Storia del Comune San Gennaro Vesuviano
Studiosi di geologia e di preistoria concordano nell’affermare che risale all’epoca quaternaria, cioè a prima della comparsa dell’uomo, l’emersione dal mare del monte Somma o Vesuvio che, congiungendosi lentamente nei secoli, mercè i suoi materiali eruttivi, con la catena dell’Appennino, formò una delle più fertili e ridenti plaghe della penisola italica: la Campania Felix ( la pianura campana).
Illustri poeti scelsero la Campania per la bellezza dei suoi luoghi, l’amenità del clima e l’ospitalità della sua gente. In epoca più recente con la Campania Felix s’identificò più specificamente l’area di Terra di Lavoro, per la sua eccezionale fertilità. Sull’origine e le vicende storiche, politiche e sociali c’è un interessante letteratura, fiorita soprattutto a partire dal secolo XVI d.C., dall’attenta lettura della quale si ricavano non poche notizie e dati riguardanti i 7 Kmq che costituiscono l’attuale territorio di San Gennaro Vesuviano.
Il nostro territorio ed il nostro bosco fu luogo di rifugio per i gladiatori, capeggiati da Spartaco, nella pericolosa rivolta che si concluse con la decisiva battaglia alle pendici del Vesuvio ( sorgente di Veseri ). Per tracciare le origini del nostro paese e le tappe fondamentali della sua lunga e travagliata storia fino ad arrivare alla nascita giuridica del vero e proprio Comune di San Gennaro Vesuviano, col Regio Decreto borbonico del 6 dicembre 1840, occorre partire dal 17 dicembre 1613, giorno in cui Scipione Pignatelli, Marchese di Lauro e di Palma e, per dote di sua moglie Vittoria della Tolfa, Conte di San Valentino, fa una ricca donazione al Vescovo di Nola Mons. Fabrizio Gallo, a favore dei Padri Minori Riformati di San Francesco che devono trasferirsi, in numero non inferiore a sedici, in loco “nelle pertinenze di Palma, dove si dice San Gennaro”. Quell’atto è il primo seme dal quale nascerà la chiesa ed il Convento francescano e intorno al quale si formerà il primo nucleo di case in pietra lavica vesuviana o in pietra calcarea bianca delle cave del vallone d’Ajello, dando vita al “borgo di San Gennaro”.
Tra i beni donati dal Pignatelli “si annovera una cappella,dedicata a San Francesco, un piccolo romitaggio,dove già vive un’eremita di nome Paolo da Norcia, e trentasei moggi di terreno incolto di cui sedici a settentrione del convento, venti nella parte anteriore, nonché ottanta ducati: a destra di chi vi entra vi sono tre cappelle, dedicata a San Gennaro, Sant’ Alessio e Santa Filomena; bellissimo e di vaste dimensioni risulta il quadro in tela (la morte di Sant’ Alessio, di cui s’ignora l’autore).
In cambio di tutto ciò, il benefattore, chiede la celebrazione di una messa diurna ” in perpetuum et in mundo durante” e due messe cantate in perpetuum , di cui una nel giorno di San Gennaro e una nel giorno di San Francesco, onde raccomandare la sua anima a Dio. Il Vescovo di Nola accetta la donazione e ben presto i Minori Riformati, prendono possesso della casa religiosa e realizzano quanto ha prescritto il loro benefattore.
Memore di ciò, il Comune di San Gennaro Vesuviano, ha dedicato il suo stadio a Scipione Pignatelli.
Nello stesso atto di donazione del Pignatelli, redatto dal notaio nolano G. Galeotta, è chiaramente espressa la volontà e la disposizione che, nelle venti moggia di terreno incolto antistante il Convento, è da allestire una Fiera annuale da svolgersi dal 16 al 19 settembre, festa del Santo Gennaro. E i frati, all’indomani del loro primo insediamento, si attivano per mettere in atto il desiderio testamentato dal marchese benefattore.
