STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI
Il libro di Margotti merita di essere diffuso e conosciuto. L’autore non è un volgare propangadista “reazionario”, si tratta di persona dotata di una mente brillante e di una cultura sterminata.
Egli spulcia migliaia di pagine degli atti parlamentari, mettendo a nudo le falsità e il pressapochismo del gruppo di avventurieri che governa il nuovo regno d’Italia.
Se volete saperne di più leggete le note biografiche scritte da Angela Pellicciari.
I PRIMI VAGITI DEL REGNO D’ITALIA
Voi avete concentrato nel solo Luigi Bonaparte?
la ragione dell’Italia attuale?.
Cosi GIUSEPPE FERRARI
ai Deputati l’8 ottobre 1860.
(Atti ufficiali N. 143, pag. 558).
Questa terza serie delle Memorie per la Storia de’ nostri tempi è destinata a raccogliere i documenti relativi alla nascita del Regno d’Italia. Riservando i giudizii allo storico libero ed imparziale, ci restringeremo a ristampare ciò che abbiamo scritto di mano in mano che avvenivano i fatti principali, e fu da noi pubblicato in Torino, quando avvenivano. Ci conviene però mandare innanzi qualche notizia cronologica che serva di guida al lettore.
L’11 marzo 1861, il Conte Camillo Benso di Cavour, presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro sopra gli affari esteri, presentava alla Camera dei Deputati un progetto di legge, in virtù del quale “S. M. il Re Vittorio Emanuele II assumeva per sé ed i suoi successori il titolo di Re d’Italia”. Fu nominato relatore di questo progetto il deputato Giorgini, che presentò la sua relazione alla Camera il 14 febbraio 1861. La Camera lo discusse nella stessa tornata, e l’approvò all’unanimità con 294 voti. Il Senato avea prima approvato il Regno d’Italia nella tornata del 26 febbraio 1861. La legge fu promulgata il 17 di marzo 1861 e porta il N° 4671 nella Raccolta degli Atti del Governo.
Parecchi mesi prima, nell’ottobre del 1860, dopo l’invasione delle Marche, dell’Umbria e del Regno delle Due Sicilie, il Ministero avea chiesto ed ottenuto dal Parlamento ?la facoltà di compiere l’annessione di nuove provincie italiane?. La discussione di questo progetto di legge incominciava nella Camera dei deputati l’8 di ottobre 1860 e durava tre giorni. Il primo a parlare era Giuseppe Ferrari e diceva ohe ?il Piemonte si sovrappese a tutte le città dell’alta Italia? che ?fu strana, fu maravigliosa la concordia artificiale colla quale lo
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Stato Subalpino, quasi unanime nei diversi suoi partiti, sostenne la parte di liberatore italiano?; che ?ove giungeva il Piemonte non poteva più sussistere né il Duca di Modena, né la Duchessa di Parma, né il Granduca di Toscana, o il Re di Napoli, nessun Principe, nessun Re, né Principe italiano potea conservarsi?. (Atti Ufficiali della Camera, anno 1860, N° 143, pag. 556). Lo stesso deputato Ferrari dichiarava: ?sono stato avversario dell’unita Italiana, la credo tragica nell’azione sua, destinata a creare immemorabili martirii e crudelissimi disinganni, benché necessaria come gli scandali alla storia, come i sacrifizii e gli olocausti alla religione. Ma al certo i Ministri che non dividono questa mia opinione, non hanno mai parlato di unita italiana nel 1848, ancor meno dopo la battaglia di Novara; e nei recenti protocolli del 1859, quando accusavasi l’unita austriaca nei ducati italiani, ogni nota del gabinetto piemontese non era forse federale?? (Atti ufficiali della Camera, loc. cit., pag. 558).
Il Dep. Ferrari diceva al Conte di Cavour lì presente: ?Io non posso considerare il Conte di Cavour come ministro né d’indipendenza, né della spedizione di Roma, né di quella di Venezia. Forse lo sarà egli dell’influenza francese?… Voi considerate l’influenza francese come l’atto personale e direi anche capriccioso d’un uomo, dell’Imperatore dei Francesi, e nel proclamare la vostra gratitudine al capo della Francia, voi avete concentrato nel solo Luigi Bonaparte la ragione dell’Italia attuale. Con ciò si costituisce un nuovo sistema imperiale; l’Imperatore, il Cesare antico e precisamente l’uomo isolato, che scende dall’alto, che s’invoca come liberatore, astrazione fatta dalla nazione alla quale appartiene; che sia Carlo IV di Boemia, o Ludovico di Baviera, che sia Francese o Tedesco, nessuno parla della patria sua, e tutti gli chiedono di rendere felici le nazioni, e le vostre espressioni eccessive di gratitudine, le vostre frasi smodate di riconoscenza, mi annunziano che RESPINTO L’IMPERO TEDESCO VOI RICADETE NELL’IMPERO RIVOLGENDOVI AL CESARE FRANCESE? (Atti ufficiali, loc. cit.).
