STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (VIII)
Dovremmo smettere di definire certi storici “borbonici” e chiamarli semplicemente “preunitari” o “napolitani” nel nostro caso. Non si capisce per quale motivo il Colletta che non scrive certo un trattato di obiettività scientifica sia considerato uno storico e i napolitani che scrissero al tempo di Ferdinando II siano considerati dei lacchè di regime.
Gli esuli pagati profumatamente in quel di Torino dal conte di Cavour per scrivere le loro ricostruzioni storiche antiborboniche che cos’erano? I depositari della verità rivelata?
Buona lettura e soffermatevi sul profluvio veramente impressionante di innovazioni normative operate dal Re Ferdinando II
CAPITOLO VIII.
I DEPUTATI.
Sommario
Il rivolgimento progredisce. Macchinazioni nella nomina dei Deputati. L’apertura del Parlamento è differita dal 1.° al 15 Maggio, e perché. Trame e fraudi rivoluzionarie. La nomina dei Pari addentellato alla rivolta. Taluni Deputati subodorato il programma del giuramento, si portano nel Ministero, e protestano: riuniti più tardi discutono intorno ai Pari. Seduta preparatoria del 14 Maggio. Distesa la formola del giuramento è inviata al Ministero, e dal Ministero al Re. Si riprende fra contrarie sentenze la quistione dei Pari. Divulgate le vertenze dei Deputati si fa una moltitudine ribollente che ne patrocina i desiderii. Il Re non approva la formola; i Ministri si dimettono. Si accresce il tumulto. Il Deputato Cacace si porta nella Regia chiamatovi dal Re: frutti del suo colloquio. Sennate riflessioni del Deputato Abatemarco. Pratiche, parole, e grida tumultuose di taluni Deputati. Formazione delle barricate. Messaggio dei Pari. Il Re per evitare la guerra civile condiscende a tutto. La seduta preparatoria si scioglie.
Il Ministero ferventemente ai suoi disegni andava; la tramata insurrezione lontana non era, e davanle ardimento i progressi della demagogia, la contaminazione del comunismo, gradito suono alla piupparte del popolo, la corruttela universale, la lontananza delle milizie dal Regno, la Guardia Nazionale in gran parte armata, una flotta francese surta nella nostra rada, ed opportuna alle speranze dei turbatori. Un nugolo di quistioni, e di parole, e di stranissime voglie precorreva la tempesta dei fatti che fra breve sarebbero accaduti. In grave pericolo il Trono versava.
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Determinato il dì della elezione dei Deputati, ampliate le liste elettorali, minorato il censo, si era proceduto alla elezione dei Deputati, non senza grandissime macchinazioni, la opinione dovrebbe esser tutta indipendente allorché si tratta di elezione di deputati, più che in altra circostanza; ma gli elettori eran quasi che tutti compri, ingannati, o ingannatori, e lusingati. Quando si fosse preteso, che le elezioni fossero una espressione indipendente conveniva, che non venissero appostajate le opinioni; per tali trame avvenne, che i nomi dei più noti Liberali si leggevano; nel tempo medesimo si erano distese le note dei Candidati, e pervenute in Napoli perché il Re scegliesse fra quelli i 50 Pari. Si era designata la Chiesa amplissima di S. Lorenzo per la inaugurazione del Parlamento, e preparate eziandio nell’Edilìzio della Regia Università degli Studii due magnifiche sale, l’una pei Deputati e l’altra pei Pari; intanto per la tardità con la quale si era proceduto alla nomina dei Deputati in parecchi Collegii Elettorali, l’apertura del parlamento fu differita dal 1.° ai 15 Maggio.
Frattanto eran convenuti nella Metropoli moltissimi Rappresentanti della Nazione, e la piùpparte convojata, da un incomposto satellizio di armati, i quali minacciosi e torbidi non senza universal timore si aggiravan per la città. Le politiche consorterie più che mai nelle loro mude si agitavano; il Ministero che aveva manifestato di tener fermo al pubblicato programma era minacciato e tempellante, e parecchi Ministri si eran dimessi; un sedizioso proclama della Suprema magistratura centrale del Regno; faceasi diramare, col quale i sedicenti amici della umanità attizzavano le furie civili, e cercavano di precipitare il paese in mezzo al sangue, al lutto, alle crudeltà, dicendo fra le altre cose.
