Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (III)

Posted by on Giu 24, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (III)

Dovremmo smettere di definire certi storici “borbonici” e chiamarli semplicemente “preunitari” o “napolitani” nel nostro caso. Non si  capisce per quale motivo il Colletta che non scrive certo un trattato di obiettività scientifica sia considerato uno storico e i napolitani che scrissero al tempo di Ferdinando II siano considerati dei lacchè di regime.

Gli esuli pagati profumatamente in quel di Torino dal conte di Cavour per scrivere le loro ricostruzioni storiche antiborboniche che cos’erano? I depositari  della verità rivelata?

Buona lettura e soffermatevi sul profluvio veramente impressionante di innovazioni normative operate dal Re Ferdinando II

CAPITOLO III.

CATANIA, MESSINA, ED ALTRE CITTÀ.

Sommario

Quasi tutta Sicilia imita l’esempio di Palermo. Insurrezione di Catania riva sanguinosa dalle poche milizie stanziantevi. Rivoluzione di Messina. Provvedimenti del Generale Cardamone. I Messinesi gagliardamente si fortificano e combattono. Le truppe ogni furore propugnano. Inutili trattative di pace. Sicilia tutta sollevata. Vigoroso combattimento del Forte di Castellammare contro le palermitane batterie. Cessione del medesimo. Decorosa partenza della Guarnigione.

Palermo insorgera e compiva nel surriferito modo la ribellione, non quietavan le altre siculo città, ma il tristo esempio con maggiore o minor fervore, prestezza, ed impeto seguitavano; sì che guari non andò ed in Sicilia tutta il politico incendio largamente arse.

Ai 23 Gennajo l’etnea città si ammutinava, le milizie prendevan posizione nel Castello Ursino, nella Gran Guardia del Duomo, e nel Carcere; dei quali quest’ultimo assaltato con morti, ferite, e danni scambievoli. Nel di vegnente (24) veniva attaccata la Gran Guardia, la quale, dopo aspro combattimento, in cui furono feriti o spenti molti dell’una e dell’altra parte, era abbandonata dai soldati, che andavano a rattestarsi nel portone del palazzo Cutelli. Frattanto giungeva nella sconvolta Catania dalla sconvolta Palermo la vettura corriera sventolando bandiera tricolore; epperò fuvvi entusiasmo, follia, e moto incredibile;sì che all’aprirsi della nuova aurora tutto il popolo si spinse all’assalto dei dugento soldati, i quali tirando in quella stivata massa molte iatture arrecarono.

– 28-

Nella dimane, ritornavano alla pugna le accanite e sdegnose turbe: propugnavano dal canto loro le prodi milizie, ma finalmente prevalendo il numero all’arte ed al coraggio, cederono. Tutta Catania restava in potestà dell’abbottinata popolazione; sul Duomo, sul Castello, e su di altri punti culminanti la tricolore bandiera sventolava. I soldati, e molte famiglie napolitane e siculo, di pace bramose, s’imbarcavano sulla fregata a vapore l’Ercole, da poco surta nel Catanese porto, e per a Napoli partivano.

Messina che nel settembre dell’anno precedente aveva innalberato il vessillo della rivolta, già infranto per la operosità del Maresciallo Landi, e che nel sesto giorno di Gennajo aveva rialzato il capo con una clamorosa dimostrazione, punto non ritardò a voltarsi sulle precedenti orme, dopo conosciuti appena gli avvenimenti di Palermo.

Teneva il comando militare della provincia e piazza di Messina il Brigadiere Cardamone, il quale variamente provvedeva alla Cittadella, minacciava lo stato di assedio al primo moto della sollevazione, ed invigoriva le sue forze con le milizie capitanate dal General Nunziante nella vicina Calabria.

Si venne nel pensiero d’imporre con una rivista di tutte le armi raunate in Messina, ma nell’atto istesso di quella udironsi molte ed incomposte grida, sì che ordinavasi la ritirata, e le milizie rientravano nelle caserme della Cittadella, del Salvadore, e di Porta Real Basso..

Si passava intanto il tempo fra disegni, e preparativi dall’una e dall’altra parte, né si era pretermesso dai Messinesi di adoperarsi per mezzo dei Consoli Stranieri, e segnatamente del Conto di Maricourt, francese, onde la temuta Cittadella non agisse, ed il General Cardamone si era lasciato promettere al Conte, che non trarrebbe colpo sulla città, salvo il caso di formale dichiarazione di asse

– 29-

Stavan così le cose quando giunti in Messina i Decreti portanti le regie concessioni furon tosto strappati dalle cantonate e fatti in pezzi, e i giornali che li recavano lacerati nei caffè; inoltre l’Intendente fu insultato con voci e fischi; e guari non andò ed una barricata sorgeva nel quatrivio delle quattro fontane, sbarrando la strada d’Austria. Intanto i sollevati davano ripetuti e furiosi assalti ai trinceramenti di Terranova, ed erano valorosamente respinti, nondimeno una grandine di fucilate vibravano dal convento di S. Chiara, e dalle case vicine, e bersagliavano con colpi di cannone la porta che accenna allo spianato della Cittadella. Il General Nunziante ogni sforzo nemico mandava a vuoto.