Il deputato Ferrari conchiudeva: ?Giacche la storia non volle che l’Italia appartenesse alla classe delle nazioni unitarie, colla federazione possiamo raggiungere ogni più gloriosa meta. Colla federazione ogni città si trasforma in capitale e regna sulla sua terra; colla federazione ogni stato italiano si riconosce con una propria assemblea erede delle patrie glorie; poi ogni assemblea nomina i rappresentanti della nazione nella dieta La costituzione comincierà solo nell’istante in cui sorgerà l’era federale? (Atti uff., N° 144, pag. 559).
Come ben vede il lettore, non potendo noi scrivere un po’ di prefazione a questa terza serie delle Memorie per la Storia de’ nostri tempi, cerchiamo di farla scrivere dai deputati inviolabili. Le verità dette dal
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Ferrari nell’ottobre del 1860 splendono di maggior luce cinque anni dopo. Quando il Ferrari le pronunziava nella Camera, venivano accolte con incredibili rumori. Correvano allora i giorni della poesia. Il deputato Boggio vedeva quell’Italia intorno a cui prima ?si attortigliavano otto aspidi? ora divenuta onorata, libera, felice, potente. E il deputato Sineo diceva: ?sollevato il nero marmo che copriva il suo avello, l’Italia risorge colla sua aureola di sapienza e di gloria (pag. 561). E il deputato Mellana chiedeva in grazia ai suoi elettori ?che il giorno che i comizii elettorali si riuniranno per volontà di popolo sul Campidoglio, io potessi colà una volta rappresentare la mia patria?. E poeticamente soggiungeva: ?Quel giorno, o signori, ha da venire, è legge più forte dello stesso destino? (pag. 569). E il dep. Armelonghi: ?L’Italia ha bisogno di Roma, e Roma ha bisogno d’Italia. Roma è la capitale nata dell’Italia futura; senza Roma insomma l’Italia non può essere una. E i casi nostri camminano cosi veloci, cosi gagliardi, che sarebbe poco men che ridicolo d’immaginare, che potessero arrestarsi per cosi piccolo ostacolo? (pag, 569).
II deputato Chiaves avvertiva: ?il Papato seguiterà a sussistere, ed è pure una grande potenza, o signori? (pag. 571). Il deputato Bertani raccontava che Garibaldi ?me presente, sui monti di S. Angelo espresse la sua gioia quel giorno che un telegramma gli annunziava l’entrata del nostro esercito in Roma? (pag. 572). E Marco Minghetti trovava ?nella nostra rivoluzione il carattere di moralità, di civiltà, dirò persino di legalità? (pag. 578), legalità, civiltà, moralità che il Minghetti dovea pii tardi praticare nel suo Ministero! E il deputato Mosca diceva ?non dev’essere più possibile che l’Europa dubiti un solo momento della volontà che abbiamo di fare l’Italia, di feria ad ogni costo, di farla presto ? (pag. 583).
Ultimo degli oratori parlava il Conte Camillo di Cavour nella tornata dell’11 di ottobre 1860, ed ecco alcune sentenze tolte dal suo discorso registrato negli Atti Uff. della Camera, N° 153, pag. 593, 594: ?Un uomo di stato, per essere degno di questo nome, deve avere certi punti fissi che siano, per cosi dire, la stella polare direttrice del suo cammino, riservandosi di scegliere i mezzi o di cambiarli a seconda degli eventi ; ma sempre tenendo rivolto lo sguardo sul punto che deve servirgli di guida. Durante gli ultimi dodici anni la stella polare di Re Vittorio Emanuele, fu l’aspirazione all’indipendenza nazionale. Quale sarà questa stella riguardo a Roma? (Movimento d’attenzione). La nostra stella, o signori, ve lo dichiaro apertamente, è di lare che la città eterna, sulla quale venticinque secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico (strepitosissimi e prolungati applausi). Ma forse questa risposta non appagherà pienamente l’onorevole interpellante (Ferrari
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Giuseppe), il quale chiedeva quali mezzi avremo noi per raggiungere questo scopo. Io potrei dire risponderò se voi prima mi direte in quali condizioni saranno fra sei mesi l’Italia e l’Europa (ilarità e segni di adesione) ma se voi non mi somministrate questi dati, questi termini del problema, io temo, che né io, né nessuno dei matematici della diplomazia potrà riuscire a trovare l’incognita da voi cercata (ilarità generale)… Il problema di Roma non può mio avviso essere sciolto colla sola spada; la spada è necessaria, la fu e lo sarà ancora per impedire che elementi eterogenei vengano a frammettersi nella soluzione di questa questione; ma, e signori, il problema di Roma non deve esser sciolto colla spada sola; le forze morali debbono concorrere. al suo scioglimento… Io credo che la soluzione della questione romana debba esser prodotta dalla convinzione, che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica; esser la libertà altamente sviluppo del vero sentimento religioso (bravo, bene!)?.