Pertanto nel settembre del 1614 e non del 1613, come comunemente si afferma, si svolge la prima Fiera di San Gennaro Vesuviano, tra molti disagi, nonostante l’ attivo interessamento e lavoro dei monaci e dei più stretti collaboratori, nel diserbare lo “spiazzo”, nel sistemare ed appianare il terreno, nel recintare alla meglio tutta l’ area, con varchi controllati di entrata ed uscita e soprattutto nell’organizzare il “bando” dell’avvenimento in tutti i paesi della zona, per invitare ad esporre i loro prodotti.
L’avvenimento fu del tutto eccezionale e fu il primo in assoluto di tutta l’area vesuviana. Tutti gli storici consultati concordano nel ritenere il fatto di straordinaria importanza, non solo per San Gennaro Vesuviano, ma per tutto il circondario.
Questo appuntamento annuale di esposizione e vendita dei prodotti agricoli, dei prodotti artigianali, degli animali domestici di ogni tipo e di tutti gli attrezzi utili per la casa, per il lavoro dei campi e per l’allevamento del bestiame, rappresentò una scossa per la misera economia della zona ed attivò, incrementò tante nuove iniziative agricole ed artigianali, elevando il livello qualitativo e quantitativo dei prodotti.
Sorsero nuove botteghe artigianali, si vitalizzò il commercio, si qualificò l’agricoltura.
Certamente la Fiera rappresentò anche un appuntamento ed un’occasione importante d’incontro non solo per fare affari, ma per conoscersi, per scambiarsi consigli e pareri sui metodi di lavoro e criteri di conduzione dei fondi, su tecniche agrarie e di zootecnia.
Insomma fu un’occasione di crescita sociale, culturale ed economica,in un periodo in cui i rapporti tra gli uomini erano rozzi e basati sulla prepotenza, la violenza e veri atti di guerriglia tra comuni confinanti.
Organizzare e celebrare la Fiera fu per molti anni un impegno di notevole difficoltà per i frati del Convento e per il comitato, sia per ottenere i fondi dall’ Università di Palma Campania, sempre restìa a finanziare iniziative nel borgo di San Gennaro Vesuviano, per atavica invidia verso i dinamici ed attivi compaesani, sia per gestire, in ordine e sicurezza, le quattro giornate fieristiche che vedevano affluire centinaia di espositori e migliaia di visitatori ed acquirenti provenienti da tutti i paesi della regione.
Tanto è vero che, verso la metà del secolo XVII, fu necessario stilare un vero e proprio regolamento scritto ( un codice fieristico).
Il regolamento prevedeva la partecipazione alle fiere non solo dei “regnicoli”, ma anche dei forestieri, e tutti potevano godere di particolari agevolazioni, come la franchigia per le merci, l’immunità personale e la possibilità di portare armi per la difesa personale. Nessuno poteva essere catturato o citato durante la Fiera.
La vigilanza era affidata al “mastrogiurato” o “catapano” (termine di origine greca, composto dalla preposizione catà = sopra, e l’aggettivo pas-pasa-pan = tutto , quindi che sta sopra-tutto, che sovraintende).
Il Catapano, o Catepano aveva dunque il compito di “Mastro di Fiera”, cioè la funzione di dirigere tutte le operazioni, assegnando gli spazi, amministrando i fondi e la giustizia e garantendo l’ordine e la sicurezza, con un meticoloso servizio d’ordine, svolto da un apposito corpo di guardia, che in quei giorni prendeva alloggio nel Convento.
La Fiera si divideva in tre momenti: la “trasuta e fera” dei giorni 16 e 17, la “Fera chiena” del 18 e la “Fera fora” del 19, giorno della festa di San Gennaro e momento di solenni celebrazioni religiose con il rito della chiusura della Fiera che in verità, durava ancora il giorno successivo ( la fiera dei paesani) quando si effettuavano grossi sconti sui prodotti per gli abitanti del luogo.