Ciononpertanto la rivoluzione non si ristava, ma cotidianamente s’ingigantiva, massime per lo manifesto favore del corpo consolare stanziante in Messina. Uno stuolo innumerevole di armati inondava Messina; le strade che accennano alla Cittadella gagliardamente barricate; aperta una lunghissima trincea nella città; poste alquante artiglierie in taluni bastioni dell’antica cinta; costruite ed armate con cannoni di grosso calibro varie batterie rimpetto il bastione di S. Chiara, sulla fiumara, alle quattro fontane, noi piano della Matrice, nella strada d’ Austria, sulla Flora, sulla casina a destra del Noviziato, nel Noviziato istesso, e sotto porta Nuova; e per compimento due mortai da 12 si erano piantati sullo spianato della chiesa di S. Girolamo. Inoltre aveano scavato un ramo di mina intorno al bastione di S. Chiara, e rotto i corsi che portavano l’acqua a Terranova.

Con questi grandi apparecchi, e con grandissimi furori appariva l’alba del 20 Febbrajo. Fu messo in fiamme l’Archivio della polizia, si spinsero a combattere il posto avvanzato di S. Girolamo, tutta la Città di bellico rumore rimbombava.

Il General Cardamone invitato dal Comandante della Thetis, fregata inglese, si calò a trattare

– 30-

coi Siciliani onde accomodare alla miglior maniera la vertenza e schivare il sangue; ma nulla poté concludere perché disorbitanti le inchieste. Si pretendea che dovesse cedere il forte Real Alto, quello del Salvatore, il piano di Terranova, e ritirare tutto il presidio nella Cittadella. Quindi arse di nuovo la guerra, la quale fu sospesa al cader del giorno per nuovi tentativi di concordia, e fu ripresa con maggiore accanimento verso il mezzodì del giorno 22.

I quartieri di Terranova eran bersaglio di un nembo di moschettate uscente dalle sovrastanti case e dal Convento di S. Chiara; il forte Real Alto riassaltato e vigorosamente percosso dalle cannonate, si aprì largamente dal Iato di terra. I soldati dopo vigorosa resistenza lasciavano quei punti; e si ritraevano nella Cittadella, nel forte S. Salvatore e della Lanterna; intanto i cannoni della Cittadella tuonarono sui soli punti dell’attacco, risparmiando per quanto era possibile la Città.

A questo atto mosse il Corpo Consolare dal General Cardamone, altamente protestando avverso il fuoco della Cittadella ed in ciò molto accesamente portavasi il Console francese, il quale più impetuoso che considerato, sguainata la spada in mezzo al colmo della rabbia la spezzò in segno della rotta amicizia col suo governo l Il tempo correva assai tristo per Napoli, si voleva ad ogni conto e con minacce, e con aiuti diretti, ed eziandio con rodomontate dar lena alla ribellione.

Intanto lo stato di assedio non era proclamato, le milizie furono riunite nella Cittadella, ed ogni comunicazione con la Città rotta; a tal modo gl’insorti vedutisi più liberi, maggiormente ai preconcetti disegni attesero.

Per non andare a lungo mi passerò del racconto delle insurrezioni particolari dei paesi; soltanto dirò che più o men presto e con maggiori o minori danni, tutti i paesi o le Città di Sicilia, spontaneamente o forzati innalzarono l’insegna della ribellione;

– 31-

man mano si emancipavano dal napolitano governo; il quale pressato dai fati che nella stessa Napoli si svolsero, ritirava le sue guarnigioni dai siciliani forti; per tal modo quietamente furono sgomberate le fortezze di Siracusa, di Melazzo, non così quella di Castellammare, comandata dal Colonnello Gross prussiano agli stipendii nostri, della quale raccoltamente dirò.

Partito l’esercito per Napoli, il forte di Castellammare rimanea raccomandato alle proprie forze, sì che il Consiglio di difesa applicò l’animo a moltiplicare i modi di tutela, ed a scemare i pericoli. Continuamente balestravansi fucilate contro il forte ma senza iatture, ed intanto mettevasi il pensiero ad un attacco più formalo e regolare, al quale il favore inglese ponto non mancava.

