STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (XIV) (VOL. III)
GLI ELETTORI DELLA VENEZIA E IL BARONE R1CASOLI (Pubblicato il 29 novembre 1861).
Il sedicente Comitato centrale Veneto presentò al barone Ricasoli il risultato delle operazioni elettorali tentate dall’Austria nella Venezia; e il bar. Ricasoli rispose che «la concorde astensione di più della metà dei votanti è nuova ed indubbia testimonianza dei sensi onde sono animate quelle generose provincie».
Dopo di aver letto queste parole, noi siamo corsi agli Atti ufficiali della Ca-«mera del primo Parlamento d’Italia, e aperto il N» 326, tornata del 21 di novembre 1861, abbiamo trovato le seguenti astensioni: Collegio di Montesarchio ha 952 elettori iscritti, e sono intervenuti 337 votanti — Collegio di Pontecorvo conta elettori iscritti 722, e intervennero come votanti 391 — Il 1° Collegio di Torino ha elettori iscritti 1379-, e sapete quanti intervennero a votare? Intervennero la prima volta 199; e la seconda volta meno ancora, cioè 185. Altro che astensione di più della metà dei votanti! E questo in Torino, capite? In Torino, nella capitale del regno d’Italia?
E ora in questa Torino si trova un Comitato Veneto che invoca le astensioni avvenute nella Venezia?
— 347 —
E si trova un Presidente del Ministero così soro da piantare il principio che i la concorde astensione di più della metà dei votanti è nuova ed indubbia testimonianza» dei sensi de’ Veneti? E la concorde astensione di due terzi, e tre quarti, e talvolta anche nove decimi degli elettori italiani alle elezioni del regno d’Italia, che vorrà dunque significare?
Deb! signor Ricasoli, almeno non vi date della zappa sui piedi, e tacete per carità, perché ogni vostra parola è uno sproposito, ogni vostro documento un errore. Ecco intanto la lettera del Ricasoli al Comitato Veneto, come viene riferita dal Pungolo di Milano del 27 di novembre, N° 330.
«II sottoscritto si reca ad onore di ringraziare codesto onorevole Comitato della comunicazione fattagli in più volte, sulle operazioni elettorali tentate dal l’Austria per la nomina dei deputati Veneti al Consiglio dell’Impero. La coN. corde astensione di più della metà dei votanti è nuova ed indubbia testimonianza dei sensi onde sono animate quelle generose provincie, è riprova della costanza con cui seppero respingere fin qui ogni arte di un governo che non poggia nell’affetto dei sudditi. Le provincie venete, sebbene oppresse da numerosi battaglioni, pure si affratellano nel fare generosa protesta contro la via lenza straniera e nel sospirare una miglior fortuna, Le altre provincie d’Italia, venute concordi sotto il regime di S. M., tengono conto di quella protesta e di quei voti e vi uniscono i proprii sperando non lontano il giorno, in cui gli urti e gli altri vengano adempiuti.;
«Pertanto il sottoscritto è lieto di cogliere quest’occasione per far plauso alla patriottica operosità spiegata da codesto onorevole Comitato pel bene della patria comune.
«Firmato: RICASOLI».
IL BARONE RICASOLI REO DI FURTO LETTERARIO A DANNO DI UN FRATE (Pubblicato il 30 novembre 1861)
In tutta questa settimana siamo venuti esaminando i documenti presentati al Parlamento dal barone Ricasoli, o nella settimana entrante toccherà ai Deputati pronunziare il proprio avviso. Già ventitré oratori si sono fatti inscrivere, venti contro il ministero, e tre soli in favore. La cosa andrà un po’ per le lunghe, e forse finirà senza veruna conclusione. Prima però di cedere la parola agli onorevoli del Parlamento, noi vogliamo spendere ancora un articolo per denunziare il barone Ricasoli come reo di furto letterario.
La lettera ch’egli ha scritto al Santo Padre sotto la data del 10 di settembre non l’ha cavata dulia sua testa, né se l’ha fatta compilare da qualche prete Passagliano, come taluno vuoi dire, bensì ha avuto la ridicola sfrontatezza di toglierla quasi parola per parola dal libro di un frate! Sissignori, non contento il Ricasoli d’incamerare i beni dei conventi, si mette anche a svaligiare i libri dei frati per compilare le sue note diplomatiche.
