Storia dello stemma delle Due Sicilie
Uniti dal 1130, quando Ruggiero d’Altavilla, meglio noto come Ruggiero il Normanno, partendo dalla Sicilia estese i suoi domini fino a Napoli.Uomo di straordinaria cultura, Ruggiero parlava correntemente arabo, greco, latino e siciliano, incrementò sempre la cultura, fosse essa importata o autoctona e lasciò libertà di credo religioso a tutti i sudditi del suo regno.
Lo stemma che portò con sè consisteva in una banda duplicata divisa a sua volta in cinque quadrati per due colori: il rosso e l’argento in campo azzurro. Secondo la cultura tedesca pare che l’azzurro e l’argento simboleggino un animo che ha come vocazione quella di acquistare per sè domini e il colore rosso, così frequente anche nella cultura mediterranea, nel medioevo era strettamente legato alla vittoria sui propri nemici.
Ma ecco che il periodo normanno volge al termine, o si evolve, in questo caso in una nuova dinastia, nel momento in cui l’ultima erede degli Altavilla, Costanza, già consorte di Enrico di Svevia, dà alla luce lo stupor mundi, Federico II di Hohenstaufen, noto come Federico II di Svevia ed ecco un nuovo stemma per un nuovo momento storico del regno, periodo in cui fioriscono le arti, la scuola siciliana delizia con i versi d’amore e si fonda in Napoli un’università che eviti la fuga di cervelli verso le più antiche cattedre di Bologna. Il simbolo della casata degli Hohenstaufen raffigurava un’aquila in campo argentato per la dignità regia, e in campo dorato per la dignità imperiale. Mentre lo stemma degli Altavilla si andrà perdendo nel tempo, quello degli Hohenstaufen, sia nelle successive rappresentazioni del nostro stemma, sia in quelle di altre casate austriache e tedesche, continuerà il suo percorso e la sua evoluzione. La dinastia degli Hohenstaufen si estinguerà con Corradino di Svevia, autore dell’ultimo tentativo fallito di riconquistare il trono imperiale nel 1268.
Con la battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268 che vede il giovane Corradino sconfitto e in seguito giustiziato dall’odiato francese Carlo I; nuovi vessilli si innalzano sulla città di Partenope: quelli francesi degli Anjou. Il loro stemma è un tappeto di gigli d’oro in campo azzurro sormontati da un rastrello rosso, elemento che differenziava il ramo cadetto di Carlo I d’ Anjou da quello principale dei re di Francia. Inoltre, poichè assieme al Regno di Napoli Carlo aveva ottenuto anche il titolo di Re di Gerusalemme, unì allo stemma sopra citato le insegne del Regno di Gerusalemme, visibili nella parte destra dello stemma. Si tratta di una H nel mezzo della quale è posta una I fra quattro piccole croci, il tutto a colori oro in campo bianco.
Dopo le vittorie angioine, nel 1282 i vespri siciliani scacciano Carlo d’Angiò dalla Sicilia e la sua corona viene offerta a Pietro d’Aragona la cui sposa era una discendente proprio di quel Manfredi di Hohenstaufen, zio del giovane Corradino. La Sicilia adotta così i colori degli aragonesi, oro e fiamme vermiglie. In seguito Pietro divise il suo regno in due parti da dare ai suoi due figli, a Giacomo II toccò l’Aragona e a Federico II la Sicilia il quale creò il suo personale stemma inquartando in croce di S. Andrea le insegne paterne con le bande oro in campo vermiglio e quelle materne con l’aquila nera in campo argento degli Hohenstaufen e stabilendo così una legittimazione ereditaria del regno da parte di quegli Svevi che gli angioini avevano cacciato.