Nel dì 29 osservavano dal Forte, che sulla batteria della Lanterna, già dallo partite truppe inutilizzata, eravi un incredibil moto, e varie macchine per armarla; simile affaccendamento vedovasi nella batteria della Garitta; un riparo stavasi ergendo ancora sul bastione di la dalla porta S. Giorgio. Il Comandante Gross chiamava il Comodoro Inglese, perenne mediatore, e rappresentavagli i preparativi dei ribelli, e quindi la necessità di dar fuoco alle sue batterie; e pregavalo di allontanare i legni della sua squadra ancorati (certo artatamente) nella linea che avrebbero dovuto segnare i proiettili del castello; e instava, che il commercio permesso vicino alla Garitta si facesse in altro punto, poiché quivi doveva il Castello dirigere ancora i suoi colpi.

Comodoro faceasi a rispondere, che non stesse in apprensione per la batteria della Lanterna; poiché, assicurante lui, non avrebbe tirato colpo, e che demolirebbela col suo Vascello ove tirasse; quanto alla Garitta, dopo il lasso di due ore potrebbe il Comandante mandare ad effetto il suo proposito. In fatti il giorno dopo fulminava il Forte sulla batteria della Garitta,

– 32-

e di breve in mucchio di rottami

Pertanto i fatti del Comodoro furon diversi dalla data fede. Nel 1.° di Febbrajo, quando già la Lanterna si era di tutto punto munita, l’Inglese facea conoscere al Napolitano, che il Comitato di Palermo credea indispensabile di agire contro il Forte, e che perciò andava a disporre l’allontanamento dei suoi legni, e ritirava la data parola. Napolitano però con un misto di dignità e di sdegno fecegli conoscere la ingannatrice azione, la quale però poco gli caleva. Furono allontanate le navi inglesi, sebbene il mare fosse in tempesta.

Oltre alla batteria della Lanterna avevano i Siciliani preparato una barca cannoniera con un pezzo da 24, una batteria con tre pezzi di grosso calibro dentro di un Magazzino vicino Porta Felice; un altra di due pezzi di montagna nel piano soprastante; ed un Obice ed un Mortajo sur una terrazza in quei contorni. Nello stesso tempo si agiva con le parole e gli spaventi. Facevan trapelare nella guarnigione le cose più spaventevoli e ridicole ad un tempo; come a dire mine preparate, materie incendiarie, velenose, bombe, e simili.

Ma il Comandante del Forte era uomo degno di quelle circostanze, e la guarnigione degna di luisì che non altro si agognava, che il momento del combattere, venuto il quale, furiosamente si aprirono i fuochi del minacciato e minaccioso Forte: un vulcano parca, che dalle sue viscere irrompesse: con orrendo fracasso sfolgorava. Tiravano le nemiche batterie, ma guari non andò e furono al silenzio ridotte. Dei tre cannoni della Lanterna, due inutilizzati tosto, ed uno rimasto a tiri lenti e rari, taciuto poscia anch’esso: la barca cannoniera a gran fatica corse a salvarsi nel porto: le batterie della porta S. Felice scavalcate, ed abbandonate dai fuggenti artiglieri. Dileguaronsi ancora i ribelli, che innumerevolmente ras

– 33-

Mentre ancora durava il veemente trarre del Forte innalberossi sull’inglese vascello e su di altri punti della Città bandiera parlamentaria. Il Comandante a quella vista si preparava ad ordinare che s’innalzasse anche nel Forte la pacifica bandiera; ma gli artiglieri, spinti dal furore della pugna, pregaronlo, che ciò per carità del loro onore, non facesse, e che permettesse che coi loro cannoni bersagliassero. Consentivasi a quell’impeto generoso, e però più furenti le batterie del Forte si accesero; ma il Comodero inglese, mandò sotto al Forte una lancia con ufficiali, i quali a voce chiesero che rimanessero dal trarre perché recavano ordini del Re.

Si ristette, repugnanti gli artiglieri, e per la porta di mare furono introdotti il Comodero Inglese con un altro uffiziale, il Maggiore Steher, ed il Capitano Buonopane dello Stato Maggiore, testé arrivati da Napoli, e due deputati del Comitato. Il Buonopane consignava al Comandante Colonnello Gross una lettera autografa del Re, nella quale, laudata la energia e la bravura della guarnigione, ordinavasi la consegna di Castellammare ai Palermitani, ed il ritorno della invitta truppa in Napoli. Epperò concertato il tutto, uscivano nella sera dei 4 Febbrajo 11 Siciliani, che fin dai principii di Gennajo eranvi rimasti imprigionati, e nel dì vegnente la Guarnigione per la porta del Rivellino, preceduta dall’artiglieria di Montagna, accompagnata dal marziale concento di una militare banda, avviossi pel molo in mezzo ad una brulicante moltitudine di popolo e di armati, e sur una fregata a vapore, che già era rimasta ai bisogni del Forte, mosse per a Napoli.

Per tal modo coloro che tessevano continui tranelli al Governo curavano di far disarmare tutti i Forti e le Castella Siciliane.

– 34-

Trapani, Melazzo, la istessa Siracusa, e Palermo restarono sguernite di truppe, l’una dopo l’altra

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/02_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#PALERMO

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.