Una nuova borgata fiorì in terra di Palma, ed il Convento ne fu il centro spirituale; a tale borgata fu dato il titolo di San Gennaro, dalla denominazione della Chiesa e Cenobio , sotto la giurisdizione del Signore del Feudo di Palma. Cresciuto a mano a mano, il Quartiere di San Gennaro divenne un bel sobborgo palmese, finchè, elevato a comune finì per essere un paesetto grazioso e pulito.
Molti altri documenti d’archivio compresi tra la prima metà del sec.XVI e la fine del ‘700, confermano le dure condizioni di vita del contadino sangennarese e la sua tenacia nel lottare per riscattarsi e sottrarsi al pesante giogo della sudditanza del potere centrale.
Egli è sottoposto all’arroganza e all’arbitrio baronale che pretende dure prestazioni ed impone diverse ed esose tasse, riscosse puntualmente dall’emissario con scadenze rigide ed irremovibili. Il giogo della sudditanza è spietato e si riversa sulla stessa attività lavorativa del contadino, cui compete, in primis, dare la precedenza assoluta ai campi del signore.
Anche dal punto di vista dell’assistenza sanitaria, risulta evidente lo stato di profondo abbandono in cui versa la popolazione di San Gennaro Vesuviano. Ad esempio, nel 1770, due soli medici risultano del tutto insufficienti a rispondere alle esigenze di una popolazione di 2500 anime.
I dati anagrafici dei secoli XVII e XVIII dicono che la popolazione del nostro Borgo oscillava tra le 1000 e le 2000 unità.
Negli anni che precedettero la nascita del Comune, San Gennaro Vesuviano aveva oltre 3000 abitanti (3275 nel 1831,contro i 4462 di Palma Campania).
Con la costruzione del Convento e l’istituzione della Fiera, si verificò un massiccio fenomeno d’immigrazione nel nostro territorio, di numerosi gruppi familiari, provenienti dai paesi confinanti e da alcuni comuni posti a nord di Napoli. Erano attratti dalle favorevoli condizioni di enfiteusi offerte dai feudatari.
Nel giro di qualche decennio la popolazione aumentò notevolmente.
L’esame dei cognomi più diffusi sul nostro territorio e della toponomastica ancora esistente, conferma quanto sopra sostenuto.
Dai D’Ascoli, provenienti dalla cittadina marchigiana, è derivata la località “Ponte D’Ascoli”. Dai Manzi, provenienti da Afragola è derivata la frazione “Afragolesi”. Dai Giugliano, di Giugliano in Campania, la frazione “Giugliani”.
Nella frazione “Sommesi” si stabilirono i D’Avino, provenienti da Somma Vesuviana. Nei “Marani” si stabilirono quelli provenienti da Marano di Napoli.
I Nunziata, che provenivano da Palma, si stabilirono al centro o nel rione “Sciuscella” . I Nappi provenienti da Liveri, si stabilirono in Piazzetta Nappi.
Gli Aprile e Jervolino erano provenienti da Ottaviano, i Catapano, Bifulco ed Auricchio da Alj Boccia (San Giuseppe Vesuviano).
Risponde al vero, quindi, l’origine raccogliticcia della prima popolazione del nostro territorio, anche se questa non poteva essere un buon motivo, per Palma Campania, per negarci per decenni la richiesta di autonomia. Non fu forse raccogliticcia anche la prima popolazione della grande Roma di Romolo e Remo!!!
Per tutto il secolo XVII e buona parte del secolo XVIII il borgo di San Gennaro di Palma vive sotto l’egemonia di Palma che continuava a praticare una politica di rigida conservazione dei privilegi feudali, sia quando c’era il barone che quando governava il conte o il marchese.
