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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (XIII) (VOL. III)

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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (XIII) (VOL. III)

IL CAPITOLATO PROPOSTO DA RICASOLI AL PAPA (Pubblicato li 26 novembre 1861).

È nostro intendimento esaminare i due principali documenti sulla questione romana, che il barone Ricasoli, presidente del ministero, presentò nel 1861 al Parlamento; e dopo di avere detto nell’articolo anteriore dell’Armonia, degli errori, delle contraddizioni, delle logomachie, delle assurdità, delle ridicolaggini contenute nella lettera che il gran barone voleva inviare al Papa per mezzo dell’ambasciata francese, oggi discorreremo del capitolato che teneva dietro alla lettera istessa come conseguenza delle premesse in quella contenute.

Affermiamo, e sarà nostro debito dimostrare che il capitolato e la lettera fanno fra loro a calci ed a pugni, e l’uno distrugge l’altra, cosicchè se è sincero quanto si promette nel capitolato, dee dirsi falso tuttociò che del potere temporale d. el Papa si asserisce nella lettera, e viceversa se si sostengono le proposizioni contenute nella lettera, diventa puerile, ridicolo, sciocco, assurdo tutto quello che si promette nel capitolato. Vedrà il lettore che non si richiede molta metafisica per provare all’evidenza questa tesi.

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Di l’atto che cosa dice il Ricasoli al Santo Padre Pio IX nella famosa lettera del 10 di settembre 18GJ? Gli dice, ch’egli deve rinunziare alla sovranità temporale ed alle sue prerogative, perché non è possibile conciliare nella stessa persona i doveri di Pontefice e di Principe; perché «il Vangelo porge molti detti e fatti di spregio e di condanna dei beni terrestri»; perché «Cristo porge molti avvertimenti a’ discepoli, che non si abbiano a dar pensiero né di possesso, né di imperio»; perché la sovranità serve ad agitare la Chiesa «a distrarla, colla cura degli interessi mondani, dalla cura dei beni celesti».

Da una simile lettera quale capitolato dovea discendere a filo di logica? Ognun sei vede da sè, la proposta di un capitolato che per primo articolo dicesse: «Il Santo Padre Pio IX, considerando che per dieci secoli i suoi predecessori ignorarono il Vangelo, giacchè non avevano avuto la buona ventura di ricevere una lettera dall’evangelista Bettino Ricasoli, rinunzia per sé e pei suoi successori fino al termine de’ secoli alla dignità, all’inviolabilità, a tutte le altre prerogative della sovranità, insomma a tutto ciò che sa di temporale, di beni terrestri, d’interessi mondani».

Invece qual è il capitolato, che dopo la sua famosa lettera, Bettino Ricasoli propone al Papa? Eccolo testualmente: «Il Sommo Pontefice conserva la dignità, la inviolabilità e tutte le altre prerogative della sovranità, ed inoltre quelle preminenze rispetto al Re ed agli altri Sovrani che sono stabilite dalle consuetudini. l Cardinali di Santa Madre Chiesa conservano il titolo di Principi, e le onorificenze relative».

Il Ricasoli adunque, dopo di avere cercato di provare al Papa, che non può, che non dee essere sovrano, gli propone di guarentirgli la dignità, la inviolabilità, e tutte le altre prerogative della sovranità! È come se l’Armonia dopo di avere dimostrato che Ricasoli è un citrullo, che non merita di essere ministro, pretendesse che dall’Italia e da tutta l’Europa gli fosse guarentito il portafoglio!

Ma che, signor Bettino? Liverani v’ha forse appiccato il suo male, e al par di lui deste il cervello a pigione? Se il Vangelo porge molti fatti e detti di spregio e di condanna dei beni terrestri, come osate voi conservare al Papa, all’interprete del Vangelo, a colui che dee metterlo in pratica e predicare coll’esempio, come osate conservargli la dignità, la inviolabilità e tutte le altre prerogative della sovranità’! E non sono questi beni terrestri? E se Cristo porge molti avvertimenti ai discepoli «che non si abbiano a dar pensiero, né di possesso, né d’imperio», perché volete conservare al Vicario di Gesti Cristo tutte’ le preminenze rispetto al Re ed agli altri Sovrani?

