutasse a conseguire l’intento.
«Era una necessità pel governo italiano di valersi di questo mezzo; imperocché disgraziatamente da qualche tempo, ed al momento che corre, lo comunicazioni col Santo Padre sono interrotte, e non vi sarebbe stata altra via convenevole che quella indicata, per giungere fino a lui».
E qui Ricasoli ripete ai Senatori ciò che disse già ai Deputati. L’Italia ci ha l’aria di un’allieva degli asili infantili che vorrebbe scrivere una lettera e la mostra alla maestra per vedere se va bene. L’Italia concentrata in Ricasoli (chi l’avrebbe mai più immaginato?) scrisse la sua lettera al Papa e mandolla all’imperatore dei Francesi che la correggesse. L’imperatore la fece in pezzi perché la trovò piena di spropositi. Uditelo da Ricasoli che lo confessa alla sua maniera:
«Le circostanze, che correvano nel momento in che gli era inviato il progetto, non permisero all’Imperatore dei Francesi di accedere alla domanda, e manifestando un animo sempre benevolo verso quella nazione che deve a lui per tanta parte la sua rigenerazione, consigliò di attendere altro momento più opportuno. Le disposizioni d’animo mostrate dal Santo Padre non incoraggivano difatti a proporre negoziazioni fra il governo d’Italia ed esso, né potevano perciò queste riuscire all’accordo ed alla bramata conciliazione».
Ora seguono alcune dichiarazioni del Ricasoli che ci conviene registrare. Da esse risulta che la questione di Roma è una grande questione cattolica, e che simili questioni non si decidono dai Re e dagli Imperatori, sibbene dal Capo della Chiesa. Ascoltiamo il Ricasoli:
«Del progetto cui accennai è stato lungamente parlato. E siccome la quistione che piglia nome da Roma è tale, che niuna più interessa alla nazione italiana, e ad essa fanno capo i grandi principii morali e religiosi, la sua soluzione in conformità al diritto ed al voto della nazione, sarà sopratutto un trionfo morale, un trionfo della pubblica opinione; perciò vuoisi discutere e trattare non solo nei principii generali, ma anche nelle particolarità, e nella pratica esecuzione. Né in questo difficile lavoro, in questa ricerca pacata, saggia, profonda deve venire meno l’animo, né il fermo proposito di risolvere e vincere le difficoltà. E la coscienza del nostro diritto, del rispetto ai grandi principii religiosi ci aiuterà a riuscire nell’intento.
«È innegabile che anche fra quelli che amano la libertà d’Italia, ve ne siano alcuni che non bene si rendono conto, come possa sussistere l’indipendenza del Capo della Chiesa, privato che sia del suo potere temporale. Bisogna adunque mostrare che questo non solo può essere, ma che la Chiesa ne avrà più libera e larga azione, e incremento di dignità, e che potrà più efficacemente adempiere all’altissimo suo ufficio. — Ora se portato l’esame sulle proposte del governo, i cattolici sinceri anderanno persuasi, che la separazione del potere spirituale dal temporale non i tal fatto che debba turbarne le coscienze, per certo le ultime difficoltà saranno superate».
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Ma non avete letto, signor Ricasoli, lo splendido articolo del signor Alberto de broglia, il quale vi prova essere impossibile la separazione, che voi divisate? Per separare il potere spirituale dal temporale dovete separare dapprima il cattolico dal cittadino. È egli possibile? Le vostre proposte, qualunque siano in teoria diverrano sempre in pratica un fomite di liti e di persecuzioni dello Stato contro la Chiesa.
Ricasoli conchiude con un solennissimo sproposito, dicendo che la Chiesa e lo Stato sono indefettibili amendue. Vedrà fra breve il signor Bellino, che cosa sia l’indefettibilità della Chiesa, e dove riesca l’indefettibilità del suo regno. Registriamo testualmente questa conclusione:
«In qualunque caso era debito di chi rappresenta un Re sinceramente cattolico ed ha in mano gl’interessi di una nazione veramente cattolica, era dover patrio quello d’intendere a conciliare la religione e la libertà, la Chiesa e lo Stato, indefettibili ambidue, e quindi certamente conciliabili tra loro.
«L’Europa vedrà che se la nazione italiana invoca i suoi diritti politici, e vuole compiere se medesima, ciò non fa perché voglia menomare l’autorità della Chiesa, ma perché è una necessità dulia sua politica vita; e sia aperto qual sia l’animo nostro, cioè che la nazione si compia, e che la Chiesa consegua intiera la sua libertà e la sua indipendenza.
«Quindi il governo d’Italia ha la coscienza, ha il convincimento che se questo lavoro non portò ancora il suo frutto, sarà però sempre utile di richiamare a questa profonda meditazione non solo tutti i cattolici sinceri, ma tutti quelli che meditano sopra i progressi e sopra il miglioramento dell’umanità».