«Cittadini. La libertà è un frutto squisito che non si coglie fra le spine che l’accerchiano, senza far sacrificio, e cruente sacrificio, Approntatevi armati ed unitevi immediatamente alla sacra legione del riscatto appena comparirà
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«Le nostre fila sono rannodate per tutto il regno, la nostra corrispondenza con tutti i patriotti d’Italia, di Spagna, d’Inghilterra ed altri luoghi si è ricambiata, ed è in accordo universale: noi a momenti ci solleveremo, e col ferro vendicatore sguainato atterreremo per sempre il dispotismo.»
«E perché ogni governo provvisorio di ciascun luogo possa comportarsi con norma generale e comune di giustizia per tutto il regno, finché il parlamento nazionale costituente non avrà emesso le sanzioni opportune, ecco le norme che sono state accettate e sanzionate universalmente».
Fra le norme sono da ricordare le seguenti:
«2.° Sarà dichiarato pubblico nemico, e come tale fucilato qualunque ecclesiastico che abusando del suo sacro ministero eccitasse i popoli al servaggio in qualunque modo dissuadendoli dal prendere le armi.»
«3.° Parimenti sarà dichiarato pubblico nemico, e come tale fucilato ogni capitano, ufficiale subalterno, sotto ufficiale e qualunque persona tiene comando di armi, che non si rivolga a sostenere la sacra legione e non evita lo spargimento del sangue cittadino».
«7.° Tutti i militari e tutti gl’impiegati che per la causa del 1820 sono stati destituiti, imprigionati, esiliati, se prontamente si cooperino alla rivindica di quella giurata costituzione, saranno reintigrati e promossi ne’ loro impieghi,
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convenientemente
«8.° Tutti gl’impieghi, civili, militari, amministratii, giudiziarii, ed i benefici ecclesiastici saranno dati esclusivamente a coloro che concorrono co’ loro mezzi alla sacra revindica della nostra perturbata costituzione del 1820, proporzionatamente alla loro capacità».
«9.° La guardia nazionale è sacra, perché rappresenta la sovranità del popolo, ma perché gl’intrighi del governo vi àn fatto intrudere parecchi birbanti, cosi tutti i buoni e veri guardie nazionali vestiti della loro sacra divisa si faranno il dovere di pronunziarsi coraggiosamente per la sacra legione come parte integrale della stessa, ed i profani qualora non deponessero le armi immediatamente saranno fucilati.»
«10.° La sacra legione non è che una colonna mobile della guardia nazionale, che ristabilita la memorabile costituzione ritornerà al suo posto».
«Fratelli scuotetevi e mantenete il nostro sacro giuramento! cittadini all’armi, disperdiamo i nostri nemici, ed una volta per sempre sorgiamo liberi».
«Dato dalla suprema magistratura centrale del regno il 1.° Maggio 1847.»
Si curava eziandio ferventemente di trarre in inganni le milizie stanzianti in città, e spingerle nella scambievole diffidenza con la stampa menzogniera: in un avviso importante dicevano i perturbatori: essere stati accertati che gli Uffiziali del Reggimento Re Artiglieria e brigata Pontonieri avean protestato di non far fuoco giammai contro del popolo, di avere in animo di seguire in tutto e per tutto, e coadiuvare la Guardia Nazionale.
Però la impressione dell’imprudente avviso fu breve perché nella dimane (1 Aprile) apparve una contro protesta, nella quale i calunniati Ufficiali;
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andavan dicendo: avere con grave rammarico veduto affisso per le cantonate di
In frattanto i caffè ed i circoli via maggiormente brulicavano di sediziosi, facevan correre le voci più strane del mondo; né mancò l’audacia di fare e portare un indirizzo all’Ammiraglio Baudin, col quale s’industriavano di accattivarsi l’animo del francese Duce, e di far credere, che i francesi avrebbero postomano all’edifizio che si stava costruendo; inoltre si dava ad intendere che senza molta perdita di tempo sarebbero giunte in Napoli numerose turbe di provinciali, le quali già nelle Calabrie, nel Salernitano, e nelle Puglie,, ed in altre provincie, in cui gli agitatori molto si esagitavano, sì erano organizzate, la stampa più che mai bugiarda e furente, concorreva dal suo lato; adunque la insurrezione in tutt’i conti si voleva, e per tutti i versi si mulinava; né tardò a scaderne. la occasione.