La popolazione sangennarese però non subiva passivamente e numerose volte, come riferiscono le fonti storiche ed i dati in archivio, nel corso degli anni si è mobilitata per chiedere, con documenti sottoscritti dai capifamiglia, diritti sacrosanti o per denunciare al potere centrale della Sommaria, torti subiti da provvedimenti del Comune di Palma.
Spesso però chi guidava la protesta rischiava grosso, infatti anche per i rappresentanti Eletti, impegnarsi in giuste richieste e proteste, comportava il continuo rischio di essere picchiati o peggio!
Quante battaglie e quante tribolazioni dovettero sopportare i nostri antenati per ottenere la concessione della costruzione di un forno pubblico nel loro territorio; per non parlare delle reiterate proteste e richieste per avere la condotta medica, con sede stabile nel nostro quartiere, nella persona del dottor Michele Casalino che “con onorario annuo di 82 ducati, occupa un posto autonomo, in forza dei suoi 1843 abitanti”.
La concessione fu ottenuta anche per la puntuale relazione all’Intendente da parte del regio luogotenente Nicola Russo che scrive “…Non vi è dubbio che detto quartiere di San Gennaro abbia bisogno dell’assistenza del medico o chirurgo che risiede nel medesimo, poiché questo quartiere è lontano dal comune di Palma un miglio e forse più…”
Da un’attenta analisi degli atti dell’Archivio di Stato di Napoli e dell’Intendenza borbonica, si ricava che a partire dagli ultimi anni del 1700, c’è un notevole intensificarsi di proteste, denunce, reclami e richieste scritte, sia da parte dei rappresentanti sangennaresi Eletti, sia da parte di consistenti ed organizzati gruppi di capifamiglia, spesso rivolte direttamente agli organi superiori centrali.
Sono chiari i segnali di una crescente insofferenza verso lo strapotere e l’arroganza palmese, in un periodo in cui Napoli e l’intera sua provincia comincia ad essere percorsa da fremiti e fermenti rivoluzionari. Certamente erano arrivate fino alla provincia addormentata gli echi della rivoluzione francese del 1789. La cassa di risonanza di questi echi era sicuramente costituita dal Convento francescano e dai suoi numerosi monaci, molti dei quali provenienti da Napoli e dintorni e tra questi non mancavano quelli che erano capaci di prendere coscienza e formare coscienze.
Il Convento dei frati francescani, era per i sangennaresi non certo, solo un luogo di culto, infatti in tutta la lotta per l’emancipazione e l’autonomia da Palma, esso, svolse un ruolo attivo di guida, di appoggio e di conforto a quanti lottavano per quello scopo.
C’era tra i monaci ed i cittadini una forte solidarietà. I contadini e l’intera popolazione avevano un rapporto strettissimo con San Francesco ed i suoi frati. Il Convento era sempre pieno delle generose offerte della gente e tanti poveri e bisognosi,ogni qualvolta non sapevano come soddisfare lo stomaco, lì, trovavano sempre un piatto caldo, un tozzo di pane, noci ed un buon bicchiere di vino.
Ma il Convento era anche un luogo d’incontri, di riunioni, di lamentele, di richieste di aiuto di quanti, disperati, non riuscivano a risolvere i loro problemi quotidiani. Esso era anche una scuola d’istruzione per i bambini che volentieri venivano affidati ai monaci per apprendere l’abc in cambio di modesti doni, infatti era fornito di una consistente biblioteca di testi sacri, di storia e di letteratura e periodicamente ospitava predicatori, provenienti da altri conventi, che sostavano settimane per veri e propri cicli di prediche ed incontri con la popolazione, per un’azione di rafforzamento evangelico che diventava anche rafforzamento culturale.
In seguito,nel 1799, ci fu la rivoluzione napoletana ed anche il borgo di San Gennaro fu attraversato dalla sua febbre, anch’esso issò il suo “albero della libertà” che rimase per mesi ben piantato proprio di fronte al Convento, là dove oggi si erge una scarna croce di ferro, ficcata in un massiccio basamento di pietra lavica.