Dopo le parole del conte Cavour la Camera approvava all’unanimità il seguente ordine del giorno ?la Camera dei deputati mentre plaude altamente allo splendido valore dell’armate di terra e di mare, e al generoso patriottismo dei volontarii, attesta la nazionale ammirazione e riconoscenza all’eroico Generale Garibaldi, che soccorrendo con magnanimo ardire ai popoli di Sicilia e di Napoli, in nome di Vittorio Emanuele restituiva agl’Italiani tanta parte d’Italia?.
Poi la Camera approva anche all’unanimità questo articolo di legge: ?Il Governo dal Re è autorizzato ad accettare e stabilire per reali decreti l’annessione allo Stato di quelle provincie dell’Italia entrale e meridionale, nelle quali si manifesti liberamente per suffragio diretto universale la volontà delle popolazioni di far parte integrante alla nostra Monarchia Nazionale?. Al levare di quella tornata dell11 ottobre 1860, il Presidente della Camera, che ara il medico Giovanni Lanza, gridò: VIVA L’ITALIA! (applausi generali e grida vivissime VIVA L’ITALIA!).
Allora si compirono le annessioni delle Marche e dall’Umbria e delle Due Sicilie in quel modo che la storia libera a suo tempo dirà; e poi si convocarono Collegi elettorali, e il 18 febbraio 1861 fu radunato il Primo Parlamento Italiano. Perché potesse capire i quattrocentoquarantatre deputati, s’era fabbricata in fretta una Camera di legno. Alle ore Il antimeridiane il Principe di Piemonte e il Duca d’Aosta e poco dopo Vittorio Emanuele II entravano nella nuova Aula in mezzo alle grida di viva il Re d’Italia! La Maestà del Re leggeva il eseguente discorso, che noi pubblichiamo con quelle medesime avvertenze già da noi stampate il 19 febbraio dei 1861.
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DISCORSO D’INAUGURAZIONE DELPRIMO PARLAMENTO ITALIANO
Il 18 di febbraio la Corona inaugurava il Parlamento con un discorso che, secondo le consuetudini costituzionali, è soggetto alla critica del giornalismo perché cade sotto la responsabilità del Ministero. Valendoci del nostre diritto pubblichiamo il discorso con qualche osservato.
Signori Senatori! Signori Deputati!
?Libera ad unita quasi tutta per mirabile aiuto delta Divina Provvidenza, per concorde volontà dei popoli e per lo splendido valore degli eserciti, l’Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra?
Quel quasi tutta ci ricorda la famosa quasi ristorata finanza. Nel quasi tutto vqgliam credere che entreranno anche Nizza, Mentone e Roccabruna cedute alla Francia. La Divina Provvidenza non ha detto ancora l’ultima qua parola. Coloro che l’invocano oggidì speriamo che più tardi né rivedranno i decreti.
?A voi si appartiene il darle istituti comuni e stabile assetto. Nello attribuire le maggiori libertà amministrative a popoli ohe ebbero consuetudini ed ordini diversi, veglierete perché l’unità politica, sospiro di tanti secoli, non possa mai essere menomala?.
L’Unità politica fu detta da Balbo un’utopia; e tale venne dimostrata da tanti secoli. Le opere durature non si formano in un giorno. Quando si va contro la natura e le tradizioni dei popoli, si fabbrica sull’arena.
?L’opinione delle genti civili ci e propizia; ci sono propizi gli equi e liberali principii che vanno prevalendo nei consigli d’Europa. L’Italia diventerà per essa una guarentigia d’ordine e di pace, e ritornerà efficace strumento della civiltà universale?.