Ma ragionate coi gomiti, signor Barone! Se gli uomini di Chiesa non debbono essere distraiti «colla cura degl’interessi mondani dalla cura dei beni celesti», perché dire che, i Cardinali di Santa Madre Chiesa conservano il titolo di Principi e le onorificenze relative?» Siete un diavolo tentatore, voi, e volete trascinare all’inferno e i Cardinali e il Pontefice. Vergogna! Dichiarare a’ chierici: non v’è lecito possedere e poi guarentire i loro possedimenti! Vergogna? Vergogna!

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E l’articolo 9 del capitolato aggrava ancora di più la tentazione: «II governo si obbliga di fornire alla Santa Sede una dotazione fissa ed intangibile in quella somma che sarà concordata». Coteste è il capitolato di Simon Mago. Leggendo, signor Bettino, le Scritture Sante per insegnarle al Papa, avete visto che Simone obtulit eis pecuniam, offerì danaro agli Apostoli, se gli facevano parte della loro sovranità, e voi rinnovaste l’offerta a Pio IX.

Ma Pio IX ha letto nelle stesse Sante Scritture la risposta di S. Pietro, e ve l’avrebbe rimandata se Luigi Bonaparte gli avesse spedito il vostro capitolato. E la risposta sapete qual è? Eccovela solennissima. Pecunia tua tecum sii in perditionem. Capite il latino? S. Pietro non ci metteva frasche, né complimenti quando trattava con gente dello stampo di Simon Mugo. Li mandava in terminis al diavolo! Edera ben lontano dal violare le leggi della carità, che anzi Cornelio A Lapide dice a questo luogo: Ex charitate id fecit et studio religionis!

Né vengano a risponderci che Bettino Ricasoli non ha proposto al Pupa di cedergli il regno spirituale mediante pecunia, sì solamente il temporale, né potersi perciò tacciare di simonia. Imperocchè è simonia vendere le cose della Chiesa, è simonia cercare di comperarle, e il regno temporale del Papa è cosa ecclesiastica, e quello, di cui Ricasoli domandava la cessione, si chiama appunto il Patrimonio di S. Pietro. Sul quale proposito abbiamo una magnifica lettera decretale di Urbano II scritta nel 1099, dove, tra le altrecose, dice: «Chiunque per suo guadagno vende o compra le cose ecclesiastiche che sono dono di Dio, perché donate da Dio ai fedeli, e dai fedeli donate a Dio, con Simon Mago vuole procacciarsi, mediante danaro, il dono di Dio».

Il territorio che voi volete acquistare con danaro, signor Ricasoli, è stato dato Deo et B. Petro, come dicono tutti gli antichi documenti. Dunque, o Bettino, donum Dei existimasti pecunia possideri. Dunque Pio IX per carità vi dice: pecunia tua tecum sit in perditionem, e condanna l’offerta e l’offerente, come fe’ S. Pietro, giusta l’interpretazione di S. Gemiamo.

Abbiamo pertanto nel capitolato di Bettino Ricasoli una solenne contraddizione in quanto propone al Papa di conservargli ciò che prima ha dichiarato che il Papa dovea rinunziare; abbiamo una schifosa empietà, perché, dopo di aver detto che il Pontefice e i Chierici debbono, secondo il Vangelo, disprezzare i beni terrestri, offre loro beni terreni; abbiamo un insulto a Pio IX e ai Cardinali che Bettino Ricasoli suppone vogliano ribellarsi agl’insegnamenti di Gesù Cristo, dopo che il nostro Presidente del ministero ebbe la bontà di palesarne loro la sostanza; abbiamo finalmente un attentato di simonia nel cercar di comperare a danari contanti le cose sacre.

E non c’è il menomo dubbio, e ne appelliamo allo stesso D. Passaglia, che sarebbe simoniaco il Pontefice che aderisse al capitolato di Ricasoli, simoniaco il Cardinale che lo favorisse, simoniaco ogni altro cattolico che lo sostenesse o vi prestasse mano, come già fin d’ora reo della più sordida simonia è il barone Bettino Ricasoli che l’ha proposto. Ed ha fatto molto bene Luigi Bonaparte a non presentarlo, se no incorreva egli pure nelle pene contro i simoniaci, e cessava issofatto d’essere canonico di San Giovanni in Luterano.

