STORIA INTRIGANTE DI UNA DONNA … IRREQUIETA: CIULLA D’ ‘A PIGNASECCA
Giulia De Caro, detta Ciulla, bella, intelligente e precoce figlia di un umile cuoco e una lavandaia, nacque il 13 luglio del 1646 a Vieste (Foggia) trascorse nel piccolo paese la primissima adolescenza, fino a quando -sedotta da uno stalliere- si trasferì a Napoli, per dare una svolta alla sua vita.
Lavorò per un negoziante, Giovanni Pesce, di cui fu l’amante, poi fu da lui <ceduta> ad un saltimbanco romano, che la sposò e la fece lavorare nella sua compagnia che si esibiva nei rioni della Napoli popolare: soprannominata Ciulla d’ ‘a Pignasecca, era bella, spregiudicata e con la sua bella voce e interpretava canzoni sguaiate e piene di doppi sensi; acuta e ambiziosa, quando il viceré di Napoli don Antonio Albarez cominciò a favorire le compagnie teatrali, lasciò il marito per nuovi amori e nuove avventure: sotto la protezione di uno dei suoi tanti amanti, don Prospero Barisani, marchese di Caggiano, studiò musica e canto ed entrò a far parte della prima compagnia di cantanti d’opera napoletani, i Febi Armonici e fece arrivare a Napoli i cantanti più famosi dell’epoca. Godette della protezione del viceré (anche lui innamorato), frequentò i migliori salotti napoletani e non mancò mai di stupire tutti: la leggenda vuole che a lei sia legata l’invenzione di un <imbuto> con cui amplificava la sua voce, cantando su una barca a Mergellina; ma è più probabile che abbia semplicemente utilizzato uno dei primi megafoni inventati in Germania. Tra i suoi tanti amanti ci furono il vicerè marchese di Astorga, il marchese di Los Velkez e il principe di Cicinello: le frequentazioni nobili la raffinarono nei modi, poté concedersi abiti molto eleganti, cappelli piumati, un elegante bastone, una propria carrozza. Per la sua condotta scandalosa, fu rinchiusa nel “conservatorio delle Pentite” alla Pignasecca, dal quale però fu ben presto cacciata a causa di un ulteriore scandalo. Tornò a Napoli nel 1674 e fu ancora vista in compagnia del viceré, ma ormai la sua celebrità era in caduta libera per via dei comportamenti licenziosi e a Napoli circolò un poemetto satirico < La Carilda o il bordello sostenuto>, con protagonista Ciulla. Sopraffatta dagli eventi, non riuscì a trovare cantanti disposti a formare compagnia con lei e fu costretta a ritirarsi per sempre dalle scene e ad andare in esilio volontario a Roma e a Venezia. Ma durò poco, perché nell’ottobre 1677 ritornò a Napoli e divenne l’amante del vicerè. Poi l’epilogo imprevisto e imprevedibile la chiese in moglie un onesto giovane, Lucio Mazza e lei -vedova- accettò. Andarono a vivere in un casale a Capodimonte, ebbero una figlia e la condotta di Ciulla fu irreprensibile; ad adiuvandum, ci fu una completa adesione alla religione. Passarono altro venti anni; quando, il 17 novembre 1697 morì, un cronista scrisse che aveva lasciato alla figlia un’eredità di decine migliaia di scudi; invece, il notaio Domenico Conforto scrisse nel suo Diario: “… È morta nel casale di Capodimonte… la famosa un tempo puttana e canterina Giulia De Caro, che pria di maritarsi fu il sostegno del Bordello di Napoli… ed è stata seppellita miseramente nella Parrocchia del suddetto casale, solo con quattro preti, una che al tempo del suo puttanesimo dominava Napoli et sic transit gloria mundi”. Nel conservatorio di San Pietro a Majella si conserva un busto in terracotta della Ciulla, opera di Luigi De Simone. (Dai miei vecchi post, un bell’articolo di Pietro Gargano)
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