Vorremmo ohe d fosse propizia l’opinione. delle genti cattoliche. Esse protestano invece contro di noi; e le stesse genti civili ci accusarono solennemente in faccia al mondo d’aver conculcato il diritte delle genti.
?L’imperatore dei francesi, mantenendo ferma la massima del non-intervento a noi sommamente benefica, stimò tuttavia di richiamare il suo inviato. Se questo fatto ci fu cagione di rammarico, esso non alterò i sentimenti della gratitudine, né la fiducia nel suo affetto alla causa italiana?.
S’è sempre dotto ohe le proteste di Napoleone III erano lustre, ed ora si conferma. E’ la prima volta che si professò gratitudine a chi ebbe l’aria di strapparci e di opporsi ai nostri disegni. Abbiamo ribevuto uno schiaffo; si annunzia e si risponde: grazie!
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Il bello è che mentre la Corona diceva che l’Imperatore dei Francesi avea richiamato da Torino il suo inviato, la Gazzetta Ufficiale affermava d’aver notato nella tribuna il ministro di Francia!
?La Francia e l’Italia che ebbero comune la stirpe, le tradizioni, il costume, strinsero sui campi di Magenta e di Solferino un nodo che sarà indissolubile?.
Questo periodo serve per preparare la strada a nuove cessioni. Potremo cedere più tardi la Liguria e la Sardegna alla Francia per comunità di stirpe di tradizione e di costume.
?Il Governo ed il popolo d’Inghilterra, patria antica della liberti, affermarono altamente il nostro diritto ad essere arbitri delle proprie sorti, e ci furono larghi di confortevoli uffici, dei quali durerà imperitura la riconoscente memoria?.
Fidatevi dell’Inghilterra! Lord John Russell, il 5 di febbraio 1861, disse al Parlamento inglese: ?Noi abbiamo sempre comunicato confidenzialmente coll’Austria, Russia e Prussia riguardo ad ogni affare d’Europa?. Inoltre ha promesso che quando la Francia, a parer suo, fosse nel torto, l’Inghilterra ?formerebbe un’alleanza colle grandi Potenze d’Europa per combattere le sue mire? (Times del 6 febbraio 1861, pag. 7a, col. 5a).
?Salito sul trono di Prussia un leale ed illustre Principe, gli mandai un ambasciatore a segno di onoranza verso di lui e di simpatia verso la nobile nazione germanica, la quale, io spero, verrà sempre più nella persuasione die l’Italia, costituita nella sua unita naturale, non può offendere i diritti, né gli interessi delle altre nazioni?.
Qui si da la notizia che Lamarmora è stato a Berlino. Sapevamcelo. Ma ha persuaso il leale ed illustre Principe? Non pare che abbia persuaso la Germania, giacché si spera che verrà nella persuasione.
Signori Senatori/ Signori Deputati!
?lo son certo che vi farete solleciti a fornire al mio Governo i modi di compiere gli armamenti di terra e di mare. Cosi il Regno d’Italia posto in condizione di non temere offesa, troverà più facilmente nella coscienza delle proprie forze la ragion dell’opportuna prudenza?.
In questo periodo abbiamo l’annunzio di nuovi imprestiti, e di nuove imposte. Dal 1848 in qua non si udì mai Discorso della Corona senza si caro ritornello. Si mantiene la sublime tradizione.
?Altra volta la mia parola suono ardimentosa, essendo savio cosi lo osare a tempo, come lo attendere a tempo. Devoto all’Italia, non ho mai esitato a porre a cimento la vita e la Corona; ma nissuno ha diritto di cimentate la vita e le sorti d’una nazione?,
Si può facilmente abbandonare il sasso dal sommo della montagna, ma è difficile ritenerlo a mezza via. Dio solo ha l’autorità di dire al mare: Verrai fin qui, e non più innanzi. E la rivoluzione e un mare in burrasca.
?Dopo molte segnalate vittorie, l’esercito italiano, crescente ogni giorno in fama, conseguiva nuovo titolo di gloria espugnando una fortezza delle più formidabili. Mi consolo nel pensiero che la si chiudeva per sempre la serie dolorosa dei nostri conflitti civili?.
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Speriamo di non essere più obbligati a recare documenti di fucilazione, di saccheggi, e d’incendi. Vorremmo pero che colla fama dello esercito fosse cresciuta a svantaggio degli Italiani la fama di lealtà, e non la riputazione di tradimenti.