E non solo tutti i cattolici sinceri, ma anche tutti gli uomini onesti si ridono di voi, e vi detestano, perché volete togliere l’altrui, e dare in compenso ciò che non potete e non volete attenere.
LA LETTERA Di RICASOLI A PIO IX
Pubblicato il 24 novembre 1861
Il 24 di agosto del 1861 Bettino Ricasoli scriveva una circolare contro il nostro Santo Padre Pio IX, ed il 10 di settembre osava indirizzare una lettera allo stesso Pontefice, con cento proteste e mille promesse. La circolare del 24 agosto calunniava il Papa, dicea che lascia battere moneta falsa che carpisce ai credenti delle diverse parli d’Europa l’obolo di S. Pietro, che si serve di questo danaro per assoldare i briganti, che da benedizioni, con cui quegli uomini ignoranti e superstiziosi corrono più alacremente al saccheggio ed alle stragi, che manda ai briganti munizioni ed armi quante ne abbisognano, e ciò perché non manchi in Italia l’ultimo sostegno del principato del Papa.
Tutte queste infami e sciocche calunnie vennero smentite dalla diplomazia estera, che risiede in Roma, e il rappresentante di Francia in capo, e poi tutti gli altri rappresentanti delle Potenze anche eterodosse, compreso l’agente officioso della Gran Bretagna, attestarono che nella circolare di Bellino Ricasoli non vi avea ombra di vero, che il Papa e il suo governo erano innocentissimi delle colpe loro apposte dal procace ministro.
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Il Ricasoli dietro si solenni smentite avrebbe dovuto, o provare, o ritrattare le accuse. Ma siccome non è possibile provare il falso, e a chi ha il coraggio della bugia, manca bene spesso quello della ritrattazione, così il Ricasoli dissimulò, e dimentico della circolare del 24 di agosto contro il Papa scrisse a Pio IX la lettera del 10 di settembre.
In questa lettera il Papa, che sedici giorni prima carpiva l’obolo dì San Pietro e benediceva il saccheggio e le stragi, diventa il Beatissimo Padre dalle parole di mansuetudine e di perdono, il rappresentante di un Dio di pace e di misericordia e padre di lutti i fedeli, uomo di una grande rettitudine d’intelletto, e di una segnalata bontà di cuore!
Napoleone III fu stomacato di questo linguaggio che in sì brevi giorni dalla maledizione passava alla benedizione, bugiardo sempre così nel maledire, come nel benedire. E siccome il Ricasoli avea supplicato la Maestà Imperiale del Bonaparte di presentare la sua lettera al Papa, quegli non volle acconsentire, e rimandò invece la lettera a Torino.
Nel rimandare questa lettera il gabinetto delle Tuileries dee avere scritto una noia diplomatica, giacché gli era stata rimessa per mezzo di una nota al nostro ministro plenipotenziario a Parigi, nota che terminava così: «Autorizzo la S. V. a dar lettura e rilasciar copia del presente (dispaccio) e della lettera per S. S. a 8. E. il ministro degli affari esteri». Ora vorremmo sapere perché il sig. Ricasoli non abbia comunicato al Parlamento la nota risponsiva. Questo documento è necessario per conoscere quale giudizio recasse la Francia tanto della lettera, quanto delle proposte che voleano farsi al Papa. Che cosa c’importa sapere quello che il Ricasoli divisava di scrivere e di offerire a Pio IX? La lettera e le offerte non giunsero che a Parigi, conciossiachè per andare a Roma pigliassero quella strada, secondo lo stile della nostra diplomazia che sdegna le linee rette ed ama le curve. Dunque il paese ha diritto di sapere quale accoglienza trovassero alle Tuileries, dove soltanto poterono arrivare.
Il Ricasoli non ci dice che una cosa sola, che cioè la Francia non si volle incaricare di trasmettere al Santo Padre né la sua lettera, né le sue offerte. Ma perché non se ne volle incaricare? Quali motivi addusse? Riconobbe forse scempie le offerte, ridicolo l’offerente e impudentissima la lettera? Fuori il documento, se esiste: è questo che vogliamo conoscere, questo che getterà molta luce e sul presente e sull’avvenire. E se il documento non esiste, si dica, e sarà peggio ancora, perché risulterà avere il signor Thouvenel riputato indegna di risposta una nota del primo-ministro del così detto regno d’Italia.
Noi finora non ci siamo ancora addentrati nella sostanza della lettera di Ricasoli al Papa. Ma poiché venne resa di pubblica ragione, converrà scriverne due parole. La lettera esordise col dire che, dodici anni fa, l’Italia per opera di Pio IX credette aperta l’èra della sua rigenerazione, e conchiude protestando che l’Italia vuole interamente spodestato Pio IX. Ricorda un grande benefìzio del Papa agli Italiani e ne’argomenta che questi hanno da ripagarlo colla più enorme ingratitudine. Che vi pare di questa logica e di questa morale?
