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“STORIA DI TRINACRIA” A CURA DI ALESSANDRO FUMIA (II)

Posted by on Apr 21, 2023

“STORIA DI TRINACRIA” A CURA DI ALESSANDRO FUMIA (II)

Da una storia dimenticata sui Variaghi a Messina.

La storia di una grande e antica città, Messina, marca il tempo attraverso le sue glorie che illuminano un passato importante. Durante la Dominazione araba in Sicilia, in una delle tante incursioni degli imperiali bizantini che tentavano di strappare l’isola all’islam Kalbita, giunsero in quelle latitudini dei guerrieri della croce al seguito delle truppe costantinopolitane piuttosto feroci.

La loro nomea era proporzionata alle loro gesta, e la grandezza dei suoi guerrieri che seppero lasciare traccia di se accresceva nell’immaginario collettivo la loro potenza. Il condottiero che li guidava, un monumento alla storia dei paesi scandinavi, ancora oggi ricordato come eroe nazionale, si distinse in queste contrade e a Messina, compì un vero miracolo militare, tanto da essere annoverato nelle saghe dei cosiddetti vichinghi orientali. Harold Hardrara fratello di secondo letti di Olav il santo, forse il più grande guerriero di tutti i tempi, mise la sua spada al servizio degli imperiali di Costantinopoli e il suo cuore al servizio della causa del Signore i Dio. A Messina il suo trionfo fu clamoroso tanto da essere ricordato per secoli in alcune delle più prestigiose cronache cavalleresche. La sua presenza ben presto strategica sembra smarrita fra i racconti dei più moderni cronisti, eppure, il suo ruolo fu strategico in favore della Città dello Stretto, e i futuri Normanni, quando ne ricordarono le insegne del regno di Sicilia, durante il tempo in cui i fratelli Guglielmo e Ruggero governarono il suo caposaldo scambiandosene il titolo prima di conquistare Palermo. I successori dei principi normanni, seguirono le orme dei loro padri fino agli Svevi, che alimentarono il ricordo di una signoria, quella di Messina, origine e vanto di una piazza d’armi, liberata e indipendente dal grande condottiero dei vichinghi dell’est, dall’anno del Signore 1042 all’anno 1057.

La ricostruzione storica di una discendenza reale a Messina quasi sconosciuta in Occidente, getta le basi verso nuove osservazioni e rende possibile colmare alcune lacune, inspiegabili in rapporto alle dinamiche di governo del regno di Sicilia fin dalle sue origini.

Così celebrerà quei fatti il grande Tommaso Fazello.

Della storia di Sicilia deche due. Volume secondo (ristampato). Palermo 1817.