?L’armata navale ba dimostrato nelle acque di Ancona e di Gaeta che rivivono m Italia i marinari di Pisa, di Genova e di Venezia?.
I bombardamenti di Gaeta e d’Ancona non saranno la più bella, pagina detta jstoria d’Italia. La posterità inesorabile si occuperà dell’origine e del modo di questi bombardamenti, e dirà che uno fu contro il Papa, e l’altro contro il figlio d’una Principessa di Savoia, e ne restarono vittime i sudditi innocenti d’ambedue.
?Una valente gioventù, condotta da un Capitano che riempi del suo nome le. più lontane contrade, fece manifesto che né la servitù, né le lunghe sventure valsero a snervare la fibra dei popoli italiani?.
Questi elogi a Garibaldi vogliono essere confrontati colle proteste della Gazzetta Ufficiale contro la sua spedizione e colle Note del conte di Cavour, in cui dichiaravasi usurpatore.
?Questi fatti hanno inspirato alla nazione una grande confidenza nei proprii destini. Mi compiaccio di manifestare al primo Parlamento d’Italia la gioia che ne sente il mio animo di Re e di Soldato?
VITTORIO EMANUELE
Qui ha termine il discorso della Corona, e noi pure terminiamo i nostri commenti. Sono stati brevi assai, perché non ci era lecito dire quanto sentivamo nel cuore. Il lettore pensi il resto, e attenda i fatti che verranno.
IL DISCORSO DELLA CORONA E LA VENEZIA
Nel discorso della Corona si dice che nessuno ha il diritto di cimentare la vita della nazione, e si fa intendere che non è il momento di andare contro l’Austria, né di pensare per ora alla conquista della Venezia.
Se volete intendere queste parole, consultate i documenti presentati al Parlamento britannico, e relativi alle cose d’Italia nel 1860. Il timore del Governo inglese, che la Sardegna fosse per imprendere un attacco contro la Venezia, è espresso evidentemente in molti dispacci del Libro Azzurro. Il 21 agosto lord John Russell scrive al sig. Fane a Vienna: ?II Governo di S. M. si opporrebbe a tale tendenza aggressiva, per quanto fosse possibile, e metterebbe in opera tutta la sua influenza a Parigi per dissuadere l’Imperatore dei Francesi dall’assistere la Sardegna in una guerra aggressiva contro l’Austria. Il governo inglese non può obbligarsi a fare di più. Esso è convinto che l’Austria è più che atta a resistere datola agl’Italiani?.
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E il 7 dicembre lord John Russell si esprime su questo argomento come segue: ?II Governo di S. M. considererebbe simile attacco come assolutamente
ingiustificabile. Esso lascerebbe che il Re di Sardegna raccogliesse i frutti della sua violazione di parola e della sua follia. Esso non contrasterebbe neppure all’Austria i risultamenti di tal guerra, quand’anche dovesse esser compresa fra questi perfin la riconquista della Lombardia. Invero la situazione della Francia è diversa. Appunto perciò è dovere della Francia di pronunciarsi senza ritegno rimpetto alla Sardegna ed all’Austria. Secondo la nostra opinione, la Francia dovrebbe far sapere al Governo austriaco se un’occupazione della Lombardia per parte dell’Austria, un’occupazione transitoria, coll’assicurazione che essa debba essere soltanto passeggiera, sarebbe considerata dalla Francia come un casus belli contro l’Austria. D’altra parte, si dovrebbe significare espressamente alla Sardegna che la reintegrazione del Papa a Bologna e del Granduca in Firenze, insieme ad un’eventuale pretensione austriaca ad una forte indennità di guerra, non indurrebbero la Francia ad un intervento attivo. La prospettiva di perdere, oltre la Savoia e Nizza, ancora la Toscana e le Legazioni, e di avere inoltre il carico d’un gran debito pei proprii armamenti e per l’indennità di guerra austriaca, ben basterebbe a distogliere il conte Cavour e i più temerari fra’ suoi successori nel gabinetto da una nuova impresa guerresca. L’Inghilterra sarà pronta in ogni tempo a far valere la sua influenza per tutelare la pace europea. Essa non si attende che l’Austria cerchi di ottenere una preponderanza sulla Penisola. Ma se il Re di Sardegna vuol violare la sua parola e cercar di precipitare l’Europa in una guerra generale, egli sopporti eziandio le conseguenze d’una politica che non è conciliabile né colla prudenza, né coll’onore?
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