Il delitto del Papa, secondo Ricasoli, è ch’egli non vuole fare la guerra, epperò il dominio temporale è contro il Vangelo e contro l’Italia.
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Ma se il Papa Pio IX si fosse associato nella guerra con Carlo Alberto, che cosa avreste fatto allora?
Avreste rinunziato all’unità italiana, o spodestato il Re Sabaudo? E il Vangelo avrebbe mutato natura e insegnamenti? Non vedete che vi contraddite, quando fate dipendere da un semplice fatto l’approvare o disapprovare la sostanza di un’istituzione?
Il Ricasoli protesta di poi che gli Italiani eminentemente cattolici, farebbero qualunque sacrificio, se dovesse patirne la Chiesa. E più innanzi, dimentico della protesta, conchiude che l’Italia «potrebbe alienarsi da quella comunione, alla quale da diciotto secoli gli Italiani hanno la gloria e la fortuna di appartenere». Ma come ciò potrà avvenire, se voi stesso premetteste che gli Italiani rinunzierebbero anche alla loro nazionalità «se perciò fosse d’uopo che la Chiesa rinunziasse ad alcuno di quei principii o di quei diritti, che appartengono al deposito della fede ed all’istituzione immortale dell’Uomo-Dio?»
Il Ricasoli va innanzi e insegna al Papa che la Chiesa si è sempre acconciata alle evoluzioni sociali, e che «sul principio fu bello alla Chiesa raccogliersi nelle catacombe alla contemplazione delle verità eterne». Fu bello? Fu il frutto di tre secoli di persecuzione? Fu bello come fu bello a Gesù Cristo salire sul Calvario, e a Pietro sulla Croce. Ma voi che con un’evoluzione sociale da figlio della Chiesa ne divenite lo spogliatore, pretendete che il Papa Pio IX si acconci alla vostra evoluzione?
Poco dopo il Ricasoli dice che coloro i quali vorrebbero la Chiesa isolata dalla società civile, le recano ingiuria; e intanto chiede a Pio IX di separarsi e d’isolami affatto dalle cose temporali. Che cumulo di assurdità, di spropositi, di contraddizioni!
Soggiunge il Ricasoli che «come la Chiesa non può per suo istituto avversare le oneste civili libertà, così non può non essere amica dello svolgimento delle nazionalità». E intanto per amore della nazionalità italiana il Ricasoli pretende di spogliare la Chiesa, che confessa amica di questa medesima nazionalità!
Accenna il Ricasoli che Pio IX nel 1848 scrisse all’Imperatore d’Austria in favore dei Lombardo-veneti onestamente alteri della propria nazionalità; e intanto lascia tranquilla l’Austria nella Venezia come se fosse italiana, e vuole spogliare il Papa come se fosse un principe austriaco!
Dimentico poi di se stesso, dei fatti proprii, delle invasioni delle Marche e dell’Umbria, e della guerra civile che ferve nel regno di Napoli, il Ricasoli emette questa proposizione: la forza bruta none capace a creare il diritto, e lo prova con un testo di Gregorio XVI. Noi abbiamo compiuta ieri la citazione. Mauro Cappellari, che fu poi Gregorio XVI, dopo le parole citate dal Ricasoli proseguiva: «così una rivoluzione, un delirio di popolo potrà precipitare dal trono il monarca, e sostituirvi uno spurio nuovo governo; ma spogliare la persona del Monarca, e se il regno è ereditario, quella stirpe del diritto alla sovranità non potrallo giammai (1)».
Il Ricasoli dice al Papa che gli Italiani costituendosi in regno non hanno contravvenuto ad alcun principio religioso e civile.
(1) II Trionfo della S. Sede. Torino, 1857, pag. 33.
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L’osservanza dei trattati è un principio civile, quella del decalogo un principio religioso. E quando il conte di Cavour condannava la spedizione di Garibaldi in Sicilia come contraria al diritto delle genti, confessava la contravvenzione ad un principio civile e religioso. E poi spogliare il Papa, spogliare la Chiesa, decapitare il Cattolicismo non sarebbe un contravvenire ad un principio religioso e civile?
Ma osserva il Ricasoli: nel Papa si combattono i doveri di Pontefice con quelli di principe. Vi risponde il vostro Passaglia, che questa asserzione «è contraria al fatto di varii secoli, nel corso de’ quali s’è mostrato come per beneficio dell’uman genere il Pontefice stringesse al tempo medesimo il pastorale e lo scettro e come i popoli a lui soggetti sieno stali lieti della sua signoria, che tante volte si è fatta maestra e conduttrice alle altre potestà civili nell’avanzamento e perfezionamento del ben essere intellettuale, morale e materiale delle nazioni (1)».