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Ma v’è una cosa di più nel capitolato di Bettino Ricasoli, e sapete che cosa c’è? C’è un nuovo argomento in favore del dominio temporale dei Papi. Nostro Signore pigliava sulla parola Ponzio Pilate, e gli rispondeva: Tu dici che io sono Re. E Pio IX può rispondere a Bottino Ricasoli: Tu stesso hai confessalo ch’io debbo essere Sovrano.

E per verità, Dettino Ricasoli conchiudeva la sua lettera a Pio IX così: «La Chiesa ha bisogno di essere libera, e noi le renderemo intera la sua libertà. Noi più di tutti vogliamo che la Chiesa sia libera, perché la sua libertà è garanzia della nostra».

Ora passando alla pratica, Bellino Ricasoli che cosa la per rendere liberala Chiesa? Propone un capitolato, il cui primo articolo dice: «II Sommo Pontefice conserva la dignità, la inviolabilità e tutte le altre prerogative della Sovranità».

Dunque, conchiudiamo noi, e dee conchiudere chiunque abbia un po’ dì cervello, dunque perché la Chiesa sia libera è necessario che il Pontefice abbia tutte le prerogative della Sovranità. Ma tra le prerogative della Sovranità la prima è che il Sovrano abbia un regno dove comandi, e in conseguenza Dettino Ricasoli riesce a confessare, che per la libertà della Chiesa è necessario il dominio temporale del Papa.

Se no il linguaggio del Ricasoli diverrebbe eminentemente ridicolo, porche direbbe al Papa: voi dovete essere Re, vi conserveremo tutte le prerogative di Re, ma vi leveremo il regno. — Mi leverete il regno? potrebbe ripigliare Pio IX: chi allora mentite già alla vostra parola, e non mi conservate tutte le prerogative della Sovranità, perché una di queste prerogative, anzi la massima, è appunto l’avere un regno.

E per questo verso ci duole che Luigi Bonaparte non abbia mandato a Roma il capitolato di Dettino Ricasoli, giacché poteva benissimo venire stampato nella magnifica raccolta che si va pubblicando col titolo: La sovranità temporale dei Romani Pontefici propugnata nella sua Integrità dal suffragio dell’orbe cattolico regnante Pio IX.

Laonde il Diritto del 24 di novembre 1861 giustamente osserva: «In verità, noi che non pecchiamo di tenerezza verso l’Imperatore dei Francesi, crediamo che esso abbia acquistato seriamente un titolo nuovo alla riconoscenza dei nostri moderati quando trovò un pretesto per non presentare al Papa quella lettera e quel capitolato».

Come però Dettino Ricasoli osò presentarlo al Parlamento ed alle stampe? Non vede che egli ha reso un segnalato servizio dell’Armonia ed alla causa cattolica? Quind’innanzi se taluno verrà a dirci che il Papa non dev’essere Re, noi gli risponderemo: — Taci lì, che Bellino Ricasoli gli vuole conservare tutte le prerogative della sovranità. — Se un altro ripiglierà che la Chiesa non ha bisogno di beni temporali e noi gli soggiungeremo: — Taci lì, che licitino Ricasoli per dare libertà alla Chiesa vuole assicurare al Papa e ai Cardinali grasso Stipendio. — Se un terzo si riderà del titolo di principi che portano i successori degli Apostoli, e noi: — Taci lì, che Dettino Ricasoli ha dello: «I Cardinali di Santa Madre Chiesa conservano il titolo di principi e le onorificenze relative». E questo per rendere la Chiesa libera! —

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Oh! il capitolato del signor Ricasoli è una vcrn miniera di argomenli contro i frebboniani, i leopoldini, i ginseppisti, i legulei, e simile genìa; e se mostrasi empio e simoniaco negli intendimenti, riesce favorevolissimo alla Chiesa nelle $ue conseguenze; tesi, che per non essere soverchiamente luoghi, ripiglieremo un altro giorno, e forse domani.

IL BARONE RICASOLI MERCANTE DI LIBERTA’

(Pubblicato il 27 novembre 1861).