Nel 1442 Alfonso d’Aragona detto il Magnanimo, rivendicò le sue pretese al trono di Napoli, non tanto con la conquista militare ma sull’essere erede di Costanza di Svevia, il che gli avrebbe dato diritto anche sulla parte peninsulare del regno. Inoltre la regina Giovanna d’Angiò aveva posto il regno sotto la protezione di lui e lo aveva irrevocabilmente adottato come figlio e successore al trono, nominandolo anche Duca di Calabria, titolo proprio dei principi ereditari della Corona napoletana. Il racconto di queste vicende, è racchiuso dall’insegna che Alfonso usò per il Regno di Napoli, dove unì le insegne della Sicilia aragonese a quelle angioine, proprio in questa composizione risiede il primo nucleo dello stemma del Regno delle Due Sicilie.
Dopo il dominio aragonese, continua l’evoluzione del nostro Regno e lo stemma ne rispecchia i mutamenti interni. Dopo Alfonso il Magnanimo e Ferrante, anche questa dinastia va pian piano verso la sua fine a causa della scarsa personalità dei suoi discendenti. Il Regno si ritrova così per un periodo diviso tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII di Francia.In quel mentre in Spagna si celebra il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, il cui matrimonio unifica i regni di Spagna, in seguito, nel 1502 le armate spagnole condotte da Gonsalvo di Cordova estesero la sovranità spagnola a tutto il Regno delle Due Sicilie. Tali eventi si ripropongono sul nuovo stemma delle Spagne e quindi delle Due Sicilie, ed ecco dunque unirsi allo stemma elaborato da Federico II d’Aragona (vedi storia dello stemma delle Due Sicilie parte II) le insegne di Castiglia, un castello dorato in campo rosso, e di Leon, con un leone rosso in campo argento. Sulla punta inferiore dello stemma si vede una mela granata, simbolo di Granada che grazie a Ferdinando e Isabella venne liberata dalla dominazione araba e riportata sotto i vessilli cattolici. Lo stemma posto su uno scudo è sormontato dalla corona reale e da un’aquila ad ali spiegate recante il motto “tanto monta” che si traduce con “fa lo stesso”, a sottolineare l’uguaglianza tra le due corone cattoliche di Ferdinando e Isabella.
Dal matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando il Cattolico nasce Giovanna III che va in sposa all’arciduca d’Ausrtia, Filippo il bello, la morte prematura del marito le costerà il suo soprannome e la farà ricordare come Giovanna la pazza. Da questa unione il giovane Carlo, loro figlio, si ritroverà a ereditare una quantità incommensurabile di titoli. Da parte di padre ereditò i domini borgognoni delle Fiandre, la Castiglia e e colonie americane, da parte materna, il regno di Napoli, Sicilia e Sardegna e inoltre, alla morte dell’imperatore d’Austria Massimiliano, sempre dalla linea paterna eredita i domini della casa degli Asburgo ovvero Austria, Stiria, Carinzia, Vorarlberg e Tirolo. Quando nel 1520 egli viene incoronato imperatore, lo stemma del Regno di Napoli diviene molto più complesso e ricco. Un’aquila bicipite e la corona imperiale sormontano lo stemma ai due lati del quale sono poste due colonne, le colonne d’Ercole, recanti il motto “plus ultra”, cioè “più in là”, tale motto pare sia stato suggerito a Carlo V dal medico di corte, il milanese Luigi Merliano e stava a significare che i domini dell’imperatore erano estesi oramai oltre i confini del mondo conosciuto. E’ inoltre da notare che per la prima volta lo scudo è cinto da un collare, quello del toson d’oro, ordine istituito nel 1429 dal duca di Borgogna, Filippo il buono di Valois, ereditato da Carlo V da Massimiliano d’ Asburgo che si unì in matrimonio con l’ultima discendente dei Valois.