“Ma poichè il governo venne in man di Stefano, e di Basilio 518 in Valore, e nel modo del governo erano in tutto dissimili da Maniace perocchè egli governava con prudenza e molto avvertitamente ogni cosa, ed essi al contrario pieni d’avarizia, e di viltà lasciavano andar male ogni cosa i Saracini disprezzando gli cominciarono ad entrar in isperanza di poter racquistar il dominio perduto, e da questa occasione fatti più arditi chiamarono un nuovo esercito, da Africa mosson guerra un altra volta a Greci, e cominciati a far prede e correrie col ferro, e col fuoco andavan guastando i paesi, ed usando poi le forze maggiori ripresero le città, espugnaron le fortezze, rovinaron molti luoghi, e finalmente racquistaron tutta la Sicilia eccetto che la città di Messina. Era allora capitano e governator di Messina Catacalono Protospaturio detto per sopranome Cacaumeno, il quale oltre agli uomini della città avea con seco da quattrocento cavalli Armeni, e cinquecento fanti tutti soldati vecchi, bravi, avvezzati alle guerre, e che avendo veduto molte volte il nimico in viso non conoscevano paura, ed erano prontissimi a mettersi ad ogni pericolo. Costui avendo intorno uno strettissimo assedio perché i Saracini per fermar bene il piè nell’imperio avevan chiamato, e chiamavan sempre da Africa nuovi soccorsi, e vedendo che tutta la Sicilia era già perduta ancor che egli non’avesse punto di paura fingeva nondimeno d’aver grande spavento onde fatte ben serrar le porte di Messina non permise mai per tre giorni ch’alcuno uscisse fuori. Onde i Saracini per dispregio di quel capitano scorrendo il paese, ed andando alla stilata per le campagne predavano ed ardevano ogni cosa, portandosi più tosto da ladroni di strada che da soldati onorati. Ed attendendo a mangiare, e bere, e lussuriare spendevano il maggior tempo della notte in cosifatti esercizj parendo lor d’aver la terra in mano, e di poter pigliarla a lor posta. In questo mentre il capitano che stava alla guardia di Messina fingendo or una cosa, ed ora un’altra aspettò il quarto giorno nel quale i Saracini celebravano una lor festa chiamata Mesopentecoste, perocchè giudicava ch’in tal giorno i Saracini dovessero esser più disposti a darsi piacere che a combattere, e fatta una breve esortazione a suoi, confessati tutti e communicati usciron fuor della terra ad ora di desinare, ed assaltato il campo Saracino che tal cosa non aspettava, trovarono i nimici mezzi imbriachi, e dati alla crapula, ed il capitan cristiano andato a dirittura al padiglion d’Apolofaro, Re de Saracini, che di tal assalto non temeva l’uccise, e messi in disordine gli altri ammazzò più di trentamila Saracini, ed il resto si fuggì a Palermo dove era il lor rifugio, e cosi la città di Messina fu liberata dall’assedio. Ma benché i Messinesi con si bella impresa, e memorabile vittoria avessero quasi abbattute le forze de nimici, il dominio dell’isola nondimeno rimase ancora in man dei Saracini”.

Una memoria perduta che merita di essere ristorata, trasmette ancora un eco fortissimo fra le contrade messinesi.

In questa versione segnalata dal Fazello, si introducono altri elementi in rapporto a quanto precisato da Michele Amari, soprattutto in rapporto alla festa musulmana e non cristiana (errore commesso dal Fazello) e in rapporto alla specificazione del campo in cui stavano i saracini l’Apolofaro, differentemente osservato dall’Amari come luogo di battaglia e sede del castello Pubblico, dove Catacalone aveva disperso fuori dalle sue cantine il vino e dai suoi sotterranei le derrate alimentari, ricco bottino per i predoni saraceni. Ebbene in questo caso, quel luogo recentemente oggetto di una mia pubblicazione, viene individuato come il castello della munizione; confermando l’area decentrata rispetto alla città di Messina, ricadente presso il borgo marinaro del Ringo, finito segnalato in alcune carte degli Svevi, futuri governatori di Messina. Si che, l’impresa dell’Hardrada non solo possiede dei risvolti storici, contornati nella spedizione del maniace del 1038, ma incide su un territorio già ospitale per quelle truppe, sintesi di etnie già radicate sul distretto messinese quali i Rus e gli Armeni con rispettive comunità verosimilmente addensate presso il nucleo dell’antico quartiere dei Gentirmeni, che designerebbero anche, il sito dell’antico recinto cristiano della città araba di Merssina dove appunto, si concentrava il suddetto quartiere. Questa ubicazione allo stesso tempo nasconde altri elementi. Se come confermato, i saracini assaltarono il castello di Apolofari, essi provenivano da Ndinnamare cioè, dall’antico tracciato della colla, evitando di percorrere la strada contornante il massiccio dei Peloritani che li avrebbe fatti giungere all’estremo bivio di Pezzolo , quindi in pieno territorio di Taormina, avulso alla potenziale presenza di agguati condotti da forza cristiane. Allo stesso tempo, si può ipotizzare l’uso della flotta saracena sbarcata presso l’arenile di flummara morum per penetrare dalla parte del Tirreno i territori delle Masse, il granaio di Messina, potenzialmente devastandolo e quindi togliere alla grande città un sicuro punto di rifornimento alimentare.

Miniatura persiana XII secolo assedio di Messina

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