Prosegue il Ricasoli: «Non ricadrebbe agevole trovare anche un solo dei dottori e dei teologi della Chiesa, il quale affermasse necessario all’esercizio del suo santo ministero il principato». Il teologo è trovato, e si chiama Passaglia. Uditelo: «Non pure la dottrina cattolica e la ragione politica, ma sì ancora l’universale consenso in tutti i tempi dimostra apertamente ]a relativa necessità del potere temporale del Papa all’esercizio del suo potere spirituale (2)».
Soggiunge il Ricasoli che gl’Italiani lenendo conto delle contraddizioni tra il Pontefice e il Principe, s’irritavano contro del Papa. Falso, signor Bellino, e vel dichiara il vostro Liverani, il quale invece diceva al Papa: «Beatissimo Padre, voi siete non pure il nostro maestro, il nostro duce, il lume e la scorta nostra nella fede e nella disciplina; ma il centro cui si compendia tuttala gloria, la grandezza, la storia e il nome latino; la fonte donde deriva e dove si raccoglie tutta la felicità e prosperità eziandio temporale e civile di Roma e d’Italia. Non è dunque vostra, o Beatissimo Padre, ma nostra è la ventura di avervi per Padre e Signore; egli è questo ancora un dono della mano di Dio verso la capitale della cristianità; epperò ogni autorità che fosse divisa dalla vostra, tornerebbe per noi un giogo insopportabile, e pubblico danno ed onta qualunque reggimento che non venisse da voi (3)». Ecco per bocca di un italianissimo come parlavano e parlano gl’Italiani!
Il Vangelo, tira innanzi il sig. Ricasoli, dice ai discepoli che non si abbiano a dar pensiero, né di possesso, né d’imperio. E voi che avete imperio e possesso, rinunziate adunque al Vangelo? Ma tanto è lungi dall’essere il dominio temporale dei Papi contro il Vangelo, che invece sono eterodossi coloro che vogliono spogliare il Papa. Uditelo, sig. Ricasoli, uditelo dal vostro Eusebio Reali: «Condanno e ripudio la eterodossia specialmente italiana, che volendo spogliare il Sommo Pontefice di un temporale dominio, insidia alla indipendenza del suo spirituale potere, cerca di troncare i nervi all’ecclesiastica autorità, e professando libertà politica vuoi comprimere e soffocare l’ecclesiastica libertà (4)».
II Pontefice ed il Principe, dialoghi di D. Carlo Passaglia, 1860, pag. 25.
II Pontefice ed il Principe, pag. 12.
II Papato, l’Impero e il Regno d’Italia. Firenze, 1861. Documenti, pag. 348.
Vedi la Protesta del Reali nell’Armonia, 21 aprile 1861.
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Capite signor Bottino che cosa è contrario al Vangelo? Ma, insiste Ricasoli «vi hanno Prelati, Vescovi, sacerdoti che apertamente ricusano associarsi alla guerra che si la da Roma al regno italiano». Nominateli, signor Ricasoli. Tra i Vescovi un solo è con voi, quello d’Ariano, tra i Prelati, un solo, il pazzo Liverani che dice e contraddice; tra i preti e i frati i Paltrinieri ed i Pantaleo. Molti di più, aggiunge il Ricasoli, vi ripugnano nel loro segreto. Calunnia, signor Ministro. Se ripugnano nel loro segreto, come potete saperlo voi? Sono venuti forse a confessarsi da voi loro padre spirituale?
Ricasoli conchiude: «Noi più di tutti vogliamo che la Chiesa sia libera, perché la sua libertà è guarentigia della nostra». Ma perché la Chiesa sia libera il Papa non dee essere suddito di nessuno. Invece Ricasoli per rendere libera la Chiesa incomincia dallo spogliarla. Vorrebbe egli che gli accordassero questo nuovo genere di libertà che il suo Bastogi va’ preparando ai contribuenti italiani?. «Voi potete, Santo Padre, innovare anche una volta la faccia del mondo, voi potete condurre la Sede Apostolica ad un’altezza ignorata per molti secoli dalla Chiesa»: sono le ultime parole di Ricasoli a Pio IX, e contengono un insulto villano. Esse equivalgono a dire al Papa: Rinnegate i vostri predecessori, che per molti secoli abbassarono la Chiesa, ed elevatela condannando i loro fatti e le loro dottrine.
Ma Pio IX, signor Ricasoli, innoverà la faccia del mondo, liberandolo dalla rivoluzione, resistendo ai barbari che vogliono tutto rovinare e distruggere; rinnoverà mostrando all’Europa imbelle il grande potere della coscienza cattolica, e come siu possibile tutto quaggiù fuorchè vincere un Papa.
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