La Camera dei Pari servì dapretesto. Secondo lo Statuto ossa formava uno degli elementi governativi; né si aveva. ragione di escluderla, sì perché giova al retto andamento del giudizio un doppio esame, una duplice magistratura, o un lasso di tempo che valga a smorzare il primo impeto delle. passioni, e ricondurre gli animi a più maturo consiglio; e sì perché i Personaggi che aveva scelto il Re, non presentavano appicchi di sorta, essendo tutti degni di commendazione, ed all’altissimo ufficio accomodati; ed oltracciò, erano una emanazione del popolo, poiché il Re non aveva fatto altro che scegliere fra i proposti dalla nazione.
Per la qual cosa il Governo consentaneo alla nuova legge Sociale, avvicinandosi la solenne apertura del parlamento, avea emesso un programma, regolare di giuramento, nel quale era fermato
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che ciascuno seguirebbe il suo debito giusta il prescritto dallo Statuto del 10 Febbrajo. Vero, è che il Ministero del 3 Aprile affin di evitare il preparato socquadro, avea notato nel suo programma, che il Parlamento di accordo col Re potrebbe svolgere lo Statuto, massimamente per ciò che riguardava la Camera dei Pari; ma ponendo da parte, che questo articolo fu strappato dalla imperiosità delle minaccevoli circostanze, è a riflettere, che non mai alcuno potea arrogarsi il dritto di parlare su di argomenti governativi se innanzi tratto non ne avesse avuto la facoltà. Quindi in prima avrebbero dovuto i Deputati essere legalmente investili dal Re del potere legislativo, congregarsi in conveniente numero, discutere regolarmente, averne l’assenso degli altri poteri, e da ultimo uscire nelle opportune decisioni.
Intanto la via legale non si volle, perché non era opportuna ai preconcetti disegni, ed in quella vece si ebbe scelto la via delle sedizioni, delle improntitudini, delle enormità. Ed ecco in sull’una pomeridiana del 13 Maggio meglio che 20 Deputati portarsi dal Sig. Trova Presidente dei Ministri, che ritrovarono unito con tutti gli altri Membri del Ministero, ed esporre, che essi erano informati appieno dei sensi del programma che stavasi pubblicando; e che non era possibile inclinarvi i loro animi. I Ministri promisero di ritirare il programma, e di toglierne la parte che riguardava il giuramento, il quale si sarebbe prestato dopo svolto lo Statuto.
Nella sera dello stesso giorno si fece un’altra riunione di circa 60 Deputati, e toccando delle cose dette coi Ministri, si venne alla discussione dei Pari ed alle modifiche dello Statuto. Alcuni sostenevano, i Pari non poter essere ammessi nella maniera dello Statuto di Febbrajo, epperò non potere intervenire nello svolgimento del medesimo; spettare ciò soltanto alla Rappresentanza Nazionale. La maggioranza al contrario opinava, che i Pari attuali erano una perfetta emanazione del popolo;
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perché il Re non avea fatto altro che nominar Pari quelli che avean conseguito maggior novero di voti. Però si sospesero le quistioni colla speranza di riprenderle nel vegnente giorno, e rimetterle al
Pertanto del giorno 13 era stato dispensato un viglietto a stampa, col quale s’invitavano tutti i Deputati a rassembrarsi nel mattino del 14 Maggio verso le 10 antimeridiane in seduta preparatoria nelle sale municipali di Montoliveto, affin di statuire le ritualità del primordiale procedimento. Infatti nel tempo prefisso meglio che cento Deputati si renderono al prefisso luogo, e dopo avere eletti a presidente il più vecchio fra loro, l’Arcidiacono Cagnazzi, ed a segretarii quattro dei più giovani, volsero il pensiero al regolamento provvisorio; e poscia si fecero a ventilare la quistione del giuramento, ed osservarono, che non essendosi avverata la promessa del Ministero di prestarsi il giuramento dopo lo svolgimento dello Statuto; né convenendo in mezzo ad un popolo religioso d’insistere ond’essere esentati dal dovere di chiamare Iddio in testimone e garante delle proprie intenzioni, era indispensabile distendere una formula di giuramento, che non gli allontanasse dal programma del Ministero dei 3 Aprile. Altri erano di credere, che non si dovesse affatto giurare pria di avere svolto lo Statuto; il che valea per essi riforme e modifiche.