E noi siamo pronti a dare le prove più evidenti di questa nostra denunzia. Negli annali della diplomazia crediamo che non si trovi esempio di un fatto simile, d’un ministro degli esteri che trascrive i libri messi a stampa, e, per giunta, i libri dei frati, e poi osa presentare le sue note alla Francia e ad un Parlamento dei frati nimicissimo.
— 348 —
Il frate di cui parliamo o D. Luigi Tosti, monaco di Montecassino, il quale pubblicò due volumi intitolati Prolegomeni alla storia universale della Chiesa, e che vennero stampati a Firenze da G. Barbèra. Il Tosti consacra il quinto periodo de’ suoi Prolegomeni all’esame delle presenti condizioni della Chiesa, e noi siamo ben lontani dell’approvare le sue vedute, i suoi giudizi e il suo linguaggio.
Ma qui non si tratta di sentenziare sull’opera sua, bensì di denunziare l’anticlericale Ricasoli come reo di furto letterario a danno d’un frate. Ed eccovi il nostro Presidente del Ministero colto colla mano nel sacco. Aprite il secondo volume dei Prolegomeni del Tosti, capitolo III. Leggete a pag. 550 Della inesauribile, fecondità di nuove forme della Chiesa cattolica in rapporto all’umanità progrediente. Passate poi al capitolo IV, pag. 583, e leggete il paragrafo intitolato: La Chiesa cattolica e il principio delle nazionalità, e in questi due capitoli troverete tutti i pensieri, tutti i ragionamenti, e quasi tutte le parole adoperate da Ricasoli nella sua lettera al Papa!
Eppure in questi due volumi noi veggiamo stampato proprietà letteraria. E perché il nostro Presidente del Ministero non rispettò questa proprietà? Non s’è egli ricordato che in virtù dello Statuto tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili? Oppure volendo scrivere al Papa, perché non mandargli tutta l’opera del Tosti, anziché stralciarne qua e là alcuni periodi, e formarne un centone in forma di lettera al Beatissimo Padre?
Però molti de’ nostri lettori non avranno agio, né volontà di consultare l’opera del Monaco di Montecassino, e noi vogliamo mettere in sodo la nostra denunzia di furto, sicché nessuno possa dubitarne. Laonde scriveremo in due colonne, da una parte i periodi della lettera di Ricasoli al Papa, e dall’altra i periodi dei Prolegomeni del Tosti. Mano adunque a’ l’erri, e procuriamo di spennacchiare ben bene la cornacchia, cioè il Ricasoli che si veste della roba di un frate come se fosse cosa propria!
Lettera del Ministro Ricasoli al Papa.
Noi chiediamo che la Chiesa… segua la sua divina missione e mostri sempre più la necessità di se stessa nella inesauribile fecondità de’ suoi rapporti con ciò che ella ha una volta iniziato ed i informato…
Di questa sua inesauribile fecondità diede fin qui la Chiesa splendidissime testimonianze trasformandosi sapientemente nelle sue attinenze col mondo civile ad ogni nuova evoluzione sociale.
Oserebbero dire che la parte formale della Chiesa sia da Leone X a noi quale fu da Gregorio VII a Leone X,
e che questa già non fosse mutata da quella che durò da S. Pietro a Gregorio VII ?
Sul principio fu bello alla Chiesa raccogliersi nelle catacombe alla contemplazione delle verità eterne, povera ed ignorata dal mondo; ma quando i fedeli per la conseguita libertà uscirono all’aperto e strinsero nuovo vincolo fra loro, allora l’altare si trasportò dalla nudità delle catacombe allo splendore delle basiliche, e il culto e i ministri del culto parteciparono a quello splendore, e all’ascosa preghiera aggiunse la Chiesa il pubblico e solenne eloquio del magistero che già cominciava ad esercitare splendidamente sulle genti….
Ma quando la società si fu educata ed ebbe ammaestrata ed illuminala la sua ragione, cessò il bisogno, e col bisogno si sciolse il vincolo della tutela clericale : si ricercarono e si ripresero le tradizioni della civiltà antica, ed un Pontefice meritò per quell’opera di dare il suo nome al suo secolo.
La Chiesa non può non essere amica dello svolgimento della nazionalità. Fu provvidenziale consiglio che la gente umana venisse così a ripartirsi in gruppi distinti secondo la stirpe e la lingua con certa sede dove posassero, e dove quasi ad un modo con tempera ti in una certa concordanza di affetti e d’istituzioni, né disturbassero le sedi altrui, ne patissero di essere disturbate nelle proprie.