Gli anni 1805-1815 che coincidono con la cacciata dei Borboni e la presenza dei Francesi a Napoli, vedono la comunità sangennarese ancora più attiva e determinata nella difesa dei propri interessi e nelle richieste dei propri diritti.
Con la cacciata dei Francesi ed il ritorno dei Borboni nel 1815, gli entusiasmi di autonomia si raffreddano. Anzi il nuovo corso politico si fa sentire con un notevole aumento del costo della vita, con un incremento della pressione fiscale e con un rinvigorimento del centralismo amministrativo:sono i postumi del Congresso di Vienna e del ritorno allo status quo.
Allo scoppio dei moti carbonari del 1820, la rappresentanza dei sangennaresi nell’elenco degli aderenti alle attività delle due “Sette” del liberalismo locale, denominate “I Posteri di Russo” e “I seguaci di Astrea”, era ben nutrita e determinata, infatti Convento e monaci svolgevano un ruolo attivo nella formazione delle coscienze e nel fornire ogni appoggio morale e logistico a quanti volessero impegnarsi nella lotta per l’autonomia e più in genere per la cospirazione carbonara antiborbonica che si concretizzò nei moti di Nola del 20-21, capeggiati da Morelli e Silvati.
Gli anni successivi al fallimento dei moti del ’21 furono per San Gennaro ulteriormente difficili.
Nell’ Ottobre del 1822 si verificò una violenta eruzione del Vesuvio che durò alcuni giorni e che, “in uno spettacolo apocalittico”, arrecò spaventosi danni alle case. La terra tremò violentemente e si spaccò in più punti. La Chiesa del Convento riportò gravissimi danni, calcolati dall’ Ingegnere Filippo Giuliani in 250 ducati.
Qualche anno dopo si ebbe una violenta recrudescenza del vaiolo che fece molte vittime, soprattutto tra i bambini. I primi mesi del 1823 furono caratterizzati da piogge abbondantissime che procurarono ripetute alluvioni ed allagamenti in territorio sangennarese, per l’abbattersi di vere e proprie fiumare dal monte Somma e dal Vallone d’Ajello.
L’anno 1824 è dedicato soprattutto alla riparazione dei danni dell’eruzione e alla costruzione di vari muri di contenimento,nel Vallone d’Ajello per arginare lo smottamento dei terreni.
Nello stesso anno si registrano però due fatti importanti per San Gennaro. Il dottor Filippo Casalini venne designato medico a tempo pieno del quartiere di San Gennaro, per alleviare le gravi sofferenze della popolazione.
La forte e pressante richiesta d’istituire a San Gennaro un corso d’istruzione pubblica, per la quale da anni si stava adoperando il frate Giambattista di Grumo, trovò finalmente ascolto e rappresentò un notevole sollievo per le famiglie di un quartiere che ormai contava più di 3000 abitanti e disponeva soltanto di qualche incapace ed impreparato maestro che teneva scuola a pagamento, mentre costante e preziosa rimaneva la gratuita azione educativa dei frati francescani, raramente ricompensati dalle autorità centrali, nonostante le ripetute richieste.
Una tappa decisiva per il conseguimento dell’autonomia è sicuramente quella del 31 maggio 1827, giorno in cui ben trenta capifamiglia, che autorevolmente rappresentavano l’intera popolazione, inoltrano, per via gerarchica, al Re la seguente petizione di autonomia amministrativa da Palma : “R.M. Sire, gli abitanti tutti di San Gennaro, Borgo del comune di Palma, in provincia di Terra di Lavoro, Distretto di Nola, prostrati umilmente ai piè del Real Trono della M.S. l’espongono come vivamente desiderano che il citato Borgo lasci una volta per sempre una tale qualità coll’acquistare quella di Comune per le seguenti ragioni di diritto e di fatto: Primo, perché dista da Comune Capoluogo un miglio e più, il che rende non poco impicciosi gli usi civici tribolati con quelli del capoluogo.