In questo il Deputato Pica distese, plaudente la piupparte dei suoi colleghi, la formola del giuramento nel seguente modo.
«Giuro di professare la religione cattolica, apostolica, romana. Giuro di osservare e mantenere lo Statuto politico della Nazione con tutte le riforme, e le modificazioni che verranno stabilite dalla rappresentanza nazionale, massimamente per ciò che riguarda la Paria.
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Giuro di adempire al mandato ricevuto dalla Nazione, e con tutte le mie forze di procurare la sua grandezza ed il suo ben essere. Così facendo, Iddio mi premii, altrimenti me lo imputi».
La qual formola chiaramente mostrava le tendenze dei tempi crudeli che correvano; imperciocché non è chi non vegga, quanto si dipartisse dal giusto e dalla legalità, e segnatamente in quelle frasi di riforme e modifiche da stabilirsi dalla rappresentanza nazionale; dappoiché lasciando stare dall’un de’ lati il significato della parola svolgere, la quale in qualunque modo giammai potea denotare mutamento sostanziale dello Statuto, egli era evidente, che si mettea unicamente innanzi la rappresentanza nazionale, quando che lo svolgimento, secondo il programma dei 3 Aprile, era confidato a tutti e tre i Poteri Legislativi. Dal che si pare che ree intenzioni voleansi ricuoprire sotto la santità dei giuramenti, e che il suono della Costituente ormai gagliardo si ripercuoteva dappertutto.
Una Deputazione composta dai sig. Capitelli, Pica, Baldacchini, e Masa, si portò, mossaggicra della citata formola, nel Ministero per farla approvare dal Potere esecutivo. In questo il Presidente Arcidiacono Cagnazzi chiese ai Deputati l’ajuto di un Vicepresidente; perché la sua grave età, e la sua fioca voce non gli avrebbero permesso di moderare le discussioni. Acconsentissi alla domanda, e fu nominato a quel posto il Prof. Lanza.
Ritornati i quattro Deputati a Montoliveto riferirono, che i Ministri, trovata accettabile la formola del giuramento, al momento sarebbersi portati dal Re, e patrocinarne l’approvazione, e che terminato il Consiglio, uno di essi avrebbe portata la risposta.
Mentre che i Deputati si tenevano in aspettazione di tal riscontro, seguitarono ad occuparsi del regolamento preparatorio, delle quistioni che poteano insorgere intorno alla verifica dei poteri, e ritoccarono la discussione dei Pari, sulla quale taluni impresero ad osservare: non essere di veruna utilità quello a cui si mirava; un mutamento qualunque potere
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inabissare gli eventi della Italia Superiore; non esser prudenza dilungarsi dallo esempio dei Fratelli di Toscana, di Piemonte, e dello Stato Fon
Intanto si era pervenuto alle 5 pomeridiane, e la sessione preparatoria incominciata alle 10 antimeridiane tuttavia si protraeva. La fama avea divulgate le vertenze dei Deputati, ed una moltitudine ribollente di guardie nazionali e di liberali si andava agglomerando in varii punti dal largo della Carità insino al luogo dove la rappresentanza nazionale era riunita. La folla ognora crescente, e più che mai spessa, e gonfia di furore si diresse sotto al palazzo municipale di Montoliveto gridando Viva i Deputati: abbasso i Pari, abbasso i Pari. In questo taluni moderati ripresero siffatto concitamento, ed esortarono si contenessero da ogni molo disorbitante, né si allontanassero da quanto la moderazione suggeriva. Inutili parole fra tempestose voglie!…
Erano i Deputati in aspettazione di risposte, quando verso la cennata ora presentossi un Inviato del Presidente dei Ministri, riferendo, che ragioni positive e legali non permettevano l’accettazione di quella formola. Al momento fu mandata di nuovo la suddetta Deputazione al Ministero, per esporre, che la Camera tenace nel suo proposito o non giurerebbe affatto, o giurerebbe nel modo stabilito nella formola.
