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Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (IV)

Posted by on Set 30, 2022

Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (IV)

Gaetano Arcieri, Storia del diritto nel Regno di Napoli
A cura di Gianandrea de Antonellis
Edizione originale:Storia del Dritto per servire d’introduzione allo studio delle leggi civili e del dritto amministrativo con la successione dei giureconsulti ed interpetri [sic] del dritto romano, seguita da comentario [sic] delle leggi regie, pontificali e decemvirali del Dottor Gaetano Arcieri, Accademico Florimontano, Socio Corrispondente della Società Economica di Basilicata, dell’Accademia Cosentina, di Aci-Reale, ec. ec.Stabilimento Tipografico Perrotti, Napoli 1853

Il diritto, espressione dello Stato

Un popolo che distrugge il suo passato non merita di avere un futuro

La Giurisprudenza, scienza ausiliaria della Storia

Forse il sistema più semplice per comprendere in cosa consista concretamente una Monarchia tradizionale è quello di studiare le leggi di un dato Regno precedenti alla codificazione moderna.

Non è un caso che il motto del Carlismo – cioè della più pura visione politica cattolica, monarchica e tradizionale – sia Dios, Patria, Fueros y Rey. Vale a dire (e si noti l’ordine in cui vengono espressi): Dio (religione cattolica), Patria (concreta Terra dei Padri e non astratta Nazione o burocratico Stato), Diritti tradizionali (cioè libertà concrete – e al plurale – e non astratta – pur se con la maiuscola – Libertà) e, infine, Re (naturalmente, Re legittimo, cioè non usurpatore né indegno).

Può sembrare strano, ad un monarchico dei nostri giorni, cioè “moderno” e quindi presumibilmente intriso di mentalità assolutista, ritenere che il Re debba essere al di sotto della legge, cioè ad essa sottoposto, anziché esserne al di sopra, sovrano[1]. E questo per due motivi: innanzitutto perché il moderno monarchico “tradizionalista” (o meglio, quello che si crede tale), è spinto – erroneamente – a ritenere che il Re sia legibus solutus, in quanto fonte egli stesso della norma giuridica.

In secondo luogo perché – e ciò vale per qualsiasi studioso “moderno” di politologia: monarchico, repubblicano o anarchi­co che egli sia – identifica il Re con lo Stato e ritiene che la fonte del diritto sia appunto lo Stato[2].

La Rivoluzione francese, infatti, non ha affatto risolto il problema dell’assolutismo, bensì lo ha aggravato, limitandosi unicamente a cambiare il soggetto assoluto, non più il Re ma lo Stato[3] (o il Parlamento), esclusiva fonte del Potere legislativo e quindi della legge.

Nel mondo tradizionale, invece, fino al periodo detto “delle codificazioni moderne”, sorte in tutto il mondo ad imitazione del Codice Napoleone (1804), la legge non proveniva necessariamente dall’alto. In particolare, nei territori di cultura latina (come le penisole italica ed iberica), esso si formava in primo luogo attraverso la consuetudine, che veniva eventualmente sanzionata da un’autorità, che la riconosceva definitivamente (in quanto già esistente) e non la imponeva ex novo.

Un po’ come accade con la nobiltà, che il Monarca riconosce concedendo un titolo, ma non può creare[4].

Il diritto napolitano è stato dunque per secoli basato sulla consuetudine: non sono mancati, è vero, codici compilativi che, come quelli tardo-romani, riassumevano ed ordinavano le leggi esistenti[5], ma era ignoto del tutto il concetto di codice normativo, che cioè imponesse una nuova legge, basandone la forza non già sull’autorità della Tradizione, bensì sulla volontà del legislatore. Lo stesso Giambattista Vico ricorda che l’etimologia di lex deriva da legere, raccogliere[6]; e non si raccoglie ciò che è già esistente: nella fattispecie, le consuetudini.