Due, perché la popolazione è accresciuta di circa 3000 abitanti.
Tre, perché presenta, allo stato attuale, una sufficiente rendita di 3000 ducati provenienti dagli affitti dei cespiti comunali, quali sono al presente incorporati in quelli del Comune di Palma, tranne però l’altra rendita, che darebbe 300 moggi di demanio che spettano al detto Borgo per la sua quota, detratti dai 900, che ora ne possiede il capoluogo di Palma.
Quattro, finalmente che tra gli abitanti di detto Borgo vi sono persone capaci, onde cercare la carica di sindaco, Primo e Secondo Eletto, cancelliere decurione ed altre autorità, che per leggi amministrative si chieggiono, oltre dei sacerdoti ed il Monastero dei Riformati.
Quindi i supplicanti animati dalle sublimità del cuore di S.M. si fanno coraggiosi ad implorarla per una tal grazia, augurandosela come da Dio, al trono del quale non cesseranno d’innalzare le loro preci per la salute, la prosperità e felicità della M.S. e di tutta la sua dinastia.
Analizzando attentamente il testo della petizione si colgono due aspetti fondamentali: a) la piena rispondenza dei dati riportati e l’estrema obiettività, chiarezza e conoscenza della realtà; b) la profonda convinzione della richiesta che sottintende uno stato d’animo profondamente prostrato di un’intera comunità che veramente non ne può più delle angherie, delle prepotenze e delle ingiustizie perpetrate dall’amministrazione di Palma oltre che da tanti suoi cittadini.
Quasi due mesi dopo, il 29 luglio, viene convocata la seduta decurionale per discutere la richiesta, ma già dalle prime parole del presidente si capisce che non c’è alcuna volontà di risolvere positivamente il problema, nonostante la folta presenza tra il pubblico dei sangennaresi accorsi ad esercitare giusta pressione.
Alla fine viene espresso parere contrario, con la seguente motivazione espressa nei seguenti punti:
1° La popolazione di detto Borgo è in maggior parte formata da gente avventizia che ha emigrato d’altri comuni e si è colà rifugiata. Pochi sono nativi del detto Borgo.
2° Quella popolazione, ebbenchè aumentata di numero, pure come Borgo non può emanciparsi, poiché la disposizione è permessa dalle Comuni riunite.
3° Vi mancano assolutamente i soggetti per le cariche amministrative. Non vi è tra tutti gli abitanti un notaio, un legista, un patrocinatore, né medico, né architetto. Insomma niuno professore di arti libere né galantuomo né persona che indossa la giamberga rattrovasi nell’intera popolazione di quel Borgo.
4° Le firme nella supplica sono in maggior parte di scolaretti.
5° Nel detto Borgo non vi è locale da potersi addire per casa comunale, non vi è chiesa parrocchiale. Un solo sacerdote vi esiste.
6° Finalmente la gente è in maggior parte povera, abita in piccoli tuguri di paglia e steli di lupini e quasi in tutto il corso dell’anno vi raminga per le diverse province del regno, procacciandosi con le fatiche il vitto.
Queste motivazioni sono tanto prive di fondamenta che lo stesso Intendente di Napoli vuole vederci chiaro e chiede informazioni al Sottintendente di Nola. Questi, fatte le opportune indagini, stila una relazione nella quale prende nettamente le difese dei sangennaresi, sostenendo che oltre ad averne tutte le buone ragioni, ne hanno anche le capacità e gli uomini per gestirsi da soli.
Nei mesi successivi altre petizioni e documentazioni inondano l’ufficio del Sottintendente di Nola. Tra l’altro si chiede l’urgente istituzione di un battistero a San Gennaro per i battesimi ed i matrimoni, essendovi in loco validi sacerdoti.