Dilungatasi appena la Deputazione, apparve per la prima volta verso le 6 p. m. il Deputato Conforti, Ministro dell’Interno, il quale confirmò la notizia della ripulsa della formola, ed arrese, che egli erasi dimesso, e che gli altri Ministri erano per dimettersi.
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Ritornò poco stante la Deputazione apportatrice della medesima nuova, e dell’al
Frattanto erano le 9 della sera, e lo sregolato tumulto non cedeva, ma si andava man mano rigonfiando; un brulicame di liberali si aggirava fremente innanzi alla Reggia ed in altri luoghi; voci allarmanti si divulgavano per la città, i demolitori della Società a piene gote soffiavano in quell’incendio; sinistri presentimenti correvano; vi era una calma minaccevole; gli animi stizziti e pronti a irrompere.
Il Re informato di quel tristo baccano, curava di trovar modo di cessare le ruine che minacciavano il paese. Felice l’età se le benefiche mire di Lui si fossero avute in cale! A quel fine facea a se venire il Deputato Cacace, nel quale non mancavan pregi di moderazione e di saggezza, ed a lui sponeva le amarezze provate per la ingratitudine con cui le suo generosità si retribuivano, per le calunnie, le ire, e le intemperanze di cui era segno; e nel tempo stesso il desio di comporre quelle vertenze, e portare a concordia gli animi, mostrando la ragionevolezza di una formola in cui, riguardo alle voglie dei deputati, si diceva: volersi osservare lo statuto del 10 Febbrajo, salvo lo svolgimento che ne avrebbero fatto di accordo i tre poteri, specialmente in ordine alla paria.
Elasse due ore circa, ritornò il Deputato in grembo all’assemblea, manifestando la giunta delle segnate parole. Nuove discussioni al nuovo annunzio succedevano, e per metter fine all’agitazione si venne ai voti se si dovesse esser fermi nel non prestare alcun giuramento, ovvero giurare la formola di Pica, o quella del Re. Di 98 votanti soli 9 furono dell’ultimo avviso.
Intanto in mezzo all’esagitamento, giungeva il Deputato Abatemarco, Direttore della Polizia, mandato dal Sovrano onde condurre gli animi nella via regolare;
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e i seguenti sensi ai suoi Colleghi con franco animo veniva sponendo. Esser ben diverso il significato delle parole modificare e riformare, da quello di svolgere; il programma del 3 Aprile comprendere il vocabolo svolgere, e non riformare, e quindi nessuno aver dritto di allontanarsi da ciò che era stato scritto e sanzionato; daltronde so le parole modificare e riformare, eran sinonimi di svolgere, essere inopportune per lo stile severo delle leggi, se rendevano altre idee, alterarsi evidentemente il senso della concessione; meravigliarsi, che ora stimavasi insufficiente, e riprovevole quel programma istesso, che fu con paghezza indicibile ricevuto; ne saper comprendere, come non valeva pel giuramento quel medesimo dettame che era stato opportuno per la convocazione dei collegi elettorali, e per la elezione dei Deputati; immutarne la forma o la sostanza tornerebbe lo stesso che macchiare la origine e la esistenza politica dei rappresentanti; la riunione fatta in Montoliveto non esser legale, poiché punto non erano verificati i poteri di alcuno dei deputati, né riconosciuti; il programma dei 3 Aprile dar la facoltà dello svolgimento ai tre poteri, non ad un solo di essi, e molto meno ad una Camera non legalmente costituita; essere veramente indecoroso, e sconvenevole in un momento cotanto solenne gittar le faci della discordia civile in mezzo ad un popolo benigno e tranquillo, che aspettava dai suoi rappresentanti pace ed ordine, non mai guerra né socquadro; e finiva con esortare rattemprassero per carità di patria, e decoro di un’assemblea, anzi ammorzassero le ire e le scintille, in cambio di concitarle ed attizzarle.