Chi vive in Torino e passa talvolta sotto i portici di Po; s’imbatte spesso in molti merciaiuoli ambulanti, che, sciorinate per terra le loro mercanzie, come a dire fazzoletti, guanti, balocchi, cianfrusaglia, prendono a stordire la gente gridando quanto ne hanno in gola: — Comprino, padroni; comprino, che tutto è a vilissimo prezzo. Si valgano dell’occasione: non si tratta di vendere ma di liquidare. Avanti, signori, avanti; ogni genere di mercanzia quasi in regalo! —

Bettino Ricasoli ci ricordò questi venditori, quando, recatosi al Parlamento, sciorinò innanzi ai Deputati e ai Senatori i suoi documenti: la lettera che voleva spedire al Papa, quella destinata al Cardinale Antonelli, il capitolato proposto alla Santa Sede e il dispaccio al cavaliere Nigra a Parigi, e prese a dire e a ripetere a qual prezzo voleva accordare la libertà alla Chiesa. Egli ci pareva d’udire il barone Ricasoli a gridare a sua volta: — Comprate, o cattolici, comprate la libertà, compratela perla vostra Chiesa; io ve la do a buonissimo mercato. Mi contento di Roma, e se me l’accordate, lascio libero il Papa, liberi i Vescovi e, fino a un certo punto, liberi tutti gli altri chierici. Suvvia, chi vuoi fare acquisto della libertà per la Chiesa? Non si tratta di vendere, ma di liquidare. —

Cerio è che Ricasoli nel suo capitolato ha proposto un vero contratto bilaterale: do ut des. lo do la libertà alla Chiesa, purchè la Chiesa dia Roma alla rivoluzione. Un contratto sottosopra dello stesso genere s’era fatto a Plombières; un nitro più tardi, quando trattossi di avere Bologna e le Romagne. Il conte di Cavour ha detto chiaramente alla Camera, che per andare a Bologna bisognava cedere alla Francia la Savoia e Nizza. Ora ci dice al Papa che, se vuole governare liberamente i cattolici, dee vedere Roma, e i mercanti si lusingano di trovar mercanti dappertutto!

Intanto sottentra l’Opinione e fa la mezzana, dicendo: — E che? Non volete voi comperare questa libertà, mentre ve la danno a sì infimo prezzo? A voi preme assai più conservare l’autorità terrena, che il libero esercizio dell’autorità spirituale? Provvedete meglio ai vostri interessi: comperate, comperate la libertà dal bottegaio Ricasoli; si direbbe ch’egli non ve la vende, ma ve la dona; comperatela è un consiglio amichevole che vi do, e tutto per vostro vantaggio — E tira innanzi con quelle lusinghe e moine, di cui i giudei sono maestri quando trattasi di insaccare i semplicioni (Vedi V0pinioae&e\ 25 di novembre 1861, N.325).

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Ma qui è da farsi una importantissima riflessione. Voi volete vendere alla Chiesa ciò che già alla Chiesa appartiene, e su cui essa ha un assoluto e imprescrittibile diritto. Volete vendere al Cattolicismo la libertà, mentre la Chiesa ha diritto alla libertà per legge divina, naturale ed umana. Per legge divina in quanto la Chiesa fu fondata da Dio, e Dio la vuole libera, anzi niente più ama che la libertà della sua Chiesa, come dice Sant’Anselmo.

Per legge naturale, giacché la Chiesa essendo la base, la tutela e la vita della società, non può essere impedita di agire sulla medesima e liberamente informarla. Per legge umana, giacché lo Statuto dichiara il Cattolicismo religione dello Stato, e accorda alla Chiesa tutte quante le libertà che concede alle altre associazioni, anzi libertà tanto maggiori, quanto la società religiosa supera tutte le altre associazioni civili, e non vuole ne può nuocere allo Stato.

Se dunque la Chiesa ha da sé diritto alla libertà, perché voi pretendete che il Papa vi ceda Roma per lasciar libero il Cattolicismo? Sarebbe come se voi aveste un debito di cento lire, e per pagarle al creditore esigeste ch’egli rinunziasse al suo cappello — Lascia qui il cappello, altrimenti non ti pago — Non mi pagate? soggiungerebbe il creditore; ma la vostra è pura è pretta tirannia, giacché il mio credito è certo, i miei titoli evidentissimi, ed io vo’ ritenere il cappello per me, che mi appartiene, e in pari tempo esigo da voi il danaro che mi dovete. —

Il caso del Papa è identico. Roma appartiene alla Chiesa, e Ricasoli confessa implicitamente che Roma è di Pio IX quando gli chiede di rinunciarvi. Non si rinunzia alla roba altrui. Dunque il Papa ha tutto il diritto di ritenere Roma, e nello stesso tempo ha il diritto di chiedere che la Chiesa sia libera perché e Dio e lo Statuto la vogliono in piena libertà. E chi incatena la Chiesa, perché il Papa non vuoi cedere Roma, è despota, è tiranno, abusa della forza, perseguita il Cattolicismo, e si merita la malidizione degli uomini e di Dio.