I sangennaresi, indignati, contestano la risoluzione decurionale soprattutto nei punti 3 e 5 , esibendo documenti che dimostrano che San Gennaro ha locali idonei per ospitare gli uffici comunali e soprattutto ha uomini idonei e capaci a coprire tutte le cariche amministrative, ed, a sostegno di ciò, allegano un elenco di 31 cittadini tra i quali figurano un medico, un farmacista ed un architetto.
Nel corso del 1828 i rapporti tra Palma e San Gennaro si fanno ancora più aspri, essendo risaputo che del problema si sia interessato il Re in persona. I segnali di una svolta per noi favorevole sono contenuti nella lettera , inviata al Principe di S. Agapito, da parte del marchese Amato, in data 1 ottobre 1828, nella quale tra l’altro si legge : “…S.M. si è degnato ordinare che per detto Borgo sia unito a Palma fino a che Ella non veda se queste due popolazioni possano avere un territorio separato”.
La notizia è accolta a San Gennaro con scene di giubilo indescrivibile. L’autonomia sembra ormai vicina, non essendoci elementi ostativi nella conformazione geografica del territorio, come opportunamente sostengono e dimostrano, in un’altra petizione ben articolata, tre intrepidi sangennaresi. Ma Palma, alle prese in quel periodo con un’ aspra battaglia politica per la scelta del nuovo sindaco, temporeggia e a noi ci tocca attendere e penare per oltre 10 anni!
L’ ultimo decennio che precede la concessione dell’ autonomia e la nascita vera e propria del Comune di San Gennaro è caratterizzata da un accadimento di notevole rilievo e che ebbe l’effetto, per alcuni di accelerare il processo di realizzazione dell’indipendenza da Palma, per altri di ritardare e complicare l’iter politico ed amministrativo, ossia l’organizzazione e la messa in atto del moto insurrezionale del 1832, ad opera del nostro conterraneo frate Angelo Peluso, che per la prima volta nella storia, portò San Gennaro alla ribalta nazionale.
Frate Angelo giocò un ruolo chiave e determinante nella messa in atto del moto rivoluzionario, ma esso fu male organizzato, per una serie di motivi, e che il povero frate sopravvalutò le capacità, la tenacia, la convinzione dei congiurati e la collaborazione, il consenso e la partecipazione popolare. Insomma la congiura del frate fallì più o meno per gli stessi motivi e le stesse ragioni per le quali fallirono i moti del 20-21 e quelli successivi di Pisacane, dei fratelli bandiera ed altri. Tuttavia è innegabile che frate Angelo fu l’ideatore, il più convinto, il più attivo ed il più coraggioso di quel moto insurrezionale.
Il valore di frate Angelo è accresciuto dal fatto che, pur non godendo di nessun ascendente né culturale, né economico, né sociale su quelli che lo seguirono, riuscì a trascinarsi dietro alcune decine di rivoluzionari che non erano né pregiudicati né banditi, ma figli di un disagio sociale ed economico e vogliosi di cambiare il loro destino di sfruttati e di maltrattati nel loro paese e nelle loro realtà locali. Perciò la fibra morale dei congiurati era caratteristica della classe sociale di appartenenza : facili all’entusiasmo ed allo scoramento, pronti ad esaltarsi ed a credere con grossolano semplicismo all’arrivo delle truppe francesi, ma altrettanto facili a perdersi d’animo ed a sbandare alla prima difficoltà.
Negli anni successivi al tentativo insurrezionale di frate Angelo, la lotta dei sangennaresi riprese con più vigore e si concretizzò con altre pressanti richieste e denunce alle autorità superiori.
L’unica nota positiva fu costituita dalla presentazione, da parte dell’ Ingegnere Pietro Felice Cassese, della pianta generale del territorio che individuava la linea lungo la quale dovrebbe avvenire la separazione del territorio di San Gennaro.