Qual sia il pregio in che debbe aversi la nazionalità l’ha detto Iddio, quando volendo punire il popolo ebreo ribelle alle ammonizioni ed ai castighi metteva mano ai castigo più terribile di tutti, dando quel popolo in balia gente straniera.
Prolegomeni del Monaco di Montecassino.
Della inesauribile fecondità di nuove forme della Chiesa. Potrà mai avvenire che la civile compagnia cristiana assuma tali forme di politica e sociale economia, alle quali non possano più rispondere quelle della cattolica Chieda?…
La necessità di un principio è sempre manifestata dalla inesauribile fecondità de’ suoi rapporti con ciò che ebbe una volta informato… Il Cristo custodisce l’opera delle sue mani l’umanità procedente per evoluzione…
S. Pietro, Gregorio VII, Leone X ecco i tre uomini che come da levato loco sollevano nella storia della Chiesa la insegna di tre successive forme… Una è la Chiesa che nella persona di Pietro si trasfigura in Gregorio ed in Leone.
Nei tempi apostolici e delle prime persecuzioni la congregazione dei fedeli era un individuo complesso assorto nella intuizione del Cristo… povero il culto, pochi rapporti sociali… Ma coma incominciò la necessaria analisi dell’azione cristiana de’ fedeli … l’altare dalle catacombe venne a posare nelle basiliche ; i Pastori lo seguirono e non potettero più ascenderlo poveri e scalzi. Lo splendore del sensibile culto che mandava quell’altare, circondò loro la persona e la fronte di sensibile ricchezza… e la Chiesa governante dilatò l’eloquio del suo magistero, moltiplicò i suoi giudizi…
Da ultimo entrata quella società teocratica nell’età della ragione, a poco a poco incominciarono a risolversi i legami della clericale tutela. La riflessione temperò il sentimento; l’uomo sociale si riconobbe, e la coscienza dell’unica umanità lo spinse a rannodare i rapporti coll’antico mondo greco romano… e la Chiesa nella persona di Leone X gli offre la forma di una santa conciliazione di due civiltà.
La Chiesa cattolica è il principio delle nazionalità. Nostro Signore nel creare il mondo, a vece di gittarvi alla sbrancata le piante, gli animali, l’umanità… collocò egli stesso ciascuno a casa sua. Per l’anzidetta divina Provvidenza che volle distinti gli uomini in nazioni, ciascun popolo tiensi contentissimo a casa propria. Che coda sia una nazionalità, quale il suo pregio l’ha scritto Iddio nella storia del popolo ebreo.
— 350 —
Noi potremmo continuare questo confronto, ma bastano le arrecate citazioni per convincere il Ricasoli di furto letterario. Oh che presidente del ministero! Egli pretende d’insegnare il Vangelo al Papa, e poi non sa nemmeno scrivere due linee da sè, e le va a levare dal libro di un frate! E per giunta di un frate di que’ che vennero soppressi come inutili! Imperocchè sebbene Montecassino sia eccettuato dalla soppressione, tuttavia l’Ordine dei Benedettini, a cui que’ monaci appartengono, venne soppresso come inutile anzi dannoso alla società.
Del resto ci duole che Bettino Ricasoli, poiché era in sul trascrivere il libro del frate, siasi fermato nel meglio. Egli avrebbe potuto provare al Papa Pio IX, che il Parlamento Italiano era il Cenacolo, e i Deputati gli Apostoli. «I dodici Apostoli dice il Tosti, con Maria nel Cenacolo sono i Deputati delle nazioni del mondo» (Prolegomeni, vol. II, pag. 592). Ve però questa diversità, che gli Apostoli Deputati non vennero eletti dal popolo, ma Dio solo volle eleggerli e mandarli. Ego elcgi vos.
Il Tosti a pag. 587, por dimostrare il diritto di nazionalità scrive: «La nazione che rompe la siepe della sua vicina è maledetta; chi s’intromette nella vigna di Nubot per farla sua, darà il suo sangue a lambire ai cani come una Jezabelle… Ad uni eserciti e si faccia puntellare il trono dalle spade chi, a dispetto di Dio o dell’umanità, vuoi dominare a gente non sua; ‘ogli starà, fino a che Iddio il permette, a punizione di nazionali peccati; egli sarà pietra di anatema in Israele. Ma non levi al ciclo la incoronata fronte ad invocare il diritto divino, che consagri il sacrilegio: Iddio non si deride. Sì, Iddio invocato verrà; ma passerà oltre, lasciando quella fronte come un tielboe, digiuna delle sue benedizioni».