Questi sensi giustissimi e vigorosi, attutirono per un momento, non spensero i sediziosi cavilli. Dei Deputati undici soltanto c, on franco labbro, pochi altri con la eloquenza del silenzio li approvarono; tutti gli altri stetter contumaci, e fatto allontanare Abatemarco, tolsero a deliberare.
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In frattanto un’agitazione indescrivibile regnava fra la raccolta rappresentanza. I sovvertitori, tra quali un Romeo ed un Mileto, notissimi per la reggiana ribellione, entravano ed uscivano dalla sala, si rannodano in crocchi; e taluni Deputati discendevano nella strada fra la innacerbita moltitudine, e tornavano nella sovvertita sala, trasportandovi 1 intemperanze e le passioni di che ribolliva la folla della strada; cosicché gli animi innaspriti innasprivano. In mezzo al socquadro in che la Camera era immersa, entrarono di tutta fretta, schiudendo l’uscio senza verun permesso, La Cecilia e Mileto, e dissero, che le reali milizie eran già sortite dai quartieri, e miravano a disperdere la Camera e con essa la libertà. Il Direttore di Polizia, che stava in aspettazione della risposta dell’assemblea, intese le bugiarde assertive, subitamente entrò nella concitata sala, e francamente disse: il Governo essere calunniato; egli quivi rappresentarlo, asserendo rispondere per esso; aver egli partecipati gli ordini al Generale Labrano, Comandante della Piazza, portanti la proibizione della uscita dei soldati dalle Caserme, affin di evitare qualunque appicco di conflitto. Opposegli La Cecilia, dicendo esser egli illuso. Riprese il Direttore: esser pronto a mostrare coi fatti, che egli non aveva illusione né d’intelletto né di sensi. Ed infatti lasciata persona di sua dipendenza nell’Assemblea, pertossi per le strade principali, e dal Generale Labrano, e verificò che gli ordini comunicati non erano stati punto né poco trasgrediti; poiché nessun soldato per nessuna cagione era uscito.
Frattanto in quei momenti supremi l’agitazione era nel suo più alto segno, i Deputati si rannodavano in circoli si scioglievano, si rinfuocolavano a vicenda, e le passioni nelle ferventi torme delle strade ripercuotevano. Gridavasi per le vie Viva la Camera dei Deputati; abbasso i Pari. Dicevasi nella sala da parecchi Deputati: profittisi della opportunità; è ormai tempo di costituente e di repubblica; e tre di essi ubbriachi di furore, ed avidi di sangue,
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Le quali parole furono scintille cadute fra infiammabili materie. Tosto fu dato nei tamburi, malgrado la inibizione del Brigadiere Pepe, Comandante della Guardia Nazionale; e per tutte le vie della Città si andava battendo la generale, e gridando all’armi; la patria è in pericolo; tradimento; alle barricate. Incontanente si accorre alla chiamata, e si fa un brulicame di Guardie Nazionali, di borghesi, di lazzari e di operai, frementi operosi volli con tutte le forze alla costruzione delle barricate.
Avresti veduto quella folla disgregarsi in drappelli, andare in cerca di materiali, e issofatto riunirsi portandone in gran quantità e di vario genere dove meglio il bisogno ne scadesse. Carrozze grandi e piccole, patronali e da nolo, carrette, panche di acquajuoli, di macellai, e di falegname, scanni e predelle di chiesa, insegne di legno da botteghe, scale, travi, botti, stipi, sedie, casse, cassoni, pietre, porte ed altri materiali furono qui e colà ammassati ed ordinati in barriere.
Nel tempo istesso gli agitatori non si rimasero dal mandare una Deputazione presso l’Ammiraglio della flotta francese per chiedere aiuto e protezione per la repubblica che intendevano inaugurare. Il Re informato di tutto, immobile in mezzo a tanto moto, confortato dal suo dritto, e dalla giustizi» delle sue azioni, con fermo animo e dignitoso andava dicendo: non volersi rimuovere dalla, via legale, esser pronto ad affrontare qualunque difficoltà, qualunque pericolo colla lealtà del cittadino, e col coraggio del soldato.