Ma giunto al culmine della sua potenza nel 1556, Carlo V decide di ritirarsi a vita ecclesiastica nel monastero di San Jeronimo de Yuste in Estremadura e abdica in favore dei suoi due figli: a Filippo assegna la Spagna, i possedimenti d’oltre oceano, il Sud Italia e i Paesi Bassi, a Ferdinando andranno invece i domini tedeschi della casa d’Asburgo. Lo stemma elaborato da Filippo II ci dà chiare indicazioni sulle ripartizioni paterne. Nella parte superiore vediamo a sinistra lo stemma di Isabella di Castiglia e Ferdinando il Cattolico (torre in oro su sfondo rosso e leone rosso su sfondo argento), bisnonni di Filippo, a destra le insegne Pietro d’Aragona adottate come stemma ufficiale della Sicilia e nel centro della parte superiore lo scudo del Portogallo recante su sfondo argenteo, cinque scudi in azzurro su cui è posta la croce di S. Andrea,il tutto contornato a sua volta da una cornice rossa ornata da sette castelli d’oro eredità di Filippo da parte della madre Isabella, regina di quel regno. Sotto lo scudo del Portogallo si trova in un triangolo a punta la mela granata su sfondo argentato. Nella parte inferiore dello stemma invece partendo da sinistra troviamo i colori rosso e argento dell’Austria con sotto le bande in oro e blu della Borgogna antica, ereditata da Massimiliano d’ Asburgo tramite matrimonio; nella parte inferiore destra troviamo invece la Borgogna moderna rappresentata dai gigli dorati in campo blu e incorniciati a bande rosse e bianche, più sotto, Brabante, simbolo dei Paesi Bassi, raffigurante un leone d’oro in campo nero. Nel mezzo troviamo uno scudo diviso in due, la parte sinistra con il leone nero in campo oro rappresenta le Fiandre, mentre l’aquila rossa su sfondo bianco simboleggia Anversa.
Ma il ramo Asburgo di Spagna è destinato ad estinguersi per lasciare spazio ai Borbone di Francia. Dunque Filippo di Borbone, nipote di Luigi XIV, assume il controllo del Regno come Filippo V e usa lo stemma creato dal suo predecessore Asburgo, con l’unica differenza che pone al centro dello stemma lo scudo della propria casata, ovvero i tre gigli d’oro in campo azzurro.
Tuttavia la successione fu rivendicata anche dall’imperatore Leopoldo I per il figlio, l’arciduca Carlo, quale erede del primo ramo di casa Asburgo. Qui ebbe così inizio la guerra di successione spagnola, che vide il trentennio di occupazione austriaca di Napoli (1707 – 1734) con Carlo, divenuto intanto l’imperatore Carlo VI. Carlo sostituì allo scudo centrale con i tre gigli borbonici, i colori dell’Austria il rosso con la banda in argento. Esclude poi dallo stemma i simboli di Fiandre e Anversa (leone nero in campo oro e aquila rossa in campo bianco) sostituendoli con quelli del Regno di Gerusalemme (H attraversata da una I incorniciate da quattro croci in oro) e dell’Ungheria (bande bianche e rosse).
Il fermento che scuote l’Europa e ne modifica i confini attraverso le guerre di successione sembra portare una tregua, quando nel 1734 il re di Spagna Filippo V invia il suo ultimo figlio, Don Carlos, a capo di un esercito che riportasse sotto la Spagna i domini del sud Italia.Ricordiamo infatti che dopo la rivendicazione al trono dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, le Due Sicilie ebbero trent’anni di dominazione austriaca. Carlo sconfigge a Velletri le truppe degli Asburgo e si insedia a Napoli come sovrano di un regno indipendente, ora per la prima volta con Carlo, che diverrà poi Carlo III di Borbone, finalmente Napoli da vicereame assurge al rango di nazione, accrescendo in prestigio ed importanza. Anche Carlo come gli altri suoi predecessori, avrà uno stemma nel quale saranno rappresentati i suoi titoli e le sue eredità, vediamo come: la parte centrale dello stemma è come quella del suo predecessore Filippo II di Borbone Francia (vedi storia dello stemma delle Due Sicilie parte III), al lato sinistro si