Studi recenti sul diritto napolitano che abbiano il pregio della sintesi e della leggibilità sono pochi: in mezzo alle numerose opere di tipo specialistico[7] (forse, eccessivamente speciali­stico) che si occupano di aspetti geograficamente o temporalmente limitati della legislazione o delle istituzioni napolitane, continua ad essere valido il saggio – che fa parte di un’opera più vasta – di Gaetano Arcieri, che affrontò, dopo alcuni altri studiosi coevi[8], la storia del diritto pubblico napolitano dal periodo romano ai suoi giorni (precisamente, al 1847). Datato, si dirà. Ma poiché il Regno di Napoli propriamente detto era scomparso nel 1815 per via dell’unione a quello siciliano e della con­seguente trasformazione nel Regno delle Due Sicilie; poiché – soprattutto – nel “nuovo” Regno venne mantenuto il Codice napoleonico imposto a Napoli durante l’occupazione militare francese (1806-1815); e poiché – infine – una dozzina di anni dopo il periodo in cui fu pubblicato il saggio anche il Regno delle Due Sicilie sarebbe scomparso, annesso a quello di Sardegna, che avrebbe trasformato il proprio nome in Regno d’Italia, il lavoro di Arcieri rimane tuttora una lettura pressoché imprescindibile per chi voglia compiere un excursus di qualità (il testo era destinato agli studenti universitari – e quelli di allora) sul diritto napolitano.


[1] Dal basso latino superànus, che si trova sopra tutti gli altri.

[2] La maggior parte delle persone è portata a pensare che lo Stato sia sempre stato governato come è avvenuto negli ultimi due secoli, cioè – si tratti di monarchia assoluta o repubblica democratica – che la fonte del diritto sia centralizzata (nel Monarca o nel Parlamento) e che la legge, arbitrio del potere legislativo, promani sempre e comunque dall’alto, a capriccio di chi in ogni singolo periodo storico detenga tale potere. Tecnicamente si potrebbe parlare di idola temporis, affiancando questo ulteriore eidolon ai quattro canonici individuati da Francesco Bacone nel suo Novum Organon (1620): idola specus, tribus, fori, theatri. Sull’argomento, mi permetto di rimandare al mio Il significato della metodologia tra teoria e pratica. Approcci per il diritto, in Lezioni di metodologie e Tecnologie didattiche delle Scienze Giuridiche, a cura di Francesco Petrillo, Maggioli Sant’Arcan­ge­lo di Romagna (Rimini) 2019,19-62:24-29, dove ho sviluppato questo concetto.

[3] Cfr. José Pedro Galvão de Sousa, Poder, Estado y Constitución. Hacia un derecho político realista, Marcial Pons, Madrid 2019, p. 68 e José Miguel Gambra, La sociedad tradicionalista y sus enemigos, Guillermo Escolar, Madrid 2019, p. 143-149.

[4] «Come è vero che posso creare un Conte, ma non lo posso rendere nobile», disse Isabella cosiddetta II di Spagna al generale Baldomero Espartero (1793-1879), allora Conte di Luchana (sarebbe poi divenuto, per meriti militari propri e demeriti altrui, grazie all’infame tradimento del generale Moroto a Vergara, anche Visconte delle Bandiere, Duca della Vittoria, Duca di Morella e Principe di Vergara, appunto), quando questi, rozzo figlio di un umile carpentiere, le rispose scostumatamente alla richiesta di accompagnarla a passeggio. In altre parole, la nobiltà – che è questione di comportamento, di elevati sentimenti, di distacco dalla materia – non si identifica con il titolo: ecco perché alcuni Ordini cavallereschi pretendono, per i loro membri, non soltanto il titolo, ma la sua antichità. Sull’argomento, cfr. Giovanni Maresca di Serracapriola, voce Nobiltà, in Novissimo Digesto Italiano, Utet, Torino 1965, vol. XI (N-Ora), p. 277-288.

[5] Un esempio è dato dalle Institutiones Iuris Regni Neapolitani, in usum Auditorii Figheriani, Ex Typographia Flautina, Napoli 1766-1767, dovute alla scuola del gravinese Oronzo Fighera, che ebbe almeno sei edizioni (l’ultima proprio nel 1804).

[6] Giambattista Vico, La Scienza nuova (1744), Degli elementi, Degnità LXV, Laterza, bari 1911, p. 145.