Intanto in mezzo agl’impeti sregolati conveniva mettere io difesa la Reggia; epperò ordinava il Re che un reggimento di cavalleria occupasse lo spianato di Palazzo e intendesse a difender quella da ogni audacia;
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e che intanto il
Nel tempo medesimo giungeva al Largo di Palazzo il Direttore di Polizia, il quale si fece a dire ai Comandanti Superiori della cavalleria, che si guardassero dallo entrare in via Toledo, dove già ribollivano le passioni, affin di evitare qualunque occasione di guerra civile.
Intanto al primo tumulto due Ajutanti di Campo, e ‘l Deputato de Piccolellis, Colonnello della Guardia Nazionale, erano entrati nella Camera dicendo da parte del Re. Perché questo allarme? Nessun corpo di cavalleria essersi avanzato verso la Camera; neppur mosso, ma solamente schierato innanzi la Reggia uno squadrone per difenderla da qualunque invasione; perché molta gente si era colà agglomerata. I Deputati risposero: che tutto quello che avveniva non doveva imputarsi ad altri che ai Consiglieri della Corona, i quali per tanto tempo trascuravano i voti della, nazione: e che essi erano estranei a quanto avveniva fuori!!
Erano così le cose quando un Ajutante Maggiore andò a chiedere del medesimo Sig. de Piccolellis, soggiungendo che era desiderato dal Re; al quale annunzio lieto e frettoloso il Colonnello si partì.
In questo mentre giunse fra i Deputati il Principe Pignatelli-Strongoli latore di una bozza di giuramento fatta dai Pari, i quali si erano radunati sino dalle otto della sera a casa il Principe di Cariati per tale oggetto. Siffatta bozza fu letta e plaudita da molli Deputati, ma non preferita a quella già distesa da Pica. Il Messaggio dei Pari si ritirò.
Intanto pervenuto al cospetto del Re il Colonnello de Piccolellis, cosi in dignitoso modo gli disse il Sovrano: a forza dunque i sediziosi vogliono pascersi nel sangue civile? Ma che altro si chiede, che altro si pretende?
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La formala del giuramento è stata già tolta, il Ministero si sta occupando del decreto;perché le barricate sono ancora in piedi anzi
La notizia della Regia condiscendenza di tratto si diffuse non senza molta letizia da Montoliveto a tutti i Quartieri delle Guardie Nazionali, che vegliavano in armi, ed al popolo che era desto in via Toledo; e i Deputati dopo stabilito, che si attendesse a restituir l’ordine e la calma, togliendo le barricate, e che alle 9 a. m. del giorno appresso si sarebbero novellamente riuniti nel medesimo luogo affine di recarsi nella Chiesa di S. Lorenzo si sciolsero, passata di 3 ore la mezzanotte.
In quell’Assemblea non mancavano i buoni, i quali, sebben rimessamente e senza alcun pro, avevan tentato di opporsi alle immoderate pretenzioni, ed a richiamare il senno dei passionati in una via equa e legale; si che in quella congiuntura istessa non pretermisero il loro debito, e infatti benché affraliti dalla mancanza del sonno e del cibo, sospinti da patria carità, si portarono in piena notte dalle stanze di Montoliveto alle barricate, percorrendole ad una ad una, ed esortando si distruggessero: ma sebbene in taluni luoghi e da talune persone fossero ascoltati, nel generale furon derisi o non intesi; e le barricate punto non furono scommesse. La malnata genia dei perturbatori con maligno soffio aizzava le passioni, ogni via di conciliazione rifiutava, andava insinuando idee dubbie, gittava i semi della discordia, finiva manifestando voglie disordinate.
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Si dessero, dicevano, i Castelli alla Guardia Cittadina; si allontanassero le truppe 40 miglia fuori della Città nel corso della giornata se ne spedisse una mettà in Lombardia; la Camera dei Pari non si convocasse.
Cadeva la notte del 14 Maggio fra cotanta tenzone di sbalestrate passioni, e un grave ed imminente periglio di guerra civile nella spaventata Napoli lasciava…..continua
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