I diritti della Chiesa sono solennemente confessati dal Barone Ricasoli nella proposta del suo capitolato. «La Chiesa ha bisogno di essere libera, egli dice, e noi le renderemo intera la sua libertà». Notate le parole: le renderemo. Non si tratta di un dono; si tratta di una restituzione, e restituire significa riconoscere un diritto. E mentre Ricasoli promette di rendere alla Chiesa LA SUA LIBERTÀ, dice al Santo Padre di rinunziare l’impero che ha come Principe, Dunque riconosce l’impero come cosa del Papa, e riconosce la libertà come un diritto della Chiesa.

Ora veggiamo che cosa Ricasoli vuoi dare alla Chiesa per renderle intera la sua libertà. 1° Conservare al Papa tulle le prerogative della sovranità, e di questo abbiamo discorso nel numero precedente e dimostrato che la prima prerogativa della sovranità è che il Sovrano abbia un regno; 2° Non frapporre ostacolo in veruna occasione agli atti che il Sommo Pontefice esercita per diritto divino come Capo della Chiesa». E quest’ostacolo non lo dovete frapporre mai per non operare contro il diritto divino. Sarebbe bella che voi vi opponeste alle ordinazioni di Dio, perché il Papa non vuole darvi Roma!

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Andiamo avanti, «Art. 3°. Il governo riconosce il diritto nel Sommo Pontefice d’inviare i suoi Nunzi all’estero». Si tratta nuovamente d’un diritto, e il diritto è indipendente da ogni rinunzia, e i governi onesti debbono rispettarlo ad ogni costo. «Art. 4°. Il Sommo Pontefice avrà libera comunicazione con tutti i Vescovi e i fedeli, e reciprocamente senza ingerenza governativa».

Questo si stabilisce per rendere alla Chiesa la sua libertà. Dunque è una restituzione, e l’ingerenza governativa è stata un’usurpazione. Lo stesso riflesso è applicabile all’art. 5°. «I Vescovi nelle loro diocesi e i parrochi nelle loro parrocchie saranno indipendenti da ogni ingerenza governativa nell’esercizio del loro ministero». Dunque questa ingerenza governativa fu finora una schiavitù dello Stato sulla Chiesa, e, se voi l’abolite, non date alla Chiesa nulla del vostro, ma le rendete solo la sua libertà. Capite? La sua libertà. Sono vostre parole, signor Ricasoli.

Avanti ancora. «Art. 6°. S. M. rinunzia ad ogni patronato sui benefizi ecclesiastici». E qui si riconosce che il patronato fu una concessione della Chiesa, un favore che essa accordò al Capo dello Stato, e, mentre si vuole rinunziare a questo favore, si confessa che in sè, propriamente parlando, e nella condizione di piena libertà tocca alla Chiesa amministrare e distribuire a sua voglia i suoi benefizi. Lo stesso dicasi dell’art. 8°. e Il governo italiano rinunzia a qualunque ingerenza nella nomina dei Vescovi». Tutto questo si fa per rendere alla Chiesa la sua libertà, epperò non si dà alla Chiesa se non quello che è SUO e le appartiene di pien diritto.

Segue l’articolo 9° che suona così: «Il governo si obbliga di fornire alla Santa Sede una dotazione fissa ed intangibile in quella somma che sarà concordata». Ed è qui la prima e l’unica volta in cui il sig. Ricasoli propone di dare qualche cosa che è proprio del governo. Tutta la sostanza del capitolato si riduce a quest’articolo: non è la questione di libertà è questione di danaro. Frondate il capitolato di tutte le frasi, e si risolve in questa domanda: — Santo Padre, che cosa volete per vendermi Roma? — La risposta del Papa l’abbiamo riferita ieri; è la risposta di San Pietro a Simon Mago: Pecunia tua tecum sit in perditionem: al diavolo voi, e i vostri danari.