[7] Tra le pubblicazioni più recenti di carattere generale (dedicate cioè a tutto il Regno e non solo ad una parte di esso), risalenti fino all’inizio del XX secolo, si possono citare Paola Mastrolia, L’ombra lunga della tradizione. Cultura giuridica e prassi matrimoniale nel Regno di Napoli (1809-1815), Giappichelli, Torino 2018; Dario Luongo, Il giurisdizionalismo dei moderni. Polemiche anticurialistiche nella Napoli del preilluminismo, Giappichelli, Torino 2018; Jean Paul de Jorio, Istituzioni di diritto feudale, enti locali e giuspubblicistica nel Regno di Napoli tra ’500 e ’600, Pagine, Roma 2017; Maria Natale, Sui piatti della bilancia. Le magistrature del commercio a Napoli (1690-1746), Giuffrè, Milano 2014; Luisa Turco, La giustizia d’eccezione tra antico e nuovo diritto. I tribunali straordinari nel Regno di Napoli, Satura, Napoli 2009; Cesare Maria Moschetti, Caso fortuito, trasporto marittimo e assicurazione nella giurisprudenza napoletana del Seicento, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1994; Raffaele Ajello, Tra Spagna e Francia. Diritto, istituzioni, società a Napoli all’alba dell’Illuminismo, Jovene, Napoli 1992 (di cui vanno anche citati Preilluminismo giuridico e tentativi di codificazione nel Regno di Napoli e Il problema della riforma giudiziaria e legislativa nel Regno di Napoli durante la prima metà del secolo XVIII, ambedue pubblicati da Jovene, Napoli 1968); Aurelio Cernigliaro, Patriae leges, privatae rationes. Profili giuridico-istituzionali del Cinquecento napoletano, Jovene, Napoli 1988; Cesare Maria Moschetti, Questioni di diritto pubblico marittimo negli scritti dei giuristi napoletani della prima metà del Seicento, Giannini, Napoli 1984; Guido Landi, Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815-1861), A. Giuffrè, Milano 1977; Armando De Martino, Antico regime e rivoluzione nel Regno di Napoli. Crisi e trasformazioni dell’ordinamento giuridico, Jovene, Napoli 1972; Antonio Marongiu, La forma religiosa del matrimonio nel diritto del regno di Napoli, Edizioni del centro librario, Sapri 1963; Pietro Vaccari, La posizione del diritto romano nel regno di Napoli alla fine del secolo XVIII, Centro librario, Sapri 1963; G. M. Monti, L’influenza francese sul diritto pubblico del Regno Angioino di Napoli, Zanichelli, Bologna 1938; Carlo Perfetto, Del commercio e del diritto commerciale e marittimo del Regno di Napoli. Il Viceregno (1504-1734), Tip. della R. Università, Napoli 1933; Adolfo Pannone, Lo Stato borbonico. Saggio di storia del diritto pubblico napoletano dal 1734 al 1799. Lo Stato e la sua attività amministrativa, Seeber, Firenze 1924; Carlo Perfetto, Il primo codice marittimo e l’insegnamento del diritto commerciale a Napoli, A. Cimmaruta, Napoli 1919.

[8] Vanno ricordati i saggi di Gaspare Capone, Discorso sopra la storia delle leggi patrie, Napoli 1829, 1843, 1854; Giuseppe De Thomasis, Introduzione allo studio del diritto pubblico e privato del Regno di Napoli, Napoli 1831; Pasquale Liberatore, Saggio sulla giurisprudenza penale del Regno di Napoli, Napoli 1814; Idem, Introduzione allo studio della legislazione del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1832-1834; Giovanni Manna, Della giurisprudenza e del foro napoletano dalla sua origine alla pubblicazione delle nuove leggi; e Pietro Calà Ulloa, Delle vicissitudini e dei progressi del diritto penale in Italia: dal risorgimento delle lettere sin oggi, Palermo 1842. Un posto a parte merita, ovviamente, la ponderosa opera di Pietro Giannone, Dell’istoria civile del Regno di Napoli, pubblicata a Napoli nel 1723…….continua

Gianandrea de Antonellis

2022 – D’Amico Editore di Vincenzo D’Amico
Via Pizzone, 50 – 84015 Nocera Superiore
libri@damicoeditore.it-www.damicoeditore.it +39 349 8108119

Finito di stampare
nel mese di aprile 2022
presso Infolio srls
via Alfonso Albanese 26
84010 Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno)

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