Negli ultimi anni ’30, è sempre più diffusa la convinzione tra i sangennaresi che il loro sogno di autonomia sta per realizzarsi. Ne hanno tutte le buone ragioni, perché del problema è stato investito il Re in persona.
Finalmente, tra la gioia indescrivibile dell’intera collettività, il 10 dicembre 1840, viene emesso il decreto reale con cui a San Gennaro viene concessa la sua autonomia amministrativa da Palma, a decorrere dal 1 Gennaio 1841.
Ecco i due articoli del decreto:
Art. 1 : A partire dal dì primo gennaio 1841 il borgo di San Gennaro in provincia di Terra di Lavoro, separandosi dal comune di Palma, formerà da se solo un comune con amministrazione isolata ed indipendente.
Art. 2 : Tutti i nostri Ministri Segretari di Stato, ed il Direttore del Ministero e real di Segreteria di Stato, della guerra e marina sono incaricati dell’esecuzione del presente decreto.
I giorni successivi furono vissuti dai sangennaresi con intensa partecipazione operativa.
C’erano da affrontare e risolvere molti problemi connessi alla separazione da Palma.
Per i primi dieci mesi, fu sindaco pro tempore ed ufficiale dello stato civile l’Eletto Michele Ammendola il quale, in modo ammirevole e con competenza, affrontò e risolse i problemi più impellenti.
Intanto in paese fiorisce e si sviluppa la politica, il confronto , la discussione sulle cose da fare e sulle persone da designare per le varie cariche.
Il decurionato, dopo appassionata discussione, scelse, secondo la prassi, dalla terna costituita da Filippo Casalini, Francesco Parisi e Ferdinando Nunziata, il candidato a sindaco nella persona del dottor Filippo Casalini e come cancelliere Domenico Ammendola. Dopo qualche giorno giunsero i decreti reali di nomina dei designati che entrarono nel possesso effettivo della carica biennale e che prescriveva, per il sindaco, anche le funzioni di capurbano e di conciliatore.
Cominciava così a funzionare a pieno ritmo la macchina amministrativa, con una serie di importanti delibere e gare d’appalto.
Intanto i rapporti con Palma restavano tesi, per l’assoluta indisponibilità di quell’amministrazione ad ogni forma di aiuto e collaborazione.
Furono motivo di contrasto il Cimitero comune ed il maldestro tentativo di sottrarci la gestione della storica Fiera.
Tentarono d’istituirne una tutta loro negli stessi giorni, ma vennero sconfitti dal diniego dell’Intendente e dal parere contrario dei paesi limitrofi come Saviano, Nola ed Ottajano.
Il dottor Filippo Casalini, medico condotta di San Gennaro fin dal 1823 e primo sindaco del nostro comune dal 1841 al 1847, fu figura di notevole rilievo scientifico, politico e morale nella nostra storia patria. Per oltre un ventennio fu prima unico medico ed assistente sollecito e sensibile di una popolazione di oltre tremila anime, affette dalle più gravi e contagiose malattie, rendendosi sempre disponibile a prendere a cuore i problemi di ogni tipo della misera popolazione, poi abbracciò con fervore e determinazione la causa politica di questo Borgo e ne diventò la guida più lucida e convinta negli anni della dura lotta per l’autonomia.
Designato a furor di popolo primo sindaco del nuovo Comune, ne guidò le sorti nei primi sette terribili anni, conciliando instancabilmente l’impegno professionale con la carica politica e non trascurando nulla per l’avvio della macchina amministrativa.
Mostrò polso, determinazione ed intuito politico e seppe fare nel modo migliore gli interessi dei sangennaresi, la cui causa aveva abbracciato sin dal tempo in cui, ordinato medico a tempo pieno, volle venire a vivere stabilmente in questo Borgo, erigendovi casa dignitosa all’angolo tra via Roma e traversa Paoli.
fonte
http://www.comune.sangennarovesuviano.na.it/zf/index.php/storia-comune