Pio IX non vuole vendere Roma per verun prezzo; perché il cuore e la dignità del Papa ripugnano da questi mercimonii; perché egli è il Vicario di Colui che comprò e riscattò ai popoli al prezzo del suo proprio sangue; perché la Chiesa di Cristo condannò ed abolì la tratta dei negri, e non vi vuole sostituire la tratta dei bianchi; perché né Ricasoli, né Bastogi, né la Francia, né l’Inghilterra, né l’universo hanno tanto danaro che possa pagare il sangue di un romano, od un ciottolo, capite? un ciottolo solo di Roma.

— Ma se Pio IX non ci vuole vendere né Roma, né i Romani, noi negheremo alla Chiesa la sua libertà. — E voi sarete prepotenti, come è prepotente chi toglie la vita a chi non gli vuole consegnare la borsa; come erano prepotenti i primi persecutori che spiccavano il capo a’ cristiani che non volevano piegare il ginocchio davanti gli idoli. Fate come più vi aggrada: la Chiesa potrete incatenarla, imprigionare e anche uccidere il Papa; vincerlo no, in eterno.

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E poichè siete mercanti di libertà, il Papa e la Chiesa la compreranno da voi -soffrendo, pregando, e a forza di preghiere e di martirii diventeranno liberi. Imperocchè Pio IX e la Chiesa possono patire e resistere fino al sangue, ma non possono arrendersi a contratti simoniaci, non possono cedere un apice solo del diritto e della giustizia, non possono in nulla consentire ad un sacrilego mercimonio.

Che, se, per ipotesi assurda, un Papa sottoscrivesse al vostro capitolato, in quel dolorosissimo giorno comincierebbe per la Chiesa la più trista servitù, non tanto perché voi le dareste nuove catene invece di libertà, quanto perché la Chiesa senza macchia e senza ruga cesserebbe di essere immacolata, santa, divina, diventerebbe ciò che è l’ortodossia in Russia e l’anglicanismo in Inghilterra, un’istituzione umana, una società di banca, un’associazione commerciale; la Chiesa allora ucciderebbe se stessa e perderebbe in un giorno la potenza, lo splendore, la virtù, la gloria di diciannove secoli.

Oh non volete rendere alla Chiesa la sua libertà, la volete avvilire! Le gettate innanzi un mucchio di danaro, perché vi dia in cambio la sua indipendenza, Ah sciagurati! E non conoscete ancora questa Chiesa a cui presentate i vostri capitolali? Non avete letto una linea della sua storia? Non udiste parlare di nessuno de’ suoi Pontefici? Deh smettete i pravi disegni, smetteteli per l’onor vostro, se poco vi cale della sposa di Gesù Cristo. Se volete stringere contratti andate a Parigi, non a Roma. Sulle rive della Senna già compraste un simulacro d’indipendenza, un cencio di libertà al prezzo di Savoia e di Nizza; continuate pure i contratti, se così vi aggrada; vi restano altre provincie da cedere; avete la Liguria già dimezzala; avete la Sardegna pericolante; avete la Sicilia, secolare sospiro dell’inglese; correte sulle rive della Senna, correte su quelle del Tamigi coi vostri notai, coi vostri sensali, coi vostri capitolati; ma per carità non andate sulle sponde del Tevere. Di là fu sloggiato per sempre il paganesimo che trafficava i popoli, che metteva l’impero all’incanto, che vendeva e comperava ai tempi di Giugurta. Pietro ha riscattato Roma, ma Pietro non la vende. Trentatrè Papi dal pescatore di Betsaida a S. Silvestre hanno acquistato Roma alla fede col prezzo del loro sangue, e nessuno de’ suoi successori la cederà mai alla rivoluzione. Lungi da Roma, o mercanti, lungi, o anime basse e degeneri, che volete vendere la libertà e comperare i popoli! E non vedete sulle porte del Valicano, non vedete Pio IX armato delle funicelle del Divino Maestro? Con que’ flagelli egli avrebbe risposto al vostro capitolalo, se il destro Bonaparte invece di spedirlo a Roma, non ve l’avesse rimandato in Torino.

LA LETTERA DI RICASOLI AL CARDINALE ANTONELLI

(Pubblicalo il 29 novembre 1861).

Dal 20 di marzo del 1860 al 10 di settembre del 1861 i nostri ministri degli affari esteri scrissero tre lettere al Cardinale Antonelli, rese tulle tre di pubblica ragione. Due furono scritte dal conte di Cavour, la terza dal barone Ricasoli.