Questo era un bel passo molto eloquente, ma Bettino Ricasoli non lo ricopiò. Ricopiò invece ciò che segue subito dopo:
Lettera di Ricasoli al Papa.
Quale sia il pregio in che debbo aversi la nazionalità l’ha detto Iddio, quando volendo punire il popolo ebreo ribelle alle ammonizioni ed ai castighi metteva mano al gastigo più terribile di tutti, dando quel popolo in balia di gente straniera.
Prolegomeni del Monaco.
Che cosa sia una nazionalità, quale il suo pregio l’ha scritto Iddio nella storia del popolo ebreo. Quando neppure allo scroscio di questi flagelli piegava la dura cervice, Iddio metteva mano al più terribile dei temporali gastighi, dava quel popolo in balia dei forestieri.
— 351 —
Ma perché Bettino Ricasoli ha rubato queste parole del frate, e non le altre che precedono, principalmente queste: «Chi s’intromette nella vigna di Nabot per farla sua, darà il suo sangue a lambire ai cani come una Jezabelle?» II Ricasoli non ha rubato queste parole perché erano già state rubate dal frate medesimo. E sapete a chi? Al glorioso Pontefice Pio VII, nella Bolla di scomunica che incomincia Cum memoranda illa die, lanciata il 10 di giugno del 1809 contro Napoleone I e gl’invasori degli Stati Pontificii. Ecco le parole della Bolla volte in lingua italiana.
«Noi ci siamo ricordati, dice Pio VII, ci siamo ricordati con Sant’Ambrogio, come il santo uomo Nabot, possessore di una vigna, interpellato da una domanda reale di dare la sua vigna, dove il Re dopo aver fatto sradicare gli sterpi, ordinerebbe di piantare dei legumi, rispondesse: Dio mi guardi di consegnare l’eredità de’ miei Padri. Da ciò abbiamo giudicato che ci era molto meno permesso di consegnare la nostra eredità antica e sacra, cioè a dire il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanti secoli dai Pontefici Romani nostri predecessori, non senza ordine evidente della divina Provvidenza; o.di consentire facilmente a chicchessia d’impadronirsi della capitale del mondo cattolico».
Quando Bettino Ricasoli fu per trascrivere nella sua lettera a Pio IX il detto del frate: «Chi si intromette nella vigna di Nabot per farla sua, darà il suo sangue a lambire ai cani», disse a se stesso — Alto là, Bettino! Questo poi non lo devi trascrivere. Sarebbe un imboccare la risposta a Pio IX, che ci verrebbe fuori colla vigna di Nabot, come già Pio VII, a Napoleone I. Padre Luigi, tenetevi pure Nabot e la sua vigna, che non fanno per me. — E in cosi dire, Ricasoli saltò di botto alla nazionalità del popolo ebreo. Pensò, è vero, che gli ebrei dell’Opinione di Torino e della Nazione di Firenze ne avrebbero avuto un po’ di dispiacere, e per loro riguardo soppresse le parole di gente carnale, dette dal frate della nazione giudaica. E Jacob può esserne contento!
Oli! certo, bisogna confessare che il Ricasoli ha rubato dal frate tutto ciò che faceva per sè, omettendo il resto. Per cagione di esempio, il Tosti, parlando della nazionalità, si leva, a pagina 598 del volume II de’ suoi Prolegomeni contro l’impero babelico dei tempi presenti, che fu quello di Napoleone I, il quale «con la coppa della francese rivoluzione inebriò le nazioni, con la spada se le mise innanzi come armento». — E queste parole, disse tra sé e sé il Ricasoli, non le trascrivo neppure. Non sono un’oca, io! La mia lettera prima di andare al Papa deve passare alla revisione; ho da mandarla a Napoleone III, che è il nipote dello zio Napoleone I, e se dico male di lui sto fresco! Già con Napoleone III sono in mala voce, e se gli dico ancora che suo signor zio si mise innanzi i popoli come armento, mi manda a Cajenna. Ah! questi frati, questi frati… Gira e rigira, sono sempre frati. — E il Ricasoli diceva male dei frati nell’atto medesimo che li svaligiava! Compatitelo, Padre Luigi.
Noi potremmo ancora continuare quest’articolo, ma forse il Ricasoli ne avrà abbastanza. Gli daranno il resto i Deputati se sentono la loro dignità e la dignità del paese.
— 352 —
fonte