aggiungono i gigli blu in campo oro della famiglia Farnese, duchi di Parma, da cui Carlo discendeva da parte di madre, la parte dei gigli è inquartata al rosso con banda argentata degli Asburgo vicino a cui campeggiano le bande blu e oro della Borgogna antica, su tutti, campeggia lo scudo del Portogallo a ricordo del matrimonio tra il Duca di Parma Alessandro con Maria del Portogallo (1565) e delle controversie apertesi per il diritto di successione a quel trono. Sul lato esterno destro invece troviamo uno stemma della Toscana, simile a quello dei Medici, questo perchè Carlo nel 1731 aveva assunto il ducato di Parma ed era stato dichiarato da Giangastone, ultimo dei Medici, proprio successore con il titolo di Principe di Toscana. Lo stemma della Toscana è composto da sei palle in campo oro, cinque di queste sono di colore rosso, mentre la prima in alto è blu con al centro tre piccoli gigli d’oro, questo perchè Pietro di Cosimo, padre di Lorenzo il Magnifico, volendo nobilitare ulteriormente lo stemma della propria casata, si rivolse a Luigi XI di Valois e chiese di poter apporre sul proprio stemma lo scudetto gigliato, che sarebbe in seguito divenuto di forma circolare per motivi estetici. Alla baste dello stemma, Carlo conserva il Toson d’oro, ma impreziosisce il tutto con il collare dell’ordine cavalleresco francese del Santo Spirito, del quale era insignito (a sinistra) e con il collare dell’ordine costantiniano di S. Giorgio (a destra), che faceva parte della sua eredità da parte della famiglia materna, i già citati Farnese di Parma. In seguito, nel 1738, aggiungerà a questi anche il collare dell’ordine di San Gennaro (che si troverà sopra il Toson d’oro) istituito in occasione del suo matrimonio con Maria Amalia di Sassonia.
Dopo quindici anni, Carlo è richiamato in Spagna, suo padre Filippo muore lasciandogli la corona, Carlo deve quindi abdicare in favore del figlio terzogenito, Ferdinando e partire assieme al resto della famiglia alla volta della terra natìa. Con Ferdinando c’è sullo stemma tramandatogli dal padre un ritorno delle vecchie insegne angioine e di Gerusalemme, mai del tutto dismesse nelle rappresentazioni.
Tuttavia sia con Carlo che con Ferdinando era stata mantenuta la secolare distinzione tra Regno di Napoli e Regno di Sicilia. Lo stemma di Napoli era quindi incastonato in una cornice barocca decorata con dei rami di palme, mentre per la Sicilia si mantenne l’antica aquila del periodo aragonese.
Dopo l’invasione giacobina del Regno di Napoli (1708 – 1715) e il ritorno al potere dei Borbone, con il congresso di Vienna, si deliberò che Ferdinando avrebbe dovuto essere Primo del “Regno” delle Due Sicilie e non semplicemente, “delle Due Sicilie”. Il decreto del 21 dicembre 1816 provvide a formare lo stemma che noi oggi vediamo sventolare sulle nostre bandiere, composto da scudi angioini e aragonesi, dalle insegne dei re cattolici, quelli imperiali di casa d’Austria, lo scudo borbonico di Filippo V, infine quello di Carlo di Borbone che reca le insegne dei medici e dei Farnese. Il contributo che Ferdinando diede allo stemma che oggi conosciamo è il collare dell’ordine della Concezione ( il primo a destra) istituito dal padre in Spagna nel 1771 con il motto virtuti et merito, alla virtù e al merito. Nel 1800 ne aggiunse poi un altro di propria invenzione, l’ordine di San Ferdinando e del Merito (il penultimo a sinistra), col motto fidei et merito, alla fedeltà e al merito, per premiare coloro che si fossero prodigati per servigi in favore della famiglia reale.
In conclusione come si può osservare lo stemma del Regno delle Due Sicile racchiude in sè una storia che parla dell’Europa intera e delle sue evoluzioni nel corso dei secoli, ciò a riprova e riconferma che è proprio questo lembo di terra ad essere una culla di cultura e civiltà al centro del Mediterraneo.
Chiara Foti coordinatrice giovanile CDS