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Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (VII)

Posted by on Ott 3, 2022

Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (VII)

Due Sicilie: una mera espressione geografica

Troppo spesso si sente parlare di “identità duosiciliana”, con riferimento agli ultimi anni del reame borbonico, dimenticando che, se il Regno delle Due Sicilie durò soli 45 anni, dal 1816 al 1861[1], i Regni di Napoli e di Sicilia, che la loro corona fosse cinta o meno dallo stesso Monarca, ebbero vita plurisecolare.

Va notato che il nuovo nome del Regno non fu un’inven­zione di Re Ferdinando: fin dal Duecento[2], infatti, la locuzione Due Sicilie era utilizzata, anche se con valore esclusivamente geografico – un po’ come il termine Italia, che indicava una ben definita zona geografica, ma non certo uno Stato, almeno fino al 17 marzo 1861 e meno che mai una Nazione[3].

Si parlava di Sicilia citra e di Sicilia ultra pharum (di Reggio di Calabria), ma quando il Re fu uno solo, con Carlo I dalla battaglia di Benevento fino ai Vespri del 1282 e soprattutto da Alfonso I il Magnanimo (1441-1458) che per primo usò il termine Rex Utriusque Siciliae, non si trattò mai di unione politica, bensì esclusivamente di unione personale, mantenendo ben distinte le tradizioni (e quelle giuridiche in particolari) dei due Regni.

Ecco perché, nel periodo imperiale, Napoli ebbe come Monarca non il Re di Spagna (cioè non fu subordinata alla Spagna: non fu – come erroneamente si crede e si continua a ripetere – un Vicereame) bensì ebbe come Monarca Carlo IV o Filippo I, II e III e Carlo V, i quali allo stesso tempo erano Re di Castiglia etc.[4] rispettivamente come Carlo I (nonché Imperatore come Carlo V), Filippo II, III e IV, Carlo II. La presenza di un diritto specifico indica come il Regno napolitano fosse – anche nel periodo imperiale – perfettamente dotato di autonomia (etimologicamente: cioè di un diritto proprio)

La propaganda risorgimentale – e la successiva storia dello Stato italiano, che su tale propaganda si è sempre fondato[5] – ha fatto sì che i concetti di Patria, Nazione e Stato, concetti molto ben distinti tra loro, venissero a confondersi, diventando – almeno per un pubblico generalista – praticamente sinonimi.

È chiaro che il lettore moderno, cresciuto all’interno della cultura italiana, non considera la locuzione Due Sicilie come una indicazione puramente geografica o come uno Stato limitato nel tempo al periodo preunitario successivo al Congresso di Vienna (1816-1860); egli tende ad identificare – erroneamente – tale definizione con uno Stato che, se non dura i sette secoli del Regno di Napoli e gli otto di quello di Sicilia, copre almeno tutto il periodo borbonico (1734-1831).


[1] Per la precisione dall’8 dicembre 1816 (cfr. Collezione delle leggi e decreti, n. 565, Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie, data da Ferdinando I a Caserta l’8 dicembre 1816) fino al 13 febbraio 1861 (capitolazione di Gaeta).

[2] Così viene definito ufficialmente per la prima volta nella Bolla di investitura del Regno data da Clemente IV a Carlo d’Angiò nel 1265. Cfr. Giovanni Antonio Summonte, Historia della città e Regno di Napoli, vol. II, Dell’Isola di Sicilia, e de’ suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia, Napoli, 1748, p. 279.

[3] Sull’inesistenza di una “nazione italiana” pre-unitaria mi permetto di rimandare al mio L’Italia non esiste. “Una d’arme, di lingua, d’altare”? Considerazioni sull’identità italiana pre- e post-risorgimentale, Anales de la Fundación Francisco Elías de Tejada (Madrid), XXV (2020), p. 119-142.

[4] O, più correttamente: «Felipe, por la gracia de Dios Rey de Castilla, de León, de Aragón, de la dos Sicilias, de Hierusalem, de Portugal, de Navarra, de Granada, de Valencia, de Toledo, de Galicia, de Mallorca, de Sevilla, de Cerdeña, de Córdoba, de Córcega, de Murcia, de Jaén, de los Algarbes, de Gibraltar, de las islas de Canarias, de las Indias orientales y occidentales , Islas y tierra firme del mar Océano, Archiduque de Austria, Duque de Borgoña, de Brabante, de Milán, Conde de Habspurg, de Flandes, de Tirol, de Barcelona, Señor de Vizcaya y de Molina, etc.», incipit di una lettera datata 6 maggio 1598, in Colección de documentos inéditos para la historia de España, a cura dei Marchesi di Pidal e di Miraflores e di Miguel Salvá, Madrid 1865, vol. 42, p. 222.

[5] Se le camicie rosse dei garibaldini furono riprese dalle formazioni partigiane comuniste durante la guerra civile e la barbuta effigie del “Peppino nazionale” dal Fronte Popolare nel 1948, il Fascismo non fu da meno nel proporsi come “secondo risorgimento”. Cfr., tra gli altri, Stuart J. Woolf, Risorgimento e Fascismo: il senso della continuità nella storiografia italiana, in «Belfagor», vol. 20, No. 1 (31 gennaio 1965), pp. 71-91. Sulla “resistenza come compimento di una rivoluzione risorgimentale incompleta, cfr. Il Secondo Risorgimento. Scritti di Garosci, Salvatorelli, Primieri, Cadorna, Bendiscioli, Mortati, Gentile, Ferrara, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1955.

Gianandrea de Antonellis

2022 – D’Amico Editore di Vincenzo D’Amico
Via Pizzone, 50 – 84015 Nocera Superiore
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Finito di stampare
nel mese di aprile 2022
presso Infolio srls
via Alfonso Albanese 26
84010 Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno)

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