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Nella prima lettera, del 20 marzo 1860, il conte di Cavour pregava il Cardinale Antonelli a consigliare il Santo Padre Pio IX di aderire a non sappiamo quale vicariato, che avrebbe reso omaggio all’alta Sovranità della Santa Sede.

Nella seconda lettera, del 1 di settembre 1860, il conte di Cavour intimava al Cardinale Antonelli di disciogliere l’esercito pontificio e la cui esistenza era una minaccia continua alla tranquillità d’Italia!»

Nella terza lettera, del 10 di settembre 18G1, il barone Bellino Ricasoli, successore del defunto conte di Cavour, pregava il Cardinale Àntonelli «pel luogo cospicuo che ha nell’amministrazione dello Stato, non meno che per la fiducia che Sua Santità in lui ripone», di porgere utili ed ascollati consigli al Santo Padre.

La prima e la terza lettera erano piene di elogi all’Eminentissimo Antonelli. Il conte di Cavour lodava in lui «la sicurezza di giudizio, che gli viene dall’alto ingegno lungamente esercitalo nell’amministrazione dei più gravi interessi di Stato. . .

E il barone Bellino Ricasoli diceva al Cardinale Antonelli: «Al sentimento dei veri interessi della Chiesa non può non accoppiarsi nell’animo dell’Eminenza Vostra il sentimento della prosperità di una nazione, cui ella appartiene per nascita».

L’Eminentissimo segretario di Stato non potè rispondere a quest’ultima lettera del barone Ricasoli per la ragione che, giunta a Parigi, l’imperatore Napoleone III la rimandava in Torino, e metteva il veto alla spedizione.

Però noi vogliamo consolare il nostro caro Dettino dicendogli che cosa gli avrebbe risposto l’Eminentissimo Antonelli qualora avesse ricevuto la sua lettera. Egli avrebhegli dato la stessa risposta che mandò al conte di Cavour il 2 di aprile del 1860. Eccola:

Lettera del Cardinale Antonelli al conte Cavour.

Eccellenza,

Il signor barone de Roussy, segretario di Legazione di celesta Real Corte, mi consegné la lettera di Vostra Eccellenza del 20 marzo p. p. , insieme all’altra di S. M. il Re Augusto di lei signore pel Santo Padre, nelle cui sagre mani mi feci un dovere di rassegnarla.

Gli avvenimenti leste provocati nelle provincie di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna sono di lai natura, che non possono somministra real S. Padre, Vicario in terra di Quegli che è autore della giustizia, titolo alcuno per concorrere alla consumazione della più fragrante ingiustizia. Da ciò comprenderà bene l’E. V. non essere stata in grado la Santità Sua di accogliere come principio di negoziati le proposizioni fattele da S. M. il Re.

Conseguentemente mi duole di doverle dichiarare non poter io spendere in modo alcuno la mia opera al compimento dei voti del Re di lei signore, giusta l’insinuazione da lei fattami, scorgendo impossibile l’apertura dei negoziati sulla base di uno spoglio di una parte degli Stati della Santa Sede, al riconoscimento del quale, per dovere di onestà e di coscienza, mi sarebbe affatto vietato di cooperare.

345 —

In tal incontro ho l’onore di professare a V. E. i sensi della mia più distinta considerazione.

Roma, 2 aprile 1860.

Di Vostra Eccellenza servitor vero

G. Card. Antonelli.

Questa semplice lettera basta per dimostrare chi sia il Cardinale Antonelli, quanto devoto alla S. Sede ed al Sommo Pontefice, E non è l’ultima delle glorie di Pio IX l’aver affidato il governo ad uomo cosi oculato, coraggioso e leale, eludendo sempre le arti, e sprezzando le minacele di coloro che glielo volevano togliere dal fianco.

Noi incominciammo ad ammirare il Cardinale Antonelli 6n dal giorno, in cui la rivoluzione prese a sparlare di lui, e ciò vuoi dire che siamo da lunga data suoi ammiratori. Per noi il linguaggio della rivoluzione è un gran criterio per conoscere i ministri, ed è difficile trovare un personaggio che sia stato più del Cardinale Antonelli malmenato ed odiato dai rivoltosi.

Dalle lettere di un Eremita stampate nella Presse, se non erriamo, del 1850, fino al libello famoso del pazzo Livcrani pubblicato nel 1861, chi può dire le villanie, gl’insulti, i vituperi, le contumelie, le calunnie che i rivoluzionari di tutti i luoghi e di tutti i tempi lanciarono contro questo venerando Cardinale?

Giuseppe Massari fu de’ primi a denigrarlo, perché l’Antonelli non era un grullo, né un addormentato. «L’Eminentissimo Antonelli, scrisse il Massari, è il tipo dell’astuzia cardinalizia, e il futuro storico che narrerà di lui e delle sue politiche geste non dubito avrà a ripetere col Dalhmann essere davvero difficilissima cosa vincere in astuzia un Cardinale» (I casi di Napoli, pag. 135).

Ma l’astuzia dell’Eminentissimo Antonelli è la prudenza del serpente comandata dall’Evangelio, non la diplomazia di coloro che altro dicono ed altro fanno, che stringono la mano in Torino ai legati del Re di Napoli, e gli mandano contro in Sicilia Garibaldi e i suoi mille!

Il Cardinale Antonelli ha ragione di gloriarsi dell’astuzia che gli rimprovera il Massari, come se ne gloriava San Paolo, il quale diceva a quei di Corinto: Cum essem astutus dolo vos cepi (I ad Corinth. e. XII, v. 16).

Ed il Cardinale può soggiungere con S. Paolo: Num quid per aliquem eorum quos misi ad Dos, circumveni vos? Vi ho io mandato un Gian Antonio Migliorati, o un conte della Minerva? Vi ho mancato di parola, o son venuto meno agli accordi? IIo aizzato la rivoluzione contro di voi, o acceso il fuoco in casa vostra? Ilo cercato di togliervi il regno, o una parte del regno, o l’onore, 0 la riputazione?

Farini e Gioberti stamparono dell’Antonelli cose che la nostra penna rifugge di trascrivere; e quando fu esaurito il dizionario dei vituperi, allora sboccarono i sicari, ed uno di questi, il 12 di giugno 1855, investiva con un’arme biforcuta l’Eminentissimo Segretario di Stato, mentre scendeva le scale del Palazzo Apostolico, e fu una grazia della divina Provvidenza se il colpo andò fallito.

— 346 —

Minacce e lusinghe, lodi e contumelie, tutto venne adoperato contro il Cardinale Antonelli, ma egli stette sempre fermo al suo posto, ridendo degli insulti villani, disprezzando i pericoli, e offendendosi di una cosa sola, degli elogi che gli tributassero i nemici della Santa Sede e di Pio IX.

Tuttavia la rivoluzione prevalendosi di un dignitoso silenzio del Cardinale, insinuava nelle menti degli imbecilli, quorum infinitus est numerus, cento sospetti contro di lui e contro de’ suoi, finchè giunse un cotale che rese all’Eminentissimo Antonelli il più segnalato servizio.

E questi si fu Francesco Liverani, il quale avendo razzolato ne’ trivii e nelle taverne, e raccoltone quanto di calunnioso e bugiardo vi si diceva contro il primo ministro del Santo Padre, lo pose in un libello, e mandollo alle stampe. Formulate ed enumerate le accuse la Civiltà Cattolica potè vagliarle una ad una, e le confutò con tale un corredo di prove e di documenti, che la bugia e la calunnia fu messa nella maggiore evidenza, e il pazzo Liverani rimase muto e svergognato.

Di che l’Eminentissimo Antonelli ha ragione di essere grato a’ suoi nemici, i quali di questi giorni si unirono per glorificarne il nome, sia colle lettere che gli scrissero, sia coi libelli che pubblicarono, sia finalmente coi sospetti gettati nel processo Mirès, sospetti che valsero sempre più a dimostrare l’onestà e la coscienza intemerata del Cardinale Segretario di Stato.

Oh! il Signore Iddio lo rimeriterà certamente dell’affetto che porta al Vicario di Gesù Cristo, e dell’assistenza che gli prestò a cominciare dall’esilio di Gaeta fino all’ultima guerra che si combatte oggidì nel Vaticano; e come il Cardinale Antonelli piglia parte ai pericoli ed ai dolori del S. Padre Pio IX, così sarà con lui parteciperei glorioso trionfo.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_03_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#sgabello

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